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ampio ventaglio di occupazioni, il lavoratore deve far fronte ad una crescente
incertezza, ad esigenze sempre pressanti di maggiore produttività, flessibilità ed
impiegabilità.
La ristrutturazione, la produzione snella, il sub-appalto e
l’approvvigionamento esterno riducono il numero di posti di lavoro ed
aumentano le esigenze nei confronti dei lavoratori, in termini tanto di qualità che
di quantità di produzione. I lavoratori devono produrre di più, in meno tempo ed
in qualsiasi momento. Date le esigenze concorrenziali, le aziende oggi sono
diventate vere e proprie fabbriche di stress. Non sono più le macchine a guastarsi,
ma i lavoratori.
Lo stress non riguarda soltanto i lavoratori manuali. Da anni, il burnout è
considerato un rischio occupazionale, frequente anzitutto nelle professioni ad alto
contenuto relazionale come i servizi sociali, l’istruzione e la sanità.
Oggi colpisce tutte le professioni e tutte le categorie di lavoratori, e tra queste,
i lavoratori non manuali sono particolarmente esposti alle attuali tendenze del
mondo del lavoro, assolutamente deleterie per la salute.
L’introduzione dell’informatica non è probabilmente estranea a questo
sviluppo. Le nuove tecnologie e la scienza informatica impongono il loro ritmo
sulla vita quotidiana.
Le nuove tecnologie hanno reso le delimitazioni tra lavoro e vita privata meno
chiare. I programmi di lavoro non sono più quelli di un tempo. In molte aziende,
per alcune categorie di addetti, il controllo sul proprio tempo è sempre più labile.
Quello che conta è portare avanti i progetti ed ottenere risultati.
Che chi lavora debba fare straordinari per conseguire tali risultati, non è una
preoccupazione dei dirigenti delle aziende.
Lo stress e il conseguente burnout hanno un costo elevato, non solo umano
ma anche finanziario. Da un certo numero di studi risulta che i costi dello stress
per la società sono in costante aumento. Questo fattore costo è di per sé una
ragione valida e sufficiente perché i governi ed i datori di lavoro agiscano e
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prendano iniziative concrete per migliorare la situazione. Lo stress ha effetti
deleteri non solo sulla salute dei lavoratori ma anche sui risultati delle aziende.
Allenta l’impegno dei lavoratori sul lavoro, e questo è un elemento che i datori di
lavoro dovrebbero essere in grado di capire.
Nella nostra società avanzata, chi organizza il personale e il management in
generale deve capire che la produttività di una persona non va misurata solo nel
breve periodo o per un progetto fine a se stesso. Bisogna avere una visione più
raffinata e lungimirante in grado di poter creare una sinergia positiva tra
lavoratore ed azienda. E’ stato ampiamente dimostrato che spremere un individuo
al disopra della soglia limite, determina solo un lieve aumento di produttività
pagato però da un conseguente pesante costo umano che, oltre a ricadere
direttamente sull’organizzazione in termini di assenza per malattia del lavoratore,
si ripercuote anche sull’intera società per via dell’assistenza sanitaria che questa
persona necessiterà. Bisogna quindi creare una situazione in cui il lavoratore si
senta gratificato e possa lavorare senza sovraccarico.
Lo scopo di questa ricerca è di verificare empiricamente se esiste
correlazione tra la personalità di un individuo e il rischio di essere vittima della
sindrome del burnout. Il cuore centrale della tesi sarà quindi la parte relativa
all’analisi quantitativa dei dati e della rispettiva verifica delle ipotesi. Per quanto
riguarda la sezione teorica riprendo in modo più dettagliato alcuni capitoli che ho
già presentato nella precedente tesi di primo livello.
Nella precedente ricerca, l’analisi è stata condotta su tre aziende denominate
Small, Medium e Large. Nella Small e nella medium sono stati distribuiti ad un
campione di cinquanta individui scelti casualmente il test Maslach Burnout
Inventory (MBI) e un questionario generale contenente domande di tipo
demografico e di descrizione del proprio contesto lavorativo. Nella terza azienda,
la Large a causa del rifiuto ad opera del management di distribuire i questionari è
stato possibile soltanto eseguire un’intervista approfondita con un manager
dell’area marketing.
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In questo nuovo lavoro, per quanto riguarda la ricerca empirica, ho deciso di
analizzare una sola azienda però in modo più approfondito. L’azienda analizzata
è la Small, ossia la più piccola delle tre già viste nella precedente tesi. La scelta è
ricaduta su questa per numerosi motivi. Prima di tutto perché per motivi logistici
è quella con cui ho potuto avvicinarmi in modo più informale e proficuo ai
dipendenti ricevendo il totale appoggio dal management nel portare avanti la
ricerca. In secondo luogo perché tra le due aziende (Small e Medium) la Small
negli ultimi due anni è quasi raddoppiata come numero di dipendenti e quindi
presenta una realtà lavorativa sicuramente più accattivante e dinamica.
