5
E dal punto di vista comunicativo? Questo è sicuramente uno dei punti
più controversi del mio lavoro e costituisce il filo conduttore che lega
qui mercato economico e contesto sociale.
In questo momento l’Italia vive una situazione di forte caos, causato
da un’anacronistica legislazione che proibisce numerosi giochi
considerati d’azzardo, ma, allo stesso tempo, proprio colui che
legifera, lo Stato, non ha alcuna remora a trasformarsi in un vero e
proprio ‘biscazziere’.
Il punto nodale del mio lavoro è focalizzato proprio sulla
contraddittorietà fra il dire e il fare, che oggi purtroppo investe la
comunicazione istituzionale del gioco, una comunicazione centrata
sulla perenne lotta tra il guadagno e la morale.
L’unico modo per contrastare la pericolosità del gioco d’azzardo,
sarebbe quello di informare obbiettivamente il potenziale giocatore sui
reali contenuti tecnici dei vari giochi. Un giocatore ben informato
sulle reali possibilità di vittoria e di sconfitta, è certamente meno
propenso a rischiare somme di denaro che potrebbero compromettere
il suo bilancio familiare. Questa scelta di comunicazione però non
sempre viene seguita con decisione. Se da una parte potrebbe ridurre
le derive patologiche dell’uso perverso dei vari giochi, dall’altra
rischia di intaccarne i proventi economici. Ed è proprio su questo
rapporto controverso insito oggi nella comunicazione del piano ludico
che fa si realizza il mio elaborato.
Amare il gioco d’azzardo non è un qualcosa di cui vergognarsi.
Possiamo praticarlo nelle forme che più ci attraggono, facendolo però
con prudenza. La piena consapevolezza di quello che si sta facendo è
sempre il miglior antidoto contro ogni eccesso. Ma è necessario
ricordare sempre che ogni scommessa e’ un debito.
6
CAPITOLO PRIMO
L’AZIENDA DEL GIOCO IN ITALIA
7
1. LA NASCITA DEL GIOCO IN ITALIA
Nel nostro paese il gioco ha sempre avuto radici profonde legate sia
alle note caratteristiche degli italiani in genere, sia a fattori non
sempre individuabili o comunque difficilmente riconducibili a
valutazioni precise, dal momento che la propensione al guadagno
facile e il gusto del rischio sono insiti nella natura umana.
Ricerche archeologiche e antropologiche hanno evidenziato la
presenza del gioco d’azzardo in ogni latitudine, epoca, cultura e civiltà
del pianeta: dall’antico Egitto al mondo greco-romano, dall’area
cinese a quella indiana, celtica e così via.
Tracce di una forte inclinazione per le attività ludiche si possono
riscontrare nella cultura romana, specie in età imperiale, nella quale “i
giochi erano una ragione di vita quanto il pane perché essi erano sacri
e sacri i diritti che il popolo riconosceva loro”.
1
Sui giochi si potevano scommettere puntate tanto che, a partire dal IV
secolo, le corse dei carri erano gestite dai rappresentanti del potente
ordine equestre che regolamentava lo scontro di squadre contrapposte
(factiones).
Il gioco più diffuso era quello con i dadi in legno o terracotta o, per le
persone più abbienti, in osso o avorio chiamato Zara che “si giocava
con tre dadi senza tavoliere, sopra un piano liscio. Vinceva colui che
faceva il numero proclamato ad alta voce, prima di gettare i dadi”.
2
1
R. De Luca, Introduzione, in S. Mazzocchi, ‘Vite d’azzardo. Storie vere di giocatori estremi.’
Sperling & Kupfer Editori, 1998, pag. X.
2
R. Zerbetto, ‘Il gioco tra libertà e condanna.’ http://gambling.it/pag/articoli/detail.aspx?ID=33.
8
La stessa origine etimologica della parola “azzardo” deriva dal
francese Hasard, che a sua volta deriva dall’arabo az-zahr, cioè “dado”
a dimostrazione del fenomeno di globalizzazione culturale cui tali
comportamenti sono stati soggetti nel corso della storia.
