10
commessi dai giapponesi durante l’occupazione di gran parte dei paesi del Sud-
Est asiatico (si pensi, ad esempio al c.d. stupro di Nankino, agli esperimenti
biologici in Manciuria, ai massacri seguiti alla caduta di Singapore).
Fu necessario assistere, durante il conflitto, alle perpetrazioni di simili atrocità per
comprendere i rischi insiti nella tutela estrema della sovranità statale e per
divenire pienamente consapevoli delle gravi conseguenze cui poteva portare
l’intangibilità del concetto di Stato sovrano.
A cinquant’anni dallo svolgimento di quei processi si è insistentemente tornati a
parlare di crimini internazionali in relazione ai gravi avvenimenti verificatisi negli
ultimi anni nella ex Jugoslavia e nel Ruanda. Anche in questo caso, la comunità
internazionale ha avvertito la necessità di non lasciare impuniti i responsabili dei
gravi crimini commessi e, a questo fine, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU,
nell’esercizio della propria competenza ad adottare le misure necessarie al
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (cap. VII della Carta
dell’ONU), ha istituito due Tribunali penali internazionali dei quali vedremo in
seguito la strutturazione.
L’istituzione dei due Tribunali ad hoc ha sicuramente posto in evidenza la
fondamentale volontà degli Stati di reprimere questi crimini tramite la creazione
di giurisdizioni supernazionali, in quanto l’attribuzione ad organi giurisdizionali
interni di uno Stato della competenza a reprimere simili crimini, potrebbe, di fatto,
risultare insoddisfacente per diversi motivi: arretratezza economica, sociale e
culturale della comunità statale; la non perfetta indipendenza dei giudicanti –e
quindi la non completa imparzialità rispetto al potere politico, economico o
religioso.
L’istituzione dei due Tribunali ad hoc ha senza dubbio dato un impulso finale alla
creazione della Corte penale internazionale (International Crimininal Court),
ossia di un organo munito di giurisdizione <<globale>> e quindi potenzialmente
in grado di perseguire i più gravi crimini internazionali commessi ovunque nel
mondo. Il processo che ha portato all’istituzione di questo importante Organo
sovranazionale ha comunque visto detrattori e partigiani poiché come aveva
sottolineato Luciano Violante, allora Presidente della Camera, intervenuto alla
cerimonia per la celebrazione del secondo anniversario dell’approvazione dello
11
Statuto, <<esistono fautori di un’esasperata concezione della sovranità nazionale
che vedono con sospetto un’istituzione come la Corte. C’è chi teme che
quest’organismo possa incrinare la sua supremazia nelle relazioni internazionali.
C’è infine chi non ne ha colto tutta la portata civile e innovatrice>>.
Ho inteso procedere all’approfondimento di quanto sopra introdotto, mediante la
strutturazione dell’elaborato in due parti.
La prima, inerente il diritto sostanziale, per descrivere alcuni elementi delle
norme che definiscono gli elementi costitutivi dei crimini internazionali così come
concepiti dal corpus normativo del diritto internazionale penale, nonché per
definire alcuni elementi fondamentali e le fonti di questa branca di diritto
pubblico.
La seconda parte, inerente il diritto internazionale penale processuale, che attiene
in generale ad alcune norme che disciplinano la procedura applicabile nei
procedimenti penali internazionali, che regolano l’esercizio dell’azione penale,
più specificatamene all’istituzione dei tribunali internazionali, ai principi che
regolano i rapporti con gli Stati (Priorità, Complementarietà, cooperazione), al
contributo fornito dai Tribunali ad hoc per l’ex Jugoslavia e Ruanda, per la
formazione del corpo normativo del diritto internazionale penale, attraverso i
precedenti giurisprudenziali rappresentati da alcune importanti recenti sentenze.
In questa seconda parte è stato altresì oggetto di trattazione la composizione dei
tribunali internazionali, i ruoli dei vari attori del processo penale internazionale
con particolare riguardo alla figura del Procuratore, al carattere di terzialità dei
giudici, alla loro astensione o ricusazione.
