5
percorso ben preciso; l’artista ha infatti sviluppato una solida
conoscenza delle tecniche espressive, dalla pittura alla fotografia.
I risultati a cui giunge nell’immagine in movimento, uniti in una
poetica tanto particolare e compatta, arrivano dunque da diversi
ambiti, le storie che ci mostra, parlano diversi linguaggi.
A questo proposito, nella seconda parte della ricerca, dopo
una rapida e necessaria presentazione dell’artista, si è voluto
rintracciare le influenze, riconosciute e in ogni caso evidenti, che
hanno contribuito a forgiare il suo stile singolare e subito
riconoscibile, da molti definito come uno tra i più inquietanti ed
estremi.
In particolare, il secondo capitolo affronta la questione del
multilinguismo, della contaminazione espressiva che, potremmo
dire, costituisce l’essenza del suo stile.
Dal momento che nel percorso di Floria Sigismondi
l’immagine si presta a molteplici ordini e procedure artistiche
differenti, è a partire dai suoi lavori video che si è tentato di
rintracciare da un lato la componente pittorica, attraverso alcuni
riferimenti opportuni, come Francis Bacon e Gottfried Helnwein,
dall’altro quella fotografica, per osservare quanto questi linguaggi
abbiano evidentemente plasmato il suo modo di vedere e
percepire la realtà, forgiato il suo approccio all’immagine, e
6
quanto essi rivendichino la propria presenza nel processo di
ideazione dell’immagine stessa.
Nella terza parte si è entrati nel vivo della questione,
accostandosi e analizzando il linguaggio visivo dell’artista.
Sono emerse alcune tematiche ricorrenti, che si intrecciano, a
un livello più profondo, ad un’unica e coerente concezione della
realtà e dell’arte; la metamorfosi, il cambiamento come
condizione obbligatoria, il corpo come luogo di un’intensa
sperimentazione enunciativa, la presenza simbolica dell’ animale.
Sono stati analizzati i personaggi che popolano i suoi lavori,
strane e grottesche creature dai movimenti convulsi, e i luoghi,
inquietanti scenari dove essi si muovono.
Vista la scarsezza di materiale a disposizione(poiché nulla di
esaustivo è ancora stato scritto a proposito di quest’artista, se non
brevi e sporadici articoli), fondamentale per questo lavoro è senza
dubbio stata la possibilità di interagire con lei, attraverso
un’intervista da me realizzata il 16 settembre 2006, via mail.
Essa è divenuta uno strumento necessario, guida costante e
spesso unico punto di riferimento per intraprendere e sviluppare
questa ricerca, che nasce da un profondo interesse e da una
enorme stima per quest’artista e il suo universo creativo.
7
CAPITOLO 1
UN FENOMENO AUDIOVISIVO: IL VIDEOCLIP
1.1 Videoclip: genesi di un linguaggio
Secondo i critici musicali, quando si parla della nascita del
videoclip è opportuno partire da quello che viene considerato il
primo film sonoro, cioè The Jazz Singer, un musical del 1927 di
Alan Crossland.
Come sostengono Reiss e Feineman
1
, non è sorprendente il
fatto che si tratti di un musical, quanto piuttosto che soltanto
diversi anni dopo, studi come la Paramount si sarebbero
impegnati nella produzione di brevi film musicali, considerati i
veri antenati del videoclip. Tali film brevi (della durata tra i 3 e gli
8 minuti), chiamati soundies, vennero realizzati negli Stati Uniti tra
il 1941 e il 1947, commissionati dai proprietari dei teatri come
intrattenimento del proprio pubblico, spesso come accessorio e
supporto dei film veri e propri.
1
Cfr. S.Reiss, N.Feineman, Thirty Frames Per Second.The Visionary Art of the Music
Video, Harry N.Abrams, 2000.
8
Immediatamente si rivelarono lo strumento ideale, la vetrina
migliore per promuovere artisti jazz; fu grazie ad essi che artisti
come Billie Holiday, Cab Calloway, Duke Ellington, Bessie Smith,
ebbero visibilità.
Anticipando un trend che avrebbe poi continuato ad
influenzare la produzione di videoclip per molto tempo, essi
erano, per gran parte, documentazioni di performance musicali su
di un palco o su di un set. Fin da subito dimostrarono di essere
migliori di quello che avrebbero dovuto, cioè semplici strumenti
di promozione.
Malgrado il valore e la rilevanza che ad essi, al giorno d’oggi,
vengono riconosciuti, purtroppo ce ne restano pochissimi; di
quelli girati in Europa rimangono solo residui e scarti, salvo alcuni
di quelli realizzati in Germania da Oskar Fischinger(1900-1967).
Ad egli va senz’altro il merito di essere stato un originale,
importantissimo pioniere del settore, i cui lavori, realizzati
secondo una formula molto particolare per l’epoca, cioè
sincronizzando immagini astratte con musica classica o jazz,
arrivarono ad essere conosciuti anche in America. Il suo lavoro
più noto è la sequenza di apertura in Fantasia
2
, considerato dagli
2
Il critico Michael Shore addirittura ricorda che la BBC nel 1986 , in un
programma chiamato VIDEO JUKE BOX, riconosceva in Komposition in Blau,
un film di Fischinger del 1934, un antecedente importantissimo del moderno
videoclip.
