7
La terza parte, “I principali risultati della ricerca”, fornisce i risultati
ottenuti dall’analisi dei dati. Primariamente verranno descritti i risultati ottenuti
dall’analisi delle interviste condotte, in un secondo momento, verranno descritti i
risultati ottenuti dall’analisi statistica dei questionari.
L’obiettivo che ha mosso questa ricerca, è stato quello di comprendere e
descrivere come il delicato lavoro dell’insegnante, potesse interferire e influenzare
l’equilibrio con la propria vita privata e familiare. Ci si è, così, mossi all’interno
della vita degli insegnanti per comprendere le caratteristiche personali, i pensieri e
le emozioni che soggiacciono e muovono i fili che reggono l’equilibrio tra lavoro
e vita.
L’interesse specifico per il tema della conciliazione deriva dalla nuova
posizione che la donna, progressivamente, sta ricoprendo. Negli ultimi anni,
infatti, le donne si sono fatte strada all’interno del mondo del lavoro, degli affari e
delle professioni.
Prima di questa evoluzione, la donna viveva unicamente all’interno della
sfera familiare, prendendosi cura dei figli e della casa. In queste condizioni,
l’uomo poteva dedicarsi completamente al lavoro e alla carriera, senza occuparsi
direttamente della propria famiglia.
Ora, con l’ingresso della donna nei contesti lavorativi, ci si deve
confrontare sempre più con effetti sia sociologici che psicologici. Per quanto
rivoluzionario possa sembrare lo sviluppo verso il lavoro extradomestico, altro
non è che il riassestamento, in condizioni diverse, di una più equa divisione del
lavoro tra i sessi come esisteva prima dell’inizio dell’industrializzazione. In un
certo senso, si può affermare che, se le donne oggi lasciano la casa per cercare una
nuova strada di lavoro, questa strada le riporterà al loro posto all’interno della
comunità (Myrdal, Klein, 1973). Un ulteriore problema emerge da questa
rivoluzione: il doppio ruolo della donna. Così, a differenza del passato, la donna
deve dividersi tra la sfera lavorativa e la sfera familiare, cercando di raggiungere
la felicità e l’autorealizzazione in entrambe le sfere.
Se si pensa al passato, alle antiche civiltà, si può vedere come lo scenario
fosse suddiviso in due sfere principali, la casa, affidata alle donne, e la politica
affidata agli uomini.
8
La donna è sempre stata considerata come fonte primaria per la cura dei
figli, proprio per quelle caratteristiche che le sono proprie, di amore
incondizionato per i figli. Ora, il discorso si è sviluppato e si è fatto via via sempre
più complesso.
La donna ha cercato, e sta cercando tuttora, di entrare a far parte di quel
mondo che una volta era riservato unicamente agli uomini. Il sostegno alla qualità
della vita delle donne, nella consapevolezza di questa loro marcata “doppia
appartenenza”, si è nel corso del tempo consolidato, anche istituzionalmente, nella
forma delle azioni positive a tutela del lavoro femminile.
Proprio questo aspetto ha spinto diversi studiosi a concentrarsi sempre più
sul tema della conciliazione tra lavoro remunerato e resto della vita. In questo
lavoro, si è cercato, più specificatamente di osservare come il lavoro di insegnante
influisce nel lavoro domestico e nella vita personale.
9
Parte
prima
La teoria
10
1
Il contesto scolastico:
la scuola primaria
“All’insegnamento si addice la chiarezza”
Abelardo.
“L’emozione è una fiamma, l’intelligenza un
focolare e la ragione una luce”
E. Jaques Dacroze.
Il tema legato al mondo della scuola è ricco di elementi profondi e di
spunti di riflessione. Osservando questi aspetti si può fare un’analisi molto attenta
alle componenti interpersonali che sono in gioco, soprattutto tra gli “addetti ai
lavori” come insegnanti, dirigenti scolastici e lo stesso personale non docente
(impiegati di segreteria e consulenti scolastici vari). Chi lavora nel mondo della
scuola sente il bisogno di pensare non solo a quello che fa, ma anche e soprattutto
a come lo fa; sente il bisogno di confrontarsi sinceramente e approfonditamente
con i colleghi, di comprendere più a fondo le dimensioni emotive e i rapporti
educativi; e non ha solo bisogno di più soldi, strutture, tecnologie e laboratori.
