Godimento dunque. Ecco il concetto fondamentale attorno al quale si sviluppa tutto il
pensiero di Žižek. Godimento che, lungi dal rappresentare la forma postmoderna di edonismo
individualistico, è invece considerato nella sua dimensione dirompente di categoria politica (Žižek
direbbe piuttosto «fattore politico»): qualsiasi posizione soggettiva di enunciazione non è mai
neutrale, bensì già-da-sempre inscritta in un tessuto ideologico che la rende contemporaneamente
anche politica; e al fondo di ogni posizione politica vi è sempre in gioco una qualche forma di
godimento.
Sullo sfondo del «godimento come fattore politico» si può allora mettere in nuova luce la tesi
lacaniana de «l’inconscio strutturato come un linguaggio», o, più precisamente, «come un
linguaggio dell’Altro»
4
: infatti, l’essere già da sempre gettato in un preesistente universo di senso
del soggetto significa che egli si costituisce propriamente in un’assenza, come per sempre alienato
da se stesso entro un contesto simbolico-linguistico in cui non può mai dominare completamente
«ciò che intendeva dire». Il soggetto diventa così termine di un movimento dialettico in cui per
essere pienamente se stesso, per godere di se stesso, deve rinunciare a sé, non essere se stesso, in
altre parole deve godere ma dell’altro (il godimento proprio in quanto funziona in maniera indiretta
è infatti, secondo Lacan, sempre «godimento dell’altro»): godi il tuo prossimo come te stesso,
dunque; è così che Žižek riscrive il comandamento cristiano. Si tratta ovviamente di un lettura di
Lacan con Hegel (i due riferimenti fondamentali di tutto il pensiero žižekiano) il quale ne La
Scienza della Logica attribuisce all’ente finito/determinato la qualità di essere costituito
simultaneamente del suo opposto negativo – il non-ente; gli attribuisce cioè la qualità di riferirsi a
sé come altro ovvero come negativo. L’omologia strutturale tra il pensiero di Lacan e quello di
Hegel vale altresì per il Grande Altro, l’ordine simbolico entro il quale il soggetto è inscritto e che
non può essere considerato una semplice catena significante: anch’esso si costituisce, attraverso la
riflessione in sé che assume il negativo, come intrinsecamente «barrato», «non-tutto» [pas tout],
cioè strutturato attorno ad un vuoto, un buco. Ed è proprio il Reale di quel buco che funziona da
limite intrinseco a tale ordine e lo affetta attraverso l’indefinita insistenza su se stesso che scatena il
godimento, ciò che proprio per questo Lacan può definire «il Reale del Simbolico». In termini
lacaniani ciò equivale a dire che la struttura simbolica non può mai chiudersi su se stessa se non nel
indiscernibili. Tuttavia Žižek fa ampio uso di questo termine riferendosi all’intrinseca politicità del soggetto il quale
struttura lo spazio intersoggettivo attraverso la fantasmatica soggettiva ed il suo legame con il godimento.
4
Lacan categorizza negli anni cinquanta questo nuovo elemento del suo pensiero come «Altro» maiuscolo per segnare
la differenza con «l’altro» minuscolo inteso come simile, come altro io. L’Altro rappresenta l’ordine simbolico che si
traduce nell’ordine familiare, culturale, sociale cui il soggetto è già da sempre sottomesso. La tesi del primato
dell’ordine simbolico, di derivazione strutturalista, colloca il soggetto in una trama impersonale di significanti che egli
non ha creato ma nella quale è preso, così come lo è nel retaggio della propria cultura.
riferimento ad un elemento apparentemente spurio: l’universalità simbolica, il tentativo soggettivo
di dare un senso simbolico alla realtà, necessita di un appiglio esterno – il punto di capitone – la cui
repressione strutturale regge l’ordine simbolico stesso. L’universalità è dunque strutturalmente
bucata, essa si regge sull’esteriorità di questo elemento che la rende eternamente non-tutta.
5
Il Reale come termine correlativo del godimento ci porta così a riconoscere che la forma di
soggettività come negatività che si relaziona indefinitamente a sé va necessariamente estesa
dall’individuale all’universale, e dunque al politico. La verità dell’universale politico diventa allora
possibile solo attraverso il riconoscimento del rovescio negativo della politica stessa, del lato
osceno della legge senza il quale la legge stessa non potrebbe sussistere. È qui che si inserisce
l’interesse di Žižek per la cultura di massa: i suoi continui riferimenti cinematografici come quelli
alla cultura popolare (pop culture) lungi dall’essere ornamento o esemplificazione di un discorso
teoreticamente complesso sono invece un momento teoreticamente fondante. La cultura di massa,
intesa come doppio immaginario del simbolico Altro, contiene la verità nascosta e oscena di
quest’ultimo; essa è, in altre parole, un sintomo di come una società organizza il proprio accesso al
godimento. L’Immaginario del Grande Altro è il modo in cui il discorso simbolico del Padre
6
, il
Potere, raddoppia fantasmaticamente se stesso al fine di occultare la sua inconsistenza, di coprire il
vuoto attorno al quale si costituisce. In questo senso, piuttosto che rappresentare le tendenze
represse di una società, la fantasmatica propria dell’Immaginario è il modo in cui i soggetti si
strutturano definitivamente dentro l’ordine simbolico rinunciando al movimento dialettico che
invece sarebbe loro proprio.