9
esperti del settore una notevole influenza del video musicale.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la produzione di tali
film musicali diminuì notevolmente, al punto da scomparire, ma
dopo la guerra si assistette a una sua resurrezione. Questa forma
musicale rinasce sotto le spoglie di programmazione per un
pesante video juke-box chiamato The Panoram Sound(che pesava 2
tonnellate, e aveva uno schermo diagonale di 20 pollici con un
sistema di retro-proiezione dei film). Malgrado il suo peso, il
Sound si diffuse parecchio, divenendo un impianto presente in
molti locali, mettendo in vetrina una grande varietà di artisti jazz,
pop e rock.
Chiaramente dagli anni 50, l’avvento della tv e dunque il suo
effettivo peso, lo resero obsoleto, così ebbe una nuova, breve
resurrezione negli anni 60, con lo Scopitone, un video juke-box
realizzato in Francia(proponeva film musicali in 16 mm, a colori,
con hit francesi, europee ed internazionali).
Vengono spesso menzionati i musical hollywoodiani degli
anni 50 come un altro importante fattore che ha influenzato la
nascita del videoclip. Per esempio Blackboard Jungle, del 1959,
interpretato da Elvis Presley, inavvertitamente offrì il primo
esempio di quanto un film potesse abilmente vendere una
canzone: non a caso, la sua colonna sonora, Rock around the clock,
10
uscì l’anno prima senza successo, e il film, non solo la fece
risorgere, ma la rese un vero e proprio classico.
L’invasione inglese della metà degli anni 60, diede a questa
forma il suo successivo salto di partenza: gli show televisivi come
Top of the pops o Ready Steady go, che prendono avvio a partire dal
1963, avevano bisogno di atti musicali, ogni settimana. L’unico
ostacolo era rappresentato dall’elevato costo degli spostamenti
della band in questione, così le case di produzione e le etichette
iniziarono a realizzare dei promo, dei mini video promozionali
delle band di maggior successo: essi divennero in breve tempo
una valida alternativa al touring, giacché soddisfacevano la
richiesta visuale, diventando la costante di tutti gli show televisivi
orientati al rock.
Le radici del videoclip dunque vanno rintracciate anche in
questi film, alcuni dei quali erano straordinari, e la loro
particolarità, la loro stravaganza cresceva di pari passo con la
popolarità della band.
Per esempio furono We can work it out, o clip promozionali
come Strawberry Fields Forever, Penny Lane a fare dei Beatles una
delle band più importanti del momento, e poi, della storia.
Soprattutto perché grazie a loro, e alla mania che ne conseguì,
l’industria televisiva si rese conto della vertiginosa richiesta di
musica in tv.
11
Malgrado tale profonda sinergia che si venne a creare tra
industria televisiva e discografica, è dalla seconda metà degli anni
settanta che si assiste a una vera e propria svolta nel panorama
della produzione videomusicale inglese; come scrivono Reiss e
Feineman
3
, a metà degli anni settanta questi film erano parte
integrante dell’esperienza rock giovanile.
In Inghilterra, nel 1974, esce Bohemian Rapsody dei Queen. La
struttura di questo brano venne considerata talmente complessa
da impedirne la performance live: la realizzazione del video fu
una vera sfida. Fu realizzato in 4 ore da Bruce Gowers, un
giovane regista, e mostrato per la prima volta su Top of the Pops
numerose settimane dopo l’uscita del singolo. Prima del video
esso non era niente più che una hit minore, ma il video lo spinse
rapidamente al numero uno, dove rimase per undici settimane.
Nessuno, compresi i Queen, erano preparati per questo
incredibile successo, che spinse le case discografiche a realizzare
sempre più promo clips.
A Londra, nello stesso momento, sorsero le prime case di
produzione specializzate in videoclip musicali e gradualmente
iniziarono a manifestarsi i primi segnali di una cultura del
videoclip.
3
Cfr. S. Reiss, N. Feineman, Thirty Frames Per Second. The Visionary Art of the
Music Video, op. cit..
12
Invece negli Stati Uniti il fenomeno cominciò ad imporsi
solo a partire dal 1977, a causa di una profonda sfiducia da parte
dei responsabili di produzione e degli autori televisivi nei
confronti di questo originale mezzo di promozione musicale. In
più, le case discografiche si dimostravano contrarie alla
produzione di videoclip che andassero al di là della semplice
documentazione della performance live(«reportage live»)
4
.
Alla fine del 1979 nasce Video Concert Hall, un canale
musicale via cavo che trasmetteva videoclip, e America’s Top 10,
che proponeva la classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti
utilizzando esclusivamente la visibilità di questi testi audiovisivi.