Vedremo quindi attraverso tecniche di statistica multivariata se nel nostro
caso verrà confermata o smentita l’ipotesi generale di partenza che afferma
l’esistenza di relazione tra la personalità, il clima aziendale e la propensione a
sviluppare la sindrome del burnout. Importante sarà anche il confronto dei
risultati ottenuti con alcune interviste che ho condotto nell’azienda. Queste
interviste non hanno scopo esplorativo ma confermativo, ossia voglio verificare
empiricamente se il modello emerso dall’analisi dei test corrisponde al reale
clima aziendale e se emergono ulteriori commenti ai risultati che possono essere
utili a riflessioni per future ricerche.
In generale tutto il lavoro di ricerca svolto è orientato alla creazione di un
modello previsionistico che permetta a tutti coloro che si occupano
dell’organizzazione del personale di prevenire situazioni lavorative che
potrebbero indurre un dipendente a cadere vittima del burnout.
La struttura espositiva del lavoro che ho svolto è quella che David Silverman
ha chiamato “storia naturale della ricerca”. Invece di procedere ad una
presentazione lineare che passasse attraverso una discussione dello stato
dell’arte, della formulazione delle ipotesi e dei risultati finali, ho preferito far
vedere passo per passo tutti i ragionamenti e i motivi che mi hanno portato alle
conclusioni.
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Ho dunque esposto nella tesi la forma che il lavoro di ricerca come processo
ha preso. Ho riportato quindi tutte le analisi che ho svolto, compresi i dubbi e le
risposte parziali. A mio avviso tale modo di esposizione rende maggiormente
conto dei problemi metodologici; e, se forse complica un po’ il quadro, tuttavia
rende più trasparente il processo di ricerca.
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Capitolo 1
Origine e breve storia de l lo stress nel lavoro e la
conseguente sindrome de l burnout
1.1 Origini de l termine
La maggioranza dei comportamenti che oggi vengono definiti come sindrome
del burnout sono già stati descritti nel passato. In origine, prima che tale
sindrome fosse studiata in modo preciso e inserita anche nel quadro dei possibili
fenomeni organizzativi ed aziendali, il termine burnout apparteneva, anche se
con lo stesso significato, ad altre discipline. Il suo primo utilizzo risale agli inizi
del novecento. Krepelin durante le sue ricerche rilevava disagi particolari legati
alla professionalità dello psichiatra relative al suo “esaurirsi”.
Venne inoltre introdotto nel gergo dell'atletica americana degli anni '30 e si
iniziò a identificare con l'espressione burned-out, letteralmente “essere bruciati,
cotti”, il fenomeno per cui dopo alcuni iniziali successi un atleta si esaurisce e
non è più in grado di rendere al meglio.
Il termine, nella sua accezione attuale, è stato introdotto da Freudenberger
(1974) per descrivere una particolare sindrome che sembrava caratterizzare
soprattutto i membri di istituzioni socio-sanitarie. Da allora il costrutto del
burnout sta ad indicare una particolare forma di reazione allo stress lavorativo,
tipica delle cosiddette professioni di aiuto (medici, infermieri), ma anche di
insegnanti, poliziotti, avvocati, ossia professioni nelle quali il rapporto con
l'utente / cliente assume un'importanza centrale in termini di significato e di
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lavoro in sé. Tale sindrome è caratterizzata da una serie di sintomi psicofisici e
da atteggiamenti negativi nei confronti del lavoro.
Tra gli psicologi che hanno affrontato lo studio sistematico e approfondito del
burnout vi è Christina Maslach (1976; 1978) che lo definisce sia come perdita
d'interesse per la gente con cui si lavora, in risposta allo stress, sia come tendenza
a trattare i pazienti in modo distaccato e meccanico. Un altro psicologo che in
seguito ha studiato questa sindrome è C. Cherniss, che nel 1980 definisce il
burnout come un ritiro psicologico dal lavoro in risposta ad un eccessivo stress o
insoddisfazione. Viene usato quindi il termine burnout per descrivere ciò che un
tempo era una vocazione e oggi è solo un lavoro. Indica, quindi, la perdita di
entusiasmo, di interesse e di senso di responsabilità.
In Italia questo fenomeno è stato definito nel 1978 dallo psicologo Palmonari.
1.2 Lo stress
Secondo un dizionario corrente, la parola "stress" deriva dall'inglese medio
stresse (sofferenza, patimento), dal francese antico estresse (ristrettezza), dal
volgare strictia, dal latino strictus (stretto), dal participio passato del verbo latino
stringere (legare, stringere).
