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idealmente i territori dell'America Latina. Ma c'è un luogo geografico ed
ideale in cui per motivi fondamentalmente storici si è sviluppata una
particolare forma di identità: quella di un Paese al quale per lungo tempo
questa stessa identità è stata negata, occultata, confusa.
“Uruguay” è l'attuale nome di una regione posta ad oriente
dell'omonimo fiume, al lato del quale sorgono diverse città. Parlo di
concezione particolare di identità perché l'Uruguay è una nazione mestiza,
nata cioè dalla fusione di differenti razze, che è andata “componendosi”
come un vero e proprio melting-pot, con gruppi di persone giunte
appositamente da lontano per abitare un territorio vastissimo, occupato
esclusivamente da bufali e cavalli allo stato brado.
L’Uruguay è dunque un Paese privo di un omogeneo gruppo etnico
originario, di omogenee e circoscrivibili radici culturali. A causa
dell’assenza di tali radici, e della parallela assenza di documentazioni
riguardanti la cultura indigena, l'Uruguay ha avuto un difficile e tormentato
processo di maturazione della propria identità culturale.
La continua ricerca delle proprie origini si può leggere in molti testi
degli autori contemporanei, in cui la nota predominante è la sensazione di
inquietudine. In questo si sente forte l’eredità “karmica” trasmessa dalle
più antiche popolazioni: i charrúas. Il termine “charrúa” deriva dal guaraní,
antico idioma locale: cha, significa “noi”, rru “permaloso”. Dunque: persona
inquieta
1
.
Gli autori contemporanei, come quelli di cinquecento anni fa,
scrivono per materializzare, e spesso esorcizzare, sentimenti che
altrimenti si tenderebbe a nascondere. Prevalgono le tematiche legate
all’occulto, che non è in questo caso sinonimo di paranormale, ma è
riferito a quei “pensieri scomodi” della quotidianità che vengono occultati. I
racconti spesso descrivono situazioni di perversione, di paura, sono
1
Il dizionario El guaranì en la geografia de America di Anselmo Jover Peralta (Buenos
Aires, Editorial Tutú, 1950) dà le seguenti definizioni: cherrarùa sarebbe composto da
che (“io”) e jharù (“dannoso”, “contrario”), e significherebbe quindi “ciò che mi fa danno”.
O da che (“noi”) e rua (sp. enojadizo, it. “arrabbiato”) (de Angelis). Lo stesso dizionario
registra varie definizioni del vocabolo “Uruguay”. Una derivazione plausibile: da uru
(“uccello”), gua (“luogo, paese”) e ì (“acqua”): “fiume del paese degli uccelli”.
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manifestazioni che esprimono per lo più il dubbio e l’insoddisfazione. La
sensazione che si ha leggendo i racconti per esempio di Ricardo Prieto,
Juan Introini, Leonardo Rossiello, Hector Galmés, è quella di rimanere
“senza parole”. È come se gli autori volessero rompere una barriera,
rompere il silenzio, un silenzio imposto per lungo tempo e per questo
rifiutato. Con un primo sguardo ai temi trattati nei racconti si interpreta un
unico obiettivo comune agli scrittori: quello di scandalizzare il lettore.
La tesi presenta una parte in cui si trattano i caratteri generali dello
sviluppo storico e politico del Paese, dalla sua conquista alla situazione
attuale. Trattando lo sviluppo più propriamente culturale del Paese,
vengono citati i primi documenti della letteratura gauchesca, e ci si
sofferma in seguito su alcune opere di Florencio Sánchez, autore di spicco
nella letteratura uruguaiana, le cui opere hanno fortemente contribuito alla
formazione culturale di molti autori contemporanei.
Seguiremo il percorso della formazione culturale del Paese,
tracciando i caratteri generali della letteratura nazionale, con particolare
attenzione rispetto alla linea marginale della letteratura uruguaiana: la
corrente de los raros. A questo proposito è indispensabile fare riferimento
all’opera di Ángel Rama; autore e critico letterario che si è occupato di
tracciare i contorni del nuovo genere, pubblicando nel 1966 l’antologia
Aquí. Cien años de raros. Esamineremo quindi i tre periodi che videro la
formazione della corrente rara, per la cui “codificazione” contribuirono
importanti scrittori, fra i quali Horacio Quiroga e Felisberto Hernández,
Juan Carlos Onetti, Mercedes Rein, Armonía Somers e Tomas De Mattos.
