VI
motivi del fallimento del codice stesso. Non si mancherà ovviamente di accennare
alle differenti posizioni della dottrina anche in relazione alla riforma del rito del
lavoro, al sistema delle preclusioni introdotte nel 1990, e con esso il
capovolgimento della chiovendana concezione pubblicistica, all’ondata
riformistica del 2005.
La trattazione continua nella seconda parte con l’analisi delle varie fasi di
giudizio, e dell’atteggiarsi delle preclusioni in esse.
E così il terzo capitolo si occupa del processo di primo grado, dei suoi atti
introduttivi, delle varie udienze in esso previste (così come risultano dalle recenti
modifiche del 2005), e ovviamente del modo in cui tra queste udienze operano le
preclusioni, in particolare in relazione a domande, eccezioni, conclusioni e
all’escussione dei mezzi di prova. Parlando di mezzi di prova, non può omettersi
un accenno alla nozione generale di prova e di onere della prova, ai singoli mezzi
di prova previsti dalla legge e alle regole generali circa la loro assunzione.
Uno sguardo è rivolto alle peculiarità, proprio in relazione alle preclusioni,
presenti nel processo del lavoro, e agli ampi poteri istruttori del giudice
caratteristici di questo rito.
Il quarto capitolo è dedicato invece alle impugnazioni, in particolare alla fase
d’appello. È su questa fase infatti, e sulla possibilità di esperire nuovi mezzi di
prova, nuove domande e nuove eccezioni, che incide la nuova tendenza
interpretativa emersa dalle più recenti pronunce della Corte di Cassazione di cui
sopra. Analizzerò quindi sia le varie e contrastanti posizioni dottrinarie vigenti
prima dell’intervento della Corte, principalmente relative all’ammissibilità di
nuove produzioni documentali in appello, sia le reazioni emerse in seguito,
nonché le prospettive future che tale intervento genera. Non senza soffermarmi,
anche in questo caso, sul giudizio d’appello del processo del lavoro, ancora una
volta peculiare rispetto a quello ordinario.
Infine, per completezza di trattazione, verrà analizzato anche il sistema delle
preclusioni nel giudizio di legittimità e in sede di rinvio.
Nelle conclusioni invece si riporterà brevemente l’attuale situazione della nostra
giustizia civile, con il supporto di recenti dati statistici, nonché le linee guida del
VII
progetto di riforma al quale l’attuale governo sta lavorando e che intende
approvare entro il 31 luglio 2007.
PARTE PRIMA
LE PRECLUSIONI IN GENERALE
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CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE STORICA DEL SISTEMA DELLE PRECLUSIONI
1. Il codice di procedura civile del 1865
Conseguita l’unità del Regno d’Italia negli anni 1860 – 1863, si pone il problema
della unificazione legislativa. In un primo momento assistiamo all’estensione dei
codici piemontesi ad alcuni nuovi territori1, mentre in altri si lasciano in vigore i
vecchi2.
Nel 1863 viene redatto da Pisanelli un progetto parziale di codice di procedura
civile; ragioni politiche impongono di non perdere tempo in analisi e discussioni,
per cui viene delegato il governo di emanare delle leggi unificatrici ed evitare così
il normale iter parlamentare. Il progetto dunque viene ripresentato alla camera, e il
25 giugno 1865, con decreto reale, viene pubblicato il nuovo codice di procedura
civile, il quale entra in vigore il 1 gennaio 18663.
Questo codice contiene norme di varia provenienza, ma è evidente che trae
ispirazione prevalentemente dal codice francese del 18064. La sua fonte
immediata è costituita dal codice sardo del 1859, che a sua volta prende a modello
proprio il codice francese.
Si tratta di un codice fortemente orientato alla prevalenza della componente
privatistica su quella pubblicistica5. Le parti hanno non solo, come è ovvio, il
monopolio in ordine alla proposizione della domanda e delle eccezioni rilevabili
solo su istanza di parte, ma anche poteri pressoché esclusivi riguardo alla
determinazione dei tempi del processo e alle prove. L’istruzione – scritta – è
rimessa completamente nelle loro mani e non vi è alcun tipo di limitazione
relativamente al numero delle scritture che possono scambiarsi. Infatti
l’istruzione della causa avviene proprio attraverso lo scambio illimitato di scritture
1
V. GHISALBERTI, La codificazione del diritto in Italia 1865/1942, Bari, 1985, pag. 14 e ss.
2
V. TARUFFO, La giustizia civile in Italia dal ‘700 ad oggi, Bologna, 1980, pag. 108 e ss.
3
V. AQUARONE, L’unificazione legislativa e i codici del 1865, Milano, 1960, pag. 19 e ss.;
GIANZANA, Codice di procedura civile del Regno d’Italia, I, Torino, 1889, pag. 88 e ss.;
TARUFFO, Procedura civile (codice di), in Dig. delle proc. priv., Sez. Civ., Torino, 1996, pag.