Che cosa è lo stress? Secondo lo studioso che ha coniato il concetto biologico
(Selye, 1936), lo stress è il minimo comun denominatore delle reazioni
dell'organismo a (quasi) ogni tipo concepibile di esposizione, stimolo e
sollecitazione, ovvero lo stereotipo, il modello generale di reazione
dell'organismo ai fattori di stress di qualunque tipo. Un altro modo per descrivere
il fenomeno "stress" è quello di far riferimento a quello che Selye (1971) ha
definito " il ritmo di usura dell'organismo", una sorta di stimolo ad accelerare e
intensificare le reazioni che prepara l'organismo all'azione, all'attività muscolare
o di altro tipo.
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Secondo la Health and Safety Commission britannica (HSC, 1999), lo "stress
è la reazione che le persone manifestano in risposta a eccessive pressioni o a
sollecitazioni di altro tipo alle quali sono sottoposte".
Una definizione analoga è fornita dal National Institute for Occupational
Safety and Health (NIOSH, 1999): "Lo stress dovuto al lavoro può essere
definito come un insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifesta
quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse o
esigenze del lavoratore. Lo stress connesso al lavoro può influire negativamente
sulle condizioni di salute e provocare persino infortuni". Nell'ambito della
presente tesi di laurea, lo stress legato all'attività lavorativa viene definito come
"la reazione emotiva, cognitiva, comportamentale e fisiologica ad aspetti avversi
e nocivi del contenuto, dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro. E’ uno
stato caratterizzato da livelli elevati di eccitazione e ansia, spesso accompagnati
da senso di inadeguatezza."
Da questa definizione consegue che un impegno lavorativo gravoso, entro
limiti ragionevoli, non ha necessariamente effetti nocivi se si consente o
addirittura si incoraggia il lavoratore a influire sulle modalità di portare a termine
un tale compito. Agli albori della storia dell'umanità, lo stress ha aiutato i nostri
antenati a sopravvivere quando dovevano fronteggiare, per esempio, un branco di
lupi. Attraverso i sensi essi si accorgevano del pericolo imminente. In risposta la
corteccia cerebrale segnalava all'ipotalamo che occorreva predisporre l'organismo
alla lotta o la fuga, ossia all'attività fisica, per far fronte alla minaccia.
L'ipotalamo, direttamente o indirettamente, trasmetteva il segnale a tutte le parti
del corpo attraverso tre apparati distinti ma strettamente correlati, il sistema
nervoso, il sistema endocrino e il sistema immunitario, per aumentare la
preparazione in vista della lotta o della fuga. In risposta il cuore iniziava ad
accelerare il battito (per fornire al corpo un maggiore apporto di sangue) e i
polmoni ad intensificare il ritmo respiratorio (per assicurare la necessaria
ossigenazione del sangue). Si verificava una dilatazione dei vasi sanguigni che
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alimentano i muscoli (per fornire a questi ultimi il carburante necessario) a spese
di alcuni degli organi viscerali, temporaneamente in secondo piano in caso di
emergenza. L'aumento della secrezione degli ormoni adrenalina e noradrenalina
consentiva di aumentare l'immissione nel flusso sanguigno di due importanti
"carburanti", il glucosio e gli acidi grassi dagli organi in cui erano
immagazzinati.
Questo insieme di reazioni si susseguivano molto rapidamente e in modo
automatico, come componenti del piano generale della natura per la
sopravvivenza del più adatto. I nostri antenati preistorici che hanno dimostrato di
avere buone capacità di reagire in questo modo sono sopravvissuti, si sono
moltiplicati e hanno popolato la terra di una specie, la nostra, molto incline a
manifestare reazioni di stress. Coloro che non possedevano tali capacità, invece,
hanno dovuto soccombere nella lotta per la sopravvivenza. L'uomo moderno,
pertanto, discende dai primi.
Nel frattempo le condizioni di vita sono mutate radicalmente. A poche
persone, al giorno d'oggi, può capitare di dover fronteggiare un branco di lupi
inferociti. Nella maggior parte degli ambiti quotidiani non abbiamo bisogno di
ricorrere alle nostre arcaiche reazioni di stress, che sono dunque diventate
obsolete. Essendo determinate geneticamente, tuttavia, esse non sono destinate a
mutare se non in una prospettiva a lungo termine. Probabilmente è per questa
ragione che la nostra antica ma persistente programmazione genetica, associata
alle pressioni, generalmente di lunga durata, alle quali siamo esposti attualmente
sul lavoro e nell'ambiente che ci circonda, al giorno d'oggi può rappresentare una
minaccia per la nostra salute e il nostro benessere, (European Foundation, 1994,
International Labour Office, 1986 e 1992 ).