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sull’importanza aziendale delle società calcistiche, alla luce dei
cambiamenti portati dalla sentenza Bosman e alla luce della
trasformazione delle società sportive professionistiche da enti no
profit a società aventi scopo di lucro.
Si svilupperanno, alla luce del modello americano e inglese, quelle
entrate di bilancio che in prossimo futuro assumeranno
un’importanza fondamentale anche in Italia, quali il
MARKETING, il MERCHANDISING e la GESTIONE
PRIVATA degli stadi; materie che attualmente sono ancora poco
sviluppate e il cui raggio d’azione è spesso limitato a qualche
attività promozionale e nella semplice vendita di gadget; proprio
l’opposto degli americani che, pionieri anche in questo, hanno
subito capito i vantaggi derivanti dall’uso di questa disciplina in
un settore in rapida crescita e continua evoluzione come quello
sportivo, tanto che le società professionistiche americane di
basket, baseball, football ed hockey sono diventate delle vere e
proprie aziende con introiti e fatturati ben superiori al passato.
Credo dunque che le società sportive debbano fare maggiore
attenzione all’ampio patrimonio di esperienze che ormai è
disponibile nell’ambito del marketing applicato alle aziende di
servizi e i cui esempi sono visibili a tutti.
In questo decennio si assisterà ad una diffusione dei principi di
marketing anche in organizzazioni diverse da quelle industriali,
rendendosi applicabili a qualsiasi settore in cui venga effettuato
uno scambio, anche immateriale, come avviene nel rapporto tra
Chiesa e fedeli, tra partiti ed elettori, tra enti culturali e pubblico;
in ogni situazione, cioè, in cui esista una domanda ed una offerta:
in altre parole ogni volta che esista un “MERCATO”.
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CAPITOLO 1
ASPETTI GIURIDICI
DELLE SOCIETÀ DI CALCIO
Lo sport in questi ultimi anni è notevolmente cambiato, si è
rinnovato, non solo nelle performance o nello spettacolo, ma
soprattutto nella struttura economica.
L’importante, oggi, non è solo partecipare, ma disporre delle
risorse che permettano lo svolgimento delle varie discipline.
Negli anni il fabbisogno economico dello sport, sia esso il calcio,
l’atletica, il ciclismo, la pallavolo o il basket, è cresciuto a
dismisura, vuoi per il costo degli impianti sportivi che hanno
seguito l’andamento dell’edilizia, vuoi per i materiali impiegati e
per le tecnologie sempre più sofisticate che hanno seguito
l’evoluzione del mercato.
A tutto ciò va aggiunto l’impegno sempre maggiore richiesto agli
atleti di qualsiasi disciplina, in termini di tempo e di prestazioni.
Ciò ha portato ad un professionismo sempre più elevato che si è
tradotto in maggiori spese per ingaggi, trasferte, allenamenti,
attrezzature.
Dunque gli investimenti per i vari spettacoli sportivi sono diventati
più ingenti, a qualunque livello siano realizzati e per qualsiasi
disciplina.
A fronte di una crescita esponenziale dei costi per lo sport, c’è
stata ovviamente una maggior domanda di investimenti o di fonti
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di sostegno, che nel tempo sono state: sovvenzioni statali,
totocalcio, incassi da spettatori, mecenatismo, sponsorizzazioni,
fino ad arrivare oggi agli introiti per diritti televisivi e ai proventi
dal merchandising.
Cercherò ora di analizzare come nel tempo si è arrivati dal famoso
vincolo della legge 91 del 23 marzo 1981, che regolava le società
sportive “non lucrative”, fino ai giorni nostri, ossia alla legge 586
del 18 novembre 1996 che ha portato importanti innovazioni alla
disciplina delle società sportive professionistiche.
1.1. NASCITA ED EVOLUZIONE DEL VINCOLO
La sua nascita può essere fatta risalire intorno al 1870, negli Stati
Uniti, allo scopo di porre un freno alla concentrazione dei migliori
giocatori di baseball in poche società ricche. Il vincolo si
concretizzava nella possibilità, concessa alle società con limitate
disponibilità finanziarie, di assicurarsi l'esclusiva di quei giocatori
che, altrimenti, avrebbero optato per ingaggi più elevati.
L' istituto venne in seguito adottato da gran parte degli sport
professionistici di squadra, e in particolare dal calcio.