Questa visione della scuola è possibile non solo intesa come un fatto di
strutture, programmi, tecnologie e norme ma anche come qualità della scuola
stessa, inteso come un buon clima interno impostato al rispetto reciproco e al
dialogo, all’ascolto e a una collaboratività che non esclude conflitti.
Tutti questi aspetti sono di particolare importanza soprattutto se ci si
riferisce alla scuola primaria, proprio perché ci si deve rapportare con dei
bambini.
11
Prima di poter osservare correttamente tutte le implicazioni di carattere
emotivo e relazionale, è opportuno dare un breve sguardo alle indicazioni
nazionali riguardo ai livelli di prestazione a cui tutte le scuole primarie del
Sistema nazionale di istruzione sono tenute per garantire il diritto personale,
sociale e civile all’istruzione e alla formazione di qualità. Si farà qui di seguito
riferimento alle indicazioni nazionali estratte dagli Annali dell’istruzione del
2001-2002.
La scuola primaria è innanzi tutto, la prima scuola obbligatoria del sistema
educativo nazionale di istruzione e formazione: la sua struttura deriva da una serie
di ragioni che affondano le loro radici nella tradizione pedagogica.
- La prima è culturale. Essa promuove nei bambini l’acquisizione di tutti i
tipi di linguaggio e un primo livello di padronanza delle conoscenze e delle
abilità. In questo senso si passerà dal “sapere comune” al “sapere scientifico”, che
costituisce la condizione stessa dell’edificio culturale e della sua successiva e
sempre più approfondita sistemazione ed evoluzione critica.
- La seconda è gnoseologica ed epistemologica. L’esperienza è l’arrivo di
ogni conoscenza. Non è possibile giungere a una conoscenza formale che rifletta
astrattamente sui caratteri logici di se stessa senza passare da una conoscenza che
scaturisca da una continua negoziazione operativa con l’esperienza. La scuola
primaria è il luogo in cui ci si abitua a radicare le conoscenze sulle esperienze, a
integrare con sistematicità le due dimensioni e anche a concepire i primi
ordinamenti formali, semantici e sintattici, disciplinari e interdisciplinari, del
sapere così riflessivamente radicato.
- La terza è sociale. Essa assicura a tutti i bambini le condizioni culturali,
relazionali, didattiche e organizzative idonee a rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che limitano di fatto la libertà e la giustizia dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo dalla persona umana indipendentemente dal sesso,
dalla razza, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni politiche e dalle condizioni
personali e sociali (art.3 della Costituzione). Senza quest’opera che la scuola
primaria è tenuta a svolgere, sarebbero largamente pregiudicati i traguardi di
giustizia e dell’integrazione sociale.
12
- La quarta è etica. Per concorrere al progresso materiale o spirituale della
società (art. 4 della Costituzione) è necessario superare le forme di egocentrismo e
praticare, invece, i valori del reciproco rispetto, della partecipazione, della
collaborazione, dell’impegno competente e responsabile, della cooperazione e
della solidarietà.
La scuola primaria, in quanto prima occasione obbligatoria per tutti di
esercizio costante di questi valori, in stretto collegamento con la famiglia, crea le
basi per la loro successiva adozione come costume comunitario a livello locale,
nazionale e internazionale.
- L’ultima è psicologica. Proseguendo il cammino fatto dalle famiglie e
dalla scuola d’infanzia, la scuola primaria insegna a tutti i bambini l’alfabeto
dell’integrazione affettiva della personalità e pone le basi per un’immagine
realistica, ma positiva di sé, in grado di valorizzare come potenzialità personale
anche ciò che, in determinati contesti di vita, può apparire e magari è un’oggettiva
limitazione.
Per tutte queste ragioni la scuola primaria è l’ambiente educativo di
apprendimento nel quale ogni bambino dovrebbe trovare le occasioni per maturare
progressivamente le proprie capacità di autonomia, di azione diretta, di relazioni
umane, di progettazione e verifica, di esplorazione, di riflessione logico-creativa e
di studio individuale.
La scuola primaria si pone così degli obiettivi generali del processo
formativo. Riprendendo nuovamente le indicazioni fornite dagli Annali
dell’istruzione 2001-2002, si parte dal valorizzare l’esperienza del bambino, in
questo senso la scuola si propone di apprezzare il patrimonio conoscitivo,
valoriale ereditato dal bambino, e di dedicare particolare attenzione alla sua
esplorazione e discussione comune.
