socialista) che principalmente mirò all’elaborazione di una Carta
costituzionale che fosse soprattutto antifascista è, difatti, percepibile,
nell’ambito dell’intera Costituzione del 1948 e la sua influenza sembra
avvertirsi in special modo nel titolo III sui “ rapporti economici ”.
L’ambiguità della costituzione economica del 1948 appare, pertanto,
innegabile: l’art. 41 rappresenta proprio il frutto di quella tendenza
compromissoria e nei suoi tre commi è espressione, insieme e nello stesso
tempo, dei principi fondamentali delle tradizioni liberale, solidaristica e
socialistica, contemplando in maniera difficilmente interpretabile e forse
anche contraddittoria, da un lato la tutela dell’iniziativa privata e dall’altro
il disegno unitario e programmatico di tutte le attività economiche.
È evidente la forte incompatibilità che si viene allora a creare nella
costituzione economica italiana di tipo misto fra la dichiarata libertà
dell’iniziativa economica privata ( che si potrebbe considerare sottostante,
pertanto, alle sole regole della concorrenza in un modello economico quale
è quello del libero mercato ) e la continuata insistenza sulla necessità che
quella libertà sia comunque tenuta a muoversi sul piano di una attenta e
rigorosa programmazione economica da parte dello Stato che assume in tal
modo caratteri fortemente intrusivi, certo lontani dai valori e dai principi
propri di un sistema economico prettamente liberista.
Da queste osservazioni si evince, dunque, che l’economia di mercato e il
principio di concorrenza rimasero sostanzialmente estranei alla cultura
dominante nell’Assemblea Costituente e che nell’elaborazione della
Costituzione repubblicana del 1948 non si avvertì la necessità ( o
quantomeno non si ritenne opportuno ) di “ rompere ” in maniera netta con
l’interventismo del passato: piuttosto è possibile scorgere elementi di
continuità con tale orientamento ed osservare che alle ambiguità del
corporativismo fascista si sostituì il compromesso delle ideologie
dominanti alla nascita della Repubblica ( in special modo la ideologia
cattolica e quella socialistica ) le quali furono sospinte dal sentimento
V
comune e mai messo in discussione della predisposizione di una Carta
costituzionale assolutamente democratica e antifascista ma che,
sostanzialmente, lasciarono inalterato il disegno complessivo di
un’economia diretta e regolata dallo Stato.
A ben vedere dalla Costituzione del 1948 emerge, dunque, uno Stato
programmatore e interventista che si rafforza come ordinamento giuridico
ai fini della direzione e della disciplina dell’economia nella palese
convinzione che nel mercato e nell’iniziativa privata così come concepite
secondo i principi del liberalismo economico
II
, cioè pienamente libere da
vincoli e impedimenti, si celasse, in realtà, un rischio per l’utilità sociale,
per la sicurezza, per la libertà e per la dignità umana ( ai sensi dell’art. 41
della Cost., difatti, l’iniziativa economica privata “ non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana ” ).
La Carta repubblicana del ’48, in conclusione, è una costituzione
profondamente ispirata ai principi di una democrazia popolare ( così l’art.
1 della Cost. “ L’Italia è una Repubblica democratica…La sovranità
appartiene al popolo… ” ) e rispecchia quella forte e comune volontà dei
Costituenti di liberare l’Italia dall’oppressione della dittatura fascista e
delle atrocità della guerra.
L’incontro fra ideologie così diverse ha nondimeno lasciato una ambiguità
compromissoria che si mostra chiaramente nel Titolo III della Parte prima
(“ Rapporti economici ”) ove nell’intraprendere il percorso della “terza
via” dell’economia mista è concepito un modello economico denso di quei
principi del recente passato che avevano segnato la crisi dello Stato liberale
e l’ascesa dello Stato interventista prima e del corporativismo del regime
fascista poi: un modello economico dove l’economia è governata dallo
Stato piuttosto che dalle regole del mercato, dimostrandosi così vane le
II
Il leader naturale degli economisti liberali fu Luigi Einaudi ed anche governatore della Banca
d’Italia dal gennaio 1945. Tuttavia alle tante autorevoli voci che si richiamarono al liberalismo non si
accompagnò una azione programmatica ed organizzata da parte del Partito liberale.
VI
speranze della creazione di un sistema che si dimostri adeguato ed in grado
di fornire tutte le risposte ai tanti accesi dibattiti fra i sostenitori di
un’economia pianificata e di un’economia liberoscambista.
Alla luce di queste valutazioni interpretative di carattere storico meglio può
inquadrarsi e capirsi l’attività di indagine della Commissione economica
presieduta dal prof. Giovanni Demaria ( 1899 – 1998 )
III
ed insediata il 29
ottobre 1945 con un breve discorso dell’on. Nenni il quale, fra l’altro, per
l’estrema difficoltà delle tematiche economiche e sociali destinate ad
essere affrontate in quella sede, non esitò a proclamare che la
Commissione economica sarebbe stata la più importante fra le
“Commissioni di studio”
IV
che avrebbero dovuto “predisporre gli elementi
per lo studio della nuova Costituzione che dovrà determinare l’assetto
politico dello Stato e le linee direttive della sua azione economica e
sociale”
V
La Commissione Demaria intraprese, infatti, un oneroso e proficuo lavoro
indirizzato all’indagine dei principali settori dell’economia fornendo,
attraverso relazioni, questionari, interrogatori e monografie, moltissime
indicazioni che si rivelarono di fondamentale utilità durante il delicato
periodo della ricostruzione postbellica: fu proprio lo studio approfondito
delle complessità e contraddittorietà di quel mondo economico lasciato in
eredità dal regime fascista e dalle sofferenze della guerra che consentì
l’emersione dell’aspro clima di conflittualità ideologiche fra i contrapposti
indirizzi economici che avrebbero dovuto segnare la ripresa e lo sviluppo
dell’economia del Paese ormai ridotta allo stremo.
