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INTRODUZIONE
Affrontare un’opera come Elizabeth Costello significa
trovarsi di fronte ad un testo difficilmente classificabile,
caratterizzato da una profonda varietà sia stilistica che
tematica: una vera e propria sfida. Da qui è nato il desiderio
di approfondire quegli aspetti che hanno permesso ad un
testo così variegato, di mantenere una sua interezza, una
sua autonomia, nonostante le diversità tra le sue parti
immediatamente percepibili attraverso la lettura del testo.
Può Elizabeth Costello essere chiamato “romanzo”?
Oppure la parte non narrativa vi ha un ruolo predominante,
così da dover definire l’opera raccolta di saggi o di lezioni?
Che cosa ha voluto comunicare Coetzee scrivendo questo
libro? Il mio lavoro è consistito proprio nell’analisi dei
diversi aspetti, sia formali, sia tematici che connotano
questo testo. L’obiettivo è stato quello di mostrare come, al
di là della apparente eterogeneità che – come si è accennato
– caratterizza queste pagine, vi sia un sostrato capace di
sorreggere ed unire le otto diverse lezioni che compongono
l’opera; questo filo invisibile, che collega ogni capitolo
all’altro è parte integrante di un disegno ben più ampio e
articolato, sapientemente costruito dall’autore, capace di
creare un testo che è uno e molti, allo stesso tempo. Nulla è
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lasciato al caso, in Elizabeth Costello: ogni parola, ogni frase
inizialmente inspiegabile, trova successivamente – anche
dopo numerose pagine − una sua spiegazione. Questo è ciò
che mi ha costantemente spinto a proseguire nel mio
intento.
Nel primo capitolo ho voluto inquadrare l’autore,
esporre quegli aspetti più prettamente biografici e legati alla
sua carriera di scrittore, che sono a mio parere essenziali
per comprendere al meglio Elizabeth Costello. Nel secondo
capitolo invece, ho preso in esame il testo sotto vari punti di
vista, dalla genesi allo stile, dalla struttura al risultato
finale ottenuto, ovvero quello di una vera e propria forma
nuova di scrittura, fatta stavolta in otto lezioni. Nel terzo
capitolo ho analizzato le tematiche affrontate dall’autore,
sottolineando quegli aspetti che mi hanno permesso di
rafforzare la convinzione qui sostenuta e ripresa nelle
conclusioni finali, ovvero che quest’opera mantenga una
sua unità, a dispetto della sua eterogeneità apparente; il
quarto capitolo, infine, si focalizza su un breve racconto
uscito postumo ad Elizabeth Costello, ma a mio parere
estremamente collegato ad esso, tanto da poter essere
curiosamente considerato una “lezione” aggiuntiva a tutti
gli effetti. Ciò che è emerso dalla mia indagine è che
Elizabeth Costello è un libro articolato ed ambizioso, nel
quale Coetzee ha racchiuso idee e convinzioni maturate nel
corso di un’ormai lunga carriera letteraria: la voce viva dello
scrittore si avverte sempre nel libro, che pur nella
universalità delle questioni affrontate, presenta una
profonda valenza autobiografica.
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CAPITOLO I
L’autore: passato e presente
1. Cenni biografici
Scrittore, critico, professore universitario, traduttore e
linguista, John Michael Coetzee, nato a Cape Town, in
Sudafrica, il 9 febbraio del 1940, è una figura di grande
spicco nella cultura contemporanea e, pur non essendo uno
scrittore politico, ha contribuito, soprattutto tra gli anni ’70
e gli anni ’80, a conferire autorità alla protesta contro il
regime di apartheid che opprimeva il Sudafrica.
Coetzee ha ricevuto numerosi premi nel corso della
sua carriera, tra i quali spiccano i due Booker Prize, il
primo ottenuto nel 1983 con il romanzo Life and Time of
Michael K., e il secondo nel 1999 con Disgrace; nel 2003,
grazie al romanzo Elizabeth Costello, l’opera che prenderò
qui in esame, lo scrittore ha ricevuto il Premio Nobel per la
letteratura, divenendo così il secondo autore sudafricano ad
ottenere l’ambito premio, dopo Nadine Gordimer.
Conseguiti i titoli di B.A e M.A. in inglese alla
Università di Cape Town (rispettivamente nel 1960 e nel
1963), Coetzee si è laureato anche in matematica nel 1961;
la sua carriera accademica si è bruscamente interrotta per
circa quattro anni, dal 1962 al 1965, periodo durante il
quale ha lavorato come programmatore di computers in
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Inghilterra, per la IBM. Subito dopo si è iscritto alla
Università del Texas di Austin dove ha potuto continuare a
studiare, insegnando contemporaneamente inglese a gruppi
di principianti, proprio per potersi mantenere all’università.