Un altro obiettivo che la scuola si interessa a raggiungere è quello della
corporeità come valore. La scuola è consapevole che ogni dimensione simbolica
che anima il bambino e le sue relazioni familiari e sociali è inscindibile dalla sua
corporeità. Nella persona, infatti, non esistono separazioni e il corpo non è il
“vestito” di ogni individuo, ma piuttosto il suo modo globale di essere nel mondo
e di agire nella società.
13
Per questo l’avvaloramento dell’espressione corporea è allo stesso tempo
condizione e risultato della specificità di tutte le altre dimensioni della persona: la
razionale, l’estetica, la sociale, l’operativa, l’affettiva, la morale e la
spirituale/religiosa.
Inoltre si cerca di esplicitare le idee e i valori presenti nell’esperienza,
infatti la scuola, coinvolgendo la famiglia e nel rispetto della coscienza morale e
civile di ciascuno, mira a far esplicitare ai bambini l’implicito e lo scontato
presente nel patrimonio delle visioni, teorie e pratiche che ha accumulato, e ad
assumere consapevolmente queste ultime, insieme ai valori che contengono, in
armonia con la Costituzione della Repubblica italiana.
La scuola accompagna così i bambini a passare dal mondo e dalla vita
ordinati, interpretati e agiti solo alla luce delle categorie presenti nel loro
patrimonio culturale, valoriale e comportamentale al mondo e alla vita ordinati e
interpretati anche alla luce delle categorie critiche, semantiche e sintattiche. In
questo passaggio tiene presente che gli allievi “accomodano” sempre i nuovi
apprendimenti e comportamenti con quelli già interiorizzati e condivisi, e che il
patrimonio di precomprensioni, di conoscenze ed abilità tacite e sommerse già
posseduto da ciascuno influisce moltissimo sui nuovi apprendimenti formali e
comportamentali.
Grazie a questo graduale e progressivo percorso di riflessione critica, la
scuola sempre in stretta collaborazione con la famiglia, si propone di arricchire sul
piano analitico la visione del mondo e della vita dei bambini, di integrare questa
visione nella loro personalità e di stimolare l’esercizio nel concreto della propria
vita, in un continuo confronto interpersonale di natura logica, morale e sociale che
sia anche affettivamente significativo.
In questo senso tutte le maturazione acquisite dal bambino vanno orientate
verso la cura e il miglioramento di sé e della realtà in cui vivono, a cominciare
dalla scuola stessa, e verso l’adozione di buone pratiche in tutte le dimensioni
della vita umana, personale e comunitaria.
Un ulteriore obiettivo di peculiare importanza è la diversità delle persone e
delle culture come ricchezza.
14
La scuola utilizza situazioni reali e percorsi preordinati per far apprendere
ai bambini non solo la consapevolezza delle varie forme, palesi o latenti, di
disagio, diversità ed emarginazione esistenti nel loro ambiente prossimo e nel
mondo che li circonda, ma anche la competenza necessaria ad affrontarle e a
superarle con autonomia di giudizio, rispetto nei confronti delle persone e delle
culture coinvolte, impegno e generosità personale.
Parallelamente, essa porta ogni allievo non solo alla presa di coscienza
della realtà dell’ handicap e delle sue forme umane, ma lo stimola anche a operare
e a ricercare con sensibilità, rispetto, creatività e partecipazione allo scopo di
trasformare sempre l’integrazione dei compagni in situazioni di handicap in una
risorsa educativa e didattica per tutti.
La scuola opera, quindi, in modo che gli alunni, in ordine alla
realizzazione dei propri fini e ideali, possano sperimentare l’importanza sia
dell’impegno personale, sia del lavoro di gruppo attivo e solidale, attraverso i
quali accettare e rispettare l’altro, dialogare e partecipare in maniera costruttiva
alla realizzazione degli obiettivi comuni. In questo senso, trova un esito naturale
nell’esercizio competente di tutte le buone pratiche richieste dalla convivenza
civile a livello e in prospettiva locale, nazionale, europea e mondiale.
Con questa rapida panoramica del complesso ruolo della scuola, si può
meglio comprendere quella che è la professione degli insegnanti. Un ruolo molto
importante e allo stesso tempo decisamente delicato, in quanto, l’insegnante, ha
l’onere di accompagnare il bambino attraverso la sua formazione e educazione,
indirizzando gli alunni ad un’integrità della personalità e alla massima attivazione
delle risorse di cui sono dotati.