Da allora, quella che era una corrente minoritaria all’interno della
letteratura nazionale, pian piano conquista un pubblico sempre maggiore,
sia di lettori che di scrittori, e arriva a rivestire un ruolo importante per tutti
coloro che amano ricercare significati profondi dentro e fuori dai testi. Sia
nell’atto della scrittura, in cui sono gli autori a mettersi in discussione e
sperimentare nuove forme di espressione, sia nella lettura, si fa un
tentativo di mettere in discussione la realtà, o meglio, di metterla da parte
per crearne una “nuova”, individuale, senza schemi e regole imposte.
8
Per questo è indispensabile seguire un percorso “formativo” di
questo genere letterario, ripercorrendo le opere degli autori che lo stesso
Rama definì rari. Così vediamo, con le prime sperimentazioni di Quiroga
ed Hernández, un possibile intento di rompere i canoni del Realismo e il
mettersi alla prova seguendo un modello di scrittura liberatorio in cui non
ci siano limiti alla fantasia. Hernández inventa un proprio mondo, in cui
esseri umani ed oggetti assumono sembianze simili: il suo mondo è il
“mondo degli oggetti”, per dirlo con le parole di Rama
2
. Quiroga invece
sperimenta nuove forme di scrittura facendo di questa la propria “ancora di
salvezza”. Egli fondò il Consistorio del Gay Saber, nel 1901 a Montevideo,
un laboratorio poetico in cui tutti coloro che cercavano uno spazio per
esprimersi liberamente trovavano la possibilità di accrescere le proprie
conoscenze letterarie, trovavano i maestri e i compagni con cui
condividere la passione per questa forma di arte. Intraprendevano
sperimentazioni letterarie che si basavano sullo studio profondo dell’io:
“trasgressione” era l’unica parola chiave per accedere alle sperimentazioni
tematiche, linguistiche, stilistiche.
La costante era comunque quella di ricercare un proprio stile: tutti
gli autori esprimono il bisogno di trovare un punto in cui fermarsi, un
centro attorno al quale far ruotare il proprio immaginario, e oggi
comprendiamo come questa costante non sia che il riflesso di un
problema di cui il Paese soffre da sempre, e che riguarda tutta la società
uruguaiana.
Il problema attuale è simile a quello di cinquecento anni fa: se le
prime testimonianze letterarie sono manifestazioni in cui prevalgono gli
sfoghi, le ribellioni contro i colonizzatori che hanno estirpato le radici
all’intero continente, il problema attuale è legato alla repressione che la
società ha vissuto in epoca moderna. Molte sono state le forme repressive
adottate dai governatori dell’Uruguay: violente forme dittatoriali hanno per
lungo tempo tolto la parola a chi non condivideva il pensiero dei capi.
Condanne a morte, esilio e censura sono le realtà che hanno dominato il
2
Cfr. Rama 1966, p. 8.
9
Paese, per non parlare dei trenta mila desaparecidos latino-americani;
realtà a cui gli autori di ieri e di oggi sono decisi a far fronte,
denunciandole e superandole.
È forse per questo che gli scrittori contemporanei vanno oltre i
canoni accettati. Sono pronti a mettere da parte i caratteri essenziali della
letteratura, di quella letteratura richiesta dalle case editrici, e lo fanno per
puro amore della letteratura stessa. Perché la maggior parte di loro
proprio nella scrittura trova lo strumento per la formazione della propria
identità: scrivendo per se stessi e dando forma alle trasgressioni insite
nell’io, non occultandole, ma accettandole. E non è poi vero che una volta
che si riesce ad accettare se stessi, si è pronti a accettare tutte le
possibilità offerte dal mondo?
Per dare testimonianza tangibile delle produzioni letterarie
contemporanee, si parlerà degli autori che hanno ereditato lo stile raro
teorizzato da Darío e Rama; autori come Prieto, Introini, Porzecanski e
Rossiello, fanno esattamente della realtà qualcosa di non definito,
rompono gli schemi imposti dalla letteratura “per bene”, e si mettono in
discussione affrontando temi che la realtà occulterebbe.
Infine, il presente lavoro include in appendice le traduzioni di alcuni
racconti brevi: testi efficaci che danno l'esempio di quella "stranezza" che
rappresenta gli autori che il grande studioso Ángel Rama non poté
conoscere, ma che avrebbe sicuramente inserito nella sua antologia. Per
la precisione, il lettore troverà le traduzioni di due racconti di Ricardo
Prieto, Corrispondenza e Usurpazione, due di Teresa Porzecanski, Un
uomo lunare e I piedi e la temperatura del mondo, uno di Leonardo
Rossiello, L'orribile tragedia di Reinaldo, e uno di Juan Introini, Laocoonte.