L' Inghilterra, oltre che del calcio professionistico, è la patria del
vincolo calcistico. Nel 1888, quando fu costituita, la Football
League incluse fra i suoi obiettivi quello riguardante la
regolamentazione del rapporto di impiego dei calciatori e in
particolare:
a) l'accordo sul salario massimo;
b) l'accordo che ogni giocatore, una volta firmato il contratto con
una società, non avrebbe più potuto impegnarsi con un'altra, salvo
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che quella di appartenenza non desse il suo assenso al
trasferimento.
La questione del vincolo fu comunque definitivamente risolta
nell'estate del 1963 dall'Alta Corte, che dichiarò l'illegittimità del
sistema.
Le conseguenze di questa decisione furono assai rilevanti: il
contratto sottoscritto tra un giocatore e la società poteva avere la
durata di uno o due anni. Alla scadenza la società poteva
esercitare un'opzione della stessa durata; non facendolo, il
giocatore era libero di offrire le sue prestazioni ad altri. L'essenza
del vincolo, comunque, in parte è sopravvissuto fino a pochi mesi
fa; infatti, per ottenere il trasferimento di un calciatore già legato
da contratto ad un altro club, la società interessata doveva
corrispondere alla prima un indennizzo, che veniva determinato da
una commissione di tre membri, uno dei quali designato
dall'Associazione Calciatori.
In Italia la Figc si è schierata a favore del mantenimento del
vincolo, mettendo in evidenza i molteplici effetti negativi della sua
abolizione. Quelli di maggior rilievo si sostanziano nei tre punti
seguenti :
- concentrazione dei giocatori migliori nelle società a più alto
potenziale economico, con diminuzione dell'incertezza dei risultati
delle partite e dell'interesse del campionato;
- graduale scomparsa dei cosiddetti "vivai", cioè dei centri di
addestramento dei giovani calciatori, la cui esistenza trovava la
sua giustificazione nella possibilità, da parte delle società, di
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utilizzare al meglio i calciatori più dotati o di cederli in cambio di
un adeguato corrispettivo;
- sensibile riduzione dell'organico di squadra da parte di ciascuna
società.
In regime di vincolo le società hanno interesse a conservare in
piena efficienza tutti gli atleti dei quali dispongono. Infatti, anche
quelli non ritenuti utili alle esigenze della stagione in corso hanno
un valore patrimoniale e possono quindi essere sempre ceduti ad
altre società. Questo consente il recupero, quantomeno parziale,
delle somme spese per assicurarsi le prestazioni dei calciatori in
questione (acquisto più ingaggio) mentre, in assenza del vincolo,
tale possibilità verrebbe meno.
In definitiva il vincolo, rivestendo un indubbio contenuto
patrimoniale, assolveva ad una funzione essenziale e insostituibile
per le società.
A breve distanza dalla pubblicazione del documento della Figc,
l'Aic (Associazione Italiana Calciatori) ha risposto, ribattendone
punto per punto le tesi.
Innanzitutto un'impresa, e oggi le società di calcio lo sono a tutti
gli effetti, non fa certo affidamento sul vincolo nei confronti dei
suoi dipendenti come mezzo per risolvere una situazione di crisi.
E' inoltre assurdo pensare che, una volta abolito il vincolo, si
abbiano tre o quattro squadre di super campioni e le rimanenti
formate solamente da giocatori scadenti. Le capacità e la bravura
dei singoli calciatori sono difficilmente valutabili se non inserite in
un complesso organico, che è appunto la squadra, senza
considerare che non è possibile tracciare una linea netta di
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demarcazione tra campioni e non campioni, essendo diverse,
indefinite e molteplici le graduazioni del valore.
Occorre anche tenere conto ogni società non può tesserare un
numero illimitato di calciatori al solo scopo di sottrarli alle altre
società, senza poi utilizzarli nelle partite. Tanto più che il non
gio -
care provoca una rapida diminuzione delle quotazioni dei soggetti
interessati.
Anche se a distanza di cinque anni, il dibattito ha comunque
prodotto i suoi effetti positivi con l'approvazione della legge
91/1981.
1.1.1 LA LEGGE 91/1981
Tale legge ha qualificato l'atleta professionista come lavoratore
dipendente.
L' art.2 definisce sportivi professionisti "gli atleti, gli allenatori, i
direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano
l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità
nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI (.....)".