Tutto il lavoro di Žižek è teso a riattivare tale dialettica attraverso l’insistenza sul Reale, o
meglio, attraverso il Reale che insiste: in questo saggio non faremo altro che perseguire questo
toglimento.
5
Per una migliore comprensione di questo punto teoreticamente molto complesso si richiamerà all’attenzione il classico
esempio di Wittgenstein del campo visivo contenuto nel Tractatus (Cfr. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus
e Quaderni 1914-1916 (1961), trad. It. Einaudi, Torino 1998, pr. 5.633) : nel campo visivo la visione si origina
dall’occhio ma proprio per questo, cioè in quanto condizione di possibilità della visione, esso rimane fuori dal campo
visivo stesso. Analogamente, il soggetto in quanto origine dell’ordine simbolico ne è escluso, o meglio, ne è incluso
fuori.
6
Secondo Lacan, affinchè il campo delle regole simboliche – la Legge – conti effettivamente come proibizione, deve
paradossalmente essere fondato su una qualche autorità tautologica oltre le regole stesse che dica: “È così perché lo dico
io!”. La funzione di tale significante, rappresentato dal Padre/Padrone [Maître], diventa così quella di coprire
l’inconsistenza strutturale dell’Altro conferendo coesione al sistema simbolico; si noti infatti che il Padre, proprio in
quanto significante limite e tautologico, è un significante vuoto, cioè senza alcun referente, e dunque la consistenza che
conferisce all’ordine dell’Altro funziona solo a livello di immaginario.
Secondo Žižek, tutta la fantasmatica soggettiva è organizzata intorno al mistero del
godimento. È proprio questo godimento nella sua declinazione più intrinsecamente politica ciò che
tiene insieme una comunità nella forma dell’identificazione con una specifica forma di trasgressione
della legge.
Quella di jouissance è una categoria centrale anche nel pensiero di Lacan
7
ed è considerata
come ciò a cui si deve rinunciare al fine di poter accedere all’ordine sociosimbolico. Tuttavia il
punto cruciale per Lacan è che si deve evitare l’illusione di avere rinunciato a qualcosa che
precedentemente avevamo; è proprio questa fantasia che genera lo spettro del «furto di godimento»
8
e che sostiene il nucleo osceno del potere nella forma della narrazione mitica di come l’accesso al
godimento venga precluso da qualche minaccioso agente esterno responsabile della sua perdita
(ebrei, alieni, extra-comunitari, meridionali, ecc.).
Qual è lo statuto del godimento rispetto al desiderio? Se la prima versione lacaniana del
desiderio era quella del desiderio come desiderio dell’Altro, cioè come domanda di riconoscimento
simbolico rivolta all’Altro, di riconoscimento inter-soggettivo che presuppone la mediazione
simbolica della Legge; nel tardo Lacan il desiderio viene invece teorizzato come metonimia
9
della
mancanza-ad-essere. Tale formula oltrepassa l’orizzonte del riconoscimento simbolico in quanto
mostra un aspetto trascendente del desiderio che, da un lato, viene a corrispondere alla mancanza
che lo produce e, dall’altro, è supportato da questa stessa mancanza che si mantiene sempre identica
a se stessa pur essendo l’oggetto del desiderio ogni volta diverso. Non è dunque il desiderio che è
del soggetto ma piuttosto il soggetto che è del desiderio; desiderio che infatti lo trascende e lo
assoggetta alla catena significante nella quale emerge l’incompatibilità del desiderio stesso con la
parola, cioè l’impossibilità di esprimerlo linguisticamente.
È in questo cortocircuito linguistico che si apre la questione del godimento come irriducibile
al desiderio. Il desiderio si manifesta sempre nella sua articolazione dialettica con l’Altro, il
desiderio è sempre desiderio dell’Altro; il godimento invece è in rapporto alla Cosa, l’oggetto
perduto freudiano, una «realtà muta» che, piuttosto che segnalare l’esistenza di un’origine
precedente la rimozione, indica l’idea di una perdita originaria. È attorno ad essa che gravita tutta
7
Cfr. J. Lacan, Il Seminario, Libro XX. Ancora (1972-1973) (1975), trad. It. Einaudi, Torino 1983.
8
Secondo Lacan, tale formazione fantasmatica ha la funzione di coprire l’inconsistenza del significante paterno
attraverso uno spostamento simbolico che individua nell’altro il responsabile della frustrazione del proprio desiderio.
9
La metonimia è una formazione linguistica che testimonia il funzionamento dei processi inconsci. Essa offre la
possibilità di raffigurare l’oggetto che soddisfarebbe il desiderio inconscio spostandolo senza fine lungo la trama delle
allusioni a oggetti contigui. Tale spostamento non perviene mai tuttavia ad un oggetto definitivo; di fatto, la proibizione
dell’incesto (la castrazione), privando il soggetto dell’accesso all’oggetto del desiderio, fonda il desiderio stesso sulla
mancanza: in altre parole, anche il desiderio è metonimico.
l’attività rappresentativa dell’uomo e tuttavia essa è un vuoto al centro del reale, non rientra nel
campo simbolico-immaginario del senso; essa è piuttosto il buco interno all’ordine simbolico.
