2
all’interrogativo su chi è l’uomo. Si scoprirà, forse, che in realtà la domanda di questo
campo della conoscenza ha come riferimento il “che cosa sia l’uomo” (prospettiva
“cosificante”), più che la questione del “chi sia l’uomo” (prospettiva soggettivante).
Le ricerche su questo campo sono in continua evoluzione: non si può ancora parlare
di un sapere stabilizzato. Alcune sue acquisizioni sperimentate lasciano però intravedere
prospettive sulle quali l’antropologia teologica non può rimanere afona. Proprio per la
ricchezza della ricerca e per l’ampiezza delle opinioni, si è preferito concentrare
l’attenzione sulle posizioni di un neuroscienziato di indubbia fama, Jean Pierre Changeux,
la cui opera fondamentale “L’uomo neuronale”
4
è considerata un classico nel suo ambito.
Oltre che per la competenza, la scelta è da collegarsi alla motivazione della sua ricerca:
“Questo progetto di naturalizzazione esteso sino alle produzioni più alte della
cultura si sottrarrebbe, a mio avviso, a qualsiasi polemica ideologica. Torna a onore
dell’uomo il fatto di volgersi sulle proprie origini e capacità invece di fermarsi
all’esaltazione di una misteriosa eccezione dell’essere umano, che apre la strada a
tutte le chimere e a tutti i fondamentalismi”
5
.
Appare evidente che il nostro autore si muove in un percorso per il quale l’uomo si
spiega con l’uomo, o forse, ancora meglio l’uomo si spiega con l’animale non dandosi
alcuna significativa eccezione.
A partire da questo, che non è un assioma, ma frutto di un itinerario di ricerca
sperimentale cui si aggiunge il prosieguo di conclusioni più filosofiche che scientifiche, si
cercherà di mostrare il percorso che lo scienziato fa per giungere a delle conclusioni. Qui
entreranno poi in campo le indicazioni provenienti dalla teologia per cercare di cogliere
alcuni elementi di valutazione rispetto a una prospettiva che, già nelle premesse, appare
così distante dai dati della Rivelazione.
4
JEAN PIERRE CHANGEUX, L’uomo neuronale, Feltrinelli, Milano, 1998
6
.
5
J.P. CHANGEUX, L’uomo di verità, Feltrinelli, Milano, 2003, p. 9.
3
PROBLEMI EPISTEMOLIGICI
Il lavoro di tesi, così come indicato, pone in dialogo saperi con un proprio statuto
epistemologico. Il rischio è di confondere gli sguardi formali sull’unico oggetto materiale,
consapevoli che occorre evitare di proporre due parti giustapposte ma non comunicanti tra
loro. Per superare questa possibile impasse colgo, nella prospettiva che il Concilio stesso
ha indicato, una ipotesi di lavoro:
“…la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente
scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede,
perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio”
6
.
E’ dunque possibile il dialogo tra discipline diverse, non solo perché l’oggetto
materiale è il medesimo, ma anche perché il principio della verità verso cui si tende è lo
stesso. Questo vuol dire che seppure il dialogo non può toccare il metodo di ricerca
adoperato dal nostro autore, per il quale occorre ipotizzare a priori la bontà scientifica e
morale, tuttavia è possibile interagire nelle conclusioni che da quel percorso derivano circa
l’essenza dell’uomo. Una tale prospettiva metodologica è ulteriormente corroborata dal
magistero di Giovanni Paolo II, il quale così diceva alla comunità scientifica:
“Una soluzione adeguata delle pressanti questioni sul senso dell’esistenza umana,
sulle norme dell’agire, e sulle prospettive di una speranza a lungo termine, è
possibile unicamente nel rinnovato collegamento tra il pensiero scientifico e la
forza di fede dell’uomo che cerca la verità. La ricerca di un nuovo umanesimo sul
quale possa fondarsi l’avvenire del terzo millennio, potrà avere successo solo a
condizione che la conoscenza scientifica entri nuovamente in rapporto vivo con la
verità rivelata all’uomo come dono di Dio”
7
.
