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con la cronaca delle guerre, le carrozze e, dunque, già il traffico delle strade, la
prostituta e la figura chiaroscura del dandy; e se, dietro i futuristi e i dadaisti,
incalza la nuova guerra tecnologica e di massa, il trionfo delle macchine e delle
luci artificiali; quale “vita moderna” fa da sfondo agli ultimi “pittori
moderni”?”Oramai la “modernità” non necessita più di essere capita, di essere
difesa e affermata con contestazioni, essa si presenta ora, agli occhi dei nuovo
artisti, sotto un aspetto molto diverso, maggiormente banale e monotono; è
l’aspetto delle merci, della tecnologia, del consumismo e della pubblicità,
dell’universo dei mass-media, in particolare cinema e televisione, ed ha trovato il
suo centro nella grandissima ed accogliente metropoli di New York.
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Capitolo primo
L’epoca della Pop Art.
1.1 - L’evoluzione artistica nella prima metà del ‘900
I primi decenni del novecento sono caratterizzati da grandissime innovazioni in
campo artistico, innumerevoli movimenti nascono e si propagano parallelamente a
livello mondiale. Soprattutto gli anni Cinquanta rappresentano,sia in America che
in Europa, il recupero del codice linguistico del Dadaismo, che negli States
diviene noto col termine “New Dada”, movimento che si lascia influenzare da
grandi esponenti dada, quali Schiwtters, Hoch e Duchamp. Le correnti neo-
dadaistiche sono ‘caratterizzate dall’uso di materiali eterogenei in singolari
montaggi, da collages sovraffollati e dall’invenzione del “ready-made”, ovvero
oggetti “già fatti”, comuni, estrapolati dal loro contesto e isolati con una
particolare presentazione al fine di dare loro un senso differente da quello
originario. Un artista che fa continuamente ricorso al non-senso è proprio Marcel
Duchamp. Queste correnti artistiche si muovono parallele e contigue a movimenti
come l’Informale e l’Action Painting. Quest’ultimo viene lanciato alla ribalta da
Jackson Pollock; è uno stile che fonda le proprie radici proprio sul non-senso della
creazione artistica, l’artista spesso opera su enormi tele stese sul pavimento e al di
sopra delle quali fa colare i colori lentamente, o con schizzi, o creando dei disegni
utilizzando parti del proprio corpo per stendere il colore, il tutto senza una logica
precisa, predeterminata. L’opera d’arte è quindi sì frutto dell’artista,che è
fisicamente l’autore della stessa, ma il fine ultimo è dettato dal caso e vi è quindi
una compresenza tra necessità corporea di applicazione del colore sulla tela e
logica casuale del modo in cui esso va a creare una composizione pittorica.
Paul Jackson Pollock nasce a Cody, Wyoming, il 28 gennaio 1912. Cresce in
Arizona e California; qui entra in contatto con la cultura popolare indiana e
pellerossa, che resterà un riferimento importante nella sua ricerca artistica. Nei
primi anni '30, Pollock conosce e apprezza la pittura sociale realista messicana di
José Clemente Orozco e Diego Rivera; per tutto il decennio viaggia molto negli
Stati Uniti, ma per la maggior parte del tempo vive a New York. La scoperta di
Picasso, insieme alla grande mostra del Surrealismo europeo, allestita a New York
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nel 1936, gli permette di rompere definitivamente con le "provinciali" influenze
americane.
Le esperienze di Mirò, Gorky e quelle contemporanee di De Kooning
contribuiscono ad accrescere il suo interesse per il segno e l’automatismo, come
espressione immediata e diretta del proprio sentire. In questa fase, le sue opere
restano allusive a forme riconoscibili e non approdano subito alla totale
astrazione. Nel 1943 tiene la prima personale alla galleria di Peggy Guggenheim a
New York, Art of This Century; Peggy Guggenheim gli offre un contratto che
dura fino al 1947 e che gli permette di dedicarsi esclusivamente alla pittura.