Per completezza delle informazioni, si veda di seguito i modelli
organizzativi della scuola primaria, sanzionati dalla legge costituzionale n. 3 del
18 ottobre 2001.
La scuola primaria definisce i piani dell’offerta formativa e provvede alla
realizzazione dei Piani di studio personalizzati, tenendo conto dei seguenti punti
che costituiscono allo stesso tempo risorsa e vincolo per l’attività educativa e
didattica.
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1. L’organico d’istituto è assegnato secondo le norme vigenti,
anche per quanto riguarda gli allievi in situazione di handicap.
2. L’orario annuale obbligatorio delle lezioni, comprensivo
della quota riservata alle Regioni, alle istituzioni scolastiche e
all’insegnamento della religione cattolica, è di 891 ore in prima classe
(990 nel caso della formula “a tempo pieno”) e di 990 ore nel primo e nel
secondo biennio.
3. L’autonomia delle istituzioni scolastiche di cui al Dpr.
275/1999 si esercita fino al limite del 15% di tutti i vincoli dettati nelle
Indicazioni nazionali; implica, inoltre, l’opportunità di organizzare le
attività educative e didattiche obbligatorie sia per attività frontali, sia per
laboratori, e di alternare, a seconda delle esigenze di apprendimento
individuali, gruppi classe e gruppi di classe e/o interclasse di livello, di
compito o elettivi; restando ferme le disposizioni vigenti in proposito,
dispone, infine, sugli eventuali ampliamenti dell’offerta formativa.
4. È individuato un docente coordinatore dell’équipe
pedagogica che entra in contatto con gli allievi e che svolge anche la
funzione di tutor dei medesimi, in costante rapporto con le famiglie e con
il territorio, soprattutto in ordine alla scelta delle attività opzionali e
dell’eventuale ampliamento dell’offerta formativa.
5. Il docente coordinatore-tutor, fino al primo biennio, svolge
attività in presenza con l’intero gruppo d’allievi che gli è stato affidato per
l’intero quinquennio, per un numero di ore che oscillano da 594 a 693 su
891 o 990 annuali.
6. All’inizio del primo e del secondo biennio, il Servizio
nazionale di valutazione procede alla valutazione esterna, riferita sia agli
elementi strutturali di sistema, sia ai livelli di padronanza mostrati dagli
allievi nelle conoscenze e nelle abilità raccolte negli obiettivi specifici di
apprendimento indicati per la fine del primo e del terzo anno. La
valutazione esterna non ha lo scopo di esprimere giudizi valutativi sui
singoli, siano essi allievi o gli operatori delle istituzioni scolastiche, ma si
propone di raccogliere elementi per informare il Paese, i decisori politici,
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le istituzioni scolastiche stesse allo stato complessivo del sistema e anche,
in generale, dei risultati ottenuti nelle prove di conoscenza e di abilità
espletate dagli allievi; ciò per offrire dati per programmare, da un lato, le
politiche educative e, dall’altro, per qualificare ulteriormente la
valutazione di scuola. La valutazione interna si articola in autovalutazione
d’istituto, riguardante gli elementi di sistema (efficacia della progettazione
didattica, qualità dell’insegnamento, grado di soddisfazione delle famiglie
e del territorio, ecc.) e in valutazione diagnostica, formativa e sommativi
(periodica, annuale e biennale) dei singoli allievi, di esclusiva competenza
dei docenti.
7. Per l’ammissione dalla prima classe al primo e al secondo
biennio si procede secondo i dispositivi previsti dagli artt. 144 e 145 del
Dlgs. n. 297 del 16 aprile 1994.
1.1 Gli insegnanti
Fare l’insegnante nella scuola primaria richiede un complesso bagaglio di
conoscenze e competenze. Infatti nella scuola il compito consiste nel promuovere
apprendimento e socializzazione; il lavoro specifico, ovvero quello educativo,
implica due tipi di azioni tecnico-professionali: insegnare e coordinare/dirigere.
Entrambi i compiti sono evidenziati da una parte nella gestione dei contenuti, e
dall’altra nella componente comune che è la gestione della dimensione
relazionale.
Questa è la caratteristica fondamentale che rende possibile, all’insegnante,
di assumersi la responsabilità emotiva della gestione educativa. Inoltre la
dimensione relazionale, crea anche nell’insegnante quella sensibilità che rende
possibile la capacità di prodursi un buon equipaggio emotivo e intellettivo che gli
consentirà di apprendere dai propri errori, così proprio come avviene per la
formazione e per i processi educativi, così da non avere solamente un buon
insegnante che non sbaglia mai, ma di avere un insegnante che sa pensare e
riflettere su quello che fa.