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CAPITOLO 1
I MOMENTI FONDAMENTALI DELLA STORIA
DELL’URUGUAY
11
1.1 Le origini “conosciute” della regione Rioplatense
All’avvento dei primi colonizzatori, il margine orientale del fiume
Uruguay era abitato da Charrúas, Chanaes, Guaranies, Tapes e
Arachanes
3
. Furono i Charrúas i più caratteristici della regione e quelli che
opposero maggior resistenza agli Europei.
Divisi in piccole popolazioni che vivevano soprattutto di caccia, i
Charrúas non arrivarono ad uno stato di civilizzazione elevato.
La storia ufficiale dell’Uruguay inizia nel 1516, con la scoperta della
costa uruguaiana realizzata da Juan de Solís, che prese possesso del
territorio in nome del re nel febbraio del 1516. La spedizione terminò con
la morte di Solís per mano delle popolazioni delle sponde del Rio de la
Plata.
Successivamente, nella rotta di circumnavigazione del Globo
Terrestre, fu Magellano con le sue truppe ad arrivare sulla costa
dell’Uruguay e probabilmente a dare il nome a Montevideo.
Sin dalle origini, ovviamente quella da noi conosciute, la città di
Montevideo è avvolta da una specie di mistero che ha determinato
polemiche tra gli storiografi, che tuttavia non sono riusciti a trovare un
accordo in merito all’origine etimologica del nome.
3
Cfr. Barrán 1995.
12
Ci sono infatti diverse tesi riguardanti l’origine del nome della città;
secondo la tesi presa maggiormente in considerazione, diciamo pure
quella che si studia a scuola, il nome deriva dall’espressione portoghese
“Monte Vide eu”, che venne riportata nel diario di bordo da Francisco Albo,
un membro dell’equipaggio di Magellano. “Ho visto un monte”, quindi.
Ma questa pare essere la tesi meno sostenuta dagli storiografi.
Secondo un’altra teoria, il nome potrebbe essere collegato alla più
vecchia documentazione di cui si dispone, che attesta esistesse il nome di
“Monte de Santo Ovidio”. Si potrebbe dedurre che con il passare del
tempo la dicitura del monte si possa essere abbreviata in “Monte Ovidio” e
poi contratta in “Montevidio” ed infine “Montevideo”.
Un’altra tesi suggerisce che il “vi” nella scritta “MONTE VI” che
compare nei resoconti di viaggio di diversi membri dell’equipaggio di
Magellano, non indicherebbero il verbo vedere ma il numero “sei” romano,
ad indicare che quello era il sesto monte che veniva avvistato
addentrandosi nella costa.
Un’altra ancora suggerisce che dopo la scritta “MONTE VI” ci fosse
scritto “DI”. E qui l’altro mistero: l’annotazione indicherebbe “Día del
Inmaculada”: “vidi un monte il giorno dell’Immacolata”. Effettivamente
Magellano scrisse questa annotazione il 2 febbraio del 1520.
Come accennato, nessuna di queste tesi può essere
riconosciuta come vera, a causa dei pareri discordanti degli storiografi.
Ad ogni modo, poco dopo la scoperta del luogo venne dato l’ordine di
fondare la città-fortezza di Montevideo.
Ho voluto soffermarmi sulle problematiche relative al nome della
città per evidenziare una personale considerazione: sin dagli inizi (si tratta
chiaramente degli inizi solo se visti dal punto di vista degli Europei) nella
città di Montevideo aleggia una caratteristica incertezza sull’identità del
Paese. Incertezza che è al contempo fonte di insicurezza, e che il Paese
si porterà dietro nei secoli, come un groviglio di libertà frustrate e
manipolate tanto da dover lottare per decenni prima di potere dare una
forma alla propria identità. Alludo alla “identità violata” di questo Paese
13
perchè è un aspetto le cui tracce permangono tuttora e, come vedremo, la
letteratura ne è viva testimonianza.
Sebastiano Gaboto fu il primo europeo a penetrare nei fiumi Paraná
e Uruguay nel 1527 e a stabilirsi in quel territorio con pochi altri spagnoli.
I colonizzatori ignorarono il margine orientale dell’Uruguay per più
di un secolo, sino a che il Governatore di Asunción, Hernando Arías de
Saavedra (conosciuto come Hernandarías) introdusse nella Banda
Orientale (così veniva chiamato il territorio uruguaiano al confine con
quello brasiliano) un copioso numero di capi di bestiame di razza vaccina.