In questa fase si evidenzia l’assimilazione del linguaggio delle avanguardie
europee (Surrealismo, Cubismo e Picasso) animata da quella che diventerà la
componente forte della sua pittura: la carica segnica e gestuale. A partire dal 1947,
la superficie della tela si fa sempre più grande, come più grandi si fanno i
pennelli, così da consentire un sempre maggiore distacco dalla tela.Il passo
successivo, dal ’49, è l’adozione della tecnica del "dripping": l’utilizzo del colore
gocciolato dal pennello o direttamente dai barattoli su superfici, cartone o tela
disposte orizzontalmente e lavorate su tutti i lati, con la creazione di grovigli di
segni, macchie, spruzzi, aloni; tutto il corpo dell’artista viene coinvolto e il segno
è governato dalla gestualità del braccio. Negli ultimi dipinti di questo periodo, per
cui il critico Greenberg inventò il termine di "Action painting", si aggiungono
spesso sabbia, ciottoli, filo metallico, pezzi di vetro. Dal 1950 al 1952 Pollock
raggiunge risultati di intensità quasi delirante che traducono le sue tensioni interne
in quadri esclusivamente bianchi e neri. Negli ultimi anni riprende poi il suo stile
fatto di frenetiche forme circolari di colore in stratificazioni materiche sempre più
intense. Nell’immagine che risulta non vi è centro né direzione di osservazione: è
pittura "all over" (a tutto campo). Si è parlato, a questo proposito, di
"Espressionismo astratto" perché il dipingere nasce come emersione di una
pulsione, carica di energia, anche violenta, manifestazione di uno stato d’animo
che scavalca qualsiasi progetto per affidarsi a una "automaticità" del gesto che
nasce dal profondoIl quadro come territorio di conoscenza ed espressione del
proprio essere, della propria energia. L'artista entra nel quadro, ne fa la
conoscenza, si lascia guidare dalla propria energia e dal ritmo del suo farsi.
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L'artista non è fuori del quadro, diviene parte di esso e il quadro è parte di lui. La
"realtà" del quadro che si svincola dall'oggettività delle cose Il suo primo impulso
artistico è nel segno della scultura, che gli sembra il campo più diretto e primitivo
dell'esperienza creativa.Si interessa ai riti degli aborigeni americani, di cui
riprende simboli e feticci, e all'arte moderna messicana, modello di realismo ed
espressività. Esegue i suoi lavori con creta bruna, o utilizzando una morbida
matita nera, adotta colori quasi metallici. Come supporto usa spesso il cartone.
Mostra grande attenzione per i valori materici e cromatici, un interesse che gli
deriva probabilmente dal suo passato di rilevatore topografico, da un'analisi
approfondita delle superfici, dei colori e delle proprietà delle rocce.
In cerca delle verità universali, che possano dare un senso alla tragicità della vita,
decide di immergersi sempre più nell'interiorità. Comincia a interessarsi all'arte
europea e a Picasso. Si accosta anche ai Surrealisti, di cui riprende la "scrittura
automatica" e l'attenzione per l'inconscio.
Presto capisce che la loro ricerca è troppo intellettuale e sofisticata, che ha
bisogno di qualcosa di più forte. Rifiuta l'immagine per concentrarsi sull'attività
gestuale. Ciò che conta è l'atto pittorico, la magia del gesto. In un primo tempo,
stende le pennellate con grande energia partendo da un nucleo centrale, poi, inizia
ad adottare il "dripping", strizzando il colore direttamente dal tubetto, o facendolo
sgocciolare dal pennello sulla tela stesa per terra.
Linee e colori si dispongono liberamente sul supporto dando origine a qualcosa di
estremamente vitale. Pollock lavora girando attorno alla tela, perché solo così si
sente parte del quadro, un metodo che ha ripreso dai pittori indiani del West.