Tale vuoto, la x che Lacan definisce «oggetto a»
10
, non è però direttamente la Cosa, non
coincide completamente con il godimento ma è piuttosto un godimento localizzato che offre al
soggetto la possibilità fantasmatica di compensare la perdita di godimento reale e al contempo
sostiene la fantasia di un accesso pieno ad esso. Come nota Lacan nel Seminario XX, il godimento
segue strettamente la logica della prova ontologica dell’esistenza di Dio: secondo questa prova, il
mio percepirmi come essere finito e limitato fa immediatamente nascere la nozione di un essere
infinito e perfetto che, in quanto tale, non può non esistere; analogamente, il nostro accesso ad un
godimento finito e localizzato – in termini psicanalitici – «castrato» fa nascere in me la nozione di
un godimento pieno e illimitato la cui esistenza è presupposta da ogni soggetto e sempre associata
all’altro (il soggetto-supposto-godere). L’oggetto a indica quindi contemporaneamente sia l’oggetto
perduto sia il residuo di questa perdita, cioè ciò che la compensa e che perciò conferisce al soggetto
la possibilità di realizzare, a partire da questa sottrazione di godimento, un più di godimento, o
meglio, un plusgodimento
11
.
Proprio in riferimento al plusgodimento correlato all’oggetto a si capisce come il godimento
sia al di là del principio del piacere
12
: mentre infatti il piacere si produce attraverso una sorta di
equilibrio lungo l’asse bisogno-soddisfazione, il godimento è destabilizzante, traumatico, eccessivo.
Come opera tale godimento a livello politico? L’esempio canonico di Žižek è quello che si riferisce
alle odierne forme di razzismo: esse sopravvivono proprio nel costante riferimento a ciò che è
percepito a livello fantasmatico come il godimento eccessivo dell’altro. Il razzista odierno non si
limita semplicemente a disprezzare l’altro (tale posizione nel tempo del politically correct sarebbe
inaccettabile), egli piuttosto si dimostra compiacente verso lo straniero («io non sono razzista
ma…») sebbene ci sia quel dettaglio molesto, quel qualcosa di fastidioso nell’altro: il suo odore, il
10
In psicoanalisi con il termine oggetto si intende l’elemento correlativo della pulsione e cioè ciò tramite cui la pulsione
arriva a un certo soddisfacimento. L’oggetto è l’elemento più variabile della pulsione in quanto non è direttamente
collegato ad essa ma le è assegnato soltanto per il fatto di rendere possibile il suo soddisfacimento. La peculiarità
dell’oggetto a è di essere una formazione limite che non ha alcun correlativo.
11
Tale nozione è di evidente derivazione marxiana: così come il plusvalore si realizza a partire da una sottrazione (la
parte di lavoro che non viene retribuita dal salario) che nondimeno permette al capitalista di realizzare il suo profitto, il
plusgodimento si realizza a partire dalla rinuncia originaria che tuttavia regola l’accesso al godimento stesso. In
entrambi i casi, la condizione che permette la produzione di un plus dipende da una spoliazione originaria: il «più» si
costituisce sempre sullo sfondo di una perdita. (Cfr. A. Di Ciaccia e M. Recalcati, Jacques Lacan, Mondadori, Milano
2000, cap. 5).
12
S. Freud, Al di là del principio del piacere (1920) in Opere di Sigmund Freud 9 (1917-23), a cura di C. L. Musatti,
Bollati Boringhieri, Torino 1977.
cibo che mangia, il modo di vestire; quella caratteristica indecifrabile che viene percepita come
eccessiva ed attorno alla quale si condensa il godimento dell’altro.
A livello più generale, tutta la politica conta sull’economia perversa del godimento. Quando
nel 1943 Goebbels pronunciò il suo discorso sulla «Guerra totale» nella conclusione chiedeva a
gran voce la «mobilitazione totale» e rivolgendosi alla folla domandava: volete lavorare di più?,
chiudere teatri e ristoranti costosi? e così via sulla linea della rinuncia ai piaceri (ovviamente la folla
euforica rispondeva «sì!»); infine chiede: volete uno stato di guerra totale? E la folla grida ancora
una volta il suo estatico «sì!». Questo è il godimento come categoria politica nella sua forma più
pura: è assolutamente chiaro che le espressioni drammatiche del discorso e le ingiunzioni rivolte
alla folla a rinunciare ai piaceri ordinari della vita venivano compensate dalla produzione di uno
stato di euforico godimento che oscurava il contenuto esplicito del discorso.
13
A fronte di questo esempio non si può però sostenere che ricercando soddisfazioni dirette del
desiderio è possibile evitare questo tipo di godimento perverso. Il problema infatti è che il
godimento non funziona mai in maniera diretta bensì solo attraverso un’interferenza esterna. È di
nuovo il caso paradossale delle permissive società occidentali che, da un lato, fanno del
perseguimento del piacere il loro obiettivo primario e, dall’altro, regolano l’accesso ad esso in
maniera subliminale attraverso categorie sociali quali prestanza fisica, magrezza, abbronzatura che
sottopongono i soggetti a nuovi regimi disciplinari
14
che ancora una volta rovinano l’accesso pieno
al piacere.
