Una volta introdotta la distinzione giuridica tra detenzione di droga per uso personale
e detenzione per spaccio di droga, si pone il problema di sapere se sia necessario
legiferare sulla quantità massima di sostanze stupefacenti il cui possesso è ammesso
per uso personale, e quali siano le modalità da adottare.
Attualmente non esiste un consenso generale al riguardo: sono stati adottati diversi
approcci, a volte anche estremamente contraddittori tra loro, cosa che fa riflettere su
come il “problema droga” sia diventato più una questione politica che una questione
sociale.
1.2 La prima e la seconda fase
Se è superfluo ricordare la legislazione antecedente il 1975, che aveva carattere
fortemente repressivo e puniva, oltre allo spaccio di droga, anche il consumo e la
detenzione finalizzata al consumo, giova invece accennare alla Legge n. 685,
approvata nel 1975 e rimasta in vigore fino al 1990
5
.
Questa legge considera l'assuntore di stupefacenti, che non sia al tempo stesso
spacciatore e non detenga grossi quantitativi di droga, esclusivamente come un
ammalato, e, in quanto tale, un soggetto da curare e da riabilitare: è sufficiente che la
sua condotta non oltrepassi la soglia di detenzione della "modica quantità" - una
5
La Legge 685/1975 costituisce la prima disciplina organica della materia, ricca di aperture al settore
sociale e sanitario, base del quadro normativo vigente. Ma la prima legge in assoluto sulla repressione
del commercio di sostanze stupefacenti, è stata la n. 396 risalente al 1923 (solo 13 articoli), il cui
regolamento di esecuzione instaurò il principio, tuttora vigente, del rinvio ad un elenco per
l’identificazione delle sostanze vietate (contenente, tra l’altro, soltanto 14 voci). Si susseguirono poi
una serie di norme e interventi normativi: il Codice Penale vigente (legge n. 1398/1930), che dedicò
alla materia tre articoli poi abrogati dalla legge 685/1975; il Testo Unico delle leggi di pubblica
sicurezza (legge n. 773/1931); il Testo Unico delle leggi sanitarie (Regio Decreto n. 1265/1934) che
riunì le disposizioni di legge in materia sanitaria, manifestando una certa apertura verso considerazioni
di natura medico-sociale, pur mantenendo un carattere sanzionatorio-penalistico; e infine, la Legge
1041/1954, contenente una normativa di taglio esclusivamente repressivo.
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soglia che nei fatti non sempre è irrilevante, dal momento che, sulla base della
giurisprudenza della Corte di Cassazione, è "modica" anche la quantità che consente
un approvvigionamento fino a tre-quattro giorni per un tossicodipendente assuefatto -
per non essere censurabile nemmeno in via amministrativa
6
.
Due decreti del Ministro della sanità, adottati in attuazione della citata Legge n. 685
del 1975, risalenti al 1980 (7 agosto e 10 ottobre), ne avallano l'impostazione di
fondo, poiché consentono e regolano la distribuzione da parte delle strutture
pubbliche del metadone e, a particolari condizioni, della morfina; con questo
intervento appare chiara l'opzione culturale e ideologica finalizzata ad una terapia di
"mantenimento" delle tossicodipendenze, piuttosto che di contrasto, di cura e di
eliminazione. Lo Stato ha il compito di mobilitare tutti i mezzi possibili per
indirizzare i cittadini e per aiutare i singoli già coinvolti nella droga ad
autodeterminarsi in senso positivo
7
.