Questo periodo trascorso in Texas è stato particolarmente
proficuo per la preparazione didattica di Coetzee, il quale,
dopo aver conseguito nel 1969 la specializzazione in
linguistica, con tesi finale sull’uso dell’inglese nella fiction
di Samuel Beckett, ha intrapreso la carriera universitaria,
coprendo l’incarico di docente presso l’Università di Buffalo,
per poi tornare nuovamente, nel 1971
1
, in Sudafrica, dove
ha insegnato letteratura presso l’Università di Cape Town.
Negli ultimi anni Coetzee si è spostato frequentemente
alternando periodi di insegnamento in America a ritorni in
patria fino al 2002, quando si è trasferito in Australia, ad
Adelaide, dove vive attualmente con la nuova compagna,
nonché collega di lavoro, Dorothy Driver, e dove
recentemente, il 6 marzo 2006, ha preso la cittadinanza
australiana.
La sua formazione mostra quindi una certa divisione,
risultato dell’adeguarsi da un lato allo stampo prettamente
accademico assorbito negli Stati Uniti, dall’altro
all’impostazione marxista, o almeno fortemente
progressista, assimilata in Sudafrica: nella sua personalità
s’incontrano un occidente forte, colonizzatore, avanzato e
1
Il ritorno in Sudafrica è avvenuto dopo le numerose e ripetute
richieste da parte di Coetzee di ottenere la cittadinanza americana, ma
a causa delle sue esplicite proteste contro l’intervento militare degli
Stati Uniti in Vietnam tale permesso non fu mai concesso allo
scrittore.
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uno dei paesi politicamente più oppressi, il Sudafrica
appunto, con un passato di sfruttamento ancora non del
tutto superato. Anche l’identità personale di Coetzee
rispecchia una profonda dicotomia: il ramo familiare
paterno, infatti, discende direttamente dai coloni olandesi
che nel diciassettesimo secolo si stabilirono nel continente
africano e che rendono il nostro autore, di fatto, un
Afrikaner (appartenente cioè alla minoranza razziale bianca
di discendenza boera), mentre il ramo materno lo lega alla
lingua e alla cultura inglesi. Questi due ambiti
profondamente contrastanti divengono in Coetzee facce di
una stessa medaglia, alimentando ambivalenze e antinomie
che determinano il suo modo di affrontare molte delle
tematiche presenti nelle sue opere.
2
Coetzee scrittore ha sempre palesato una radicata
opposizione all’apartheid e a qualsiasi tipo di violenza
contro i diritti umani, ma, come si è già accennato, egli non
vuole essere uno scrittore “di parte” e preferisce oggettivare
la propria posizione mediante le implicazioni simboliche o
allegoriche delle sue opere. Egli stesso conduce una vita
riservata, evitando ogni forma di impegno attivo.
Sviluppatasi all’interno del Postmodernismo, e in
particolare di quello di tipo post-coloniale, la sua opera
indubbiamente utilizza tecniche e strategie letterarie che
mirano a rappresentare fedelmente, oggettivamente
2
La dicotomia che connota la formazione culturale e personale
dell’autore è stata sottolineata da Laura Giovannelli, che evidenzia la
ricchezza e l’ambiguità espressiva da essa prodotta. Cfr. Viaggi ai
Margini – I mondi narrativi di Julian Barnes e J. M. Coetzee, Edizioni
ETS, Pisa 2006, p. 72.
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l’identità di una parte dei popoli ex-colonizzati, dei quali,
peraltro, egli non si sente veramente portavoce; nei suoi
romanzi infatti la narrazione è affidata a una voce autoriale
senza autorità, titubante, chiaramente consapevole della
propria marginalità. I primi, in particolar modo,
concentrano l’attenzione sui problemi che hanno afflitto ed
affliggono il Sudafrica, ma non forniscono soluzioni o prese
di posizione nette e marcate: semplicemente spingono il
lettore a riflettere su tali problemi e sulle dinamiche della
narrazione che li oggettiva. In primo piano resta la
problematica “classica” del rapporto tra letteratura,
pensiero, esperienza, indagato alla luce di opere come
quelle di Beckett, Barthes, Kafka e Dostoevskij, e affidato
ad un discorso nel quale, in un modo tipicamente
postmoderno, il confine tra i generi letterari tende a farsi
sempre più labile: Elizabeth Costello rappresenta il punto
d’arrivo di questo processo evolutivo, divenendo, come
afferma David Attwell in uno studio monografico su
Coetzee, “situational metafiction”, un romanzo che
racchiude in sé aspetti che appartengono a generi
solitamente distinti.