Da quanto detto sembra che oggigiorno non si stia affatto assistendo alla realizzazione della
«politica del godimento» o – come il Papa vorrebbe – della «cultura dell’edonismo», quanto alla sua
regolazione e amministrazione. Il godimento è infatti in sé un eccesso innominabile che proprio per
questo si cerca di regolare. In breve, se l’imperativo superegoico che attualmente ci obbliga a
godere funziona in modo opposto all’imperativo kantiano ovvero sostituisce il «Puoi, perché devi!»
con un «Devi, perché puoi!», l’ingiunzione edonistica a «provare tutto», a «godere fino in fondo»
trasforma inevitabilmente il godimento consentito in godimento obbligatorio. L’esito di questo
processo è che le ingiunzioni che ci intimano a godercela e a realizzare fino in fondo la nostra vita
sono in verità ingiunzioni che mirano a evitare il godimento eccessivo in favore della ricerca di un
equilibrio. Basti pensare a tutta la mistica New Age o al buddismo pop che fanno della «giusta
13
Cfr. G. Daly e S. Žižek, Conversations with Žižek, Polity Press, Cambridge (UK) 2004, p. 114.
14
Sulla questione dei regimi disciplinari si veda: M. Foucault, Microfisica del Potere (1977), trad. It. Einaudi, Torino
1977.
misura», cioè l’evitare i comportamenti estremi, il loro principio orientatore.
15
Tuttavia è troppo
semplicistico denunciare le modalità di godimento proposte dal mercato come false, un vuoto
contenitore senza sostanza: è infatti proprio questo buco, questo vuoto al centro dei nostri piaceri
ciò che struttura il godimento stesso.
1. Nazionalismo come fantasma di un furto.
La funzione più strettamente politica del godimento non è tanto quella di regolamentare le
possibilità di accesso ad esso, quanto quella di fungere da collante sociale attraverso la sua
incarnazione in una «cosa» che catalizzi le capacità di identificazione simbolica dei suoi membri e
simultaneamente sostenga, attraverso il fantasma del suo furto, le fantasie paranoiche di una
minaccia esterna. L’insorgere a partire dagli anni ’90 di tutta una nuova ondata di nazionalismi, con
i suoi caratteristici fenomeni di xenofobia e razzismo, ha proprio a che vedere con questa dinamica
perversa del godimento. L’identificazione nazionale è sostenuta infatti da una relazione con la
nazione in quanto cosa, cioè in quanto nucleo specifico grazie al quale noi siamo noi stessi, una
«cosa nostra» accessibile solo a noi e di cui «loro» non possono partecipare sebbene la minaccino
costantemente.
La nazione-cosa assume ogni volta connotazioni diverse: è destinata in gran parte a rimanere
un’entità elusiva di cui si riconoscono i frammenti nel «nostro stile di vita», nelle feste, cerimonie e
rituali intorno ai quali una comunità si riconosce; essa è, per così dire, «la cosa reale»
16
ovvero
quella modalità specifica e univoca attraverso la quale la comunità organizza il proprio godimento.
Bisogna però fare attenzione, questa x indecifrabile non è direttamente la somma dei rituali di
identificazione simbolica che costituiscono lo «stile di vita» di una nazione; essa è qualcosa di più,
essa rispecchia la struttura riflessiva dello spazio inter-soggettivo entro il quale i membri di una
comunità «credono nella loro cosa» poiché «credono che gli altri credano». La cosa, o meglio
«causa», nazionale esiste finché i membri della comunità credono in essa, essa è effetto di questo
credere. Tuttavia, come già abbiamo visto nel discorso di Goebbels, tale tessuto ideologico non
avrebbe alcuna consistenza se non fosse, oltre il suo testo esplicito, oggetto dell’investimento
libidico dei soggetti che vi si appellano. Una nazione esiste solo in quanto la sua specifica forma di
15
Cfr. S. Žižek, America oggi, Abu Ghraib e altre oscenità (2005), trad. It. Ombre Corte, Verona 2005, cap. 2.
16
“It’s the real thing” è il vecchio slogan della Coca-Cola. Nel dettato inglese real può anche significare “vero,
autentico, puro”, la cosa reale è dunque quel nocciolo duro di autenticità e genuinità che è riferimento essenziale
nell’identificazione nazionale.
godimento continua a materializzarsi nelle sue pratiche sociali e conferisce così consistenza
ontologica al discorso nazionale.
Il nazionalismo diventa così il luogo privilegiato dell’esplodere del godimento di una
società: la causa nazionale non è altro che il modo in cui i soggetti organizzano il proprio
godimento attraverso miti nazionali. Ciò che è in gioco nelle tensioni etniche è sempre il possesso
della cosa nazionale, cioè la paura che «l’altro», a cui imputiamo un godimento eccessivo e
perverso, possa sottrarcela. E questo è anche il paradosso di fondo in cui tale fantasmatica è
strutturata: la cosa è infatti concepita come inaccessibile all’altro e allo stesso tempo è
costantemente minacciata da esso. Quello che viene taciuto quando si imputa all’altro il furto di
godimento è che noi non abbiamo mai posseduto ciò che sosteniamo ci sia stato rubato: la rinuncia
al godimento (la castrazione) è infatti originaria; in altre parole, il godimento si dà solo in quanto
rubato, la sua presenza si dà come assenza, come toglimento.