6
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
Gaudium et spes, 36.
7
GIOVANNI PAOLO II, Discorso, 15 novembre 1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III,2 (1980),
LEV, Città del Vaticano 1980, p. 1208.
4
ORIGINI DELLE NEUROSCIENZE MODERNE: BREVI CENNI
8
La genesi di ogni disciplina ha caratteri ibridi, spesso legati a ricerche e studi che
avvengono su ambiti dai quali poi viene epistemologicamente distinto un nuovo campo del
sapere. Se volessimo indicare un riferimento fondamentale, che ha in nuce gli sviluppi
successivi, non possiamo che rivolgerci alla scoperta del neurone da parte di Camillo Golgi
e di Santiago Ramon y Cajal attorno al 1873, entrambi insigniti del premio Nobel per la
medicina nel 1906.
Ma ogni inizio “ufficiale”, porta con sé dei prodromi che già mostrano opportunità
e sviluppi che il futuro metterà in evidenza. In fondo, Golgi e Cajal, percorrono una strada
che è avviata con ipotesi e ricerche mediche rudimentali fin dal XVII secolo. E dall’inizio
si capisce subito come lo studio “scientifico” del cervello è fortemente legato a concezioni
filosofiche e culturali del tempo.
Già dagli inizi del XIX assistiamo al processo di “naturalizzazione” del cervello.
Scienziati come Home e Meckel, sostengono in quegli anni che l’organo nobile del corpo è
in fondo costituito di “globuli” (cellule) in tutto simili a quelle di altri organi volgari. E’
l’inizio di un processo di demitizzazione del cervello per via scientifica. Tali scoperte
furono fortemente avversate dai filosofi della natura che, sulla base del principio del
vitalismo e della “armonia della natura” avevano un approccio olista sul cervello, che
minimizzava la natura materiale della mente: essi negavano, in sostanza, che il cervello
avesse una struttura cellulare. Questo approccio filosofico al cervello irretì ricercatori come
Purkinje, che pur contribuendo sostanzialmente alla comprensione cellulare del cervello,
tuttavia non rinnegò l’ipotesi che ciascuna cellula fosse in qualche modo una piccola
monade dotata di energia vitale e pensante.
8
Cfr. ALBERTO OLIVERIO, Prima lezione di neuroscienze, Laterza, Bari 2002.
5
Intorno alla metà dell’Ottocento, le osservazioni anatomiche e fisiologiche
giungono a una puntale definizione delle cause dei movimenti periferici, che portano verso
un superamento del dualismo cartesiano composto attraverso lo snodo della ghiandola
pineale. Nello stesso periodo le conoscenze acquisite, correlando struttura e funzioni,
permettevano di guardare al cervello e alla filosofia della mente con prospettive nuove.
Fino a quel momento, infatti, in mancanza di conoscenze sui substrati organici, le funzioni
nervose erano spiegate attraverso teorie fondate sull’esistenza di energie o forze
immateriali. Da allora, invece, le descrizioni delle attività organiche e mentali si
appoggeranno sempre di più al substrato materiale del cervello. E’ in questo humus
culturale che si inserisce la scoperta del neurone e il nascere delle teorie del neurone.
L’emergere a evidenza del neurone determinò il distribuirsi della comunità
scientifica secondo due orientamenti fondamentali: i reticolaristi e i neuronisti. Entrambi si
riconoscevano nell’affermare l’esistenza e la struttura del neurone, ma si distinguevano sul
rapporto tra questa cellula e le funzioni organiche (ad esempio motorie). I reticolaristi, in
una visione olistica, affermavano l’esistenza di una struttura unificante delle sottostanti
attività neuronali. Diversamente i neuronisti propendevano per riconoscere l’immediata
dipendenza dai neuroni di tutte le attività fisiche e mentali dell’organismo.
