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vengono considerate, su un piano psicologico, particolarmente
rilevanti; in seguito ad approfondimenti clinici e sperimentali in
tale direzione, si ritiene che la regolazione affettiva giochi un
ruolo importante nell'insorgenza di disturbi fisici. Considerando
come passaggio fondamentale, nella caratterizzazione della
risposta emozionale, la componente sentimentale che deriva da
un modo particolare di organizzare le sensazioni corporee e
comprendere le modificazioni obiettive, corporee (vegetative e
somatiche), l’elemento centrale è quello del particolare sentire
subiettivo legato a tali trasformazioni (Ruggieri, 1988). Alcune
risposte vegetative (tachicardia, sudorazione, iperpnea, parestesie
ecc.) relative a condizioni di ansia o di paura, possono essere
scatenate da convinzioni specifiche, e queste risposte
fisiologiche, a loro volta, possono portare a specifiche
attribuzioni di significato rispetto a quelle stesse emozioni
(Lazarus, 1993; Reda & Caridi, 1979; Mahoney, 1978; Valins,
1966). L’ipotesi n questo lavoro è, che il soggetto con DAP,
percepisca le diverse oscillazioni della propria esperienza
corporea, ma non ne riconosca il “sentimento” sottostante.
L’attivazione dei meccanismi biologici non è accompagnata
dall’attivazione della dimensione soggettiva di tipo psicologico
che è alla base di esperienze personali e relazionali (Ruggieri,
7
2003). Quando si verifica una forte attivazione neurovegetativa,
non è la semplice percezione cenestesica a provocare uno “stato
di ansia”, ma piuttosto il modo con cui una persona si spiega
questo aumento di tono dell’arousal, il modo in cui lo interpreta.
Nel disturbo da attacchi di panico si crea un pattern che rende
l’esperienza corporea staccata dalla radice emotigena, in quanto
non c’è riconoscimento dello stimolo ma soltanto una reazione
sproporzionata ad esso. Analizzando la letteratura recente
riguardante gli attacchi di panico, approfondita nel terzo capitolo,
si può riscontrare che i risultati di parecchie ricerche
sperimentali, concordano sul fatto che ci sia una disfunzione nel
riconoscimento e nella gestione delle emozioni da parte di
soggetti con tale disturbo, correlata ad una percezione accentuata
delle sensazioni somatiche e ad una erronea interpretazione delle
sensazioni corporee (Barlow, 1988). Per sviluppare questa ipotesi
iniziale si è partiti dall’approfondire il DAP, dalla descrizione e
dai criteri del DSM IV. All’interno del primo capitolo infatti, si è
cercato di fornire una descrizione dettagliata delle caratteristiche
diagnostiche di tale disturbo, insieme alle diverse manifestazioni
che esso può avere. Nel secondo capitolo si è cercato di fornire
un’ approccio psicofisiologico al DAP, evidenziando come, in
questo disturbo, manchi un’integrazione narcisistica armonica
8
delle informazioni corporee, così che possa esserci un piacere
subiettivo, dato da tale integrità, che permetta di sentire
attraverso il proprio corpo le emozioni e di riconoscerle. Nel
terzo capitolo si è iniziata ad evidenziare l’importanza che
assume la modalità di gestione emozionale all’interno del
disturbo preso in esame, e al fine di conoscere ed approfondire la
letteratura classica ed odierna sul tema delle emozioni si è
cercato di tracciare le linee principali di autori che hanno
sviluppato delle teorie e delle ricerche sulle emozioni. Partendo
da Darwin, che ne ha sottolineato la funzione adattiva, viene
proposta una breve panoramica sulle teorie delle emozioni,
soffermandosi sugli assunti teorici di James e Lange, che hanno
dato centralità nel vissuto emozionale alla percezione delle
modificazioni corporee, a quelli di Cannon e Bard che
riportarono la genesi delle emozioni nel Sistema Nervoso
Centrale, dando al talamo il ruolo centrale dell’esperienza
emozionale. Vengono menzionate inoltre alcune teorie cognitive,
che hanno dato centralità al processo di valutazione mentale
dell’evento, fino ad arrivare alle teorie contemporanee delle
emozioni, che con Taylor e Parker (1997), ad esempio, sono
inserite in un capitolo più ampio, che fa parte della regolazione
degli affetti. E’ stato inoltre approfondito il ruolo che hanno le
9
prime relazioni nella regolazione degli affetti e nella conseguente
gestione delle emozioni, ricollegandosi alle teorie, illuminanti in
tale ambito, di Bowlby, Winnicott e Mahler. Nel quarto capitolo
viene esposto un approccio biologico al panico, che riporta
l’attenzione al Sistema Nervoso Centrale, considerandolo centro
di disfunzioni biologiche, come ad esempio nel caso
dell’attivazione inadeguata del sistema noradrenergico,
responsabile della genesi sintomatologica del DAP. Il quinto
capitolo riporta una panoramica dei principali interventi
terapeutici, dalla terapia cognitivo-comportamentale, alla
farmacologica, all’intervento psicofisiologico integrato,
affiancata da una panoramica riguardante gli effetti nel tempo di
queste terapie e un approfondimento riguardo il problema delle
recidive al termine del trattamento terapeutico.