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La dimensione relazionale rappresenta anche una peculiare specificità nei
rapporti tra insegnanti, questo per ben due motivi: in primo luogo, per poter
conseguire gli obiettivi; in secondo luogo, per poter operare in un clima
psicologicamente più gradevole che, oltre a favorire la qualità della prestazione e
migliorare la creatività, fa crescere professionalmente e migliorare il benessere.
Infatti, oggi come oggi, dato il livello di complessità che caratterizza le
varie strutture scolastiche, non si può immaginare che un’organizzazione possa
funzionare in modo appena sufficiente se non vi è collaborazione e integrazione al
suo interno tra le varie parti e i vari sotto sistemi che la compongono. Le
istituzioni scolastiche possono sopravvivere e funzionare solo se sono capaci di
creare e promuovere dei climi collaborativi. Dunque, la collaborazione tra
colleghi, nonché il preliminare sviluppo della capacità cooperativa, non è da
perseguire per motivi moralistici (“dobbiamo andare d’accordo”, “essere amici”)
o esortativi (“dobbiamo fare gruppo”, “fare squadra”) o ideologico-autoritari e
totalitaristici (“bisogna remare tutti dalla stessa parte”, “andare tutti dalla stessa
parte”), o in nome di un ecumenico “volersi bene”, o addirittura in funzione di
“fare qualche sacrificio”, come si sente dire in certe scuole. È invece da auspicare
e perseguire fattivamente per motivi pragmatici, in quanto strumento per il buon
funzionamento istituzionale.
Infatti la collaborazione professionale è una vera e propria necessità
funzionale: poiché, indipendentemente da ogni giudizio di valore, è indispensabile
per il funzionamento efficace di un gruppo; la sua mancanza o carenza, non solo
danneggia il clima organizzativo e le relazioni tra persone, ma abbassa la qualità
del lavoro e ostacola o impedisce lo stesso raggiungimento degli obiettivi.
(Blandino, Granieri, 2002).
Si possono individuare differenti fattori che favoriscono le buone relazioni
di lavoro fra colleghi. Si ritrovano le condizioni ambientali/organizzative esterne.
Queste sono:
1. La definizione di obiettivi di lavoro chiari e condivisi: quando gli
obiettivi sono ambigui si può incorrere in un calo del livello di motivazione e
impegno. Si deve quindi ricercare chiarezza su ciò che si deve fare e su come
bisogna farlo.
18
2. La predisposizione di risorse adeguate ai compiti da svolgere: è
inutile fare progetti se poi non si ha la possibilità di risorse adatte per realizzarli.
3. Una pianificazione concordata del lavoro: non compiti, scadenze e
ritmi imposti dall’alto senza aver prima discusso con gli addetti ai lavori.
4. Una adeguata selezione dei membri dei vari gruppi di lavoro: deve
essere coerente con le motivazioni, le capacità e le disposizioni dei singoli
individui.
5. L’accettazione di opinioni diverse: intese come risorsa in più a
disposizione del gruppo di lavoro.
6. La condivisione di una cultura di gruppo e dei rispettivi valori: è
importante chiarire i valori di base del gruppo prima di poter affrontare un lavoro.
7. Lo sviluppo di atteggiamenti orientati al rispetto e alla
complementarietà: che consegue anche alla capacità di accettare la reciproca
dipendenza.
8. La fiducia reciproca: costruire fiducia e rispetto sono due obiettivi
molto importanti da perseguire perché sono una delle chiavi di volta del successo
per la collaborazione.
9. L’orientamento alla creatività e alla risoluzione di problemi:
utilizzare una comunicazione franca e aperta e non aver paura di esprimere le
proprie emozioni.
10. Lo sviluppo di un certo “sense of humor”, di un certo
“understatement”: non snobistico, ma conseguente alla capacità di prendere la
distanza critica dai problemi e dalle situazioni.
Per quanto riguarda invece i fattori emotivi che favoriscono le buone
relazioni nei gruppi di lavoro si possono individuare, secondo Meltzer e Harris
(1983) nelle seguenti quattro funzioni:
1. Generare amore: saper concedere spazio e tempo, sia fisico che
mentale.
2. Infondere speranza: si sviluppano quando prevalgono le forze
costruttive sia a livello individuale che gruppale.
