che i cittadini dell’UE, possano contare cosa su un impianto istituzionale democratico, che
sia espressione della volontà dei cittadini e dell’interesse generale della comunità.
La costruzione dell’Europa sta vivendo, oggi, una fase decisiva per il futuro, non solo dei
popoli europei, ma anche dello stesso progetto d’integrazione continentale. Ormai sempre
più voci si levano in favore della definizione di un sistema europeo che sia effettivamente
politico, in cui il Trattato costituzionale, oltre a fornire un fondamento solido e duraturo alla
democrazia europea, costituisca anche un mezzo per porre finalmente a tacere le critiche re-
lative alla scarsa, se non addirittura assente, legittimità democratica delle strutture e dei pro-
cessi decisionali dell’Unione. Per questi motivi, mi è sembrato opportuno affrontare preli-
minarmente nel presente lavoro, le questioni relative alla crisi di legittimità che affligge
l’UE. Per prima cosa bisogna sottolineare che all’origine del deficit di legittimità di cui sof-
fre l’Europa, vi è, l’indebolimento della legittimità politica dei governi nazionali – dovuto ai
fenomeni legati alla globalizzazione -, ed in parte, la particolare modalità di integrazione
messa in atto alle origini del processo d’integrazione europeo, con cui si orientò il processo
di costruzione europeo verso lo stabilimento di solidarietà di fatto - attraverso l’integrazione
economica - suscettibili di aprire la strada ad ulteriori passi in direzione del federalismo, e si
optò per un metodo di integrazione che operava una sintesi tra il metodo intergovernativo e
la pratica sopranazionale. In questa maniera, però si misero in secondo piano le esigenze di
democraticità e quelle relative alla possibilità di dotare l’UE di un sistema istituzionale che
fosse legittimato democraticamente. Questi problemi sono aumentati nel corso del tempo,
ed hanno contribuito notevolmente ad alimentare l’euroscetticismo dei cittadini degli Stati
membri, i quali percepiscono l’UE come un’enorme struttura burocratica, che ha influenze
sugli aspetti più importanti della loro vita quotidiana, pur non essendo democraticamente
legittimata a fare ciò.
L’idea di Costituzione è sempre stata un grande catalizzatore di energie culturali e spirituali,
ed ha permesso all’UE, pur tra alterne vicende, di evolversi dal punto di vista istituzionale.
Nonostante ciò, però, né Stato né Costituzione sono sembrate nozioni adatte per fungere da
obiettivo concettuale per l’Europa, tanto che, nonostante la stesura del Trattato costituziona-
le per l’UE, la sua crisi di legittimità sembra essere tutt’altro che risolta. A tal proposito,
2
molti studiosi hanno avanzato l’idea che fosse possibile ovviare alla crisi dell’UE attraverso
un rafforzamento dell’istituto della cittadinanza europea che, istituita con il Trattato di Maa-
stricht del ‘92, sarebbe dovuta divenire il mezzo per permettere ai cittadini dell’UE di pren-
der parte alla vita politica di questa grande organizzazione politica che nella migliore delle
ipotesi viene assimilata ad un “dittatore benevolo”, per utilizzare le parole di Fitoussi. Ciò
che emerge è la volontà di rendere più forte politicamente l’Europa, attraverso la costruzio-
ne di una cittadinanza europea che evidenzi l’impossibilità di continuare ad applicare la
strategia funzionalista monnettiana e la necessità di attivare le risorse utili a fare del cittadi-
no europeo un cittadino a tutti gli effetti. Nonostante i limiti e le molte critiche, la cittadi-
nanza europea dunque esiste, si fonda su precise fonti normative ed ha un proprio contenuto,
sia politico sia giuridico, che permette di attribuirle un significato importante. Tuttavia per
dare un senso compiuto alla cittadinanza europea bisognerebbe sviluppare una discussione
politica a livello europeo che coinvolga i destinatari di questa istituzione senza precedenti: i
cittadini europei. Certo, perché il principio di cittadinanza contribuisca a superarre i deficit
che affliggono la costruzione comunitaria è necessario che il cittadino europeo venga defini-
to in modo più chiaro, completo e più democratico, che sia accentuato il suo carattere politi-
co, e che siano rafforzati i diritti di partecipazione alla vita politica dell’Unione, che ad oggi
sono pressoché inesistenti. Solo il coinvolgimento diretto di popoli e cittadini, il rafforza-
mento del carattere democratico della cittadinanza, e l’avvio di un dibattito a livello europeo
possono permettere la costruzione di un’Unione che sia effettivamente politica, attraverso la
diffusione di una cultura politica e di pratiche istituzionali comuni. Di qui alle tesi sul pa-
triottismo costituzionale il passo è breve, tanto più che questa tesi sembra possedere un nu-
cleo di verità dal momento che afferma la necessità di rafforzare l’idea politica di cittadi-
nanza, rispetto al possibile carattere invadente del principio, prepolitico, della nazionalità.
