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pretestuoso carattere ‘primitivo’ della mentalità dei siciliani, visti come uomini “nel
cui sangue scorrono eternamente la ribellione e la smisurata passione del proprio io”
1
.
Non è questa la sede per polemizzare con questo tipo di interpretazioni che,
purtroppo per la Sicilia e i siciliani ed anche per lo stesso Stato italiano, hanno avuto
corso per troppo tempo, informando di sé, e quindi rendendole vane, molte delle
sentenze giudiziarie del XX secolo contro la mafia.
All’ombra di tali fraintendimenti, Cosa Nostra è potuta divenire negli anni
l’organizzazione dei Bontade, degli Inzerillo, dei Badalamenti e, per ultimo, di Liggio
e dei suoi corleonesi. Un’organizzazione che si è distinta per l’assoluto disprezzo del
valore della vita umana, pronta a continue sanguinose guerre di potere, come quelle
che hanno insanguinato le strade di Corleone, di Palermo e dintorni a partire dagli
anni ’60 in poi, sino ad arrivare, passando dalle varie guerre di mafia degli anni ’70 e
’80, ad una vera e propria prova di forza contro lo Stato culminata, nei primi anni ’90,
con l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino e con gli attentati dinamitardi in varie
parti di Italia.
Questa è la vecchia mafia cui facevo riferimento all’inizio, una mafia stragista,
una mafia che ‘fa rumore’ violenta e appariscente e che, perciò stesso, è spesso agli
onori della cronaca e spinge lo Stato, non sempre così pronto, ad intervenire sotto la
spinta dell’opinione pubblica; una mafia i cui ultimi rappresentanti sono Totò Riina,
Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella.
Certo una mafia anche di Bernardo Provenzano che, insieme a Riina, ha condiviso
il comando di Cosa Nostra dopo il tramonto della ‘stella’ Liggio.
Tuttavia, sarà proprio Bernardo Provenzano, una volta rimasto solo al comando,
dopo il provvidenziale arresto di Riina e poi di Bagarella e Brusca, a capire che è
necessario cambiare rotta se si vuole che Cosa Nostra continui a fare i suoi lucrosi
affari. Da qui una nuova concezione di mafia, una mafia che si inabissa e non fa più
parlare di sé. Il nuovo motto di Provenzano è ‘non fari scrusciu’, non far rumore,
appunto., che si aggiunge all’altro che da sempre è stato suo, ‘mangia e fai mangiare’.
Una mafia rifondata nei suoi valori ideali che, sotto la sua sapiente guida, rinsalda i
rapporti politici, senza fare differenza tra i partiti e i loro colori; una mafia
1
Così scriveva nel 1898, per definire il ‘mafioso’, il sociologo siciliano Alfredo Niceforo.
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imprenditrice che si avvale di tutta una schiera di insospettabili colletti bianchi che si
infiltrano nelle professioni, negli uffici, negli assessorati regionali e persino nei
Ministeri e nelle forze dell’ordine. Una mafia dalla struttura complessa i cui
mandamenti non si combattono più tra di loro ma si suddividono i proventi secondo
un sistema, definito welfare mafioso, secondo il quale i più ricchi aiutano i più poveri.
Certo una mafia in cui non mancano le tensioni, ‘le traggedie’ e i tentativi di
scavalcamento, ma che Provenzano riesce a tenere saldamente in mano, pur essendo
latitante, grazie alla sua ormai famosa rete di pizzini.
Ricostruita brevemente la carriera mafiosa del boss e la sua ascesa ai vertici di
Cosa Nostra, i due capitoli centrali del presente lavoro saranno dedicati proprio alla
illustrazione delle rete ‘postale’ di Provenzano e dello stile dei suoi pizzini, e si
tenterà un’analisi di alcune lettere dei familiari e dello stesso Binnu, allo scopo di
mettere in luce da un lato i rapporti talvolta non facili con i congiunti e dall’altro
quelle capacità gestionali che hanno fatto di lui il boss dei boss.
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CAPITOLO I
IL BOSS DEI BOSS
§ 1. Da bracciante agricolo a killer di professione.
Bernardo Provenzano nasce a Corleone il 31 gennaio 1933, terzo di otto figli
2
, da
Angelo Provenzano, bracciante agricolo, e da Giovanna Rigoglioso. Bernardo, per
volontà di entrambi i genitori, prende il nome dal frate cappuccino, suo conterraneo,
nato nel 1605, proclamato beato nel 1768 e santo nel 2001
3
.
Se si pensa al personaggio di cui porta il nome, tale scelta appare quanto meno
curiosa. Il Frate, infatti, divenne famoso perché con la lama della sua spada era solito
difendere i più deboli dai potenti, e i più poveri dai ricchi; poi, raggiunta l’età matura
decise di entrare nell’ordine dei cappuccini e morì a Palermo nel 1667 in odor di
santità. Bernardo, noto come “Binnu”, invece, malgrado le aspettative dei genitori
insite nel nome scelto, diventerà il capo assoluto di una delle organizzazioni criminali
più sanguinarie dell’occidente.