La disputa aveva già interessato la comunità scientifica agli inizi dell’Ottocento,
quando il meccanicista Gall si proponeva di individuare nelle diverse aree del cervello, le
sedi di attivazione di altrettante facoltà umane. Questa visione fu contrastata dal Flourens,
che riteneva le teorie del collega contrarie all’essenza umana, alla sua anima, al suo libero
arbitrio, in definitiva alla presenza del divino nell’uomo. Egli si incaricò di contraddire,
con successo e sullo stesso piano sperimentale, le tesi di Gall.
L’olismo, di cui Flourens, fu esponente ebbe un duro colpo nella seconda metà del
XIX secolo dal neuroanatomista e patologo Paul Broca e più tardi da Carl Wernicke.
6
Entrambi dimostrarono come la frenologia elementare di Gall, aveva una sua plausibilità
scientifica. Entrambi dimostrarono come lesioni in determinate aree del cervello (da allora
individuate con il nome dei loro scopritori) comportavano lesioni nelle capacità di
espressione del linguaggio. Queste scoperte avviarono la mappatura del cervello e la sua
distinzione in aree di influenza sulle attività del corpo e della mente. D’altra parte anche
l’approccio olistico o reticolare evidenziò come alcune funzioni organiche o motorie in
soggetti lesi gravemente in una corrispondente area del cervello potevano essere in parte
recuperate.
Gli inizi del Novecento furono caratterizzati dallo studio circa le modalità di
trasmissione dei “messaggi” tra cellule nervose o tra cellule nervose e altre. Si comprese
così che le cellule nervose non “penetrano” nelle altre ma sono distanziate le une dalle altre
e comunicano attraverso il rilascio di mediatori nervosi di natura chimica che solo in alcuni
casi attivano correnti elettriche. Mediatori nervosi che sono condizionati da alcuni
modulatori chimici che ne determina il rilascio e la loro ampiezza. L’individuazione di tali
mediatori e il modo in cui funzionano ha contrassegnato gran parte delle ricerche del
Novecento.
Nei decenni più recenti lo sviluppo della tecnica ha amplificato le possibilità di
ricerca sul cervello e sul suo funzionamento. Sono stati individuati strumenti che
consentono di registrare l’attività anche di singoli neuroni e ciò ha favorito una più
puntuale mappatura delle funzioni celebrali. La genetica ha posto la questione circa il
rapporto tra evoluzione e crescita del cervello. Più recentemente il dibattito si è concentrato
sul rapporto tra natura, cultura e influenza sul cervello.
7
C A P I T O L O P R I M O
JEAN PIERRE CHANGEUX
9
: PRESUPPOSTI, PERCORSO E
IMPLICAZIONI
1.1 I RIFERIMENTI FILOSOFICI E IL RAPPORTO CON LE RELIGIONI
Già nella citazione di Lucrezio
10
, che il nostro autore riporta quale occhiello al suo
più celebre scritto
11
, abbiamo l’espressione chiara di un progetto di ricerca, che si sviluppa
su una fiducia assoluta nelle capacità conoscitive della ragione umana. Non c’è alcun
bisogno di ricorrere a forze ulteriori o soprannaturali, è sufficiente riferirsi alle potenzialità
stesse dell’uomo.
Va sottolineato come questo sguardo antropocentrato non è carico di pessimismo
circa il futuro, anzi:
“…una miglior conoscenza dell’uomo e dell’umanità permetterà di valorizzare la
diversità delle esperienze personali, la ricchezza delle diverse culture, la
molteplicità delle loro concezioni del mondo. Quel sapere favorirà la tolleranza e il
rispetto reciproci sulla base del riconoscimento dell’altro come un altro se stesso,
membro della stessa specie sociale prodotta dall’evoluzione della specie”
12
.
9
Jean Pierre Changeux è membro dell’Accadémie des sciences, è professore di Comunicazioni cellulari al
Collège de France e all’Institut Pasteur dirige il Laboratorio di neurobiologia molecolare.
10
“…per dissipare il terrore di queste tenebre dello spirito non c’è dunque bisogno né di raggi del sole, né
di tratti luminosi del giorno, ma dello studio razionale della natura”, De Rerum Natura II, 59-61.
11
J.P. CHANGEUX, L’uomo neuronale, op. cit.