12
CAPITOLO I
DIRITTO E GIUSTIZIA INTERNAZIONALE
1.VERSO UNA GIUSTIZIA INTERNAZIONALE TRA SPERANZE E
SCETTICISMO
Il concetto, in apertura utilizzato come aforisma, espresso da Antoine Garapon
nell’opera citata, ritengo sia l’approccio giusto, in quanto critico, per esprimere
sinteticamente il quadro di un processo giuridico che ha portato all’attuale
definizione del tema di questo lavoro che è la –giustizia penale internazionale- il
cui progetto, secondo l’autore, rappresenta l’ennesima utopia storica.
Utopia perchè, dopo la fine della guerra fredda, la fase storica iniziata con i
processi di Norimberga e Tokyo sembrava aver subito una improvvisa
accelerazione. Per una di quelle coincidenze di cui la storia gelosamente
custodisce il segreto, proprio nello stesso giorno – il 24 marzo 1999 – i lords
britannici decidevano di negare l’immunità al generale Pinochet e le forze della
NATO davano inizio a un’operazione militare nel territorio della ex Jugoslavia
per porre fine ai crimini di massa nel Kosovo: due gravissimi attacchi alla
sovranità – l’uno giudiziario, l’altro militare – condotti nel nome della lotta contro
l’impunità dei crimini contro l’umanità. Due mesi dopo per la prima volta nella
storia, un capo di Stato nel pieno esercizio delle sue funzioni – Slobodan
Milosevic – ha ricevuto la notifica della sua messa in stato d’accusa per crimini
contro l’umanità ad opera di una giurisdizione internazionale e, il 12 ottobre 2001
si è aperto il processo. L’imputato morirà in circostanze non completamente
chiare, in una cella del carcere olandese di Scheveningen, il giorno 11 marzo
2006.
Infine, l’11 aprile 2002 nasceva la Corte penale internazionale, entrata in funzione
il successivo 1° luglio. Nel frattempo, però, si inseriva un’altra data storica –l’11
settembre 2001- sopraggiunta a contrastare questa evoluzione, inaugurando una
nuova era, meno affascinata dai diritti umani e maggiormente preoccupata della
13
sicurezza. <<Che cosa resta, quindi, dell’utopia della giustizia penale
internazionale>>? Si domanda Garapon.
3
<<La risposta a tale quesito è delicata, poiché il tema della giustizia penale
internazionale diviene sempre più sfuggente a mano a mano che si tenta una
definizione: i processi, infatti, sono ora internazionali, ora nazionali. A volte,
peraltro, non esiste nemmeno un processo, come nel caso della nota Commissione
per la verità e la riconciliazione in Sudafrica. La giustizia penale internazionale
può quindi non essere né penale né internazionale, senza per questo mutare la sua
natura. Amputata dei due aggettivi, resta solo come progetto: fare giustizia dei
crimini di massa che riguardano tutta la comunità internazionale proprio per la
loro mostruosità. Delitti mostruosi non solo perchè rappresentano un affronto
inedito a quanto vi è di umano nell’uomo, ma anche perchè sfidano le capacità
dell’ordinamento giuridico. La giustizia penale, rodata per reprimere i
comportamenti antisociali e le violenze private, è colta di sorpresa nel momento
in cui le si chiede di giudicare crimini commessi dal potere quale attuazione di
una politica, spesso con la collaborazione di tutta la comunità e la complicità di
un diritto delinquenziale>>.
E’ muovendo dalla concezione utopistica di Antoine Garapon in tema di giustizia
penale internazionale, che andrò a sviluppare il tema della mia tesi –Giurisdizione
internazionale, dai tribunali ad hoc alla Corte penale internazionale-, per
comprendere e illustrare, la nascita dell’idea di una giurisdizione internazionale,
che partendo da determinati contesti socio-politico, sviluppa un ordinamento
giudiziario internazionale dotandosi di un corpus normativo sostanziale e
processuale.
