creatore dei rimedi pretori, attraverso i quali vari aspetti del diritto
romano arcaico ormai insostenibili per una civiltà che arcaica non è
più vengono superati. Provvede a conferire in questo caso al terzo
un’ actio utilis per poter invocare diritti derivanti da una stipulatio di
cui non è parte, ma che prevede il coinvolgimento della sua sfera
giuridica.
Attraverso questo primo riconoscimento di carattere procedurale, e
l’ulteriore creazione di un sistema di stipulationes poenae collaterali,
passa la “creazione” di quello che diverrà il moderno contratto in
favore del terzo. Se ne crea già l’idea, se ne oggettiva la necessità.
La tradizione del principio dell’ alteri nemo stipulari potest attraverso
i secoli è frutto del riconoscimento , e del conseguente utilizzo, del
Corpus Iuris Civilis come “libro della legge”. Esso diventa veicolo
della romanità nel mondo medievale, e di lì (con le fisiologiche
evoluzioni) fino alle codificazioni dei secoli XIX e XX. Ciò è
possibile a maggior ragione perché il Corpus era un testo sì romano,
ma frutto di un’opera compilativa il cui gerente era un imperatore già
cristiano, Giustiniano; i dottori di legge medievali, rifugiandosi come
intellettuali di un epoca di crisi nei testi classici, ne tramandarono i
dettami, ma reinterpretandone le regole alla luce delle necessità della
117
società e delle nuove dinamiche di formazione che si profilavano a
quei tempi: su tutti vigeva il potere della Chiesa, che informava di sé
la vita dei singoli, che aveva provveduto a custodire gelosamente il
bagaglio culturale del mondo antico e che aveva retto, e confortato, le
popolazioni (e gli intellettuali) dinanzi allo sgretolamento delle
vecchie istituzioni. Da questo fattore, e dall’espansione della
cristianità nell’Europa dell’epoca, derivò la creazione del c.d. ius
commune . Le vicende dello ius commune vengono analizzate nello
scritto avendo particolare riguardo al ruolo che esso ebbe nello stadio
embrionale della common law, ed a riguardo vengono riportati i dati
storici relativi all’Inghilterra dei secoli X – XII.
Parallelamente, viene sondato il percorso che il principio della
relatività degli effetti negoziali svolge nei contesti dell’Europa
continentale: l’evoluzione della teoria della volontà e del consenso del
diritto naturale, che considera non “secondo ragione” il mancato
riconoscimento degli effetti negoziali ai terzi, l’applicazione di queste
teorie da parte della giurisprudenza olandese del XVII secolo, fino
all’osservanza da taluni definita anacronistica del principio di
relatività da parte delle codificazioni francese ed italiana del XIX
secolo.
118
Un rilievo a favore di chi usa il termine “anacronistico” viene
dall’operato delle corti francesi ed italiane, che hanno creato
giurisprudenzialmente una serie di eccezioni al principio in parola.
Attraverso uno spunto di R.Zimmerman sulla comunicabilità dei
sistemi di common law e civil law, spiegata dall’autore con riferimenti
ai vari formanti dei due sistemi giuridici, che tenderebbero a
identificare un nucleo comune radicale, o almeno una serie di
similitudini nelle radici e nelle soluzioni concrete attuate dai vari
ordinamenti (il che fa parlare Zimmerman, oltre che di comunicabilità,
di una “third legal family” in cui rientrerebbero i sistemi a formazione
mista), si passa a individuare nella regola di common law della privity
of contract una variante della regola di derivazione romanistica della
relatività degli effetti negoziali. Di qui la dissertazione verte su privity
e consideration, la quale è sostanzialmente l’interesse scambiato tra le
parti nella stipulazione di un contratto: una prestazione viene fatta in
“consideration” di qualcosa, il che rappresenta sia il dato fondante
della controprestazione sia la legittimazione ad agire relativamente ai
diritti derivanti dal contratto. Tenendo conto di questo secondo aspetto
della consideration l’analisi passa al terreno confinante della privity of
contract, vista come “effetto collaterale” della dottrina della
119
consideration. La privity of contract sviluppa due effetti:
l’impossibilità per un terzo di impugnare contratti che pure lo vedano
come beneficiario, e , di contro, l’impossibilità che da contratti
stipulati tra altri derivino obblighi in capo ad esso. Se si provvede,
come la stessa Law Commission inglese ha suggerito, ad un
“rilassamento” del requisito della consideration, è possibile ridurre
l’impatto della privity of contract sull’ordinamento. E’ infatti questo
un principio che già nel corso dei secoli è stato definito come illogico
da una corrente, seppur minoritaria, della giurisprudenza del Regno
Unito. La Law Commission non ne parla in questi termini ma lavora
ad una riscrittura della c.d. third party rule (o privity of contract)
facendo anche tesoro delle eccezioni maturate negli anni e delle
tecniche alternative all’ inesistente contratto in favore del terzo
(collateral contracts, trust, himalaya clauses).