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3
David Attwell è autore di numerosi saggi, oltre che di uno studio
monografico sullo scrittore, dal titolo J. M. Coetzee: South Africa and
the Politics of Writing, University of California Press, Berkeley Cape
Town, 1993, p. 18, in cui appunto sottolinea le difficoltà incontrate da
Coetzee nel conciliare le problematiche collegate alle proprie origini
sudafricane con le sperimentazioni di tipo postmoderno, come l’auto-
riflessività e l’autoreferenzialità.
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Narrazione e riflessione sono due direttrici spesso
intersecatisi nella produzione di Coetzee, dove infine si
fondono proprio nell’opera qui presa specificamente in
esame: Elizabeth Costello.
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2. La narrativa
Coetzee ha pubblicato dodici romanzi, in un arco
temporale che va dal 1974, anno in cui uscì Dusklands, il
suo primo lavoro in prosa, al 2005, in cui è apparso The
Slow Man; Elizabeth Costello (2003), la penultima opera
dello scrittore, edita nello stesso anno in cui egli ha vinto il
Premio Nobel per la letteratura, segna nel percorso
artistico di Coetzee una tappa importantissima in quanto
punto d’arrivo (temporaneo) di un’evoluzione che, sotto il
profilo tecnico-strutturale, lo ha portato sempre più a
“limare” i confini tra i generi letterari e le forme della
scrittura.
Qui mi limiterò a considerare l’evolversi della
produzione letteraria dell’autore appunto in relazione a tale
esito e anche alle problematiche affrontate in Elizabeth
Costello. Va preliminarmente sottolineato che mentre
un’evoluzione indubbiamente c’è sotto il profilo artistico,
Coetzee resta tuttavia per tutta la sua carriera letteraria
fedele ad un proprio ideale di onestà intellettuale, ad uno
sforzo supremo di oggettività nell’affrontare i problemi che
vengono via via in primo piano nelle sue opere, sforzo che fa
di lui uno scrittore mai “schierato”, mai “impegnato”,
sebbene alle proprie origini egli non possa sfuggire e si trovi
perciò nella situazione di chi si sente “a colonizer who does
not want to be a colonizer”
4
.
4
Tale definizione è stata proposta da S. Watson, il quale sottolinea
l’inevitabile influenza che il colonialismo ha avuto anche in coloro che
si sono comunque opposti alla mentalità coloniale. S. Watson,
15
La produzione di Coetzee può essere suddivisa in due
macrogruppi, al centro dei quali si colloca Foe (1986) –
opera caratterizzata da elementi singolari che la rendono
tra le più originali scritte dall’autore e che costituisce un
vero e proprio “ponte” tra il primo ed il secondo. In
entrambi, comunque, i personaggi principali mostrano
alcuni tratti comuni: sono solitamente connotati da
profondi travagli interiori – specchio di quelli vissuti dallo
scrittore stesso – e si trovano invariabilmente alle prese con
alternative impossibili, di fronte alle quali compiono scelte
in genere non comprese e/o non accettate: il loro operato è
infatti in genere mal interpretato tanto dai “persecutori”
(che in Elizabeth Costello sono incarnati dai vari oppositori
alle idee della protagonista), quanto dai “perseguitati”;
questi ultimi, figure di (anti)eroi, solitamente sono rinnegati
dal sistema, ma sono anche estranei a chi è da loro difeso,
col risultato di configurarsi come dei martiri incompresi e/o
condannati; essi sono comunque incapaci di apportare un
qualche contributo positivo alle cause per cui vorrebbero
lottare. In loro il pensiero non riesce a divenire stimolo per
un’azione positiva.
Appartengono al primo macrogruppo romanzi che
presentano tematiche connesse alle difficoltà politico-sociali
del Sudafrica, con riferimenti più o meno espliciti (e più o
meno integrati nel mondo finzionale) alla cruda realtà del
paese di origine dello scrittore; in essi il discorso è spesso
“Colonialism and the Novels of J. M. Coetzee”, in Research in African
Literatures, 17(3), Fall 1986, p. 377.
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affidato alla voce di un “colonizzatore dissidente”, di cui
sono messi in risalto tutti i conflitti e i dubbi interiori, ma
nel testo vengono anche inserite riscritture di documenti
storici e, in piccola parte, biografici contestualizzati
nell’universo narrativo. In questo primo gruppo di opere,
che s’incentra sulla dicotomia colonizzatori / colonizzati,
emergono spesso vere e proprie denunce delle ingiustizie
perpetrate dal colonialismo occidentale, denunce che vanno
a toccare tematiche forti, come la tortura e la violenza
(tematiche trattate anche in Elizabeth Costello e
sostanzialmente criticate da un Coetzee più maturo,
quando descritte in modo estremamente particolareggiato e
insistito).