Per lavorare usa strumenti insoliti come bastoni, cazzuole e coltelli. Anche i suoi
colori sono particolari: a volte sono fluidi e sgocciolano, altre volte sono materici,
fatti con sabbia, vetri rotti e altri elementi. L'uso degli smalti industriali gli serve
per,creare,nuovi,effetti,percettivi. Definita "Action Painting", la sua pittura, ha
portato nell'arte contemporanea una sostanziale riforma del linguaggio. La tecnica
non è più soltanto un mezzo, ma il momento dell'espressione pittorica e la tela non
è più un semplice supporto, ma lo spazio vitale dell'azione.
L'atto di dipingere diventa il contenuto del quadro. "L'artista moderno lavora con
lo spazio e il tempo, ed esprime i suoi sentimenti anziché illustrarli". Coi suoi
gesti manifesta la necessità di agire e vivere.Questa scelta viene fatta dall’artista
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che tenta di rompere del tutto con l’arte classica accademica, che segue regole
precise e secondo la quale l’opera d’arte è definita totalmente da una logica
mentale ben precisa, in cui non vi è alcuno spazio per la componente casuale.
Il Cubismo, dei primi anni del novecento, antecedente al
Dadaismo, nella scomposizione e ricomposizione dell’oggetto non
affida nulla al caso, la ricostruzione viene attuata in base a regole
prospettiche che vogliono essere trasgressive e provocatorie
rispetto a quelle utilizzate fino a quel tempo, lo spettatore riuscirà
a vedere contemporaneamente l’oggetto da diversi punti di vista
avendo così una visione totale di esso; il movimento cubista confluisce
direttamente nella nascita della corrente dada, in cui la logica della scomposizione
oggettuale si associa ad una poetica del tutto nuova, quella del non-senso, visibile
nei montaggi plurisignificanti dell’epoca. Se il cubismo introduce una nuova idea
di prospettiva, con il dadaismo nasce anche l’esigenza dell’uso di materiali diversi
e maggiormente idonei alle necessità del tempo, come ritagli di giornale,
frammenti di legno, di stampa, e così via.
E così il ruolo della “materia” cambia totalmente, nuova protagonista segna
l’inizio di una nuova epoca artistica, gli artisti moderni sono ansiosi di scoprire le
possibilità di questo nuovo soggetto e in tutto il mondo si evolvono parallelamente
movimenti e stili diversi; ne è un esempio Alberto Burri, italiano, che negli
anni ’50 che con l’introduzione dei sacchi rinnova e rivoluziona la pratica del
collage combinando il senso plastico dell’impaginato geometrizzante alla
sensibilità del segno e del materismo informali. A contatto con il movimento
informale, col materismo e l’Arte Povera, propri dell’Italia di quegli anni, la sua
“materia” non è la materia pittorica, ma quella prelevata dalla realtà, dai detriti,
incarnata nelle “cuciture”e nelle “bruciature” della tela, segno di una profonda
frattura psicologica con la quale l’artista instaura un singolare rapporto personale
e all’interno della quale comincia una profonda ricerca di sé stesso, ed è proprio
questa la differenza principale tra il materismo europeo e gli albori della Pop
americana.
Jackson
Pollock
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Robert Rauschenberg
Odalisque, 1955-58
Colonia, Museum Ludwig
Le radici pop risiedono in Rauschenberg, nell’uso del ready-made, per utilizzare
termini neo-dada, nell’oggettualismo artistico: l’oggetto stesso che diventa opera
d’arte, non più secondo un rapporto individuale con la creazione artistica, ma
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secondo una logica assolutamente diversa di bisogno di proiezione nel tumulto
della collettività e di abbraccio con il mondo.
I collage di Rauschenberg si rifanno alle tradizioni cubo-futurista e dadaista, la
novità principale consiste nell’incontro tra gli eterogenei reperti e il magma
pittorico che
interviene ad inglobarli; il colore funge quindi da legante per i frammenti utilizzati,
serve in ultima analisi a dare un senso complessivo all’opera, quasi fosse un filo
conduttore per la lettura della stessa. Le creazioni di questo artista non
rappresentano solo le testimonianze personali di esperienze diverse di un tempo,
ma anche il
tentativo di un uomo di mettersi in comunicazione con “tutto”, con il mondo e
sentirsi parte di esso.