660; SECHI, Codice di procedura civile, in Dig. It., VII, Torino, 1897-1902, pag. 475 e ss.
4
V. SATTA, Codice di procedura civile, in Enc. del dir., Milano, VII, 1960, pag. 281.
5
In proposito FAZZALARI, Codice di procedura civile, in Nov. Dig. It., Torino, Appendice, pag.
1293; PROTO PISANI, Il codice di procedura civile del 1940 fra pubblico e privato, in Foro It.,
2000, pag. 77; TARUFFO, Procedura civile (codice di), cit., pag. 658 e ss.
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tra le parti, e termina nel momento in cui una delle due non risponda all’ultima
scrittura della controparte. In pratica le parti possono prolungare indefinitamente
l’istruttoria, e anche quando questa viene chiusa, possono ancora scambiarsi le
comparse conclusionali, prima che la causa venga portata in udienza.
Il giudice è privo di qualsiasi potere di collaborazione con le parti; sua unica,
eventuale, funzione è quella di risolvere gli incidenti che sorgano durante
l’istruzione, e di ammettere le prove costituende richieste dalle parti. Le sentenze
che decidono in merito agli incidenti sono immediatamente impugnabili, e il
procedimento principale si sospende fino a quando non sia terminato l’iter delle
impugnazioni.
Terminata l’istruzione, si giunge all’udienza di discussione, che consiste nella
lettura delle conclusioni.
Conclusa questa fase, il collegio delibera e pronuncia la sentenza, ma la pronuncia
stessa può essere differita ad una udienza successiva. La deliberazione è segreta e
la sentenza deve essere motivata, sia in fatto che in diritto.
Per quanto riguarda la disciplina delle prove, in primo luogo viene proposta la
distinzione tra disciplina sostanziale e disciplina processuale: la prima, contenuta
nel codice civile e nel codice del commercio, si occupa dell’onere della prova,
della tipologia, dei limiti di ammissibilità e dell’efficacia di ogni mezzo di prova;
la seconda, contenuta nel codice di procedura civile, si riferisce alla deduzione,
ammissione e assunzione dei mezzi di prova6. Altra peculiarità consiste nel fatto
che le prove non vengono assunte davanti al collegio, ma davanti ad un giudice
delegato dal collegio stesso di cui egli fa parte. Da questo deriva che le prove in
realtà non sono orali, ma scritte, perché il collegio decide sui verbali di assunzione
delle prove.
Bisogna infine analizzare il sistema delle impugnazioni, il quale non presenta
particolari novità né rispetto alle codificazioni pre - unitarie, né rispetto ai codici
francese e sardo. Nonostante una accesa polemica sull’istituto della cassazione, al
6
Tuttavia ciò non esclude che norme contenute nel codice civile siano di natura strettamente
processuale, come per esempio le regole d’esclusione della prova testimoniale. In proposito v.
CHIOVENDA, La natura processuale delle norme sulla prova e l’efficacia della legge
processuale nel tempo, in Saggi di diritto processuale civile, Milano, 1993.
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quale si contrappone il sistema della terza istanza7, risulta definitivamente
acquisito il principio in base al quale una causa può avere due gradi di merito, ed
uno di legittimità presso la Corte di Cassazione. La disciplina dell’appello non
prevede limiti alla deduzione di nuove prove e nuove eccezioni.
2. La formazione del codice di procedura civile del 1940
Sebbene venga apprezzato e conosciuto, il codice del 1865 comincia tuttavia a
non essere concepito come una disciplina compiuta del processo civile, ma come
un punto di partenza per una successiva elaborazione legislativa, sia per il modo
affrettato con cui è stato elaborato e promulgato, sia per i suoi numerosi difetti.
Tuttavia si verificano solo innovazioni parziali e settoriali, non di portata
generale. Il primo progetto di riforma è del 18688. Nonostante il susseguirsi di
numerosi tentativi di riforma, il secolo si chiude senza che il processo abbia subito
nessuna modifica sostanziale, benché le disfunzioni della giustizia civile siano
assolutamente evidenti.