6
Vi era un orientamento prevalente, secondo cui il concetto di “modica quantità” aveva carattere
unitario rispetto agli artt. 72 e 80, e per entrambi si doveva tenere conto solo della natura e della
quantità della sostanza stupefacente, che per essere definita tale non doveva superare le dosi per l’uso
di qualche giorno e per una sola persona (Cass. Sez. I, 6 giugno 1984). Vi era altresì un orientamento
minoritario, secondo il quale, al contrario, la sussistenza della modica quantità andava
valutata,secondo l’art. 80 facendo riferimento, oltre che alle proprietà tossiche della sostanza, anche
alla personalità fisiopsichica del detentore; mentre, nella fattispecie di cui all’art. 72 il criterio di
valutazione aveva natura esclusivamente oggettiva e poteva essere ritenuto modico il quantitativo
necessario per non più di qualche giorno ad un soggetto tossicodipendente (Cass., Sez. I, 30 settembre
1985).
7
Alla vigilia del varo della Legge 162/1990, RONCO, professore di Diritto Penale nelle Università di
Cagliari e di Moden, pubblica uno studio, Il controllo penale degli stupefacenti. Verso la riforma della
Legge n. 685/1975, Jovene, Napoli 1990. L’opera contiene la trattazione analitica delle problematiche
riguardanti le varie ipotesi di reato introdotte dalla Legge 685/1975, delle circostanze aggravanti e
della non punibilità prevista per la detenzione di stupefacente in "modica quantità" per uso personale.
Vengono affrontate poi le tematiche attinenti alla valutazione d’insieme dell’applicazione della Legge
n. 685, con particolare riferimento alla sostanziale distorta percezione da parte del corpo sociale, e
soprattutto dei destinatari di quelle norme, del "messaggio" che il legislatore intendeva trasmettere; è
criticato in special modo il contributo fornito per questo travisamento d’intenti sia dai decreti
ministeriali autorizzativi della distribuzione del metadone intervenuti nel 1980 sia da una parte della
dottrina giuridica. Il trattato si conclude, dopo un’interessante comparazione con la regolamentazione
del settore negli ordinamenti di altre nazioni, con una disamina dei passaggi principali del disegno di
legge governativo approvato definitivamente nel giugno del 1990 (n. 162).
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Le norme cardine della vecchia legge sugli stupefacenti, che ha costituito il primo
serio tentativo di fornire un’organica e completa disciplina del settore, sono
essenzialmente tre: in primo luogo, l’art. 80 che prevede, non solo la causa di non
punibilità per l’uso terapeutico di sostanze stupefacenti purché la quantità delle stesse
non superi in modo apprezzabile le necessità della cura in relazione alle particolari
condizioni del soggetto (comma 1), ma anche la causa di non punibilità per l’uso
strettamente personale di modiche quantità di sostanze stupefacenti (comma 2)
8
.
L’art. 72 che punisce tutte le condotte, diverse da quelle scriminate dall’art. 80, aventi
per oggetto modiche quantità di sostanze stupefacenti, non destinate all’uso personale
(detenzione, acquisto, vendita, cessione, ecc..)
9
.
L’art. 71, infine, che punisce, invece, le condotte , non ricomprese negli artt. 72 e 80,
aventi per oggetto quantità non modiche di sostanze stupefacenti
10
.
Quindi in rassunto, principi cardine della legge del 1975 sono: a) la non punibilità
dell’uso personale di modiche quantità di sostanze stupefacenti; b) l’introduzione
della nozione di “quantità modica” quale parametro quantitativo essenziale per
discriminare tra le diverse condotte ai fini della non punibilità e del trattamento
sanzionatorio, con conseguente attribuzione all’autorità giudiziaria di una notevole
8
Art. 80: “Non è punibile chi illecitamente acquista o comunque detiene sostanze stupefacenti o
psicotrope di cui alle prime quattro tabelle dell'art. 12, allo scopo di farne uso personale terapeutico,
purchè la quantità delle sostanze non ecceda in modo apprezzabile le necessità della cura, in relazione
alle particolari condizioni del soggetto.”
“Del pari non è punibile chi illecitamente acquista o comunque detiene modiche quantità delle
sostanze innanzi indicate per farne uso personale non terapeutico, o chi abbia a qualsiasi titolo
detenuto le sostanze medesime di cui abbia fatto uso esclusivamente personale.”