Nonostante il fascino intellettuale di queste visioni, però, a mio parere bisognerebbe essere
più cauti e non lasciarsi andare a dichiarazioni trionfalistiche sulla possibilità di costruire ar-
tificialmente un popolo europeo che possa legittimare la costruzione comunitaria partendo
dalla cittadinanza. La spinta a liberarsi delle categorie concettuali classiche della politica
conduce, infatti, ad immaginare l’UE come un luogo asettico ed a-politico, in cui ciò che
perde di significato è la politica stessa. L’unica possibilità per far si che l’Europa progredi-
3
sca sulla strada dell’integrazione e per consentire che questa dispieghi appieno il suo poten-
ziale politico, risolvendo finalmente i problemi relativi alla mancanza di legittimazione de-
mocratica, pur in assenza di un popolo unitario, sembra essere, a mio parere lo sviluppo di
una dialettica che attraversi in maniera trasversale gli Stati membri e la stessa UE. In questa
maniera verrebbero attivate tutte le risorse a disposizione dell’UE: si svilupperebbe, infatti,
una dialettica tra il cittadino europeo costituzionalizzato ed i diversi demoi europei, i quali
non esauriscono la loro forza nel momento in cui si ha il passaggio dallo Stato all’oltre Sta-
to, in quanto continuano ad esistere all’interno della loro creazione – l’UE - costituendo un
ostacolo e contemporaneamente il punto di partenza della costruzione europea. Certo il
cammino verso una reale e definitiva soluzione dei problemi che attanagliano l’UE è lungo,
ma ormai gran parte degli studiosi dell’integrazione e dei politici europei sono concordi nel
sostenere che per poter costruire un’Europa che sia in grado di raccogliere consensi sia
all’interno – da parte delle opinioni pubbliche degli Stati membri – sia all’esterno - a livello
mondiale - è necessario che l’Unione si doti delle strutture che la legittimerebbero democra-
ticamente quale effettiva comunità politica.
4
CAPITOLO I°
La crisi dell’UE tra deficit democratico, mancanza di legittimità
e Costituzionalizzazione.