3
A. Garapon, Crimini che non si possono né punire né perdonare, ed. il Mulino, Bologna 2004,
p.7
14
2- L’ASSETTO GIURIDICO DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE NEI
SECOLI
Il professor Antonio Cassese
4
nel libro “Lineamenti di diritto internazionale
penale” che è la traduzione della prima parte del volume International Criminal
Law (Oxford University Press, 2003) sostiene che:
<<Tratto tipico del diritto internazionale penale è che esso presenta la
caratteristica unica di essere una branca del diritto internazionale che, più di
ogni altra, è legata al diritto internazionale dei diritti umani e attinge
costantemente tanto a tale settore del diritto che al diritto penale nazionale. Esso,
può essere considerato alla stregua di un ramo del diritto intrinsecamente ibrido
in quanto, si tratta, di diritto internazionale pubblico impregnato di nozioni,
principi e istituti giuridici derivati dal diritto penale internazionale, dal diritto
umanitario e dalle norme sui diritti umani.
Il diritto internazionale relativo ai diritti umani – quel settore del diritto, di
grande importanza ed in forte espansione, costituito essenzialmente da norme
consuetudinarie e dai trattati internazionali in materia di diritti umani, nonché
dalla giurisprudenza di organi internazionali come la Corte europea dei diritti
dell’uomo- ha significativamente impregnato l’intera area del diritto
internazionale penale espandendo, rafforzando o creando una maggiore
sensibilità verso quei valori (ad esempio, la dignità umana, la vita e l’integrità
fisica) alla base delle esigenze di tutela accordata a livello penale sia in ambito
nazionale che internazionale. E’ inoltre, proprio nelle norme internazionali sui
diritti dell’uomo che affondano le radici i diritti fondamentali dei soggetti
principali del procedimento penale – in primis, delle persone sospettate o
accusate di aver commesso un crimine, delle vittime e dei testimoni – ed infine le
garanzie sostanziali e procedurali del giusto processo>>.
5
L’attuale assetto giuridico internazionale, è stato preceduto da un lungo dibattito
politico e filosofico che, partendo dal <<ruolo dell’individuo>> nel contesto
4
Antonio Cassese è professore di Diritto internazionale nella facoltà di Scienze politiche <<Cesare
Alfieri>> dell’Università di Firenze. E’ stato, tra l’altro, presidente del Comitato delConsiglio
d’Europa contro la tortura (1989-1993), giudice (1993-2000) e presidente del tribunale per l’ex
Jugoslavia (1993-1997). Nel 2004-2005 ha presieduto, su nomina di Kofi Annan, la Commissione
d’inchiesta ONU sui crimini nel Darfur.
5
A. Cassese, Lineamenti di diritto internazionale penale- Diritto sostanziale, il Mulino, Bologna
2005, p 16-17
15
sociale politico e giuridico concepito nelle opere dei grandi pensatori del periodo
che va dalla pace di Westfalia (1648) alla fine dell’ottocento, hanno indagato la
realtà politica del loro tempo: Hobbes, Locke, Spinosa, Montesquieu, Rousseau,
Kant, è poi proseguito, con la proclamazione di fondamentali principi, quali
quello di uguaglianza o l’esistenza di diritti naturali e inalienabili, inerenti a ogni
essere umano in quanto tale, contenuti in testi politici quali le dichiarazioni
statunitensi del 1776-89 e la dichiarazione francese del 1789, che hanno
contribuito a determinare l’attuale assetto giuridico internazionale per la tutela
degli individui e dei popoli.
E’ bene quindi, far precedere, la parte centrale del tema della tesi, da una sebbene
sommaria, descrizione di questa evoluzione che ha sancito il riconoscimento dei
fondamentali diritti dell’uomo che devono essere inalienabili.