9
Art. 72 t.u.: “Chiunque, fuori dalle ipotesi previste dall'art. 80, senza autorizzazione o comunque
illecitamente, detiene, trasporta, offre, acquista, pone in vendita, vende, distribuisce o cede, a qualsiasi
titolo, anche gratuito, modiche quantità di sostanze stupefacenti o psicotrope classificate nelle tabelle I
e III, previste dall'art. 12, per uso personale non terapeutico di terzi, è punito con la reclusione da due
a sei anni e con la multa da lire centomila a lire otto milioni.”
10
Art. 71 t.u.: “Chiunque, senza autorizzazione, produce, fabbrica, estrae, offre, pone in vendita,
distribuisce, acquista, cede o riceve a qualsiasi titolo, procura ad altri, trasporta, importa, esporta,
passa in transito o illecitamente detiene, fuori delle ipotesi previste dagli articoli 72 e 80, sostanze
stupefacenti o psicotrope, di cui alle tabelle I e III, previste dall'art. 12, è punito con la reclusione da
quattro a quindici anni e con la multa da lire tre milioni a lire cento milioni.”
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discrezionalità in ordine alla concreta determinazione della relativa nozione; c) la
punibilità delle condotte comunque destinate all’uso di terzi.
La disciplina del 1975 fallisce per un insieme di ragioni concomitanti, di cui due
principali: la prima è l'assenza di una chiara presa di posizione dello Stato nei
confronti dell'uso di droga, prima ancora che della detenzione e del consumo: la
mancata previsione di un esplicito divieto di drogarsi e l’esclusione di una qualsiasi
sanzione a carico del responsabile, ha contribuito a far considerare l’uso di sostanze
stupefacenti consentito, lecito e addirittura manifestazione di un diritto di libertà,
anziché un “disvalore” ed un comportamento socialmente e giuridicamente
riprovevole. La scelta del legislatore del 1975 di non punire la detenzione per uso
personale di modiche quantità di sostanze stupefacenti (art. 80 comma 2), si fonda
sulla convinzione che non può essere compressa la libertà di drogarsi, in quanto
anch’essa espressione della sfera di libertà garantita ad ogni cittadino, ed altresì sulla
convinzione che un sistema del genere possa evitare l’indiscriminato sviluppo del
traffico illecito delle sostanze stupefacenti, ritenuto tipico dei sistemi proibizionisti.
La seconda ragione è la dilatazione del concetto di “modica quantità” che ha
condotto, a causa della sua estrema genericità, come accennato sopra, a oscillanti
interpretazioni giurisprudenziali e a parecchie incertezze applicative
11
.
1.3 La terza fase
Dopo un tormentato iter parlamentare, nel 1990 viene approvata la Legge n. 162 (le
cui disposizioni sono poi coordinate con quelle già in vigore, ad opera del Testo
11
In ogni caso, tra le ragioni “minoritarie” del fallimento, si ritrovano anche la carenza e
l’insufficienza delle strutture pubbliche chiamate a garantire il recupero del tossicodipendente, nonchè
la scarsa entità del sostegno alle comunità di recupero.
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Unico approvato con Decreto n. 309 del Presidente della Repubblica il 9 ottobre
1990): si tratta di una legge che ribalta la logica precedente e si muove sui binari di
un giudizio di sfavore nei confronti non soltanto del traffico e dello spaccio, ma anche
dell'assunzione di stupefacenti, che viene sanzionata sul piano amministrativo
12
.