L’infanzia di Bernardo Provenzano non è stata delle più felici. I suoi giocattoli, di
legno e di latta, sono quelli che i fratelli più grandi costruivano per lui; e d’altro canto
non ha avuto certo molti anni da dedicare ai giochi. Segue, infatti, precocemente la
strada della maggior parte dei suoi coetanei, figli di contadini: abbandona la scuola
elementare prima ancora di terminare la seconda classe, visto che al padre i figli
maschi servivano per aiutarlo nel lavoro dei campi. Dopo il primo trimestre della
seconda elementare, Bernardo inizia, dunque, il faticoso lavoro del bracciante al
fianco del padre.
Stesso curriculum, d’altronde, di Salvatore Riina, anch’egli figlio di contadini.
2
Giovanni, deceduto nel 1979, Maria, coniugata con Leoluca Gariffo, Simone, emigrato in Germania,
Rosa, coniugata con Giuseppe Giangrosso da Castelvetrano, Salvatore, coniugato con Vincenza
Maringo, Maria Concetta, coniugata con Francesco Leoluca Mirabile, Michela Arcangela, coniugata
con Bernardo Rigugliuso.
3
Cfr. LEONE ZINGALES, Provenzano. Il re di Cosa Nostra. La vera storia dell’ultimo “Padrino”, Luigi
Pellegrini Editore, Cosenza, 2001, p.11
5
Carta d'identità di Riina
I due si sono conosciuti giovanissimi e diventano ben presto amici inseparabili.
Bernardo è robusto e tarchiato, taciturno, preferisce i fatti alle parole, Salvatore è di
carattere diametralmente opposto; malgrado ciò “Binnu” e “Totò” formano una
coppia che difficilmente nel Corleonese potrà essere dimenticata.
Ben presto i due contadini cominciano a frequentare un gruppo di ventenni il cui
unico scopo è quello di scalare i gradini della vita malavitosa.
Uno dei giovani che Provenzano e Riina frequentano si chiama Luciano Leggio
(ai più noto come Liggio) che è entrato nelle grazie del capo mafia di Corleone, il
dott. Michele Navarra
4
il quale, oltre a tenere i contatti con i mafiosi locali, ha
intessuto una rete di collegamenti con i mafiosi palermitani.
II gruppo di amici nel tempo va ingrossandosi, formando un vero e proprio clan
che i carabinieri incominciano a tenere sotto controllo. Un quarto personaggio del
gruppo è Calogero Bagarella, fratello di Leoluca, che avrebbe fatto parlare di sé negli
anni successivi.
Provenzano in questo periodo, al pari dei suoi compagni, incomincia a sognare
potere, soldi, agiatezza e rispetto. Ben presto Liggio, che è divenuto il capo del
gruppo, si stanca di occuparsi del ‘lavoro sporco’ per conto del dott. Navarra. Il suo
sogno è quello non solo di prenderne il posto, ma anche quello di portare il vertice di
4
“Michele Navarra, assassinato nell’agosto del 1958, rappresentava in modo efficace l’archetipo del
padrino. […] Dietro la rispettabile qualifica, prima di medico condotto, poi di caporeparto
dell’ospedale di Corleone, Navarra aveva accresciuto il proprio potere personale, adeguando l’impegno
politico al mutare degli uomini e degli eventi. Lo stimato professionista […] indirizzò il suo appoggio
elettorale in funzione dei benefici che ne avrebbe ricevuto.” da : ERNESTO OLIVA – SALVO
PALAZZOLO, Bernardo Provenzano.Il Ragioniere di Cosa nostra, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 2006, p.38.
6
Cosa nostra a Corleone, scalzando le potenti famiglie palermitane che li considerano
“viddani”.
In questo clima, l’apprendistato mafioso di Binnu non tarda ad arrivare. Dapprima
si tratta di furto di bovini, macellazione clandestina ed intimidazione, azioni tutte ai
danni della famiglia Vintaloro, vicina al clan Navarra, che costano a Provenzano la
prima iscrizione sulla fedina penale
5
e l’unica foto segnaletica in possesso delle forze
dell’ordine, sino alla sua cattura.
E’ il 1958, un anno che segnerà la svolta nella carriera mafiosa del gruppo di
giovani rampanti corleonesi.