3
Nel Medioevo il gioco fu spesso ritenuto fonte di peccato e
depravazione, quindi fu severamente avversato sulla base di
motivazioni morali e religiose. Eppure in Italia ha sempre fatto presa
sulla gente. Tanto è vero che il gioco del Lotto era già diffuso nel XVI
secolo a Genova mentre a Venezia, nel 1638, venne istituita e gestita
dallo stato la prima casa da gioco, il “Ridotto”. Nel settecento le case
da gioco si propagarono talmente in tutta la Repubblica veneta che nel
1797 se ne contavano ufficialmente centotrentasei.
4
Tutto ciò ebbe inizio nel febbraio del 1522 a Venezia, quando scoppiò
la passione per le lotterie. Iniziò un certo Girolamo Bambarara,
straccivendolo, ad offrire la possibilità del gioco a chi voleva
“vadagnar metendo poco cavedal a fortuna”.
5
Il seguito fu strepitoso e
i premi divennero sempre più ricchi: tessuti preziosi, ambre, perle e
così via. Le autorità divennero attente e tenevano d’occhio le cose.
Il 28 febbraio però la musica cambia. La situazione sembra fuori
controllo. Non si può più “tolerar questo nuovo zuogo d’alcuni zorni
in qua trovato, de trazer denari da questo e da questo altro, chiamato
lotho”.
6
Così il Consiglio dei Dieci ordina che all’indomani nessuno
possa più organizzare nuovi lotti, a pena di 500 ducati e due anni di
prigione.
3
R. Zerbetto, ‘Il gioco tra libertà e condanna.’ http://gambling.it/pag/articoli/detail.aspx?ID=33.
4
S. Mazzocchi, già cit. 1998, pag. XI
5
G. Imbucci, ‘ Il gioco pubblico in Italia.’ Marsilio Editore, Venezia, 1999, pag. 34
6
IBIDEM
9
Ma il 7 Marzo ecco il governo stesso bandire un grande lotto,
mettendo in palio addirittura i gioielli dati in pegno da duca di Milano
alla Signoria, per un valore di 32.000 ducati.
Il divieto era stato, in sostanza, la premessa al monopolio: lo stato si
era fatto maestro e unico titolare del gioco. Occorrevano soldi alle
casse dello stato, sotto pressione per le grandi spese imposte dalla
politica di terraferma.
7
Da allora lo stato si trasforma nell’unico
giocatore al mondo in grado di imporre per legge le sue regole a tutti
quanti altri siano disposti a stare al gioco.
Nel 1712, dall’altra parte dell’Italia, viene definitivamente legalizzato
il lotto napoletano che consiste nell’estrazione a sorte di cinque
numeri da una serie di novanta. Il giocatore scommette una certa
somma su un numero o su una combinazione di numeri di propria
scelta. Le vincite vengono pagate molto al di sotto delle probabilità
reali: in altri termini, i contratti stipulati fra giocatori e banco sono
iniqui e l’iniquità cresce fortemente dall’estratto all’ambo, e
soprattutto dall’ambo al terno.
All’inizio le estrazioni annuali erano due, divennero poi nove nel
1737, diciotto nel 1773, ventiquattro dal 1804 ed infine cinquanta,
quindi con cadenza settimanale, dal 1817.
8
Il Lotto fece la sua comparsa a Genova nel cinquecento in
connessione con le scommesse che venivano fatte sui nomi che
sarebbero stati estratti, fra quelli di cinquanta candidati, per ricoprire
cinque posti del Serenissimo Consiglio che si liberavano due volte
l’anno.
7
G. Imbucci, ‘ Il gioco pubblico in Italia.’ Marsilio Editore, Venezia, 1999, pag. 34.
8
Idem, pag. 47.
10
Il gioco del Lotto, prima messo all’indice dalla chiesa, venne dalla
stessa riabilitato nel 1731 da Clemente XII dando via ad una nuova
fase di apertura sociale che avrebbe proseguito sino alla sostanziale
liberalizzazione.
9
Emerge poi a fine Settecento la grandissima diffusione, soprattutto a
Napoli, dell’azzardo, una sorta di predisposizione d’animo che
pervadeva, senza distinzioni di ceto, tutta la società. Nessuna fascia
sociale ne era esclusa: si giocava anche nel cortile della Vicaria,
ovvero fuori dal tribunale.