Anche la detenzione di droga conosce questo tipo di sanzione, se non supera i limiti
della "dose media giornaliera", fissati con un decreto ministeriale: oltre quei limiti
interviene, con gradualità, la sanzione penale. Il consumatore di droga non è più
ritenuto un semplice ammalato, ma un soggetto che, pur avendo bisogno di cure,
compie una scelta che la società non apprezza; lo Stato, sfavorevole a tale scelta,
tuttavia tende la mano a colui che sbaglia, perché comprende che dietro a quell'errore
vi è una serie di tragedie personali, di incomprensioni, di problemi apparentemente
insuperabili, e permette al tossicodipendente di andare esente dalla sanzione
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Alla luce della riforma introdotta dalla Legge 162/1990, RONCO opera un’analisi dettagliata su
quelli che, a suo parere, sono stati i tre diversi "modelli" relativi al controllo sociale degli stupefacenti
adottati, in tempi diversi, dal legislatore italiano. Secondo il primo, che sfocia nella richiesta
conclusiva della loro liberalizzazione, l’uso per scopo voluttuario delle droghe esprimerebbe una
condotta socialmente e giuridicamente indifferente, che dovrebbe essere garantita dalla legge nella sua
possibilità di realizzazione. In base al secondo "modello", il consumo delle droghe sarebbe
qualificabile soltanto in termini di "malattia", almeno nel senso di disagio soggettivo non risolto, e gli
assuntori potrebbero, tutt’al più, essere sottoposti a cura riabilitativa, ma mai a sanzione. Secondo il
terzo "modello", il comportamento dell’assuntore di droghe, in sé e per sé considerato, non sarebbe
assimilabile a quello di un malato, sì che potrebbero, con equilibrio e moderazione, essere previste
sanzioni volte a dissuadere il consumo voluttuario. La nuova normativa, avendo dovuto riconoscere il
fallimento del secondo "modello" — espresso dalla Legge 685/1975 — e non avendo voluto accettare
la prospettiva della liberalizzazione, si è ispirata, almeno in qualche misura, al terzo modello sopra
descritto, alla stregua del quale è possibile e giusto rivolgere un appello al senso di responsabilità di
ciascuno, inteso a evitare la diffusione del consumo di stupefacenti.
Questa nuova presa di posizione nella lotta contro gli stupefacenti, prende avvio soprattutto a seguito
della politica dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, rivolta a intensificare e a rendere più dura la
reazione degli Stati all’uso delle droghe. A questa tendenza delle organizzazioni internazionali ha
dovuto fare eco anche il Governo italiano, modificando l’orientamento lassista precedentemente
attuato. Inoltre, il fallimento della politica "medicalista" rendeva inevitabile la scelta fra la
liberalizzazione delle droghe e un tentativo di contenimento delle stesse anche sul fronte del consumo.
Secondo l’autore, il maggior pregio della nuova legge sembra proprio quello di aver contrastato
l’approccio "medicalizzante" della disciplina del 1975, che aveva generato l’equazione fra
consumatore di stupefacenti, malato e vittima sociale. Le nuove disposizioni prevedono una serie
differenziata di sanzioni, assai moderate e scarsamente afflittive, che vogliono evidenziare il principio
di responsabilità, riproponendo all’attenzione di ciascuno che l’uso degli stupefacenti non è
consentito.
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amministrativa o penale, a condizione di lasciare la droga e di seguire un percorso di
recupero.
Dopo esattamente quindici anni di applicazione di una legge che si ispirava alla non
punibilità del puro consumatore di stupefacenti, si giunge ad una legge in cui il
motivo dominante e rivoluzionario consiste nell’illiceità dell’uso personale di
stupefacenti come sancito dall’art. 72 t.u.
13
.
Tale articolo vieta qualunque impiego di sostanze stupefacenti o psicotrope se non per
uso terapeutico ben definito e regolamentato da prescrizione medica.
In considerazione del concetto sempre valido di privilegiare all’azione repressiva
quella riabilitativa e di reinserimento sociale, la sanzione per la semplice detenzione,
purché destinata ad un uso inequivocabilmente personale, è di carattere
amministrativo per le prime due trasgressioni, ed assume carattere di reato solo alla
terza.