L' art. 3 afferma che "la prestazione sportiva dell'atleta costituisce
oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolato dalle norme"
contenute nella legge.
In tre casi solamente la medesima prestazione "costituisce oggetto
di contratto di lavoro autonomo" :
1. Quando l'attività sia svolta nell'ambito di una singola
manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate
in un breve periodo di tempo.
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2. Quando l'atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che
riguarda la frequenza a sedute di preparazione o allenamento.
3. Quando la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo
carattere continuativo, non superi otto ore settimanali, oppure
cinque giorni ogni mese, ovvero trenta giorni ogni anno.
La principale conseguenza della legge consiste nel fatto che,
mentre prima della sua entrata in vigore i calciatori costituivano
un patrimonio sostanziale per le società, con la sua emanazione il
vincolo effettivo sarebbe stato eliminato entro cinque anni; come
è effettivamente e definitivamente avvenuto il 30 giugno 1986. Alla
precedente disciplina, con la quale il calciatore non poteva
disporre del proprio cartellino, si è sostituito un regime
contrattualistico, in base al quale egli è libero di stipulare un
nuovo contratto -della durata massima di cinque anni- previo
versamento, dalla nuova alla vecchia società, di una "indennità di
preparazione e di promozione dell'atleta professionista",
determinata con riferimento ad una serie di parametri :
- età;
- durata del rapporto con la società;
- contenuto patrimoniale del medesimo, comprensivo, oltre che
degli emolumenti, anche dei premi corrisposti per attività
promozionali-pubblicitarie svolte dalla società.
1.1.2 CONSEGUENZE DELLO SVINCOLO
In regime di vincolo le società tendevano ad aumentare i loro
organici perché i giocatori che non trovavano collocazione
venivano "iscritti a bilancio" con il loro valore presunto; il che
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contribuiva a mascherare deficit vistosi e a dare una parvenza di
sana gestione aziendale.
La legge 91/1981, cancellando dal bilancio delle società la voce
"patrimonio giocatori", ha indirettamente contribuito ad aumentare
il fenomeno della disoccupazione; tanto più che la crescita
incontrollata degli ingaggi, corrisposti per ottenere indennizzi
sempre più alti, portando alla supervalutazione di giocatori appena
discreti, ha provocato il loro automatico collocamento fuori dal
mercato.
A fronte del diritto della vecchia società di appartenenza a
percepire l'indennità di preparazione e promozione (parametro), è
stato riconosciuto al calciatore il diritto a una "indennità di
mancata occupazione", corrispondente al minimo federale vigente
per la stagione sportiva in corso, a decorrere dalla scadenza del
contratto (30 giugno) e fino alla stipula di un nuovo contratto con
altra società o al tesseramento per una società dilettantistica.
1.1.3 L’INDENNITÀ DI PREPARAZIONE E DI
PROMOZIONE
Il campionato 1980-81 è stato l'ultimo, in Italia, giocato all'insegna
del "vincolo". La legge in questione ne ha infatti sancito la
graduale abolizione.
In particolare l'art. 6 stabilisce, per la società titolare del
precedente contratto con il calciatore, il diritto ad una indennità di
preparazione e promozione secondo parametri e coefficienti
prefissati.
La "tabella dei parametri" consente di determinare l'ammontare
dell’indennità in base all'età del calciatore, alla serie e, soprattutto,
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all'ammontare dell'ultima retribuzione pattuita. E' sufficiente infatti
che la società di appartenenza aumenti l'importo dell'ingaggio
annuale che automaticamente si moltiplicherà l'ammontare
dell'indennizzo.
L'indennità di preparazione e promozione che la società firmataria
di un nuovo contratto è tenuta a corrispondere alla società di
provenienza, titolare del precedente contratto professionistico, ri-
sulta direttamente proporzionale all'ammontare dei compensi
percepiti senza alcun limite di importo, avuto riguardo ai parametri
del tabellario. Il parametro di base è rappresentato dalla media di
tutti gli emolumenti lordi del calciatore nelle ultime due stagioni
sportive e comprende :
- retribuzione annua ;
- premi corrisposti dalla società ;
- premi corrisposti dalla Figc per la partecipazione alle gare delle
squadre nazionali ;
- quote dei proventi percepiti per le attività pubblicitarie e
promozionali svolte dalla società.