Il 31 luglio 1981 iniziano le trasmissioni di MTV, il primo
canale via cavo interamente dedicato alla musica, trasmessa 24 ore
al giorno. Come ai tempi venne scritto su Billboard magazine, MTV
fu «la più grande impresa pubblicitaria della storia
5
», che propose
un modo completamente inedito di guardare la tv, un nuovo,
diverso approccio alla visione e all’ascolto, dal momento che ad
essere mostrati non erano solo semplici video-registrazioni delle
performance live dei musicisti, bensì si trattava di «visive
4
P. Peverini, Il videoclip.Strategie e figure di una forma breve, Roma, Meltemi, 2004,
pp. 21-22.
5
S. Reiss, N. Feineman, Thirty Frames Per Second. The Visionary Art of the Music
Video, cit. , p. 19.
13
interpretazioni della musica, fortemente e finemente stilizzate,
che si servivano delle più avanzate tecniche video
6
».
Fin da subito conquistò le case di produzione e le etichette
discografiche, facendo sì che questa forma breve iniziasse ad
essere considerata, come sostiene il critico Simon Firth
7
, lo
strumento di promozione per eccellenza.
Come possiamo dunque osservare, è dalla prima metà degli
anni 80 che la produzione dei videoclip e la relativa distribuzione
televisiva sono considerati strumenti imprescindibili
8
.
6
Ibidem.
7
P. Peverini, Il videoclip. Strategie e figure di una forma breve, op. cit. , p. 23.
8
Ibidem.
14
1.2 Analisi di un formato breve
Una forma d’arte di circa tre minuti che si sviluppa e cresce
accidentalmente, esattamente come accade ad altre forme d’arte. In
origine inteso semplicemente come un’aggiunta visiva al disco[…]. I suoi
più prossimi antenati, probabilmente sono gli spot televisivi…o quei
brevi filmati che appaiono durante i titoli principali di James Bond o The
Pink Panther.
Breve, rapido, allucinatorio e lirico: queste sono le caratteristiche del
video, al suo meglio. E non appena la forma evolve, è interessante
osservare come le immagini, il flusso visivo, divengano importanti
quanto il testo della canzone stessa, se non di più…
F. Mc Connell
[…]Il video musicale è un frutto bastardo e ibrido dell’arte, caduto in
qualche luogo tra il film breve e la grande pubblicità.
M. Shore, The Rolling Stone Book of Rock Video, 1984
[…]Oggetto ontologicamente sfuggente, puro flusso visivo senza inizio
né fine inserito nella vertigine postmoderna del palinsesto.
15
B. Di Marino,Clip. 20 anni di musica in video(1981-
2001)
In parte una pubblicità, in parte un film breve, esso ha
oltrepassato il limite tra arte e commercio, scardinato lo sviluppo
narrativo e dei personaggi, e accorciato la soglia d’attenzione di
un’intera generazione.
Esattamente come altri brevi formati contemporanei
9
, si
tratta di un prodotto denso e versatile, spesso difficilmente
decifrabile, a volte sovraccarico di significato e di
sperimentazione tali da impedirne una lettura unitaria. Situato in
questa linea di confine, la sua condizione ibrida obbliga a un
incessante confronto tra la crudezza, il rigore del marketing e la
libertà dell’arte
10
.
A dispetto della loro ridotta durata, questi micro-testi da un
punto di vista semantico contengono un’ incredibile quantità di
informazioni; pur nascendo come strumento di promozione,
hanno sviluppato una propria autonomia linguistica, favorita dal
fatto che sintetizzano in sé tre elementi fondamentali: la musica,
le immagini, il testo. L’eclettica natura del videoclip ha
naturalmente spinto gli studiosi e gli esperti del settore a elaborare
9
Cfr. I. Pezzini, a cura di, Trailer, spot, clip, siti, banner. Le forme brevi della
comunicazione audiovisiva, Roma, Meltemi, 2002.
10
Cfr. P. Peverini, Il videoclip. Strategie e figure di una forma breve, op. cit.
16
alcuni modelli esplicativi generali, nel tentativo di classificare le
varie forme espressive che questo prodotto continua ad assumere.
Il primo a proporre una classificazione delle tipologie dei
video è stato Arnold S. Wolfe
11
, che distingue tra videoclip
performance e videoclip concettuali; nei primi viene presentata la
semplice esibizione della band, mentre nei secondi viene
privilegiata la messa in scena di una breve storia.
Nel 1984 J. D. Lynch riprende tale distinzione
12
e individua
tre modelli generali: videoclip performance, videoclip narrativi e videoclip
non narrativi.
Il critico musicale Michael Shore, una delle più rilevanti voci
del settore, nel 1985 differenzia i videoclip performance realizzati con
la tecnica del lip synch, che permette di sincronizzare le parole con
i movimenti delle labbra del performer, dai videoclip altamente
concettuali, i quali sono «sovraccarichi di immagini e narrativamente
ambigui, al punto da raggiungere solo occasionalmente la parvenza di un
plot
13
».
11
A. S. Wolfe, Rock on Cable. On Mtv. Music Television, the First Music Channel, in
«Popular music and society », vol. 9, n. 1, 1983.
12
J. D. Lynch, Music Video from Performance to Dada-Surrealism, in «Journal of
Popular Culture», vol. 18, n. 1, 1984.
13
M. Shore, The Rolling Stone Book of Rock Video, London, Sidgwick & Jackson,
1984, p. 99.