La comprensione di tale logica è fondamentale per afferrare i processi ideologici
contemporanei. Ciò che innesca la logica del furto di godimento non è infatti le realtà sociale in
quanto tale, ma piuttosto l’antagonismo intrinseco alla comunità stessa ed, in particolare,
l’antagonismo intrinseco alla società capitalistica. Quando, ad esempio, sentiamo la classica frase
razzista «Ci sono troppi immigrati nelle nostre strade!», quello che ci dobbiamo chiedere è «come –
da che punto di vista – il soggetto realizza ciò che dice?» Ovvero come è organizzato lo spazio
simbolico per permettergli di percepire la presenza degli immigrati come un fastidioso eccesso? La
percezione di una mancanza così come quella di un eccesso implica sempre un universo simbolico
di riferimento che in qualche misura predetermina il modo in cui «leggiamo» la realtà.
17
La nostra
percezione dell’ebreo, così come quella di un eccesso di immigrati nelle nostre strade, è sempre
mediata da una struttura ideologico-simbolica attraverso la quale viene sublimato tale antagonismo.
Il punto fondamentale è che il godimento si costituisce precisamente attraverso questa
dislocazione; in altre parole, la sua organizzazione fantasmatica non può prescindere da questa
trasposizione della percezione dell’antagonismo sociale nella fascinazione dell’altro. È per questo
che la logica del furto di godimento bene esemplifica la tesi lacaniana secondo la quale il godimento
è sempre godimento dell’altro e quindi l’odio verso il godimento dell’altro è sempre odio verso il
proprio godimento. Che cosa sono le fantasie sull’eccessivo godimento dell’altro – ad esempio sulla
superiore potenza sessuale dei neri o sullo speciale rapporto col denaro degli ebrei o sullo
17
Cfr. S. Žižek, The Specter of Ideology in Aa. Vv., Mapping Ideology, edited by Slavoj Žižek, Verso, London-New
York 1994, pp. 10-12.
stacanovismo dei giapponesi – se non altrettante modalità di organizzare il nostro stesso
godimento? Quando si prova una particolare soddisfazione nel supporre che l’altro goda in modi a
noi inaccessibili, in tale fascinazione è all’opera proprio la rappresentazione della nostra peculiare
relazione con il godimento; l’altro dunque non è semplicemente una minaccia alla nostra identità,
ma dà forma alla nostra alienazione fondamentale e ci evita così l’identificazione completa con noi
stessi, con quel nucleo osceno che «è in noi più di noi stessi»: l’odio verso l’altro è, in ultima
analisi, l’odio verso il nostro stesso eccesso di godimento.
Ma questa non è anche la formula base dell’idealismo hegeliano? La riflessione in se stesso, il
ribaltamento auto-riflessivo del conflitto che scopre in ciò che combatte il suo stesso eccesso? La
ragione che si confronta con l’altro da sé è in verità impegnata nel confronto con il suo stesso
costitutivo eccesso, con il suo momento di follia: nell’attivarsi del movimento di opposizione
all’Altro si sta in verità combattendo il proprio nucleo eccessivo. La freudiana pulsione di morte è
precisamente il nome di questa costitutiva follia della ragione: nel tentativo di spiegare il
funzionamento della psiche umana in termini di principio del piacere, Freud diventa sempre più
consapevole di un disturbante malfunzionamento, di un momento di radicale negatività di cui non
poteva rendere ragione; e questo è esattamente ciò che egli indica come pulsione di morte e a cui
poi Lacan associa la dimensione di negatività originaria del godimento. Tutta la riflessione di Žižek
è incentrata su questa lettura incrociata della pulsione di morte in termini della negatività auto-
riflessiva propria dell’idealismo tedesco e proprio su di essa si regge la circolarità soggetto-Altro in
cui si articola il godimento.
2. Il discorso politically correct.
Nel discorso delle potenze occidentali, che si oppone sistematicamente al nazionalismo e
dunque ne è il momento negativo, l’espressione dell’ambivalenza nei confronti del godimento
dell’altro è data da quell’atteggiamento ossessivo che si definisce politically correct e che implica la
rinuncia sistematica di tutta quella gamma di comportamenti che suoni razzista, sessista o
comunque discriminatoria. Sullo sfondo di questo atteggiamento vi è ovviamente il punto di vista
tollerante del multiculturalista in base al quale tutti gli individui condividono lo stesso diritto ad
affermare la propria specificità, cioè il proprio peculiare modo di godimento; solo la posizione di
maschio-bianco-eterosessuale deve rimanere vuota ovvero deve sacrificare il proprio godimento in
favore di quello degli altri. Tuttavia, tutti questi sforzi di rinuncia e di sacrificio sono in definitiva
una farsa, è uno stratagemma che nasconde il fatto che l’individuo politically correct non può
rinunciare a ciò che conta davvero: l’atto stesso del sacrificio. La sua menzogna fondamentale – la
menzogna del sacrificio – consiste dunque nel disconoscere il fatto che il suo obiettivo è quello di
assicurarsi che ci sia un Altro in grado di replicare al sacrificio: lungi dall’implicare la consapevole
accettazione della castrazione, esso rappresenta il modo più sofisticato per rinnegarla, cioè per agire
come se si possedesse davvero il tesoro nascosto che ci rende un degno oggetto d’amore.
