stabilimento ed il diritto alla libera prestazione di servizi quali libertà portanti del diritto
europeo nella sua interezza.
Tale valutazione si renderà oltremodo necessaria dal momento che gran parte degli
interventi normativi attuati nei decenni successivi dal legislatore comunitario hanno
affondato le proprie radici proprio nei summenzionati principi.
Si avrà modo di vedere, ad esempio, come quelli che vengono considerati i passi
evolutivi centrali del diritto societario europeo, vale a dire le quindici direttive emanate fra
il 1968 ed il 2006, trovino la propria giustificazione proprio nell’art. 44.2 lett. g) del Tr.
CE.
Questo, infatti, inerisce direttamente al diritto di stabilimento, conferendo al Consiglio il
potere di emanare direttive, di concerto con le altre Istituzioni, in modo da poterlo
realizzare a tutti gli effetti, tutelando tanto gli interessi delle imprese, quanto quelle dei soci
e dei terzi.
Si analizzeranno, quindi, le suddette direttive nei loro contenuti essenziali, avendo cura di
prestare particolare attenzione tanto a quelle specificamente concepite per proteggere tutti i
soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nella vita dell’impresa, quanto quelle
emanate per incidere sulle fusioni nel loro aspetto strettamente pratico.
Sul primo versante risalteranno, ad esempio, le prime due direttive, la n°68/151/CEE e la
n°78/855/CEE, alle quali in seguito si è aggiunta la n°89/666/CEE , l’undicesima in
materia societaria.
Unico comune denominatore dei presenti interventi normativi è stato quello di individuare
obblighi comuni minimi per la costituzione di società di capitali in Europa, concentrandosi,
in particolare, sulle garanzie che ciascun ordinamento avrebbe dovuto predisporre a tutela
degli interessi dei soci e dei terzi, ad esempio attraverso ampli obblighi pubblicitari sia per
gli atti sociali, sia per la creazione di eventuali succursali in un determinato Stato membro
da parte di imprese soggette al diritto di uno Stato membro diverso.
Per quanto, invece, concerne i risvolti squisitamente pratici delle fusioni societarie,
hanno assunto particolare rilevanza due direttive: la n°78/855/CEE e, soprattutto, la
n°2005/56/CE.
Alla prima deve essere riconosciuto il merito di aver introdotto una prima
regolamentazione delle fusioni fra società per azioni di stampo comunitario; uno dei punti
centrali della norma è, infatti, una precisa suddivisione della procedura di fusione in tre fasi
distinte e tutte improntate alla massima tutela dell’azionista.
II
In merito alla direttiva del 2005, invece, si renderà necessaria una trattazione più diffusa ed
accurata di ogni suo elemento, dal momento che tramite questa, a seguito di un dibattito
addirittura trentennale, il legislatore comunitario ha introdotto la prima vera disciplina
comunitaria sulle fusioni transfrontaliere di società di capitali.
Attraverso brevi cenni storici relativi alla sua adozione, si potrà comprendere come la
nuova normativa europea sia stata in grado di fornire un rimedio alle molteplici difficoltà
che gli operatori economici erano ripetutamente costretti ad affrontare per potersi alleare
con soggetti stranieri, necessità a cui far fronte il prima possibile dato il continuo processo
di allargamento dell’Unione.
L’obbligo di doversi confrontare con l’impossibilità di intraprendere alleanze
transfrontaliere, previsione presente nella maggior parte dei diritti societari dei venticinque
Paesi dell’Unione, l’incertezza in merito al diritto applicabile alle rispettive prerogative dal
punto di vista procedurale ed, infine, le lacune normative in merito al ruolo ed alle
protezioni da accordare ai lavoratori nell’impresa finale erano tutti aspetti che
concorrevano a generare un clima di incertezza diffusa fra gli operatori economici,
compromettendo l’integrazione del mercato interno.
La direttiva n°2005/56/CE è intervenuta proprio su questi problemi fornendo non solo una
disciplina originale e specifica per la maggior parte di essi, ma anche attingendo a fonti
comunitarie di diritto derivato cronologicamente antecedenti.
Si avrà una dimostrazione di questo, ad esempio, dal punto di vista tributario, poiché la
norma in parola ha fatto diretto riferimento al contenuto delle direttive n°90/434/CEE e
n°2005/19/CE, agevolando ancora di più le fusioni transfrontaliere collocandole in un
regime di neutralità fiscale.
Inoltre, anche per quanto riguarda la tutela dei lavoratori la norma non ha fatto altro se non
rinviare a quanto già disposto dal regolamento (CE) n°2157/2001 e dalla sua direttiva di
completamento, la n°2001/86/CE, fonti che consentono di approdare ad un’altra tappa
significativa del diritto societario europeo: la nascita della Società europea e,
successivamente, della Società Cooperativa europea.
Giova infatti ricordare che è stata proprio la prima delle due nuove tipologie societarie ad
incidere direttamente sul panorama delle fusioni transfrontaliere: infatti, secondo quanto
disposto dall’art. 17 del Titolo II del regolamento (CE) n°2157/2001, una delle modalità
ammesse per costituire una Società europea è la fusione fra due imprese già esistenti,
anche se stabilite in Stati membri differenti.
III
Come verrà illustrato nei capitoli successivi, se la normativa del 2005 è stata assunta a tutti
gli effetti tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza comunitari come seconda base
legale per poter intraprendere una fusione fra imprese non stabilite nel medesimo Paese, lo
Statuto della società europea ne è l’antecedente storico primario.
In questo frangente si potrà, inoltre, apprezzare il contributo fornito dalla giurisprudenza
comunitaria, dalla quale si è potuta ricavare la terza, e finora ultima, base legale delle
fusioni transfrontaliere.