Dal lato del “sociale” l’innovazione fondamentale è costituita dall’altra direttrice
della nuova legislazione, che consiste nell’esercitare una certa pressione psicologica
sul tossicodipendente posto davanti alla scelta di accettare un programma
terapeutico–riabilitativo in alternativa alla sanzione o pena e ciò non solo quando è
ancora in corso il procedimento davanti al prefetto, ma anche quando , in base all’art.
73 comma 5, si tratta di attività di spaccio vera e propria, purché considerata di “lieve
entità” e purché, ovviamente commessa da soggetto tossicodipendente.
Per quanto riguarda il sistema sanzionatorio, il legislatore del 1990 prende atto del
fallimento del regime di non punibilità, sancendo esplicitamente il diverso principio
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Art. 72 t.u.: “ È vietato l'uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I, II,
III e IV, previste dall'articolo 14. È altresì vietato qualunque impiego di sostanze stupefacenti o
psicotrope non autorizzato secondo le norme del presente testo unico.”
“È consentito l'uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope [di
cui al comma 1], debitamente prescritti secondo le necessità di cura in relazione alle particolari
condizioni patologiche del soggetto”.
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del divieto dell’uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope e di qualsiasi
impiego non autorizzato delle stesse (art. 72 comma 1), modulando la risposta
sanzionatoria in relazione a due profili della condotta illecita combinati tra loro: la
finalità della condotta stessa ed il quantitativo di sostanza stupefacente.
Rispetto al secondo profilo, proprio per evitare gli eccessi di discrezionalità da parte
dei giudici, e comunque, le incertezze applicative che ne erano derivate, il legislatore
del 1990 sostituisce il concetto di “modica quantità” con quello di “dose media
giornaliera”, da determinare a norma dell’ art. 78 comma 1.
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Mentre infatti, la vecchia legge non forniva all’interprete precisi parametri di
riferimento per la determinazione della “modica quantità”, il richiamato art. 78, nel
testo originario, riduce al minimo ogni rischio di discrezionalità rimettendo
all’autorità amministrativa (Ministro della sanità, previo parere dell’Istituto Superiore
della Sanità) non solo la determinazione delle procedure diagnostiche e medico-
legali per accertare l’uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e le metodiche
per quantificare l’assunzione abituale nelle ventiquattro ore, ma anche la
determinazione dei limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie
giornaliere
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: al compito si assolve con l’emanazione del D.M. 12 luglio 1990, n.
186, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
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Con decreto del Ministro della sanità, previo parere dell'Istituto superiore di sanità, sono
determinati: a) le procedure diagnostiche e medico-legali per accertare l'uso abituale di sostanze
stupefacenti o psicotrope; b) le metodiche per quantificare l'assunzione abituale nelle ventiquattro ore;
c) i limiti quantitativi massimali di principio attivo per le dosi medie giornaliere.
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Il termine principio attivo è utilizzato in ambito farmacologico per indicare una sostanza che
possiede una certa attività biologica, ovvero per indicare tutte quelle sostanze dotate di effetto
terapeutico (farmaci), benefico (vitamine, probiotici) o tossico (veleni). I principi attivi possono essere
sintetici come nel caso di numerosi farmaci come il paracetamolo o i sulfamidici, semisintetici, come
l'aspirina (acido acetilsalicilico) o naturali come il caso delle sostanze attive contenute nelle piante
usate in medicina tradizionale o in fitoterapia. Tra i principi attivi di origine vegetale ricordiamo gli
alcaloidi di cui esempi sono la morfina, e la nicotina; i terpeni come il carotene; i glicosidi, come la
digossina e altri ancora. I principi attivi delle piante possono essere estratte dal fitocomplesso
attraverso tecniche estrattive o assunti con la droga. I farmaci costituiscono i principi attivi dei
medicamenti che oltre che da essi sono costituiti anche dagli eccipienti.
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