Frutto di questo lavoro è l’emanazione del Contracts (Rights of Third
Parties) Act del 1999, uno statute che introduce la figura del contratto
in favore del terzo. Il lavoro ne analizza i lineamenti principali e gli
effettivi cambiamenti apportati al sistema giuridico, riportando
impressioni di dottrina ed addetti ai lavori, così come le motivazioni di
ordine economico (le esigenze del mercato e la circolazione dei diritto
120
e delle garanzie) e sistematico (l’uniformazione del diritto inglese con
quello di altri paesi di common law come gli USA e quello europeo
continentale).
Vari fattori già incontrati ed ulteriori nuovi partecipano
dell’argomento indagato nel quarto capitolo dello scritto: la
circolazione dei modelli giuridici, l’avvicinamento delle esigenze di
società nazionali sempre più integrate in uno spazio – quello europeo
– effettivamente limitato e reso ristretto dal mercato portano
l’ indagine a toccare i temi del diritto contrattuale europeo. Per esso si
intende l’insieme dei contributi a sfondo giuridico-contrattuale
provenienti dai soggetti che partecipano al dialogo politico-
economico-istituzionale, tra i quali spiccano il “legislatore” europeo,
con limiti alla potestà regolamentare derivanti dallo stesso Trattato
UE, ed i gruppi di studio nati nelle accademie e nelle università, e che
solo in un secondo momento sono stati riconosciuti dalle istituzioni
come validi attori di un affascinante palcoscenico de iure condendo.
Affascinanti (ma probabilmente più immaginifiche che altro)
similitudini possono ritrovarsi tra la situazione attuale del diritto
contrattuale europeo e quella dello ius commune dei secoli XII e
seguenti. Alla storia giuridica dell’Europa difatti parte della dottrina
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(precisamente, e su tutti, Zimmermann) rimanda per cogliere gli
spunti uniformanti del diritto a venire; l’idea di Europa non è nuova, e
se ne possono ( e devono, perchè l’uniformità ci sia) incontrare
declinazioni varie: il diritto non si sottrae, anzi, come insieme delle
regole di convivenza ha un ruolo fondamentale in questo scenario.
A tal proposito quindi lo scritto disamina in primo luogo le produzioni
normative delle istituzioni europee sul diritto contrattuale: direttive e
regolamenti, di cui si critica la frammentarietà e la disorganicità ,
nonché lo scarso pregio giuridico e la legittimazione incerta per
Parlamento e Commissione ad emanare norme a riguardo.
La prospettiva muta all’ingresso nel nuovo secolo, con la proposizione
di un nuovo strumento, il CFR (common frame of reference – nucleo
comune di riferimento), che dovrà servire al mondo giuridico come
punto di partenza per un (auspicabile) progetto normativo uniforme a
sfondo contrattuale. Dovrà il CFR consistere in un nucleo di regole
base, di cui si sonderanno col tempo (è un progetto in corso, e
circondato da dubbi ed incertezze da parte della stessa dottrina che
partecipa alla sua redazione, come Staudenmayer, commentatore e
membro del CFR-net) le utilità e le applicazioni possibili. E’ in
sostanza uno strumento poliforme, in cui è chiara la genesi a cavallo
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tra diritto e politica: prima di essere uno strumento giuridico è uno
strumento politico. La sua introduzione è comunque sintomo di una
presa di coscienza da parte del mondo delle istituzioni della necessità
di una regolamentazione del diritto contrattuale che passi da
Bruxelles, anche perché venga riconsiderato il momento sociale del
diritto contrattuale uniforme, passato in sordina negli anni della CE e
bisognoso di riconoscimento nei tempi della UE. Mutano le esigenze
del soggetto politico UE, ed il diritto ne deve essere espressione.