Così spinse le popolazioni verso quel lato del fiume. Nel 1611, trasformò
la regione nella vaquería del mare, giacché ad abitarla non vi erano che
grandi quantità di vacche.
Hernandarías aveva già provato, nel 1603, a penetrare nella parte
orientale del fiume Uruguay, ma fu fermato dai Charrúas rischiando di
perire come successe a Solís.
Successivamente, grazie al clima temperato, il territorio permise la
riproduzione del bestiame su vasta scala e scatenò l’attività dei Faeneros,
trafficanti di pelli dal Brasile e da Buenos Aires
4
. L’unione tra Faeneros e
Indios diede origine ai Gauchos.
Si cominciò a modificare il territorio in base alle esigenze del
conquistatore. La pratica di bruciare la vegetazione alta, per permettere la
crescita di quella più bassa, più adeguata all’alimentazione bovina, si fece
presto frequente, e portò alla graduale estinzione di molti mammiferi
autoctoni, alla riduzione di molte qualità vegetali e all’impoverimento del
suolo, che si fece più suscettibile all’erosione. Gli indigeni che non si
adattarono furono trasferiti al nord, o si estinsero gradualmente.
In cerca di guadagno i portoghesi avanzavano attraverso il Rio de
la Plata e, violando il Trattato di Torbesilla, che proibiva ai portoghesi di
4
Alcuni storici affermano che nel 1536 Don Pedro de Mendoza diede il nome di Santa
Maria de los Buenos Aires alla nuova città, in onore alla Madonna della Buona Aria,
santa protettrice dei marinai, molto venerata nel Medio Evo, specialmente a Cagliari. Lo
scudiero di Don Pedro era appunto un mercante cagliaritano di nome Leonardo Griseo.
Si suppone anche che il cagliaritano fu il primo europeo a metter piede in terra argentina.
Cfr. Massa 1978.
14
spingersi a sud e di stanziare altre colonie, fondarono Colonia Do
Sacramento, di fronte a Buenos Aires, nel 1680. La Colonia fu motivo di
lotta tra Spagna e Portogallo per molti anni.
1.1.1 Un voluto melting-pot
Montevideo nacque come città-fortezza. Venne fatta erigere dal
governatore di Buenos Aires, Bruno Mauricio de Zabala, che ottenne il
permesso di incaricare dei lavori l’ingegnere italiano Domenico Petrarca. Il
Petrarca iniziò i lavori il 22 aprile del 1723 e li concluse verso la fine
dell’anno successivo.
All’inizio furono solo sette le famiglie che si trasferirono in territorio
montevideano sotto richiesta del governatore. Erano tutti imparentati tra
loro. Trentasei persone in tutto, in un territorio dove si calcolava ci fossero
venticinque milioni di capi di bestiame vaccino.
Fallito quindi l’intento di trasferire le popolazioni dalla vicina Buenos
Aires, il governatore Zabala ottenne dal re il permesso di chiamare
emigrati provenienti direttamente dalla Spagna. Nel 1728 si imbarcò dalle
isole Canarie il primo contingente. Arrivarono anche quattro missionari
gesuiti italiani che si occuparono di studiare il territorio ed inviare
informazioni sulle loro impressioni di viaggio, sull’accoglienza ricevuta, e
sugli usi e costumi di quelle popolazioni.
Nel 1770 il re Carlo III scrisse un decreto con il quale vietava che
nei Paesi dell’America Latina si utilizzassero altre lingue oltre il castigliano.
Più tardi, nel 1784, il governo spagnolo decise di organizzare una
spedizione scientifico-politica, che avrebbe effettuato il giro del mondo e
fatto rilevazioni geografiche, botaniche e astronomiche in tutto il vasto
impero coloniale; fece partire dal porto di Cádiz Bustamante Guerra, un
abile marinaio, con l’obiettivo di realizzare studi sull’idrografia, orografia,
litologia e zoologia.
15
Durante la sua permanenza a Montevideo si realizzarono
osservazioni ed esperimenti astronomici e si compilò una mappa del Rio
de la Plata; continuarono la circumnavigazione dell’America del Sud e si
effettuarono le scoperte delle coste della Patagonia sino ad arrivare ad
Acapulco e all’Oceania e, per finire, da El Callao alla Spagna, dove
attraccarono dopo cinque anni di navigazione.