Alla fine di giugno Navarra decide di eliminare Liggio, il campiere che vuole
divenire il padrone di Cosa Nostra, ma “cocciu di focu”, come tutti lo chiamano,
sfugge all’agguato in contrada Piano di Scala. La risposta non tarda ad arrivare: il 2
agosto Navarra viene trovato morto nella sua automobile, sulla strada per Lercara
Friddi, crivellato di pallottole
6
. Ma la vendetta di Liggio prevede l’uccisione di tutti i
sicari mandati contro di lui. E’ quindi la volta di Provenzano, Riina e Calogero
Bagarella che il 6 settembre faranno fuori i fratelli Marco e Giovanni Marino e Pietro
Maiuri
7
.
La lotta tra navarriani e liggiani insanguinerà il corleonese per oltre cinque anni
8
e
Provenzano è ormai, agli occhi di tutti, un killer spietato, preciso nella mira, e dal
sangue freddo. Negli archivi di polizia e carabinieri egli figura come sicario per i
5
Il verbale fu steso dall’allora capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, vedi MARCO
AMENTA, L’ultimo padrino, Rizzoli , Milano 2006, p.13.
6
Cfr. CARLO ALBERTO DALLA CHIESA, Michele Navarra e la mafia corleonese, a cura di Francesco
Petruzzella, La Zisa, Palermo 1990.
7
In questa occasione ‘Binnu’ verrà ferito alla testa e sarà ricoverato all’Ospedale civico di Palermo: di
poche parole, come sempre, si limitò a dire di non sapere chi avesse sparato, mentre camminava per i
fatti suoi, diretto al cinema. La polizia e i carabinieri, in questa occasione non indagarono oltre.
8
Sul numero di vittime di questa prima guerra di mafia c’è qualche incertezza. Secondo MARCO
AMENTA (op. cit., p. 13) 52 morti, 20 tentati omicidi più un numero imprecisato di scomparsi; secondo
LIRIO ABBATE E PETER GOMEZ (I Complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al
Parlamento, Fazi Editore, Roma 2007, p. 27) “…nel giro di quattro anni, a Corleone erano sfilati i
feretri di 153 persone, tutte morte ammazzate”.
7
delitti di Vincenzo Cortimiglia, Paolo Riina
9
, Filippo Paolo Streva, Biagio Pomilla ed
Antonino Piraino, e come sospetto di avere avuto un ruolo negli omicidi di Antonino
Governali, Giovanni Trombadori, Bernardo Raia, Giovanni Delo e Vincenzo Listì,
quest’ultimo consigliere comunale a Corleone e membro del Direttivo Provinciale
della DC, fatto sparire col metodo della “lupara bianca”
10
.
Con le uccisioni di Filippo Paolo Streva, ultimo grande boss del clan Navarra,
Biagio Pomilla ed Antonino Piraino avvenute il 10 settembre 1963, si chiuderà la
guerra di mafia di Corleone. Essendo stato denunciato dai parenti delle vittime come
uno degli esecutori materiali degli omicidi, otto giorni più tardi, il 18 settembre,
Bernardo Provenzano si darà alla latitanza, divenendo un fantasma invisibile per più
di quarantadue anni
11
.
§ 2. Il sodalizio con Riina e la scalata ai vertici di Cosa Nostra.
Nel 1974, a Milano, viene arrestato Luciano Liggio e per Riina e Provenzano si
aprono le porte della reggenza. I due pupilli di “Lucianeddu”, che in principio si
limitano ad eseguire gli ordini impartiti loro dal carcere, ben presto scalzano il
vecchio boss. Liggio, sia per problemi di salute, sia perché continuamente spostato da
un carcere all’altro, perde le sue prerogative di capo
12
. D’altro canto già da tempo
Liggio veniva sostituito nelle riunioni del “triumvirato”, la Commissione interna a
Cosa Nostra, proprio da Totò Riina, ‘u curtu’.
A Provenzano e Riina si affiancano Leoluca Bagarella e Antonino Salomone da S.
Giuseppe Jato, poi sostituito dai Brusca. Questo nuovo gruppo porterà a termine
l’opera iniziata da Liggio, ponendo le basi, nella seconda metà degli anni ‘70, per
sferrare il decisivo attacco alla mafia palermitana.
9
Da questi ed altri numerosi fatti di sangue avvenuti nel corleonese tra la fine degli anni 50 e gli anni
60 Liggio, Riina, Provenzano e Bagarella, insieme ad altri, verranno assolti dalla Corte di Assise di
Bari, per insufficienza di prove, il 10 giugno 1969. La sentenza è riportata per intero in LEONE
ZINGALES, op.cit., pp.71-178
10
Cfr, ERNESTO OLIVA-SALVO PALAZZOLO, op. cit., p.40.
11
Agli uomini che permetteranno a Provenzano di spostarsi liberamente in Sicilia, in Italia e all’estero
per un periodo così lungo è dedicato il già citato lavoro di LIRIO ABBATE E PETER GOMEZ, ved. nota 7.
12
Cfr. LEONE ZINGALES, op. cit., p.16.