L’esito più importante di trent’anni di tentativi di riforma si ha solo nel 1901, con
la riforma del rito sommario9. Infatti la legge 31 marzo 1901 n. 107, nel tentativo
di ridurre costi, tempi e formalità del processo, ribalta l’ordine previsto
originariamente tra rito formale e rito sommario, generalizzando quello sommario,
e dando carattere eccezionale e residuale a quello formale. In particolare, il
procedimento si svolge in una sola udienza tenuta dal presidente, che provvede
alle attività preparatorie. Se non c’è bisogno di prove costituende, si passa
direttamente alla seconda fase, che si svolge davanti al collegio, per la discussione
orale e la decisione. Non sempre però l’udienza di discussione chiude il
procedimento. Infatti, essendo prevista una istruttoria aperta, è ancora consentito
dedurre nuove prove, eccezioni e difese, che rendono possibile il rinvio della
7
V. COSTI, Contro la cassazione, in Mon. Trib., 1862, pag. 55 e ss.; GIURATI, La Cassazione e
le tre istanze, Torino, 1861; SALA, Osservazioni critiche sulla istituzione del tribunale di
cassazione, in Mon. Trib., 1860, pag. 889 e ss.; SANDONNINI, Della Corte di Cassazione e dei
tribunali di terza istanza, in Mon. Trib., 1866, pag. 849 e ss.
8
Per il testo di questo e di altri progetti di riforma v. TARZIA – CAVALLONE, I progetti di
riforma del processo civile (1866 – 1935), Milano, 1989.
9
Per l’analisi di questo procedimento v. MORTARA, La riforma del processo del processo
sommario, in Mon. Trib., 1891; ID., Manuale della procedura civile, Torino, 1921;
MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario civile, III, Torino, 1903.
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discussione. Questa riforma non ha comunque prodotto mutamenti sostanziali alla
struttura del processo, che rimane pur sempre formale, complesso e lungo.
Dal 1901 al 1940 il nostro processo resta quello delineato dalla riforma del 1901.
Si assiste anche ad apprezzabili innovazioni10, ma l’unica vera modifica del
sistema è l’instaurazione del giudice unico di primo grado con legge del 19
dicembre 1912 n. 131111. Scopo principale della riforma è la riduzione del numero
dei giudici e la loro migliore distribuzione tra le varie sedi. Questo obiettivo si
traduce nella pratica con l’ampliamento dei poteri del giudice, per consentirgli una
utile partecipazione alla causa, e con il conferimento del potere per risolvere gli
incidenti con sentenza immediatamente esecutiva. Tuttavia si tratta solo di un
tentativo, dal momento che la nuova istituzione suscita immediate reazioni; viene
soppressa infatti nel giro di pochi mesi con la legge del 11 maggio 1913 n. 45712.
Altro importante tentativo di riforma successivo al 1901 è quello proposto nel
1909 da Vittorio Emanuele Orlando13. Nonostante alcuni innegabili pregi – quali
la semplificazione delle norme sulla competenza, sui termini e sulle nullità,
l’abolizione del giuramento decisorio, l’introduzione del potere del giudice di
ordinare la comparizione delle parti, l’introduzione del procedimento per
ingiunzione, le innovazioni nel processo d’esecuzione14 - si tratta tuttavia ancora
una volta di ritocchi parziali, privi di portata generale.
Il lavoro di progettazione si intensifica a partire dal 1918, con il susseguirsi di
importanti progetti di riforma, che porteranno fino al codice di procedura civile
del 1940.
10
In tema di giudizio di delibazione (1919), di competenza della Corte di Cassazione di Roma
(1923), di ingiunzione (1936).
11
V. ZANUTTIGH, Il giudice unico nella riforma del 1912, in Riv. dir. proc., 1971.
12
V. DENTI, Il processo di cognizione nella storia delle riforme, in Riv. Trim. Dir. e proc. civ.,
1993, pag. 805 e ss.; FAZZALARI, Codice di procedura civile, cit., pag. 1294; TARUFFO,
Procedura civile (codice di), cit., pag. 661.
13
V. CHIOVENDA , Lo stato attuale del processo civile in Italia e il progetto Orlando di riforme
processuali, in Riv. dir. proc., 1910; ORLANDO, Progetto di riforma del Codice di procedura
civile, presentato alla Camera dei Deputati il 24 maggio 1909, in Riv. Dir. Civ., 1919, pag. 518 e
ss.