Analogamente all’auto-umiliazione ascetica, il soggetto politically correct nasconde dietro al
suo sacrificio l’auto-compiacimento per l’essersi elevato ad una posizione di superiorità rispetto agli
altri. In breve, l’atto stesso di svuotare la posizione di maschio-bianco-eterosessuale di ogni
contenuto positivo eleva tale posizione a forma universale della soggettività. Questa, al fine di
mantenere la propria egemonia ovvero al fine di poter sostenere lo sguardo idealizzante che l’Altro
le rivolge, necessita della politically incorrectness quale doppio osceno contro il quale erigersi. Il
vero timore di questa forma di soggettività è allora la scomparsa del problema che sostiene la sua
posizione ovvero la scomparsa degli «scorretti» contro cui apparentemente si scaglia.
18
Infine, è impressionante notare con quanta rapidità la tolleranza multiculturalista scemi di
fronte a fenomeni culturali disturbanti quali l’infibulazione in Somalia, la pratica indiana in cui le
donne si lasciano bruciare assieme al marito defunto oppure l’obbligo del velo nelle società
musulmane. Mentre le prime due mettono irrimediabilmente in discussione la posizione
multiculturalista, almeno la questione del velo supera l’impasse nel momento in cui le donne
indossano il velo non per imposizione ma per libera scelta. Tuttavia, la donna musulmana che
accetta tale cambio di prospettiva, cambia allo stesso tempo il significato stesso del velo: esso non è
più segno di appartenenza alla comunità islamica ma espressione della sua individualità
idiosincratica. Ecco perché, più in generale, chi decide di conservare un’appartenenza religiosa
nelle nostre società laiche si trova sempre in una posizione subordinata: le sue convinzioni sono
tollerate, ma solo come espressione delle proprie personali opinioni idiosincratiche; nel momento in
cui se ne fa una questione di appartenenza sostanziale esse divengono «fondamentaliste».
L’inganno ultimo del tollerante multiculturalista è dunque proprio quello di bandire qualunque tipo
differenza «verticale» che con il suo riferimento ad un contenuto universale riaccenda
l’antagonismo sociale, per sostituirlo con l’idea neutra di differenze «orizzontali» con le quali
dobbiamo imparare a convivere in quanto si completano l’una con l’altra. È così che
18
Cfr. S. Žižek, Tarrying with the negative, Duke University Press, Durham 1993, cap. 6. Si veda anche Id., Difesa
dell’Intolleranza (1998), trad. It. di L. Chiesa, Città Aperta, Troina (En) 2003.
l’atteggiamento egemonico odierno è diventato quello della «resistenza» nella forma di gruppi di
pressione (omosessuali, malati, pensionati, immigrati, emarginati, ecc.) che si oppongono al potere
centrale.
19
Il crudele paradosso che investe la tolleranza multiculturalista è che il suo contrappunto
necessario è la segregazione. Nell’era del capitalismo globale, le uniche cose che possono circolare
liberamente sono le merci, mentre la circolazione delle persone è sempre più controllata e ciò non è
in nessun modo dato dall’incompiutezza del «progetto globale» quanto piuttosto dalla sua intrinseca
vera dialettica che oggi si materializza nella spinta a costruire sempre nuovi muri (non solo quello
tra Israele e Cisgiordania, ma anche quello spagnolo a Gibilterra, parte di un programma più vasto
di chiusura dello spazio europeo, e infine la chiusura della frontiera tra Stati Uniti e Messico). È
così che coloro che rimangono dall’altra parte del muro diventano sempre più oggetto di fantasie:
essi si trovano sempre più in un altro mondo, in una zona vuota che funge da schermo per la
proiezione delle nostre paure, angosce e desideri.
20
La logica perversa del politically correct ritorna anche nell’ideologia della vittimizzazione.
Žižek a questo proposito distingue due livelli nel discorso della vittima (una, per così dire,
vittimologia): da un lato vi è il discorso della vittima proprio della classe media delle società
occidentali basato su una logica narcisistica per cui ogni contatto con l’altro è una minaccia
potenziale alla propria soggettività; dall’altro, ci sono gli esclusi del Terzo Mondo la cui posizione
di vittima richiede come condizione aggiuntiva che gli si proibisca di trasformarsi in agenti attivi.