Le opere appartenenti al secondo macrogruppo,
invece, a partire dal testo The Master of Petersburg (1994),
fino ad Elizabeth Costello, mostrano una subordinazione
della problematica del colonialismo ad altre legate alla
dimensione dell’intertestualità o dell’autoreferenzialità,
mentre più numerosi si fanno i riferimenti autobiografici
inseriti nel contesto finzionale. Questo processo evolutivo
trova il proprio sbocco proprio in Elizabeth Costello, dove
inoltre si registra anche un sostanziale prevalere del
discorso saggistico su quello narrativo. Tale discorso,
inoltre si rivolge non più al mondo esterno, che diviene
contorno e sfondo, ma a quello interno al testo, alle sue
dinamiche e strategie (includendo nella finzione anche la
voce autoriale, con il suo vissuto personale), e proprio
perciò ho definito tali opere come quelle connotate da una
forte autoriflessività.
17
Dusklands (1974), come accennato precedentemente,
è il primo romanzo di Coetzee a mostrare le terribili
conseguenze che la mentalità colonialista e imperialista
occidentale ha portato con sé; strutturato in due storie
separate, mette in parallelo le azioni militari americane in
Vietnam con le spedizioni del diciassettesimo secolo in
Sudafrica attraverso le vicissitudini del protagonista
Jacobus Coetzee.
5
Le due linee narrative rinviano quindi
contemporaneamente sia ai primordi che agli sviluppi più
recenti della realtà coloniale e sono unite dal comune tema
della riflessione sul potere, procedendo così nel solco della
tradizione di Heart of Darkness di J. Conrad, ed esplorando
ossessioni che, tanto nel 1760 quanto nel 1970, appaiono
intimamente legate alla colonizzazione.
Appartenente anch’esso al primo gruppo, In the Heart
of the Country (1977), è il secondo romanzo scritto da
Coetzee; ambientato in una desolata fattoria, è raccontato
da una giovane donna, sensibile, intelligente, inquieta,
Magda, che presenta qui un fallito tentativo di conciliare il
mondo dei colonizzatori con quello dei colonizzati. Coetzee
utilizza una prosa ricca e drammatica, grazie alla quale
rende una vicenda familiare ambientata nel cuore del
Sudafrica uno specchio amaro della terribile esperienza
coloniale. L’opera si collega abbastanza strettamente ad un
5
Il cognome Coetzee è estremamente diffuso tra i discendenti dei
coloni olandesi che si stabilirono in Sudafrica nel diciassettesimo
secolo e che vengono appunto definiti Afrikaneer; essi costituiscono la
minoranza razziale bianca che tuttora detiene il potere nel paese; una
minoranza cui J. M. Coetzee stesso appartiene per parte paterna,
sebbene egli ne abbia rinnegato principi e morale. Cfr. Giovannelli, op.
cit., p. 72.
18
altro romanzo di Coetzee, Disgrace (1999), che, pur
appartenendo al secondo corpus di opere dello scrittore,
presenta anch’esso un personaggio femminile (in questo
caso secondario) in un ruolo per qualche aspetto analogo a
quello di Magda: una donna legata alla propria terra,
proprietaria di una fattoria che ella difende a costo di
subire violenza (sessuale) ed umiliazioni.
Nel 1980 viene pubblicato Waiting for the Barbarians,
testo in cui si affronta la delicata tematica della tortura,
mostrandone gli aspetti disgreganti e terribili; ambientato
nella frontiera estrema di un anonimo Impero, s’impernia
sulla figura di un anziano e bonario responsabile
amministrativo che vede arrivare in questo avamposto
dimenticato alcuni militari mandati dall’Impero per
catturare i “barbari”, accusati di invadere i territori del
paese. L’uomo si troverà a prendersi cura di una straniera,
da lui soccorsa dopo le torture subite dai soldati durante
un interrogatorio, ma a causa di ciò diventa egli stesso un
nemico da umiliare; da un lato quindi abbiamo i “barbari”
di nome e dall’altro quelli di fatto, ovvero i funzionari
dell’Impero, che realmente usano la violenza per imporsi. Le
descrizioni minuziose e quasi compiaciute delle torture a
cui sono sottoposti i prigionieri, troveranno poi una sorta di
autocontestazione in Elizabeth Costello, dove la
protagonista riconosce quanto di inevitabilmente morboso e
malsano finisce per esserci in questo tipo di scrittura che
può avvicinarsi pericolosamente alla pornografia.