Dopo alcuni mesi necessari a rendersi conto della "possibilità"
offerta dalla nuova legge, le società professionistiche hanno
cominciato a ostentare un'inusitata generosità negli ingaggi,
abbandonando la politica della lesina che le aveva fino ad allora
contraddistinte. Ed ecco spiegato il meccanismo perverso:
calciatori di buone capacità tecniche, ma nulla di più, erano
"costretti ad accettare" ingaggi mediamente superiori agli stipendi
di un top manager di una media o grande industria o di un
amministratore delegato di grido, con il risultato di portare
immancabilmente in deficit la società nella quale prestavano i
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propri servizi.
Gli effetti dell' art. 6 sono del tutto evidenti se si considerano le
retribuzioni negli anni successivi alla legge 91/1981. Prendiamo
per esempio quelle relative alla stagione 1985-86.
Se nel 1980-81 le remunerazioni italiane erano mediamente inferiori
a quelle spagnole e tedesche, nel 1985-86 l'Italia raggiunge il
primo posto nella classifica "chi paga di più".
1.2. LE SOCIETÀ SPORTIVE
Molto spesso, nel mondo sportivo, vengono utilizzati diversi
termini come polisportiva, gruppo sportivo, società sportiva,
circoli, centri, ecc., per indicare il termine associazione.
In realtà bisogna fare una differenziazione tra le associazioni e le
società.
Il Codice Civile opera una distinzione fra le associazioni
disciplinando quelle riconosciute, agli art. 12 e segg., e quelle non
riconosciute, agli art. 36, 37 e 38.
Le ASSOCIAZIONI RICONOSCIUTE sono caratterizzate
dall'avere la personalità giuridica, ossia dall'essere, come le
persone fisiche, soggetti giuridici pienamente capaci. La
conseguenza più diretta dell'acquisto di personalità giuridica sta
nel fatto che l'associazione acquisisce la piena autonomia rispetto
agli associati (si pone, cioè, come entità totalmente diversa e
contrapposta) sia nei confronti degli stessi, sia nei confronti dei
terzi estranei.
Il riconoscimento è atto discrezionale della pubblica
amministrazione e avviene mediante decreto del Presidente della
Repubblica o, in virtù della delega di cui all'art. 14 del D.P.R.
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24.07.1977 n. 616, da parte del Presidente della Giunta Regionale.
Presupposto è la costituzione mediante atto pubblico nonché la
dimostrazione di avere un patrimonio tale, in relazione all'oggetto
sociale previsto, che consenta di offrire adeguata tutela ai terzi di
buona fede contraenti con l'associazione stessa.
L'autorità competente può, motivandolo, respingere l'istanza di
riconoscimento e può, anche, subordinare quest'ultimo a
determinate modifiche relative alla struttura dell'ente ma non potrà
mai, direttamente, modificare l'atto costitutivo o lo statuto.
RICONOSCIMENTO: il riconoscimento, come si è visto,
comporta l'acquisto della personalità giuridica, vale a dire la piena
capacità giuridica di agire, nonché la completa autonomia
patrimoniale e di personalità dell'associazione.
Tutto ciò a differenza delle associazioni non riconosciute
caratterizzate dal principio dell'autonomia patrimoniale imperfetta
che vede la responsabilità personale degli agenti che hanno
operato per l'ente stesso.
E' quindi fin troppo chiara l'enorme rilevanza che ha, sul piano
pratico e giuridico, l'avere ottenuto o meno il riconoscimento:
mentre nel primo caso di fronte ai terzi c'è un vero e proprio
soggetto di diritto, distinto dai singoli associati, con una
denominazione ed un suo patrimonio col quale far fronte ai propri
debiti ed alle proprie obbligazioni, nel secondo ci sono gli
associati e gli amministratori che rispondono personalmente ed
illimitatamente, con il proprio patrimonio, delle obbligazioni
assunte in nome dell'associazione.
Il riconoscimento, inoltre, è poi condizione d'efficacia in alcuni
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altri atti stabiliti dal legislatore. Infatti ne consegue la possibilità
d'acquistare sia a titolo oneroso che gratuito, tuttavia l'acquisto
d'immobili e l'accettazione di eredità sono subordinate
all'autorizzazione governativa.
ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE:
La maggior parte delle associazioni sportive sono costituite nella
forma dell'associazione non riconosciuta, disciplinata dagli art. 36
e segg. del Codice Civile, il cui status giuridico è, per molti
aspetti, parificato a quello delle associazioni riconosciute; le dif-
ferenze sul piano legislativo derivano esclusivamente dalla
presenza (nella seconda) o dall'assenza (nella prima) del
riconoscimento della personalità giuridica.