Nel primo caso, tale discorso si manifesta nella forma della molestia: noi come soggetti siamo
costantemente vittime di molestie verbali, sessuali, di qualche forma di violenza, del fumo, persino
dell’obesità. Una vittimologia così declinata è allora necessariamente accompagnata dalla «logica
del risentimento», risentimento nei confronti di coloro che sono supposti godere attraverso un gesto
eccessivo (si pensi all’atto di fumare) che disturba il mio normale accesso al piacere e dunque mi
danneggia. La caratteristica specifica di questa logica coincide con una chiamata indirizzata
all’Altro affinché rimetta le cose in ordine e mi indennizzi per il godimento di cui vengo privato.
Al contrario, nella sua declinazione, per così dire, terzomondista essa, da un lato, ci presenta
l’altro come meritevole di compassione e altresì bisognoso del nostro intervento umanitario (si
pensi ai reportage sui bambini malnutriti africani, ecc.) e, dall’altro, giustifica le ingerenze delle
potenze occidentali nel resto del mondo a partire dalla posizione del paladino dei diritti dell’uomo
19
Id., Difesa dell’Intolleranza, cit.
20
Id., Presunzioni Sbagliate in “Internazionale” n° 614, Anno XII, 28/10/2005.
che difende le specificità etniche (questa non è altro che la variazione a livello di politica estera
della posizione di enunciazione del maschio-bianco-eterosessuale). Žižek fa qui riferimento al
paradosso del bombardamento NATO in Jugoslavia durante il conflitto in Kosovo: esso non
consisteva tanto nel fatto, lamentato dai pacifisti, che attraverso il bombardamento si sarebbe
causato il disastro umanitario che si intendeva evitare, quanto in quello che la NATO, intervenendo
in favore delle vittime kosovare, si preoccupava al tempo stesso che queste rimanessero vittime.
Infatti, negando aiuti finanziari all’UCK (l’esercito di liberazione del Kosovo) e bloccando il suo
patrimonio finanziario, la NATO impediva attivamente l’unica valida alternativa all’intervento delle
forze armate occidentali ovvero la creazione di una forza politico-militare autosufficiente ed
autonoma. Con questa strategia perversa la NATO si è resa co-responsabile del dramma che
intendeva evitare. Il paradosso di questo intervento, che risponde perfettamente alla logica della
vittimizzazione, è che l’altro da proteggere è «buono» solo e soltanto nella misura in cui rimane una
vittima (e per questo i servizi sul Kosovo vertevano su immagini di madri inconsolabili, vecchi o
bambini terrorizzati e sofferenti, ecc.); nel momento in cui l’altro si presenta come forza attiva, ecco
che si trasforma in terrorista o fondamentalista.
21
La variazione, per così dire, politico-governativa della posizione di maschio-bianco-
eterosessuale spiega inoltre perché l’Occidente sia stato tanto affascinato dal crollo del comunismo
nell’Europa orientale. È come se la consumata democrazia occidentale, a partire dai primi anni ’90,
avesse vissuto un momento di rinascita e di reinvenzione attraverso la democratizzazione dei Paesi
dell’Est. Ovviamente tale fascinazione era puramente ideologica: l’Europa orientale funzionava in
quel frangente da punto di vista da cui l’Occidente vedeva se stesso in forma gradevole e
idealizzata; era come se lo sguardo dei paesi dell’est potesse cogliere ancora il tesoro che produce
l’entusiasmo democratico e che nei paesi occidentali è già da tempo perduto.
22
L’avvento dei
nazionalismi ha presto infranto queste fantasie, tuttavia, poiché come abbiamo visto la posizione
della soggettività universale multiculturalista si può sostenere solo sullo sfondo di uno sguardo
idealizzante, il mondo occidentale si regge oggi sull’ipotesi fantasmatica che il resto del mondo
voglia entrare a farvi parte ovvero sull’ipotesi che il Terzo Mondo guardi all’occidente come il
punto ideale cui tendere. In breve, ciò che in definitiva affascina i paesi occidentali, al di là delle
diverse forme che esso assume, è lo sguardo dell’Altro su di noi; nonostante noi per primi non
crediamo in noi stessi, vi è tuttavia qualcuno che crede ancora in noi, vi è ancora qualcuno che ci
21
Cfr. Id., Il godimento come fattore politico (2000), trad. It. Raffaello Cortina, Milano 2003, cap. 3.
22
Cfr. Id., Tarrying with the negative, cit., cap. 6.
guarda desiderando di essere come noi. Questa è la forma fondamentale dell’immaginario tardo-
capitalista, la fantasia che sostiene la società occidentale: il puro sguardo.
