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immagini stesse, sono, infatti, portatrici di elementi culturali che non devono andare
perduti.
Nell ultimo capitolo, dopo un confronto tra doppiaggio e sottotitolaggio, da un punto
di vista sia culturale che economico, ho considerato la situazione professionale e
formativa attuale.
Le caratteristiche specifiche di questa professione, che richiederebbero un ottima
preparazione culturale, un adeguata conoscenza delle lingue di partenza delle opere e
un estrema padronanza di quella di destinazione, unite a preparazione tecnica e
sensibilit artistica, stenta non solo ad assumere una posizione rilevante nel sistema
produttivo, ma addirittura una scarsa visibilit pu bblica. Ovvero: se qualcuno dice che
fa il giornalista, tutti capiscono di che si tratta. Ma se fa il dialoghista, dovr fare
seguire alla definizione una spiegazione piø o meno lunga per definirsi e anche dopo
quella le probabilit di comprensione non sono cos ovvie. Provare per credere.
A questa confusione si aggiunge quella sulla formazione: l ingresso sul mercato del
lavoro avviene in modo piuttosto casuale, non c Ł nessuna selezione basata sulle
caratteristiche professionali o sull appartenenza o meno ad una scuola. E questo per il
semplice motivo che non esistono corsi di specializzazione per diventare dialoghisti.
Paradossalmente tanto piø Ł specifico l ambito professionale quanto drasticamente non
orientato il percorso formativo.
3
CAPITOLO I
L arte del dialogare
Questa storia, che si svolge una domenica di luglio in una Lisbona deserta e
torrida, Ł il Requiem che il personaggio che chiamo io ha dovuto esegui re con
questo libro. Se qualcuno mi chiedesse perchØ questa storia Ł stata scritta in
portoghese, risponderei che una storia come questa avrebbe potuto essere scritta
solo in portoghese, e basta. Ho capito che non potevo scrivere un Requiem nella
mia lingua, e che avevo bisogno di una lingua differente: una lingua che fosse un
luogo di affetto e di riflessione.
Antonio Tabucchi, Requiem
Nota del traduttore:
Dice l Autore che una storia come questa avrebbe potuto essere scritta solo in
portoghese. PoichØ il portoghese lo conosce al punto da poterci scrivere una storia
come questa, non c Ł nulla di strano che lo abbia fatto. Ma si dovrebbe chiedere
all Autore, che Ł uno scrittore italiano, perchØ non abbia voluto assumere il ruolo
di traduttore di se stesso, visto che in italiano questa storia viene ora pubblicata.
Risponderebbe credo (anzi, lo so), che, se lo avesse fatto questa storia sarebbe
diventata un altra storia: poichØ uno scrittore Ł anche e sopratutto la sua lingua - e
in questo caso, la lingua d elezione dell Autore Ł il portoghese. E allora sarebbe
giusto chiedergli perchØ non abbia voluto affidare la traduzione del suo testo
originale a qualche portoghesista di vaglia e traduttore di professione: cosa che il
traduttore di questo testo, nonchØ compilatore di questa nota, non Ł. Questo non lo
so, e non mi Ł venuta voglia di chiederglielo. Quando mi sono deciso a tradurre
questa storia, mi sono trovato in un doppio imbarazzo. Il primo mi era provocato
da una conoscenza piø affettiva che funzionale della lingua portoghese; il
secondo, e piø grave, dal fatto che si trattava di restituire alla lingua dell Autore
(cioŁ, a gran parte del suo essere lo scrittore Antonio Tabucchi) una storia che gli
apparteneva al punto da poter essere scritta solo in portoghese. [...]...devo dire che
proprio l esperienza non linguistica che ho, da tanto tempo, sia dell Autore che
del Portogallo, mi ha alla fine deciso a tradurre questa storia: a fornirmi, e spero
che non sia una presunzione, della necessaria competenza linguistica. Infine, a
farmi correre il rischio di essere un traduttore-t raditore all ennesima potenza.