3-IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI UMANI
Il tema di questo mio lavoro, mi porta ad affermare che, punto di riferimento
essenziale nell’affrontare argomenti inerenti alla giustizia internazionale è
sicuramente la problematica dei “diritti umani”. Deportazioni, torture, stupri,
pulizia etnica, uccisione di civili, di feriti o di prigionieri di guerra, esecuzioni di
massa: sono queste le atrocità di fronte alle quali la comunità internazionale – che
stenta a trovare risposte preventive efficaci – ha progressivamente elaborato
norme giuridiche per affermare che certi comportamenti sono crimini
internazionali e per disporre la punizione dei responsabili.
Quasi ogni giorno i quotidiani riferiscono di discriminazioni, massacri, torture,
sparizioni violente di oppositori politici. Gli abomini e le sopraffazioni non sono
certo nuovi nella storia. Ma hanno ora trovato un nuovo <<criterio di
classificazione>>: violazione di questo o quel diritto umano.
Sebbene alcuni fondamentali diritti umani erano già stati proclamati e sanciti in
alcuni testi politici quali le Dichiarazioni statunitensi del 1776-89 e la
Dichiarazione francese del 1789 e poi recepiti nelle Costituzioni di alcuni Stati, si
trattava in ogni caso di forme di tutela valevoli sul piano interno, e non su quello
della comunità internazionale. Per secoli la Comunità internazionale è rimasta
ancorata alla visione tradizionale del diritto secondo il quale gli individui, al di
16
fuori dei confini nazionali, hanno rilievo solo in quanto stranieri, e sono
beneficiari materiali di alcune norme, che regolano però rapporti interstatali. E’
nell’ottocento che il diritto internazionale comincia ad interessarsi degli individui:
vengono, infatti, stipulate le prime convenzioni che vietano la tratta degli schiavi,
e, sul finire del secolo sono adottate anche le prime importanti convenzioni di
codificazione del diritto dei conflitti armati (le Convenzioni dell’Aja del 1889 e
del 1907). Si racconta anche che il 24 giugno 1859, Henry Dunant, cittadino
svizzero trentunenne, si recò a Solferino per ottenere da Napoleone III un
appoggio per dei suoi investimenti in Algeria. Capitato nel bel mezzo della
famosa e sanguinosa battaglia tra austriaci e francesi, restò particolarmente scosso
per lo stato di estremo abbandono dei feriti, tanto che improvvisò lui stesso un
rudimentale servizio di assistenza.
Rientrato in Svizzera, Dunant pubblicò un libro di memorie, dal titolo Un
souvenir de Solferino, in cui formulò due proposte: la creazione di una società di
soccorso a tutti i feriti, senza distinzione di nazionalità e, l’adozione di una
convenzione internazionale che garantisse la protezione ai feriti e al personale
sanitario sul campo di battaglia. Nel 1863 divenne realtà il Comitato per
l’assistenza in tempo di guerra ai militari feriti; l’anno successivo, a Ginevra, fu
siglata la prima Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti sul
campo di battaglia.
Un passo avanti, significativo verso la tutela internazionale degli individui, si è
avuto a seguito della Prima guerra mondiale. Questo evento ha indotto gli Stati a
darsi una serie di regole di condotta al fine di evitare il ripetersi di simili
catastrofi: fu così che nel 1919 fu stipulato il Patto della Società delle Nazioni,
trattato internazionale che doveva porre le basi per la coesistenza pacifica tra gli
Stati della comunità internazionale.
Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale si ebbe una vera svolta nel
senso che: gli individui non furono più considerati, sul piano internazionale, solo
come membri appartenenti a un gruppo, a una minoranza oppure ad altre
categorie. Essi divennero oggetto di protezione in quanto individui. A cambiare,
nel secondo dopoguerra, è la ratio stessa delle norme internazionali a tutela dei
diritti umani, che non sono più motivate e modellate sulla base degli interessi
17
economici degli Stati, ma trovano la loro ragion d’essere in considerazione di altra
natura. Il drammatico scenario della Seconda guerra, aveva reso i popoli europei
testimoni di veri e propri atti di barbarie. Questa terribile guerra, che coinvolgeva
gran parte della comunità internazionale, e che vedeva schierate da una parte le
potenze dell’Asse e dall’altra quelle alleate, finì per configurarsi come uno
scontro sanguinoso tra Stati che perseguivano una politica razzista e di espansione
imperialistica da una parte, e Stati che venivano sempre più a porsi come i
difensori della pace e della libertà dei popoli e degli individui dall’altra. In questo
contesto maturò l’idea che la causa della guerra risiedeva nel totale disprezzo dei
diritti e delle libertà umane proclamato da Hitler. Fu questo contesto a dare la
spinta propulsiva che mise in moto a livello mondiale, la proclamazione dei diritti
umani e, successivamente, l’elaborazione della Dichiarazione Universale.