14
Per l’analisi di questi aspetti v. D’AMELIO, Nuove disposizioni intorno all’ordine e alla forma
dei giudizi, in Riv. dir. comm., 1908, pag. 370 e ss.; DE PALO, La riforma della procedura civile
nel progetto Orlando, in Riv. dir. comm., 1909, pag. 682 e ss.
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3. Il progetto Chiovenda
Nel 1918 viene costituita la Commissione per il dopoguerra, e della sezione per
gli studi processuali presidente è il processualista Giuseppe Chiovenda. In
pochissimo tempo la sezione elabora un progetto, che può però ritenersi
integralmente attribuibile a Chiovenda stesso, così come la Relazione15 che lo
accompagna. Il progetto costituisce una summa di tutti i principi elaborati
dall’autore negli anni16, e infatti si apre proprio con l’enunciazione dei principi di
oralità, concentrazione e immediatezza.
Il processo delineato si svolge in una o poche udienze, innanzi al collegio, in
forma orale. L’udienza è il vero fulcro del processo, è qui che si svolgono la
trattazione introduttiva e preparatoria, l’assunzione delle prove orali e la
discussione. La deliberazione della sentenza avviene dopo la trattazione.
Al giudice vengono attribuiti maggiori poteri, sia di stimolo che di iniziativa
autonoma, e l’ordine delle questioni viene stabilito dando precedenza alle
exceptiones litis ingressum impedientes. Viene mantenuta la collegialità in prima
istanza.
La disciplina delle prove risulta notevolmente semplificata, e viene introdotta una
novità: l’interrogatorio libero delle parti.
Risulta semplificato il procedimento per gli incidenti, con l’eliminazione
dell’immediata impugnabilità, anche se viene mantenuta la forma della sentenza
per il provvedimento che li risolve.
Infine viene tenuto fermo il principio dell’istruttoria aperta, che anzi viene esteso
anche all’appello.
In ogni caso il progetto Chiovenda non produce reazioni e non viene neppure
discusso, non portando così ad alcun risultato concreto17.
15
V. CHIOVENDA, Relazione al progetto di riforma del procedimento, elaborato dalla
Commissione per il dopoguerra, in Saggi di diritto processuale civile (1900-1930), II, Roma,
1931, pag. 12.
16
V. CHIOVENDA, Principii di diritto processuale, Napoli, 1965.
17
Sui motivi del fallimento del progetto v. CIPRIANI, Storie di processualisti e di oligarchi. La
procedura civile nel regno d’Italia (1866 – 1936), Milano, 1991, pag. 203 e ss.; FAZZALARI,
Codice di procedura civile, cit., pag. 1295. Il Fazzalari sostiene che tale progetto mostra il fianco a
numerose critiche, sia perché esaspera troppo l’oralità, sia perché l’immediatezza, che doveva
essere realizzata attraverso la discussione e la risoluzione di tutte le questioni, anche di rito,
davanti al collegio, non è di facile attuazione, sia infine perché la concentrazione impediva alle
parti quel ragionevole governo del processo che consisteva nella disposizione di termini e
differimenti; TARUFFO, Procedura civile (codice di), cit., pag. 661.
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4. Il progetto Mortara
Nel 1923 Ludovico Mortara pubblica un suo progetto di riforma18, che si pone in
netta antitesi con il progetto chiovendano. Lo scopo che l’autore si propone di
raggiungere non tanto è una vera e propria riforma, quanto l’unificazione di tutte
le varie norme processuali che si sono nel tempo susseguite e sovrapposte al
modello delineato dal codice del ’65. Il Mortara è fermamente convinto che la
riforma non debba incidere sulla prassi consolidata, e non debba quindi minare al
sistema nella sua impostazione principale. In primis quindi viene combattuto il
principio di oralità caro al Chiovenda, nella convinzione che tale principio possa
estendere i poteri del giudice.
L’unica innovazione è l’unità del procedimento, in quanto sparisce il rito formale
e viene generalizzato il vecchio rito sommario. Non si tratta però di una
innovazione degna di nota, dal momento che questo fenomeno accade già da
tempo nella pratica.
Per quanto riguarda il giudice, si registra una estensione – in verità minima – dei
suoi poteri in materia di prove e di direzione dell’istruzione. Viene inoltre
mantenuta la figura del giudice delegato all’istruzione, mantenendo salva la
possibilità per il collegio di disporre l’assunzione delle prove in udienza.