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3. Contenere la sofferenza depressiva: indispensabili affinché il
gruppo funzioni bene e contribuisca a sviluppare le potenzialità dei propri
membri.
4. Pensare: riuscire a pensare e far pensare, intesa come la capacità di
essere in contatto con i propri sentimenti, contribuisce così a favorire relazioni
sane. (Blandino, Granirei, 2002).
Come si è visto il ruolo dell’insegnante richiede una grande capacità di
relazionarsi sia con i colleghi, sia con i bambini. Forse proprio dall’intreccio di
queste caratteristiche, il ruolo dell’insegnante viene visto con ambiguità,
soprattutto negli ultimi anni, dove con il cambiamento della società, è mutato
anche la percezione della figura educativa. Questo fattore si può notare anche
nella diversificazione del genere.
La presenza degli insegnanti uomini è in caduta libera nella scuola. Alle
elementari sono ormai meno del 5% e non ci sono segnali di ripresa. Le ragioni
sono molteplici, come in tutte le situazioni professionali in cui si crea un forte
squilibrio di genere nel rapporto maschi e femmine. Una ragione si può
certamente ritrovare in quelle caratteristiche che rendono particolarmente
appetibile un lavoro; queste sono che il lavoro dia potere, danaro, status, ossia che
abbia un ruolo forte grazie a cui sia socialmente prestigioso, con tutti i vantaggi,
diretti e indiretti, che questo comporta, che valorizzi le qualità personali in modo
competitivo e sia limitato a pochi.
Il problema principale è che fare l’insegnante oggi soddisfa ben pochi
degli aspetti sopra citati. Nell’opinione pubblica si può rintracciare questo aspetto,
che fa riferimento in particolare alle trasformazioni culturali avvenute negli ultimi
tempi.
Fino a trenta-quaranta anni fa, soprattutto nei paesi di piccole e medie
dimensioni, fare l’insegnante era considerato un lavoro di qualità: formava i
bambini per il futuro, dava loro le basi per la cultura, il gusto dell’apprendere, il
senso della responsabilità e della disciplina. Inoltre la professione di insegnante
era vissuta, da uomini e donne, con passione e spesso anche con orgoglio. Nei
piccoli paesi, le persone di riconosciuta autorevolezza erano il maestro, il sindaco
e il prete. Più tardi con la capillarizzazione della medicina, il medico.
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Per chi insegnava sempre nella stessa scuola per decenni, era la regola
insegnare l’abc anche a tre generazioni della stessa famiglia. Il maestro e la
maestra avevano un’identità forte e avevano il rispetto di tutti. Lo stipendio non
era alto ma dignitoso, rispetto agli stipendi dell’epoca. La passione e il rispetto
sociale facevano sì che la professione venisse considerata come uno sbocco
possibile anche dalle famiglie della piccola borghesia, quando pensavano al futuro
dei loro figli.
Oggi il valore della professione di insegnante è in crisi. L’orgoglio di
svolgere un lavoro così appassionante e delicato è rimasto a poche, anzi a
pochissime persone. La frammentazione oraria del rapporto con i bambini non
aiuta a creare rapporti significativi che hanno bisogno di continuità e di tempo. Il
credito sociale è minimo, e gli stipendi certo non incoraggiano un uomo, (si
ritiene che nella cultura odierna si faccia riferimento allo status sociale ed
economico che ogni persone ricopre.
Per un uomo, più che per una donna, questi fattori sono di notevole
importanza), anche minimamente ambizioso a prenderlo nemmeno in
considerazione, questo lavoro.
Per fare l’insegnante, oggi perfino più di ieri, è indispensabile credere che
nella vita contino altre cose, più del denaro, più dello status, più del potere
visibile. Ci riescono, per scelta, pochi idealisti per i quali insegnare è uno dei
lavori più belli al mondo: per il senso forte che può dare alla propria vita, per
l’inventiva e la capacità di empatia che richiede, per il cuore grande che bisogna
mettere in gioco per aiutare davvero a far crescere l’anima e non solo la
competenza linguistica o matematica, per minimizzare gli effetti di famiglie
problematiche o addirittura patologiche.
A molti, in passato, l’incontro con un insegnante in gamba ha cambiato la
vita: per la fiducia in sé che quell’incontro ha fatto sbocciare, per quello che si è
imparato, per le finestre sulla vita che un insegnante appassionato sa aprire nella
mente di un bambino (Graziottin, 2003).