E’ con la stesura della Carta delle Nazioni unite che gli Stati hanno posto la prima
pietra di quella complessa costruzione giuridica che costituisce oggi la rete di
protezione dei diritti umani a livello universale.
Quel fondamentale documento, presentava però dei limiti. Esso era stato redatto,
nel momento in cui iniziava a delinearsi lo scontro tra due blocchi di paesi,
ognuno dei quali con una propria concezione dei diritti umani: da un lato i paesi
dell’area socialista, guidati dall’Unione Sovietica dall’altro, il blocco dei paesi
occidentali (in senso politico) guidati dagli Stati Uniti. Nel 1945, non c’era
accordo su una nozione unitaria di diritti dell’uomo, quello che mancava alla
Carta era un catalogo degli specifici diritti tutelati dall’Organizzazione. Viste
queste lacune, in materia di diritti umani, l’Assemblea Generale dell’ONU,
s’impegnò nella stesura di un catalogo internazionale dei diritti, che potesse essere
accettato da parte di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite. Questo tentativo di
unificare le diverse visioni in un’unica <<filosofia>> dei diritti umani fu coronato
da successo. Il 10 dicembre 1948, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite fu
adottato il testo finale della Dichiarazione dei Diritti Umani.
E’ in questo fondamentale documento che trova il giusto riferimento la
giurisdizione internazionale e, al quale, devono ispirarsi gli Statuti dei competenti
sistemi giudiziari. In particolare, laddove, come nel preambolo della
dichiarazione, è considerato <<indispensabile che i diritti umani siano protetti da
18
norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come
ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione>>. Laddove è
sancito, (art.7), che, <<Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza
alcuna discriminazione, ad un’eguale tutela della legge>> e che, (art.8) <<Ogni
individuo ha diritto ad un’effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali
contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla Costituzione o
dalle leggi>>. Infine, ma non ultima come importanza per raggiungere l’obiettivo
di un equo processo, la previsione di cui all’art. 10, cioè che <<Ogni individuo ha
diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad un’equa e pubblica udienza davanti
ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi
diritti e dei suoi doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli
venga rivolta>>.
19
CAPITOLO II
GIUSTIZIA NAZIONALE E CRIMINI INTERNAZIONALI
1-I CRITERI DI COMPETENZA DEI GIUDICI NAZIONALI
Prima di addentrarmi nella trattazione che più in particolare risponde al tema della
mia ricerca, cioè l’istituzionalizzazione dei Tribunali internazionali, ritengo
opportuno, soffermarmi sui principi che consentono ai giudici nazionali poter
applicare il diritto penale per contrastare crimini internazionali.
Intendo iniziare questo argomento affermando che: Per l’insieme dei crimini
internazionali spetta, in linea di massima, agli Stati procedere alla repressione nel
quadro del proprio ordinamento interno, sia nell’esercizio delle normali funzioni
di controllo del proprio territorio e, sui propri cittadini, sia nell’interesse della
comunità internazionale. Per reagire però alla frequente inerzia delle autorità
nazionali, la repressione è stata poi organizzata anche a livello internazionale con
la creazione di organi all’uopo istituiti: i tribunali penali internazionali di
Norimberga e Tokyo, i Tribunali ad hoc per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda, la
Corte penale internazionale.