Il procedimento per la risoluzione degli incidenti viene sì semplificato, ma non è
previsto il divieto di appello immediato delle sentenze interlocutorie.
In definitiva, neppure questo progetto giunge alla discussione parlamentare.
5. Il progetto Carnelutti
Nel 1926 Francesco Carnelutti elabora il suo progetto per il codice di procedura
civile19. La concezione carneluttiana è più vicina a quella di Mortara, che a quella
di Chiovenda. Tipica di questo progetto è la tendenza ad affermare principi
generali, per poi contraddirli nella loro applicazione specifica: ad esempio si
afferma il principio della libera valutazione delle prove, ma vengono previste
18
V. MORTARA, Per il nuovo codice di procedura civile. Riflessioni e proposte, in Giur. It.,
1923, pag. 136 e ss.; ROSATI, Per la riforma della procedura civile. Studio critico, parte I, in
Corr. dei trib., 1924; parte II in Giur. It., 1924, IV, pag. 168 e ss. ; TARUFFO, Lodovico Mortara
e il progetto di riforma del codice di procedura civile (1923), in Riv. Trim. dir. e proc. Civ.,
1998, pag. 241 e ss. In senso critico SEGNI, La riforma del processo civile e le sue direttive,
(1924), ora in Scritti giuridici, Torino, 1965, pag. 308 e ss.
19
V. CARNELUTTI, Progetto per il codice di procedura civile, Padova, 1926.
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tante regole di prova legale che nella pratica vanno a svuotare di contenuto il
principio20.
Il processo delineato dal codice in questione si articola in due udienze: l’udienza
presidenziale preparatoria, nella quale si fissano le domande e si propongono le
eccezioni di rito, e l’udienza collegiale, nella quale si risolvono le questioni
processuali, si assumono le prove e ha luogo la discussione. Non si assiste quindi
a nessuna significativa novità.
Le esigenze di oralità, immediatezza e concentrazione vengono attuate, ma con
dei temperamenti; infatti Carnelutti elabora, a questo proposito, il cosiddetto
principio di elasticità, in base al quale benché il progetto preveda la discussione
orale in udienza, se le parti lo chiedano, oppure per la natura delle questioni da
risolvere, possa essere disposta la discussione scritta. In base allo stesso principio,
se la regola è che le prove vadano assunte in udienza, tuttavia può essere delegato
uno dei giudici, se le parti lo richiedano o ricorrano gravi motivi d’ufficio. Anche
questo progetto non è esente da critiche, in modo particolare per l’eccessiva
ampiezza che l’autore prevede in tema di disposizione delle prove, consentendo lo
ius novorum in appello e l’istruttoria aperta in sede di rinvio21.
6. La giustizia del lavoro nel regime fascista
Durante il regime fascista diviene oggetto di particolare attenzione la giustizia del
lavoro22, perché uno dei principali problemi che il regime si trova subito ad
affrontare è il controllo dei conflitti tra capitale e lavoro, accentuati da una grave
crisi economica. In un primo momento Alfredo Rocco elabora un progetto,
recepito da Mussolini, che prevede l’eliminazione dei sindacati di classe e la
creazione dei sindacati fascisti, destinati ad essere gli unici organismi di
rappresentanza sindacale23.
20
V. TARUFFO, La giustizia civile in Italia dal ‘700 ad oggi, cit., pag. 206.
21
V. FAZZALARI, Codice di procedura civile, cit., pag. 1295; DENTI, Il processo di cognizione
nella storia delle riforme, cit., pag. 814; TARUFFO, Procedura civile (codice di), cit., pag. 661.
22
La legge 3 aprile 1926 n. 563 regola il riconoscimento giuridico dei sindacati e dei contratti
collettivi e statuisce il divieto di sciopero e serrata. In questo contesto si prevede anche
l’istituzione della Magistratura del Lavoro, competente rispetto alle controversie collettive di
lavoro (PROTO PISANI, Lavoro (controversie individuali in materia di), in Dig. Disc. Priv., Sez.
Civ., Torino, 1993, pag. 311 e ss.; TARUFFO, Procedura civile (codice di), cit., pag. 662.).
23
Con il patto di Palazzo Vidoni, del 2 ottobre 1925, la Confederazione generale dell’industria e la
Confederazione delle corporazioni fasciste si riconoscono a vicenda come esclusivi rappresentanti