Anche l'associazione non riconosciuta è un soggetto di diritto,
autonomo rispetto agli associati, dotato di un proprio patrimonio
che va sotto il nome di fondo comune ai sensi dell'art. 37 c.c.
Le associazioni prendono vita da un contratto, ossia dall'accordo
di due o più parti, plurilaterale, aperto in quanto al rapporto
associativo possono aderire, successivamente alla perfezione del
contratto, altri soggetti.
Tale atto è formato da due momenti: l'atto costitutivo vero e
proprio, che ha la funzione d'attivare l'associazione
fotografandone la nascita, e lo statuto, che ha invece lo scopo di
regolarne l'ordinamento e l'amministrazione: ossia il suo
funzionamento.
Il primo atto è indispensabile mentre il secondo è complementare
al primo e potrebbe, in teoria, anche non esistere in forma scritta,
in quanto il codice prevede che le associazioni siano rette dagli
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accordi degli associati, indipendentemente dalla circostanza che
tali accordi siano stati o meno formalizzati in un documento
cartaceo.
Statuto e atto costitutivo hanno la medesima natura giuridica di
contratto plurilaterale con comunione di scopo e, nonostante
questa loro materiale separazione, formano giuridicamente un atto
unitario: il contratto d'associazione.
Per la costituzione di un'associazione non sono richieste forme di
pubblicità, ma sarà sufficiente la sussistenza di tre elementi :
1) la pluralità di persone fisiche (elemento personale);
2) il patrimonio o fondo comune (elemento patrimoniale);
3) lo scopo istituzionale (elemento teleologico).
La forma scritta dello statuto viene richiesta, essenzialmente,
dall'ordinamento sportivo al fine di consentire alle federazioni, nel
momento in cui si presenta la domanda di affiliazione, la verifica
che l'ente affiliando abbia tutti i requisiti previsti dalle norme
dell'ordinamento sportivo e dallo statuto federale (assenza di
scopo di lucro, principio di democrazia interna, accettazione
espressa dei regolamenti federali, accettazione della clausola
compromissoria, ecc.).
L'organizzazione interna dell'associazione s'articola, normalmente,
in una pluralità di organi i quali, ciascuno nell'ambito della propria
competenza, daranno attuazione al contratto d'associazione.
In primo luogo, l'organo deliberante per eccellenza: l' assemblea,
formata dall'intera collettività degli associati che delibera per tutte
le materie rientranti nella sua competenza a norma di statuto; il
consiglio direttivo, organo esecutivo e rappresentativo dell'ente, in
quanto è proprio in virtù dell'operato dei propri componenti che
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vengono eseguite le deliberazioni assembleari ed è proprio
attraverso gli amministratori che l'associazione agisce e stabilisce
rapporti coi terzi.
Da ultimi, non obbligatori, s'affiancano all'organo deliberativo e a
quello esecutivo gli organi di controllo solitamente definiti come
collegi dei probiviri e/o dei revisori dei conti. Tali ultimi organi
dovrebbero assicurare, attraverso una funzione giurisdizionale,
una giustizia endoassociativa, ossia dovrebbero decidere sulle
controversie sorte all'interno dell'ente. I revisori dei conti
avranno, invece, i ruoli ed i compiti espressamente previsti dallo
statuto.
FONDO COMUNE
L' art. 37 c.c. dispone che i contributi degli associati concorrono
a formare il fondo comune dell'associazione. In esso
confluiscono tutti i diritti di carattere patrimoniale facenti capo
all'associazione e, quindi, oltre ai contributi degli associati e ai
beni con questi acquistati, anche tutti gli altri beni comunque
pervenuti all'ente.
L'autonomia del fondo comune si manifesta, soprattutto, nel
divieto per i creditori personali degli associati di vantare pretese
su di esso. Sul fondo comune infatti possono soddisfare le
proprie ragioni, ai sensi dell'art. 30 c.c., i creditori
dell'associazione, mentre non possono i creditori personali degli
associati. Allo stesso modo gli associati non possono chiedere la
suddivisione del fondo comune, né pretendere la loro quota in
caso di recesso, e ciò in virtù del principio che il fondo stesso è
posto non a tutela dell'associato, ma dei terzi che contratteranno
con l'associazione.