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Capitolo primo
Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP)
Paragrafo 1.1: introduzione al DAP
Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) compare ufficialmente
nelle classificazioni internazionali nel 1980 sulla base di ricerche
cliniche e psicopatologiche. La proposta di questa categoria
apparentemente semplice condusse al superamento di un concetto
certamente più complesso e con maggiori implicazioni teoriche:
il concetto di nevrosi. In anni recenti gli studi scaturiti dalla crisi
delle classificazioni categoriali a livello clinico hanno messo in
evidenza l'impatto di questo disturbo su altre condizioni, in
particolare d’ansia e dell’umore. Anche la ricerca neurobiologica
e genetica considera oggi il DAP come un indicatore importante
la cui considerazione comporta implicazioni complesse sia sul
piano nosografico che su quello terapeutico (Reda & Canestri,
2004). Il DAP a più di 40 anni dalle prime descrizioni di Donald
Klein che ne definì le caratteristiche psicopatologiche e la
conseguente precisazione di entità clinica, appare oggi più
un’entità eterogenea con la coesistenza di vari sottogruppi clinici
(La Mela, 2004). La caratterizzazione delle nevrosi d’ansia
operata da Freud ha fortemente influenzato l’approccio
11
descrittivo che sottende il moderno sistema nosologico. In effetti,
gli attuali sistemi di nomenclatura, ICD-10 (1992) e DSM-IV
(1994), supportati dalle acquisizioni in campo neurobiologico e
farmacoterapico, hanno ripreso il vecchio concetto di nevrosi
d’angoscia e su di esso hanno categorizzato il cosiddetto
Disturbo da Attacchi di Panico. Con il modello descrittivo che
viene adottato sia dalla World Health Organization (ICD-10) che
dall’American Psychyatric Association (DSM-IV) l’ansia non è
inquadrata come una risposta individuale ad avvenimenti o
tematiche di vita, ma assume la forma di una sindrome clinica,
caratterizzata da una sequenza patologica di attivazioni
neurovegetative (Reda & Canestri, 2004).
Secondo Ciardiello
(2005) nel DAP colpisce quanto viene riportato circa un vissuto
di separazione tra l'espressione corporea e la capacità di
riconoscere l'emozione rappresentata. L'unica emozione
riconosciuta alle diverse attivazioni fisiche (tachicardia,
soffocamento ecc.) è la paura. Le persone affette da panico nelle
sue varie manifestazioni, non sono in grado di risalire alle
emozioni che hanno scatenato quelle attivazioni
neurofisiologiche, ma riescono unicamente a riconoscere quella
da esito finale. Secondo l’autore è possibile supporre che proprio
il mancato riconoscimento emozionale porti ad una sensazione di
12
estraneità sensoriale che, alla fine, è riconducibile alla paura. Un
altro elemento distintivo che può assumere valore differenziale
nel DAP è il fatto che, mentre nelle forme di attivazione somatica
riconducibili all'isteria l'investimento riguarda l'organo e la
funzione specifica relativa, in modo che il sintomo assume un
proprio linguaggio e una propria comunicazione alternativa
rimandando sempre a qualche altra cosa (il sintomo sta per
qualche altra cosa), nel panico ciò che viene investito
affettivamente è il legame tra le funzioni dei diversi organi. E’
quindi investita la funzione di raccordo e il legame tra le stesse
funzioni che in tal modo perdono di senso e significato. Secondo
l’autore proprio questo investimento dà conto sia del valore
aggressivo di quest'affetto sia della valenza relazionale del DAP
(Ciardiello,2005).