3. Coca-Cola come oggetto a.
In che modo la logica del godimento così delineata diventa la caratteristica specifica delle
società capitalistiche? Secondo Žižek, il capitalismo si caratterizza per la totale assenza di uno stato
di equilibrio che rappresenti la normalità; esso consiste piuttosto in uno squilibrio strutturale, nella
produzione permanente di un eccesso: l’unico modo di sopravvivere per il capitalismo è di
espandersi. È questo fondamentale presupposto che permette a Lacan di sostenere che esso
sostituisce il discorso del Padrone (quello dell’etica pre-capitalistica che regola l’accesso ai piaceri
attraverso la loro interdizione) con il discorso dell’Isterico che scatena il circolo vizioso per cui la
soddisfazione dei propri bisogni e desideri non fa che aumentare l’insoddisfazione e dunque
produce ancora più bisogni da soddisfare. Il paradosso fondamentale del capitalismo consiste
nell’accettare il fatto che il solo modo per preservare e aumentare il proprio capitale è di spenderlo:
questo fenomeno non si riscontra persino nelle più basilari strategie di marketing che fanno appello
all’economia del consumatore? Il messaggio ultimo di tutte le offerte promozionali e della
pubblicità (dal 3x2 al 10% di dentifricio omaggio ai 100 sms gratuiti al giorno a soli 8€) non è forse
«più spendi, più risparmi» oppure «comprane di più ed avrai un surplus gratuito»? In definita, nella
cornice capitalista la definizione di prezzo giusto è un prezzo scontato e dunque il consumo diventa
possibile solo nella forma del suo contrario: il fare economia; non vi è in altre parole alcun consumo
smodato, quanto il suo essere permesso solo nella forma manifesta del suo opposto.
23
Questo circolo vizioso della compulsione al consumo ci permette di capire quale sia il legame
tra la dinamica capitalistica del plusvalore e quella libidica del plusgodere. Žižek elabora tale
raffronto riferendosi alla Coca-Cola come «plusgodere incarnato».
24
La Coca-Cola – merce
capitalistica per eccellenza – nel suo trascendere il diretto valore d’uso (come, ad esempio, l’acqua
che placa la sete e dunque produce un appagamento del desiderio) rappresenta il puro plusgodere,
cioè quella x evanescente, l’IT
25
che noi tutti ricerchiamo nel consumo smodato delle merci. È
proprio il suo carattere superfluo che rende la sete di Coca-Cola insaziabile: più ne bevi, più ne
23
Cfr. S. Žižek, Credere (2001), trad. It. di G. Illarietti e M. Senaldi, Meltemi, Roma 2005, pp. 18-23.
24
Cfr. Id., Il godimento come fattore politico, cit., cap. 3.
25
Uno degli slogan più recenti delle campagne pubblicitarie Coca-Cola era: “Coke, that’s IT!”.
berresti. La Coca-Cola quale oggetto a, cioè come plusgodere, corrisponde allora perfettamente alla
logica eccessiva del plusvalore: più profitto ottieni, più ne vuoi; da qui tale alterazione è applicabile
a tutti gli altri ambiti per analogia («più soddisfi i tuoi desideri, più sei insoddisfatto», «più compri,
più devi spendere» o, come accade nel Terzo Mondo, «più accetti gli aiuti del FMI, più ne diventi
dipendente», ecc.). L’oggetto a diventa così la chiave di questa dinamica: esso si dà in una sorta di
«spazio curvo nel quale più ti avvicini ad esso, più esso elude la tua presa (o, più lo possiedi, più si
accresce la mancanza).»
26
È precisamente in questa cornice che si incontra il denaro nella sua forma
più pura: l’incredibile aumento delle richieste di risarcimento conseguente all’affermarsi della
logica della vittima (basti pensare alle richieste di risarcimento alle grandi multinazionali del
tabacco per danni da fumo, o a quelle di persone obese alle catene di fast food americane o
addirittura a quelle degli ebrei per le sofferenze dell’olocausto) non fa che riprodurre questa
dinamica isterica in cui il denaro – il consumo – diventa l’impossibile equivalente di ciò che non ha
prezzo: il desiderio stesso nella sua forma metonimica.
Questa dinamica vertiginosa del «più» che traduce l’elusività dell’oggetto perduto nell’ambito
del capitalismo non è anche un buon esempio di come esso ci costringa a confrontarci
costantemente con la natura illusoria della realtà? Žižek individua nell’ironia postmoderna dello
scambio tra mondo occidentale e orientale un momento chiave della contemporaneità: proprio
quando il capitalismo occidentale trionfa in tutto il mondo, la sovrastruttura ideologica giudaico-
cristiana è minacciata dall’avanzata del pensiero asiatico new age. Questo è, secondo Žižek, il più
alto esempio di identità degli opposti che ci offre la civiltà globale contemporanea. Il buddismo
pop, infatti, risulta essere il perfetto complemento ideologico del capitalismo; esso si presenta come
un rimedio alla tensione stressante delle dinamiche capitalistiche attraverso la ricerca della pace
interiore grazie alla quale possiamo prendere le distanze dai ritmi vertiginosi della società. Il
progresso avanza troppo in fretta per permettere agli individui di andare adattandosi di pari passo,
dunque il ricorso a pratiche orientaleggianti permette di seguire la corrente e al tempo stesso
mantenere la necessaria distanza interiore, distanza basata sull’intuizione che tutti i rivolgimenti
sociali e tecnologici sono in realtà una proliferazione non sostanziale di apparenze. La lezione del
buddismo pop riguarda dunque il fatto che possiamo partecipare al gioco capitalista, ma sempre
mantenendo una certa distanza interiore, conservando cioè sempre la consapevolezza che non è la
realtà oggettiva la fonte della nostra sofferenza quanto piuttosto il nostro attaccamento ad essa.
27
26
Cit. S. Žižek, Il godimento come fattore politico, cit., p. 121.
27
Cfr. Id., Capitalismo stellare in “Internazionale”, n° 591, Anno XII, 20/05/2005.