Il riferimento è alla sentenza relativa al caso SEVIC, vissuta come rivoluzionaria pur
avendo semplicemente attinto alle libertà fondamentali del Trattato di Roma.
Nello specifico, la pronuncia ha considerato come tutte le fusioni transfrontaliere fra
imprese e, quindi non soltanto quelle riguardanti società di capitali, ricadano nel campo di
diretta applicazione dell’art. 43 Tr. CE e siano quindi una vera e propria concretizzazione
del diritto di stabilimento.
Quanto espresso nel dispositivo deve essere tenuto in seria considerazione soprattutto nelle
more della trasposizione della direttiva n°2005/56/CE: dal momento che diversi Paesi non
hanno ancora proceduto al suo recepimento, oltre che sulle disposizione inerenti alla
Società europea, gli operatori economici possono contare su di una base legale a portata
generale sulla quale poggiare le loro alleanze oltre confine.
Dal connubio fra i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico europeo ed i
puntuali interventi di diritto derivato appena menzionati si è dunque letteralmente aperta la
strada al fenomeno delle concentrazioni fra imprese tramite fusioni.
Si renderà quindi necessario un approfondimento dei loro aspetti strettamente tecnici,
analizzando a cosa si riferisca esattamente il concetto di fusione e quali siano le sue
molteplici sfaccettature dal punto di vista realizzativo.
Ci si preoccuperà di presentare in maniera sintetica ma esaustiva le ragioni che, soprattutto
oggi, spingono anche le realtà industriali minori a cercare alleati al di fuori dei propri
confini.
Per assolvere a tale compito si avrà cura di attingere dalle variegate teorie dottrinali offerte
dalla letteratura economica e commerciale, senza dimenticarsi di verificare quali siano
state nel corso degli anni le conseguenze sul piano concreto, tentando di stilare un bilancio
comprensivo tanto degli aspetti positivi del fenomeno, quanto di quelli negativi.
IV
Inoltre, una delle tematiche sulle quali occorrerà soffermarsi brevemente riguarderà,
come precedentemente accennato, le peculiarità normative presenti nei singoli ordinamenti
giuridici nazionali.
Si procederà, quindi, ad un breve esame delle loro caratteristiche salienti, passando dalla
Mitbestimmung tedesca fino ad arrivare alle nuove disposizioni in materia di reddito
d’impresa contenute nell’ultima legge finanziaria italiana.
In particolare, necessiterà di un ulteriore approfondimento il concetto di Sitztheorie
presente nelle legislazioni di diversi Stati membri, tra i quali quello danese, belga,
lussemburghese, spagnolo e greco.
Tale concetto, infatti, è stato uno degli ostacoli principali al libero stabilimento delle
società in Europa, dal momento che, richiedendo come requisito imprescindibile per
l’esistenza stessa di un’impresa almeno la permanenza di una sua stabile organizzazione
nel Paese di costituzione, un’eventuale sua incorporazione in una società straniera non si
sarebbe potuta intraprendere se non passando attraverso le tappe obbligate dello
scioglimento e della conseguente liquidazione.
La puntualizzazione di questo aspetto si rivelerà quindi indispensabile per comprendere la
portata degli interventi uniformatori intrapresi dal legislatore e dai giudici europei nell’arco
di decenni.
Naturalmente, l’intensificarsi delle alleanze oltre confine, tanto dal punto di vista
qualitativo quanto da quello quantitativo, non ha generato soltanto conseguenze positive:
dal momento che il ruolo di protagonista in queste operazioni è ancora saldamente nelle
mani delle multinazionali e dei grandi gruppi industriali e finanziari, la continua
acquisizione da parte loro di entità economiche inferiori in termini di peso sul mercato ha
inevitabilmente comportato il rischio di generare distorsioni a livello di concorrenza.
Se è quindi assodato che uno dei maggiori vantaggi di cui oggi possono godere tutti i
consumatori è proprio dato dalla maggiore diffusione delle attività produttive sul mercato
europeo, si deve tuttavia prestare attenzione affinché tale fenomeno non dilaghi nella
nascita di monopoli ed oligopoli.
Inoltre, un altro aspetto particolarmente interessante in tema di concorrenza e direttamente
collegato alla vasta libertà di stabilimento di cui oggi possono beneficiare le imprese, è
dato dall’emersione di comportamenti protezionistici posti in essere tanto da alcuni
Governi nazionali, quanto direttamente dalle loro autorità antitrust, ostili alla prospettiva
V
che imprese nazionali, soprattutto se di grandi dimensioni, possano trasferirsi al di fuori del
territorio statale.
In questo frangente si renderà pertanto necessario focalizzare la propria attenzione tanto sui
poteri di controllo preventivo sulle concentrazioni fra imprese, tuttora saldamente attribuiti
ed esercitati dalla Commissione, quanto sugli sviluppi più recenti in materia di doveri e
limiti alle prerogative delle autorità garanti nazionali attingendo, soprattutto, dalle direttive
emanate a margine dell’ultimo Consiglio Economico e Finanziario europeo.
In sintesi, l’obiettivo che ci si propone di conseguire in questa sede, è quello di fornire un
quadro il più possibile esaustivo dell’evoluzione storica e del panorama attuale delle
fusioni transfrontaliere di società di capitali in Europa, in modo da dimostrare le ragioni
per cui oggi vengono vissute come uno dei fenomeni maggiormente interessanti tanto dal
punto di vista strettamente giuridico, quanto da quello politico, economico e sociale.
Filippo Maria Riva
VI