Paragrafo 1.2: caratteristiche diagnostiche
Nel DSM IV troviamo una descrizione dettagliata del DAP, in cui
si evidenzia come la caratteristica essenziale di un Attacco di
Panico sia un periodo preciso di paura o disagio intensi, in
assenza di vero pericolo, accompagnati da almeno quattro
sintomi somatici o cognitivi su tredici. Alcuni dei sintomi inclusi
sono, ad esempio : palpitazioni, sudorazioni, sensazione di
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asfissia, dolore al petto, derealizzazione o depersonalizzazione,
paura di morire. L’attacco ha un inizio improvviso, raggiunge
rapidamente l’apice (di solito in dieci minuti o meno), ed è
spesso accompagnato da un senso di pericolo o catastrofe
imminente e da urgenza di allontanarsi. Esistono tre tipi
caratteristici di Attacchi di Panico:
y Attacchi di Panico inaspettati (non provocati) definiti come
quelli in cui il soggetto non associa l’esordio dell’attacco con un
fattore scatenante situazionale interno o esterno (cioè l’attacco è
avvertito come spontaneo, a “ciel sereno”).
y Attacchi di Panico causati dalla situazione (provocati)
definiti come quelli in cui l’attacco si manifesta quasi
invariabilmente, subito durante l’esposizione a, o nell’attesa di,
uno stimolo o fattore scatenante situazionale (per es. un soggetto
con fobia sociale che ha un attacco di panico che inizia parlando
o pensando di parlare in pubblico).
y Attacchi di Panico sensibili alla situazione sono simili agli
Attacchi di Panico causati dalla situazione, ma non sono
invariabilmente associati allo stimolo e non si manifestano
necessariamente dopo l’esposizione (per es. l’attacco si ha dopo
che l’individuo ha guidato per mezz’ora).
Gli individui che richiedono cure per Attacchi di Panico
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inaspettati descrivono solitamente la paura come intensa e
riferiscono di aver pensato di essere in procinto di morire, di
potere perdere il controllo, di “impazzire”. Riferiscono di solito
anche un desiderio urgente di fuggire dal luogo in cui si sta
manifestando l’attacco. Con il ripetersi degli Attacchi di Panico
inaspettati, nel tempo gli attacchi tipicamente diventano causati o
provocati dalla situazione, benché possano esistere attacchi
inaspettati. Per la diagnosi di Disturbo di Panico (con o senza
Agorafobia) è richiesto il manifestarsi di Attacchi di Panico
inaspettati. Gli attacchi causati dalla situazione e sensibili alla
situazione sono frequenti nel Disturbo di Panico, ma si
manifestano anche nel contesto di altri disturbi d’ansia e di altri
disturbi mentali.
Paragrafo 1.3: Criteri per l’Attacco di Panico secondo il DSM
IV.
Un periodo preciso di paura o disagio intensi, durante il quale
quattro o più dei seguenti sintomi si sono sviluppati
improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10
minuti:
1. Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia.
2. Sudorazione.
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3. Tremori fini o a grandi scosse.
4. Dispnea o sensazione di soffocamento.
5. Sensazione di asfissia.
6. Dolore o fastidio al petto.
7. Nausea o disturbi addominali.
8. Sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di
svenimento.
9. Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione
(essere distaccati da se stessi).
10. Paura di perdere il controllo o di impazzire.
11. Paura di morire.
12. Parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio).
13. Brividi o vampate di calore.
La caratteristica essenziale del Disturbo di Panico è la presenza
di Attacchi di Panico ricorrenti, inaspettati, seguiti da almeno un
mese di preoccupazione persistente di avere un altro Attacco di
Panico. Gli Attacchi di Panico non sono dovuti agli effetti
fisiologici diretti di una sostanza (per es. intossicazione da
caffeina) o di una condizione medica generale (per es.
ipertiroidismo). Infine gli Attacchi di Panico non sono meglio
giustificati da un altro disturbo mentale per es. Fobia Specifica o
Sociale). Un Attacco di Panico inaspettato (spontaneo, non
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provocato) è definito come non associato a uno stimolo
situazionale (cioè si manifesta a “ciel sereno”). Gli stimoli
situazionali possono includere stimoli esterni (per es. un oggetto
o una situazione fobica) o interni (per es. eccitazione fisica) al
soggetto. Sono richiesti almeno due Attacchi di Panico inaspettati
per la diagnosi, ma la maggior parte dei soggetti ne ha
considerevolmente di più. Gli individui con DAP mostrano
caratteristiche preoccupazioni o interpretazioni sulle conseguenze
del DAP. Alcuni temono che gli attacchi indichino la presenza di
una malattia non diagnosticata, pericolosa per la vita e ne
rimangono convinti nonostante i numerosi accertamenti medici.
La preoccupazione per il prossimo attacco si associa spesso allo
sviluppo di condotte di evitamento che possono soddisfare i
criteri per l’Agorafobia, nel qual caso è diagnosticato il DAP con
Agorafobia.
Paragrafo 1.4 : DAP e Agorafobia.