Sergio Vecchio
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1.1 Il dialoghista, una professione fraintesa
Potrebbe apparire fuorviante iniziare una tesi sull adattamento cinematografico con un
esempio (seppure molto particolare) di traduzione di un testo letterario. In realt
l esempio di questo strano caso traduttivo ci permette di introdurre e definire il ruolo del
dialoghista, sgomberando da subito il campo di indagine da credenze e convinzioni sul
lavoro di questo «stranautore»1 dettate piø dalla non conoscenza effettiva del suo ruolo
professionale che da vere e proprie correnti di pensiero.
Torniamo all esempio iniziale. Antonio Tabucchi decide di scrivere Requiem in
portoghese, che in fin dei conti Ł un p la sua lingua d adozione, e in questo caso la sua
lingua «originale», ovvero la lingua in cui ha deciso di far nascere la sua opera. Ne
affida poi la traduzione ad un non-traduttore, che dichiara di non avere una conoscenza
effettiva della lingua portoghese, ma che da tempo ha una conoscenza per cos dire
affettiva del Portogallo, del quale sappiamo (proseguendo nella lettura della nota) essere
un ammiratore culturale-gastronomico, nonchØ amico di lunga data di Antonio
Tabucchi. Questo perchØ, possiamo immaginare, Tabucchi vuole per il suo Requiem una
lingua differente, come egli stesso dice «una lingua che fosse di affetto e di
riflessione»2. A questo punto vi chiederete, esperimento riuscito?
Personalmente posso affermare di si, ma probabilmente da qualche parte nel mondo ci
saranno puristi portoghesi e traduttori disoccupati che non la pensano come me. Aldil
delle opinioni varie, il risultato Ł stato approvato dall Autore, che nella traduzione di
Sergio Vecchio si Ł riconosciuto, e fatto infine pubblicare.
L esempio, forse, non Ł dei piø lineari, ma del resto nemmeno il terreno di gioco del
dialoghista (quello della percezione della traduzione filmica) lo Ł. Dato che Ł noto a tutti
il ruolo del traduttore, ma sconosciuto ai piø quello del dialoghista, ricorrere a questo
particolare esempio getta le basi per una comprensione della traduzione filmica che Ł
ben altro dal tradurre e diverso dallo scrivere liberamente, un autore in «altre parole».
1
VINICIO MARINUCCI , Parabola di uno stranautore, «Pubblicazioni AIDAC», pag. 1
2
ANTONIO TABUCCHI , Requiem, Milano, Feltrinelli 1992, pag. 7
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1.2 Un lavoro di squadra
Innanzitutto il dialoghista , come si Ł detto, non Ł un traduttore. Certo la conoscenza
delle lingue (inglese, francese perlomeno) Ł di solito un elemento presente, ma non
indispensabile. Fortunatamente ci arrivano anche film di cinematografie molto lontane
da noi, sarebbe quindi impensabile disporre di dialoghisti poliglotti. Il dialoghista pu
dunque avvalersi di svariati collaboratori, fra cui il traduttore. Il doppiaggio, come il
film stesso, Ł infatti un opera collettiva. La traduzione filmica Ł condotta da una serie di
persone che lavorano assieme con la stessa finalit , ma ciascuno con le proprie
competenze.
Il compito del dialoghista, appunto, Ł quello di riscrivere e restituire il senso
dell opera originale tenendo conto che l opera in q uestione il film Ł un sistema
semiotico complesso, che non si basa solo su un codice verbale, ma anche visivo e
sonoro. L adattamento del film quindi non potr esa urirsi in una buona traduzione
dell originale, poichØ la comunicazione non si limita alla comprensione dei singoli
fonemi, ma all unione di questi con i gesti, la mimica, le immagini, i suoni. Il cinema
insomma ha una sua lingua, ogni film un proprio linguaggio. Compito del dialoghista
scomporre e ricostruire l opera originale, trovare parole altre che possano dare la stessa
significazione su un volto di donna che esclama con concitata agitazione: «You lousy
pig!» accompagnata dal tipico lancio di piatti verso il marito fedifrago poichØ possa
arrivare a noi spettatori italiani con un ben piø familiare: «Sudicio maiale»!3.