Pertanto, esiste una giurisdizione internazionale come una delle possibili vie della
giustizia per la lotta ai crimini internazionali, ma esiste un’altra che procede nel
senso inverso e che, invece di sostituire le inefficienti giurisdizioni nazionali con
una supergiurisdizione, ricorre ai tribunali degli altri paesi del mondo non
direttamente coinvolti dagli episodi sotto accusa: si tratta della competenza
universale delle Autorità giudiziarie di qualsiasi Stato. Questo principio conferisce
a uno Stato la possibilità –e talvolta l’obbligo- di perseguire chiunque sia
sospettato di crimini di particolare gravità, che colpiscono la coscienza
dell’umanità, anche in difetto degli ordinari criteri di attribuzione della
competenza territoriale.
Prima di proseguire nell’approfondimento del criterio di universalità, vorrei
accennare agli altri criteri, oltre al principio dell’universalità della giurisdizione,
di competenza dei giudici nazionali.
20
2-PRINCIPIO DI TERRITORIALITA’
Il diritto penale, almeno dal XVII secolo, è fortemente incentrato sul principio di
territorialità: i giudici di uno Stato possono giudicare tutti i reati commessi
all’interno del territorio nazionale. Allo stesso modo rientrano nella giurisdizione
territoriale dello Stato i crimini commessi su navi o aeromobili di un determinato
paese.
Si tratta di una manifestazione della sovranità che ogni Stato esercita sul proprio
territorio. Per rimanere ai crimini internazionali, è proprio in virtù di tale principio
che sono stati perseguiti alcuni crimini commessi dalle forze di occupazione
tedesche in Italia. Si pensi ad esempio ai casi <<Kappler>>, <<Hass>> e
<<Priebke>>, relativi all’eccidio delle Fosse Ardeatine, oppure ai recenti
procedimenti conclusi con la condanna di molti autori, dalla Procura militare di
La Spezia, in relazione alla strage di S. Anna di Stazzema avvenuta nel 1944.
Molto spesso, il criterio della territorialità della giurisdizione, risulta
insoddisfacente, specie, quando, i crimini sono perpetrati all’interno dello Stato,
contro, ad esempio, una minoranza etnica, e anche in attuazione di politiche
governative, o comunque con l’acquiescenza delle autorità. Ipotesi in cui appare
improbabile l’intervento delle autorità giudiziarie nazionali.
3-IL PRINCIPIO DELLA PERSONALITA’ ATTIVA
Questo principio, si fonda sul legame esistente tra uno Stato e i suoi cittadini. In
virtù di tale legame uno Stato assume il compito di perseguire i comportamenti
criminosi dei suoi cittadini, ovunque siano stati attuati. In base a questo principio,
sono, per esempio, stati condotti, negli Stati Uniti d’America alcuni processi
relativi a crimini commessi da soldati americani in Vietnam, oppure, in Italia, i
processi relativi ai crimini commessi in Somalia da appartenenti al contingente
italiano in missione di pace in Somalia, o in Canada, i procedimenti a carico dei
soldati canadesi.
21
4-IL PRINCIPIO DELLA PERSONALITA’ PASSIVA
Questo criterio, che consente di procedere contro soggetti che abbiano commesso
crimini nei confronti di propri cittadini, non è riconosciuto universalmente. Alcuni
paesi lo contemplano solo per alcuni crimini. Ad esempio, gli USA lo ammettono
per i crimini di terrorismo, ma non per il semplice omicidio. In base a questo
criterio, la Corte di Assise di Roma, ha potuto condannare alcuni militari argentini
che avevano partecipato alla commissione di crimini che – durante la dittatura
militare- avevano condotto alla sparizione o all’uccisione di diversi cittadini
argentini che avevano anche la cittadinanza italiana. La Francia, sempre sulla base
del principio di personalità passiva ha condotto un procedimento contro alcuni
membri dei servizi segreti libici, responsabili di un attentato ad un aereo Francese
in cui erano morte 170 persone, poi condannate in contumacia.