In secondo luogo, dopo quelle che nella dissertazione sono chiamate
leges, si passa a trattare dei contributi provenienti dai gruppi di studio,
definiti iura. Su tutti si analizzano i percorsi della Commissione per il
Diritto Contrattuale Europeo coordinata da Ole Lando e quello
dell’ Accademia dei Giusprivatisti Europei di Pavia diretta da
Giuseppe Gandolfi, e nello specifico la redazione rispettivamente dei
Principi di Diritto Contrattuale Europeo e dell’ avant-project per un
Codice Europeo dei Contratti.
Di questi progetti viene sottolineato l’utilizzo del contratto in favore
del terzo, riconosciuto quindi come strumento valido anche a livello
europeo per il riconoscimento dei diritti negoziali ai terzi: la
circolazione delle esigenze e dei modelli agisce anche al livello della
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legislazione uniforme, a dimostrare la validità di un prototipo
contrattuale creatosi per evoluzioni logico-giuridiche graduali e
storicamente determinate.
Nella redazione di questi progetti, perché si possa agevolmente
giungere alla determinazione di una disciplina uniforme che
accomuni ordinamenti tra loro sensibilmente diversi, è necessario
adottare istituti non solo validi nei risultati, ma accettabili nelle
fondamenta da tutti gli ordinamenti: nel caso del contratto in favore
del terzo questo percorso passa per la “rimozione “ della causa dal
novero dei requisiti essenziali del contratto. Idem dicasi per la
consideration ,che abbiamo visto svolgere pressappoco lo stesso ruolo
giustificatore della realizzazione di un’operazione giuridica di tipo
contrattuale (definendo in questo modo il controverso e mutevole
concetto di causa). Sono questi concetti tanto diversi quanto
accostabili, e nello scritto l’accostamento viene basato su ragioni
storiche e strutturali del diritto. Al fine quindi di realizzare uno
strumento contrattuale proponibile a più realtà giuridiche l’esclusione
della causa/consideration è considerata necessaria. Ma non totale,
secondo G.B.Ferri. Egli preferisce difatti parlare di “nascondimento”
della causa, ritenendone il senso e la funzione insiti e redivivi in molte
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disposizioni dei due progetti trattati: quelle sul contenuto e l’oggetto
del contratto, o sul mutamento delle circostanze. Nel riguardo alla
considerazione della situazione fattuale presente al momento della
conclusione del contratto ed ai mutamenti di questa, cosi come
nell’attenzione per l’intenzione dei contraenti, Ferri legge la presenza
ineludibile del requisito funzionalizzatore l’autonomia privata, che, a
suo modo di vedere, è la causa.
Definito il ruolo che il contratto in favore del terzo assume nei progetti
di respiro europeo, si prosegue nell’analisi degli articoli ad esso
dedicati nei progetti di Lando e Gandolfi, specificando nel secondo
caso il tributo ideologico versato al progetto di codice delle
obbligazioni di Harvey Mcgregor ed al codice civile italiano, ritenuti
modelli nella struttura e nelle idee; differenza questa con il progetto
dei PECL, autonomo nella genesi e nell’interpretazione.
Il testo si chiude con una ricognizione generale dei concetti espressi, a
termine della quale è doveroso ricordare che se un diritto in via di
formazione deve imporsi su un territorio ed una società al fine (ed in
conseguenza) dell’unificazione di queste, non può non passare che per
due canali: uno, quello politico-istituzionale, giudicato fortunatamente
negli ultimi anni attento a non perdere le occasioni che vengono anche
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dal fermento accademico; l’altro, quello giurisprudenziale: è
auspicabile a tal riguardo una riconsiderazione della Corte di Giustizia
delle Comunità Europee come organo giurisdizionale del cittadino e
per il cittadino, dinanzi alla quale sia pienamente riconosciuta
l’impugnabilità c.d. orizzontale degli atti normativi europei (ad es. le
direttive). Questo perché il nuovo diritto della nuova Europa si formi
in una dimensione che sia anche individualmente riscontrabile, perché
l’Europa sia sentito dai cittadini come un organismo politico e
giudiziario di riferimento.
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