Al rientro della spedizione si formulò un accordo (El Cabildo) in cui,
tra l’altro, si diceva che le popolazioni di Montevideo, che avevano appena
settanta, ottanta anni, avrebbero raggiunto un così alto livello di benessere
ch avrebbero potuto godere delle comodità che ancora non conoscevano
neanche Madrid, Barcellona, Cadice o altre città.
Nel 1730 venne fondata ufficialmente la città di Montevideo e, per
quasi un secolo, le truppe di Montevideo e Buenos Aires dovettero
combattere per difendere i propri territori: nel 1778 e nel 1806
combatterono contro le truppe britanniche. Il Paese divenne indipendente
nel 1824, sotto la guida del generale José Gervasio Artigas, ma sarà
l’anno 1828 a vedere la nascita ufficiale della Republica Oriental de
Uruguay.
L’inizio del XIX secolo fu caratterizzato dai contrasto tra
l’Argentina e il Brasile, che puntavano entrambi all’annessione di quel
vasto territorio.
16
1.2 L'Uruguay nel secolo XIX
Al principio del secolo XIX, il governatore Artigas decise di porre dei
miglioramenti a livello urbano. Migliorò lo stato delle strade e tentò di
trovare soluzioni alle condizioni scarsamente igieniche, condizioni che
costituivano le principali cause di epidemie di cui soffriva il Paese.
Il governatore fece poi costruire un mercato per facilitare la vendita
dei prodotti alimentari, che però non fu la soluzione e alla fine del secolo
fu abbattuto; fece costruire ponti, strade, grandi edifici; incitò
all'educazione per il rispetto delle leggi civili, invitò per esempio la
popolazione ad abituarsi a buttare la pattumiera in punti appositi, curò la
pulizia della città e del porto, sicuro che di lì a poco avrebbe ospitato più di
duecento imbarcazioni.
Con un nuovo trattato si stanziavano 40 mila pesos, la maggior
parte dei quali sarebbero stati destinati alla creazione e manutenzione
delle strade e dei ponti.
Nel 1825 Montevideo era ancora una città deteriorata, offriva un
quadro di rovina e desolazione, ma in breve tempo il blocco commerciale
con l'Argentina e la guerra avrebbero dato il via alla prosperità economica
del Paese. Il re di Spagna consentì che si ampliasse ulteriormente il porto
uruguaiano, per facilitare anzitutto il traffico degli schiavi, ed impedire
l'espansione economica e territoriale dell'Inghilterra. Veniva chiamato “El
puerto mayor de las Indias” e vi potevano attraccare navi di tutte le
dimensioni.
Nell'Ottocento la maggior parte dei lavoratori erano negri e indigeni
guaraní; i principali prodotti d'esportazione erano la pelle vaccina e la
carne salata. Si è calcolato che durante quel secolo si trasportarono
dall'Uruguay al Brasile quasi 28 mila quintali di carni salate.
Verso la fine del secolo, perciò, la giovane città di Montevideo,
aveva decisamente migliorato le proprie condizioni.
17
L'attenzione nei confronti della cultura a livello locale avvenne
presto. Il governo Rivera, nel 1877, fece costruire El Fuerte, l’edificio che,
oltre al governo, avrebbe ospitato la prima Biblioteca Nazionale.
Già nel periodo anteriore all'indipendenza del Paese, aveva preso
piede l'attività del giornalismo, che nacque come una vera vocazione. Nel
1822 erano tre i quotidiani ufficiali che venivano stampati: O Expositor
Cisplatino, nato durante il periodo della dominazione portoghese, El
Pampero, El Aguacero. Avevano tutti le stesse caratteristiche, erano
composti di quattro pagine scomode da girare perché molto grandi.
Un altro aspetto considerevole dell'Uruguay dell'Ottocento è lo
sviluppo delle tecnologie, in questo caso dei mezzi di trasporto: nel 1868
si introdussero i tram a cavallo che, nonostante non consentissero alta
velocità, erano indubbiamente più sicuri e potevano circolare
indipendentemente dalle condizioni meteorologiche. Prestissimo, nel
1906, la città avrebbe sorpreso i suoi abitanti con l'inserimento dei tram
elettrici. La tecnologia d'avanguardia fu agevolata dalla nascita del S.C.M,
ossia la Società Commerciale di Montevideo, controllata direttamente
dall'Inghilterra, sostituita l'anno successivo dalla Transatlantica, diretta
dalla Germania.