Sembra poco, ma in realt questa operazione port a in se problemi non solo di ordine
linguistico, ma anche e sopratutto di diversit cul turali. Il dialoghista infatti dovr
analizzare e comprendere non solo il testo della sceneggiatura originale, ma anche i suoi
personaggi, il loro modo di parlare, la loro faccia, il loro abbigliamento. Inoltre il
dialoghista dovr tenere conto della lunghezza dell a battuta, dei movimenti, delle
smorfie dell attore sullo schermo, e sopratutto delle sue labbra. Ad un determinato
campo visivo deve corrispondere un determinato campo sonoro. Altrimenti verr meno
il «tacito accordo tra film doppiato e spettatore, in base al quale quest ultimo accetter ,
per la durata del film, che Marlon Brando parli italiano»4.
3
GIANNI G. GALASSI, Torna a casa lessico, in Traduzione multimediale per il cinema, la televisione e la
scena, a cura di Christine Heiss e Rosa Maria Bollettieri Bosinelli, Bologna, CLUEB 1996, pag. 409
4
GIANNI G. GALASSI, Il cinema Ł una lingua, in Piano nazionale per la promozione della didattica del
linguaggio cinematografico e audiovisivo nella scuola, Ancona, 2004, pag. 5
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1.3 Materiali di lavoro
Quando si decide di distribuire un film in Italia, la societ di doppiaggio o il distributore
stesso scelgono il dialoghista e il direttore di doppiaggio che realizzeranno la versione
italiana. L opera nella sua versione originale arriva quindi nella mani del dialoghista,
corredata da una trascrizione dei dialoghi, anch essa in versione originale.
La lista dei dialoghi originali Ł uno strumento molto utile per il dialoghista, ma spesso
cela in se pericolosi inganni. Per prima cosa quindi il dialoghista dovr visionare il film
verificando l esattezza della lista dialoghi originali, che non di rado contiene errori e
sviste anche gravi. Dato che la predominanza del cinema statunitense sul mercato
italiano Ł schiacciante, sar utile prendere a modello il protocollo anglosassone, che
prevede un copione - spotting list - molto dettagliato, che di ogni battuta indica il
fotogramma d inizio e quello finale e naturalmente il nome del personaggio che la
pronuncia. La battuta inoltre Ł affiancata da una versione ridotta in originale gi
finalizzata alla sintesi del sottotitolaggio. Infine, nei casi piø fortunati, la lista dialoghi Ł
accompagnata da un apparato di note che serve al traduttore o al dialoghista per capire
esattamente il senso di alcuni termini specifici della lingua originale o appartenenti
all idioletto del film stesso.
Capita non di rado che la spotting list sovrabbondi di spiegazioni, ad esempio la
spotting list di Brokeback Mountain, in cui vedremo che, in tipico stile americano, ci
viene accuratamente spiegata e contestualizzata anche la parola «shit» («merda»). Del
resto per questo corredo si dimostra spesso prezio so, quando ci troviamo di fronte a
termini altrimenti indecifrabili.
E il caso di film che si svolgono in una precisa ambientazione e che richiedono,
appunto, un loro specifico linguaggio. Come il pronto soccorso di E.R. Medici in prima
linea : «Un caso per tutti, l acronimo D.N.R.( Do Not Rianimate ), che si riferisce ai
pazienti che hanno depositato un testamento biologico in base al quale viene loro
riconosciuto il diritto a non essere sottoposti a forme di accanimento terapeutico»5.
5
Ivi, pag. 4