5-PRINCIPIO DELL’UNIVERSALITA’ DELLA GIURISDIZIONE
In base al principio di universalità, i tribunali nazionali possono giudicare i delitti
commessi al di fuori del loro territorio, anche se né l’autore presunto né la vittima
sono cittadini dello Stato. I testi cui si ricorre più di sovente nel settore sono la
convenzione del 1984 contro la tortura e altri trattamenti inumani e degradanti –
detta convenzione di New York- e le quattro convenzioni di Ginevra del 1949. Il
più celebre esempio dell’applicazione della competenza universale fu l’affare
Pinochet di cui tutti i giornali parlarono nel 1999. L’ex presidente cileno Augusto
Pinochet si trovava per ragioni di salute in Gran Bretagna, arrivò alle Autorità
britanniche la richiesta di un giudice spagnolo per l’estradizione di Pinochet. Le
accuse erano relative a crimini commessi contro cittadini spagnoli in Cile, inclusi
atti di tortura. <<Da allora non passa giorno, senza che non venga alla luce una
nuova questione in cui trova applicazione il suddetto principio>>.
6
L’applicazione del principio dell’universalità della giurisdizione consente ai
giudici di uno Stato di esercitare la propria giurisdizione su persone e fatti privi di
qualsivoglia collegamento con il proprio ordinamento nazionale. Tuttavia,
l’esercizio dell’azione penale in base a questo principio può far sorgere seri
6
A. Garapon, Crimini che non si possono né punire né perdonare, il Mulino, Bologna, 2004, pag.
22
22
problemi diplomatici, soprattutto, quando la giurisdizione viene esercitata in
relazione ad alti rappresentanti del potere statale (capi di Stato o di governo, o
ministri).
<<Esperienze recenti hanno confermato le tensioni che il principio di universalità
può comportare, ed hanno provocato una decisa marcia indietro da parte di
quegli Stati che ne erano stati convinti assertori (per esempio Belgio, Germania,
Spagna). In Spagna l’autorità giudiziaria si è pronunciata nel senso di ritenere
che fosse condizione imprescindibile per l’esercizio della giurisdizione universale
il fatto che il presunto responsabile sia presente sul territorio nazionale e che
siano rispettate le norme sulle immunità personali del capo di Stato straniero in
carica. In Belgio –anche a seguito di forti pressioni diplomatiche (specie da parte
degli Stati Uniti)- il legislatore ha progressivamente smantellato (con le due
riforme dell’aprile e dell’agosto 2003) il sistema di universalità della
giurisdizione per crimini internazionali>>.
7
Molti Stati hanno cominciato a contestare l’esercizio incondizionato della
giurisdizione penale in base al principio di universalità, sostenendo che tale
giurisdizione sarebbe illegittima in quanto non supportata da una norma
internazionale che la autorizzi esplicitamente (ad esempio la disposizione di un
trattato).
<<La giurisdizione universale è stata anche criticata da alcuni Stati –specie
africani- interpretandola come forma di potere vetero-coloniale da parte dei
paesi occidentali>>.
8
Per reagire a queste posizioni contrastanti il principio di universalità, una parte
della dottrina ha cercato di individuare una nozione corretta ed equilibrata di
questo principio sostenendo, anzitutto, che lo stesso vale soltanto per i crimini
internazionali. In secondo luogo, l’imputato deve trovarsi sul territorio dello Stato
che intende procedere, evitando così che vi possa essere l’esercizio della
giurisdizione universale in contumacia. In terzo luogo, si dovrebbe trattare sempre
di un meccanismo da attuare solamente in via sussidiaria, cioè, quando sia
dimostrato che le autorità nazionali (che abbiano un collegamento più diretto con
7
S. Zappalà, La giustizia penale internazionale, ed. il mulino, Bologna 2005, pag. 79
8
ibidem
23
il crimine) non intendono procedere. Infine, vanno sempre rispettate le norme
relative all’immunità delle più alte cariche dello Stato.
Il rischio che un abbandono totale del principio di universalità porti al prevalere
dell’impunità esiste; esso però è ormai temperato dall’esistenza della Corte penale
internazionale creata proprio per evitare rischi di impunità degli autori di crimini
internazionali.