La caratteristica essenziale dell’agorafobia è l’ansia relativa al
trovarsi in luoghi o situazioni dai quali può essere difficile
allontanarsi o chiedere aiuto in caso di attacco di panico (criterio
A per l’agorafobia). Spesso le situazioni temute vengono
affrontate solo se si è con un accompagnatore (criterio B). I
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pazienti con disturbo di panico riferiscono spesso di provare
meno panico, ansia anticipatoria e comportamento fobico
evitante quando si trovano in compagnia di persone con le quali
si sentono al sicuro (Rachman, 1984; Seligman & Binik, 1977).
Il continuo evitamento delle situazioni può compromettere la
capacità dell’individuo di condurre una vita lavorativa e/o sociale
normale. Sia l’ansia che l’evitamento fobico non sono attribuibili
a un disturbo mentale di un altro tipo, per es. Fobia Sociale
(criterio C) (DSM IV, 1994).
Paragrafo 1.5 : Sintomi dissociativi.
In senso ampio, il termine dissociazione indica che “due o più
processi o contenuti mentali non sono associati o integrati fra
loro” (Cardeña, 1994). Storicamente il concetto di dissociazione
è stato introdotto per la prima volta alla fine dell’800 da Janet
(“désagrégation”), che lo ha definito come “fallimento
nell’integrazione di esperienze (percezioni, memorie, pensieri,
ecc.) che sono normalmente associate tra loro nel flusso di
coscienza” (Janet, 1889). Partendo dagli studi e dal modello di
Janet, numerosi altri studi hanno utilizzato il costrutto della
dissociazione con significati diversi (Cardeña, 1994), venendo ad
includere fra le esperienze dissociative fenomeni tra loro molto
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diversi come l’ipnosi, la percezione senza coscienza e i
comportamenti automatici (Hilgard, 1986), le forme di memoria
implicita (Kihlstrom, 1982), o in relazione a varie forme di
psicopatologie (Spiegel et al., 1991) e a risposte cognitive ad
eventi traumatici (Cardeña et al., 1993). La dissociazione, in
questa accezione, indica particolari alterazioni dell’esperienza
fenomenica o stati di alterazione di coscienza caratterizzati dal
senso di scollegamento, mancata integrazione e connessione, con
se stessi o con l’ambiente esterno e con ciò che in esso accade.
Rientrano in questa definizione fenomeni relativamente normali e
frequenti nella popolazione non-clinica quali l’assorbimento, che
si riferisce alla tendenza a coinvolgere la propria mente in
situazioni di attenzione alterata e altamente focalizzata (Tellegen
& Atkinson, 1974), ma anche fenomeni più propriamente clinici,
come la depersonalizzazione e la derealizzazione. Nonostante le
esperienze dissociative siano il sintomo caratteristico dei disturbi
dissociativi, esse sono riportate anche in numerosi altri disturbi di
natura psicopatologica e psichiatrica, e, seppur meno
frequentemente, in alcuni disturbi neurologici. I sintomi
dissociativi più frequenti nel disturbo da attacchi di panico sono
soprattutto la depersonalizzazione e la derealizzazione.
La Depersonalizzazione riguarda l’esperienza di avvertire se
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stessi come separati o ad un’insormontabile distanza dalle
proprie percezioni, azioni, emozioni o pensieri. Ad esempio,
l’individuo depersonalizzato può avere l’esperienza di sentirsi
fisicamente intorpidito, come paralizzato, o come se la propria
coscienza si trovasse distante, separata, dalle proprie percezioni
corporee. La persona può avvertire che le azioni del suo corpo
avvengano per conto proprio, come se egli potesse solo osservare
dall’esterno ciò che gli accade (Simeon & Hollander, 1993).
La Derealizzazione riguarda l’esperienza di avvertire ciò che ci
circonda e i suoi abitanti non abbastanza reali, come se si vivesse
in un sogno dove il mondo è privo di sostanza (Cardeña, 1994).
Per indagare il rapporto tra attacchi di panico ed esperienze
dissociative, Ball et al. (1997) hanno sottoposto ad interviste
strutturate e ad una batteria di questionari (tra cui la Dissociative
Experiences Scale) un totale di 56 pazienti con disturbi d’ansia
(13 con solo disturbo di panico, 16 con una comorbidità di
panico ed altri disturbi d’ansia e 27 con disturbi d’ansia diversi
dal panico). Tutti i pazienti hanno evidenziato la presenza di
sintomi dissociativi, e ben il 69% dei soggetti con disturbo da
attacco di panico ha riferito di aver vissuto esperienze di
depersonalizzazione e di derealizzazione (Faleppi, 2006).