L’attività della Commissione economica si caratterizzò, soprattutto, per lo
svolgimento di un meticoloso lavoro di catalogazione e di raccolta di una
III
Nato a Torino, economista e statistico, docente universitario di Economia politica, Accademico dei
Lincei, direttore del giornale degli economisti, Rettore dell’Università Bocconi di Milano ( 1945 –
1952 ).
IV
Le Commissioni furono tre: la Commissione economica, la Commissione per la riorganizzazione
dello Stato, la Commissione per i problemi di lavoro ( della quale istituzione si disponeva nell’articolo
5 del D.L. 1945 n. 435 ).
V
Art. 2 del D.L. 1945 n. 435.
VII
gran mole di materiale da fornire ai Costituenti per la predisposizione della
Costituzione: dalle osservazioni svolte fino ad ora è possibile dedurre che
attraverso i risultati delle indagini condotte nell’ambito della Commissione
non fu possibile tracciare in maniera netta e definitiva la linea di politica
economica da seguire in quanto nel Rapporto della Commissione
economica presentato all’Assemblea Costituente l’ingente materiale
informativo sui controversi aspetti interpretativi delle diverse
problematiche dell’economia venne analizzato e classificato in maniera
estremamente precisa ma non completato da un volume di sintesi
conclusivo capace di riepilogarne il contenuto in maniera univoca e
ordinata.
Questo perché scopo principale della Commissione Demaria fu quello di
predisporre una indagine di tutti quanti i fattori che caratterizzavano l’assai
complesso mondo economico del dopoguerra nella speranza che attraverso
il loro esame potessero ricavarsi i principi economici più opportuni, al più
fornendo consigli e indicazioni sugli indirizzi fondamentali da seguire nella
nuova costituzione economica.
Non può, difatti, valutarsi opportunamente l’attività della Commissione
Demaria prescindendo dal delicato clima politico – economico nel quale
essa si trovò ad operare: gli spunti interpretativi e le dettagliate analisi
economiche contenute nel “ Rapporto presentato all’Assemblea
Costituente ” maturano proprio in quel determinato contesto storico e
come è ovvio che sia, seppur dotate di grande modernità e tecnicità, non
possono considerarsi estranee a tutta quella serie di eventi che si
susseguirono a partire dalla dittatura del fascismo e fino al suo
rovesciamento e alle conseguenze della guerra, eventi tutti destinati ad
influenzare profondamente il processo di formazione della Costituzione del
’48 del nostro Paese.
L’obbiettivo che ci proponiamo di perseguire nelle pagine che seguono si
presenta, allora, non facile: sarà nostro intento cercare di raccontare le
VIII
tensioni di quegli anni ripercorrendo l’operato della Commissione
economica che apportò un importante contributo alla causa della Carta
del’48 nel periodo della ricostruzione così da cogliere in concreto
l’articolarsi delle scelte costituenti in materia economica.
Attraverso un riesame dei lavori condotti dalla Commissione economica
guidata dal prof. Demaria emerge, infatti, la difficoltà dell’identificazione
di un’unica linea guida sulla politica economica: le relazioni, i questionari,
gli interrogatori e le monografie raccolte nel Rapporto mostrano la
complessità della situazione sociale, economica e politica dell’Italia del
dopoguerra e come quel sistema misto della costituzione economica del
1948 rispecchi una rappresentazione compromissoria del mondo
economico quasi obbligata di fronte a un’incapacità di intraprendere un
percorso tutto nuovo svincolato da suggestioni e influenze ideologiche del
passato ma ancora molto vive.
Emblematiche, a questo riguardo, sono le numerose indicazioni di
principio verso un’economia liberoscambista promosse dal presidente
Demaria e dalla sua Commissione che, spesso, però si adeguano alla prassi
e alle necessità economiche di quegli anni: basti pensare al forte dissenso
espresso nei confronti della politica economica fascista dell’autarchia e del
corporativismo, dissenso che nel Rapporto sul credito elaborato dalla
Sottocommissione del credito e delle assicurazioni conduce prima ad una
interpretazione della cosiddetta “ riforma bancaria ” del 1936
VI
nel senso
di una legge essenzialmente fascista e in netta frattura con le presunte
“liberali” normative bancarie del 1926
VII
ed in seguito, comunque, alla
formulazione di un giudizio complessivamente favorevole al mantenimento
del sistema bancario previsto dalla riforma del 1936, non dubitando,
quindi, della necessità dell’intervento pubblico nel settore del credito.
VI
R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, Disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della
funzione creditizia.
VII
R.D.L. 7 – 9 – 1926, n. 1151, intitolato alla “ Tutela del risparmio ” e R.D.L. 6 – 11 – 1926, n.
1830, dettante il regolamento applicativo.
IX
Il mito ottocentesco dello Stato liberale era decaduto ormai da tempo a
favore del consolidamento della convinzione dell’opportunità di uno Stato
sempre più programmatore e interventista: la Carta repubblicana del 1948
fu pertanto concepita senza preoccuparsi dell’importanza dell’inserimento
della disciplina dei principi del mercato, del libero scambio e della
concorrenza ma è da sottolinearsi che la sua parte economica caratterizzata
dalla compromissoria scelta di un sistema misto seppur ad oggi manifesti
tutti i suoi limiti rappresentò, probabilmente, la soluzione coerente agli
ideali sociali della Costituente.
Matteo Rangoni
Firenze, marzo 2007.
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