12
J.P. CHANGEUX, L’uomo di verità, op. cit., p. 263.
8
C’è una grande fiducia in questo progetto di ricerca: la speranza che una
conoscenza “oggettiva” possa portare al superamento dei conflitti e alla piena
valorizzazione dell’uomo che, non va dimenticato, è l’esito di una evoluzione della specie
che come tale non eccede, se non per proprietà biologiche e strutturali intrinseche,
l’orizzonte delle altre specie presenti sulla terra. E’ un itinerario che vuole mostrare come
la scienza sia oggi il vero umanesimo. Infatti “…il progresso scientifico e la libertà di
pensiero partecipano a una stessa lotta per l’uguaglianza e la fraternità tra gli uomini”
13
. Di
fronte a questo manifesto universale della positività della scienza e della tecnica che oggi
consente inestimabili opportunità di ricerca, l’autore si spinge fino a quel punto nodale
dell’esperienza personale che è la sofferenza, per affermare che la conoscenza scientifica è
senza dubbio sollievo più efficace e duraturo di ogni riferimento al magico o al
trascendente. E se vi è un qualche disagio per ciò che la comunità scientifica sta mostrando
al mondo, questo è il frutto di una cultura che non è al passo con i tempi
14
.
Con pari entusiasmo J.P. Changeux dichiara di aver trovato nell’Etica di Spinoza
un progetto ineguagliabilmente attraente: “…una ricostruzione della vita umana
sbarazzandosi di ogni concetto finalistico del mondo e di ogni antropocentrismo al riparo
dall’immaginazione e dalla superstizione religiosa”
15
.
Questo tributo a Spinoza non è meno significativo di quello all’altro grande
riferimento filosofico dell’autore: Democrito. Egli ne valorizza l’intuizione che le
sensazioni e il pensiero sono il risultato dell’azione di una base materiale e dipendente da
realtà fisiche come atomi dai cui movimenti dipende il prodursi di immagini. E’ proprio
questo il grande merito del filosofo che ne fa in un certo senso il progenitore delle
neuroscienze:
13
J.P. CHANGEUX, L’uomo di verità, op. cit., p. 237.
14
Ibidem, p. 259.
15
J.P. CHANGEUX -PAUL RICOEUR, La natura e la regola. Alle radici del pensiero, Raffaello Cortina, Milano
1999, p. 6.
9
“Democrito imprime nella storia delle dottrine sul cervello due idee di particolare
rilievo: distingue parecchie facoltà intellettuali e affettive e assegna loro
localizzazioni distinte nel corpo…Infine, i suoi “atomi psichici” compongono il
sostrato materiale degli scambi tra il cervello e gli organi corporei e il mondo
esterno, e prefigurano la nozione di attività nervosa”
16
.
Come rispondere alla questione delle origini dell’uomo? alla sua così significativa
specificità rispetto ad altre specie animali? Per Changeux le spiegazioni mitiche e religiose
hanno sedato l’inquietudine profonda del cuore dell’uomo di fronte a queste domande. Ma
è solo grazie all’Illuminismo e all’esplosione di discipline che indagano sperimentalmente
sui fatti, che si giunge a un notevole passaggio qualitativo della conoscenza circa le origini
dell’uomo stesso. Gli studi comparati delle specie e il ritrovamento dei fossili consentono
lo svilupparsi di teorie della “discendenza” (Lamark), che fanno derivare le specie esistenti
da pochi originari progenitori. In questo l’uomo è un “fenomeno planetario” la cui
peculiarità
“…non è certo la discesa di un qualche Spirito sull’encefalo di un avo remoto
dell’uomo, ma la gigantesca trasformazione alla superficie del globo effettuata da
una sola e identica specie animale…Questo potere l’uomo lo deve al proprio
cervello”
17
.
La profonda fiducia nelle capacità conoscitive intrinseche del cervello porta il
nostro autore a una totale squalifica dell’apporto dell’ambito religioso alla conoscenza.
16
J.P. CHANGEUX, L’uomo neuronale, op. cit., p.15.
17
Ibidem, p. 292.