10
A Napoli l’azzardo, da una parte, costituiva il passatempo e il modo di
vivere di vari personaggi, ai margini non solo della produzione, ma
tagliati anche fuori da molteplici mestieri ambulanti, che offrivano i
loro servizi ai passanti lungo le strade del centro urbano. Dall’altra
parte, era culturalmente radicato nei rituali della società alta. A Napoli
in modo specifico rispetto all’altra Europa. Il gioco d’azzardo più
diffuso nella metropoli borbonica era quello dei dadi.
Le scommesse sportive ebbero invece una diffusione più tarda.
Il primo totalizzatore fu introdotto nel 1897 nell’ippodromo di
Longchamp di Parigi dallo spagnolo Josè Oller e importato in Italia a
distanza di qualche anno, ma esso sparirà ben presto dagli stadi di
calcio insieme ad ogni altro indizio di scommesse pubbliche. Se ne ha
traccia fino ai primissimi anni venti.
11
Le scommesse divennero parte integrante del gioco del calcio, al
punto da consentire una stretta correlazione tra la sua popolarità e
l’inasprirsi o meno dei divieti pubblici sulle puntate in denaro.
9
R. Zerbetto, ‘Il gioco tra libertà e condanna.’ http://gambling.it/pag/articoli/detail.aspx?ID=33.
10
G. Imbucci, già cit., 1999, pag. 102
11
Idem, pag. 73
11
A contribuire alla decadenza del gioco del pallone provvidero, a fine
ottocento, proprio alcuni divieti. Bastò la sola minaccia avanzata dal
questore di Roma nel 1893 di proibire le scommesse per assistere ad
una diminuzione dei frequentatori degli sferisteri.
Si può affermare che la scommessa sportiva nacque grazie ai pubblici
inglesi del football, i quali portarono sulle gradinate degli stadi una
radicata propensione alla scommessa. I viaggiatori del continente, che
tra il XVII e il XVIII secolo si recavano nelle terre d’oltre Manica,
restavano stupiti dalla vastità delle occasioni di scommessa. Signori e
popolani si accanivano intorno a combattimenti tra galli, tra cani, tra
orsi, si accalcavano frementi per assistere a competizioni fra le più
strane.
12
Così anche in Italia ben presto romagnoli, marchigiani, piemontesi e
toscani iniziarono a puntare sui vincitori del pallone. Le gesta dei
grandi campioni erano note a tutti, tutti sapevano di quali imprese
fossero capaci e gli scommettitori avevano su di essi non poche
informazioni in grado di orientare le proprie scelte.
Fu così che nel 1944 fu inventato da Massimo Della Pergola un nuovo
concorso, il Totocalcio, introdotto nella Penisola nel 1946 sotto la
denominazione di Sisal. Questo conquistò rapidamente ampio
successo fra gli italiani e contribuì certamente alla popolarità del
calcio.
13
Resta la questione dell’ippica. All’assoluto disinteresse dei tifosi di
calcio, di atletica, di ciclismo e di ogni altra disciplina si
contrapponeva nella tarda età vittoriana in Inghilterra l’interesse di
parte non secondaria del pubblico degli ippodromi.
12
G. Imbucci, già cit., 1999, pag. 75
13
Idem, pag. 78
12
Nella seconda metà dell’Ottocento per contrastare la pratica di massa
delle scommesse ippiche intervenne una legislazione che poneva
ostacoli e limiti alle scommesse dei meno abbienti. Tale indirizzo
legislativo si è spinto fino al 1960.
14
Tornando in Italia, si è osservato che mai la febbre da cavallo ha fatto
sobbalzare la colonnina di mercurio, mantenendosi sostanzialmente
tiepida. Qui le corse dei cavalli assunsero un profilo sportivo simile a
quello inglese solo nel tardo Ottocento. Per strutture in grado di
accogliere un vasto pubblico e munite di adeguati spazi per le
scommesse bisognerà attendere il Novecento inoltrato.
La convivenza tra sport e scommesse è del tutto evidente, ma si tratta
però di un matrimonio di interesse e le affinità elettive tra i due mondi
restano tenui.
15
14
G. Imbucci, già cit., 1999, pag. 81
15
Idem, pag. 82