Alla fine dell'Ottocento l'Uruguay viveva un periodo di grande
benessere; il Paese veniva chiamato la “Svizzera d'America” o il Paese
“de las vacas gordas”. È il periodo in cui si prepara al Governo José Battle
Ordoñez, uno dei personaggi di spicco nell'Uruguay dell'epoca, che
sognava un Paese dalle grandi prospettive.
Con tanta speranza quindi ci si preparava per il XX secolo.
18
1.3 Cenni storici sull'Uruguay del XX secolo
Nella storia dell’Uruguay del XX secolo è possibile distinguere
quattro tappe:
- il consolidamento della democrazia politica, la riforma sociale e la
prosperità economica (1903-1930);
- la crisi economica e politica e la restaurazione democratica (1930-
1958);
- il monopolio economico, la atomizzazione dei partiti politici
tradizionali, la crescita della sinistra e la dittatura militare (1959-1985);
- la restaurazione democratica e l’ingresso dell’Uruguay nel
Mercosur.
La prima tappa è quella che spiega le caratteristiche e la realtà
dominante nel Paese sino al tardo 1900.
La figura di José Battle Ordoñez (1856-1929) domina politicamente
tutto questo periodo.
Presidente in due opportunità, dal 1903 al 1907 e dal 1911 al 1915,
con le sue idee agevolò la prosperità economica e l’ascesa sociale.
L’economia vide apparire nuovi mezzi industriali che valorizzarono
pienamente la produzione delle carni e la refrigerazione (ricordiamo che il
primo frigorifero risale al 1905), nonché l’esportazione delle carni in
Europa. Tali esportazioni fecero diminuire le guerre civili tra bianchi e
colorati, considerate di intralcio per lo sviluppo del mercato.
L’intervento statale cominciò a gestire le finanze. Vennero fondati il
Banco de La Republica nel 1896 e il Banco Hipotecario nel 1912.
Era il momento in cui l'Uruguay viveva l'età dell'oro: si costruivano
eccellenti infrastrutture, gli ospedali garantivano l'assistenza sanitaria;
l'Università pubblica e gratuita consentiva alti livelli di educazione,
superiori a quelli di molti paesi dell'America Latina in via di sviluppo. A
livello industriale i passi sono stati “da gigante” grazie alla rapidissima
rivoluzione industriale che consentì la grande ondata dei servizi pubblici
statali: il gas, l'acqua corrente, i tranvia, le ferrovie, lo sfruttamento
19
dell’energia elettrica e l'inserimento dei primi telefoni, che avvenne nel
1912, dei combustibili e del petrolio, nel 1931. Si costituì in un elemento
definitivo la relazione tra società civile e lo Stato fino a tutto il XX secolo.
Anche le conquiste a livello sociale furono da subito importanti ed
immediate: si conquistò il voto segreto, la rappresentanza proporzionale,
la trasparenza elettorale, garantita dalle leggi del 1924. L'Uruguay fu uno
dei primi Paesi che accettò il suffragio femminile; le donne ottennero tutti i
diritti nel 1932; la prima legge sui divorzi è del 1906.
Durante il primo ventennio si visse un’epoca di legislazione del
lavoro, che proteggeva gli operai ed altri settori popolari. La legge delle
otto ore lavorative fu approvata nel 1915. Furono stabilite delle leggi per la
tutela dei diritti dei lavoratori e negli anni ’20 fu fondata la Caja de
Jubilación (fondi per il pensionamento), per quasi tutte le classi lavoratrici.
La popolazione del Paese, che contava 1.042.000 abitanti secondo
il censimento del 1908, nel 1930 raddoppiò quasi la sua popolazione,
stimata in 1.900.000. Il tasso di mortalità diminuì significativamente grazie
al miglioramento delle condizioni di vita, dei servizi e delle norme igieniche
adottate dal governo; inoltre l’Uruguay fu il primo Paese in America Latina
in cui si controllavano le nascite.
Anche il tasso di analfabetismo diminuì fortemente e la diffusione
della cultura venne facilitata grazie all’insegnamento gratuito anche nelle
scuole secondarie. Già nel 1930 l’Uruguay poteva considerarsi un Paese
moderno, europeizzato e scarsamente latino-americano. Inoltre, un altro
dato contribuiva ad aumentare questa immagine: la cultura e
l’insegnamento si erano secolarizzati e, senza ripercussioni politiche né
sociali, la Chiesa Cattolica si separava dallo Stato con la Costituzione del
1917.
Tutto sommato il Paese godeva di una buona evoluzione sino a che
la crisi economica mondiale, iniziata nel 1929 negli Stati Uniti, si
ripercosse in Uruguay dal 1930.