1. Deficit democratico, legalità e legittimità nel processo di costruzione europeo
Da anni, si parla dell’esistenza di un deficit di democraticità, in relazione ai problemi che
affliggono l’ordinamento e le istituzioni comunitarie. Quest’espressione, che ormai è entrata
nel vocabolario europeo comune, è utilizzata in rapporto ad una pluralità di fattori che sono
all’origine della disaffezione dei cittadini
1
nei confronti dell’UE. Si riferisce in particolare al
“divario esistente tra un’integrazione economica avanzata ed un’integrazione politica zoppi-
cante
2
”, che genera non pochi problemi e disagi dovuti alla gran quantità di decisioni prese a
livello europeo - le decisioni prese a Bruxelles, infatti, riguardano più della metà
dell’attività legislativa dei singoli paesi -, alla scarsa trasparenza del processo decisionale
nel quale bisogna riconoscere il limitato peso del Parlamento Europeo e ancor più delle as-
semblee nazionali, e soprattutto all’impossibilità per i cittadini di incidere sul processo deci-
sionale e su regole che sovrintendono alla loro vita quotidiana. Accanto al deficit democra-
tico (di cui la sottorappresentazione dei cittadini e lo scarso peso istituzionale del Parlamen-
to sono gli aspetti più evidenti), negli ultimi anni si è sviluppata una discussione anche in
merito ad altri aspetti problematici dell’ordinamento comunitario, per cui si sono individuati
altri due deficit che affliggono la struttura dell’Unione: il deficit sociale (che consiste nel
fissare limiti all’autonomia degli stati soprattutto in materia economica, privandoli di effica-
ci strumenti d’intervento) ed il deficit internazionale (che consiste nell’assenza di
un’effettiva ed autonoma politica di difesa comune)
3
. Il problema, dunque, è reale ed ha
contribuito ad alimentare il disinteresse, l’euroscetticismo e i timori degli europei verso
un’organizzazione che nella gran parte dei casi è considerata una sorta di “dittatore benevo-
lo”, le cui scelte collettive sarebbero razionali, ma limiterebbero le libertà politiche dei cit-
1
Secondo un sondaggio del 2004 effettuato dall’Eurobarometro i cittadini europei, pur affermando la necessità
dell’integrazione, nel 53% dei casi sono convinti che la loro voce non faccia testo a livello europeo e nel 31% dei casi
non si fidano delle istituzioni europee.
2
J. Habermas, Perché l’Europa ha bisogno di una Costituzione?, in G Bonacchi (a cura di), una Costituzione senza Sta-
to, Bologna, il Mulino, 2001, pp. 145-166, citaz. 154
3
A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, il Mulino, 2002.
5
tadini
4
. La questione più rilevante sollevata dal progetto di integrazione politica è, infatti,
semplice: ci si domanda se l’unificazione europea comporti, come è avvenuto per la forma-
zione dello Stato moderno sul continente, una fase autoritaria. Alcuni intellettuali sembrano
disposti a considerare tale fase necessaria alla creazione di un’entità politica estesa a livello
continentale, altri credono che lo sviluppo di una società civile europea possa in qualche
modo impedire che l’UE si sviluppi inizialmente in termini essenzialmente dispotici
5
. Il
problema più grave riguarda il fatto che, mentre il livello di integrazione economico euro-
peo sembra essere in continua crescita, grazie ai successi dell’integrazione economica, non
si è sviluppato un dibattito adeguato in merito alle forme politiche e costituzionali che l’UE
dovrà assumere se vorrà diventare un attore globale importante ed in grado di fronteggiare
le sfide poste in essere dalla globalizzazione. Per questo motivo dalla fine degli anni ottanta,
si sono levate da più parti voci in favore di una democratizzazione e di un rafforzamento
delle istituzioni europee, ma nonostante ciò è solo con il Consiglio Europeo di Laeken (14-
15 dicembre 2001) che una riflessione ed un dibattito seri sul futuro e sulla democrazia in
UE si sono fatti strada. Dopo venti anni però, si è avuto un cambiamento dei termini della
discussione: sono molti, infatti, gli intellettuali convinti che il problema dell’UE non sia so-
lo un problema di scarsa democraticità delle istituzioni e dei processi decisionali, ma soprat-
tutto un problema di mancanza di legittimità. L’integrazione europea è ormai un dato di fat-
to, ciò che sembra essere in pericolo è la legittimità di tale ambizioso progetto. Questo mu-
tamento indica una diversa percezione dei dilemmi che affliggono l’Unione giacché fino a
qualche anno fa il problema della legittimità del processo di integrazione europea non veni-
va posto, anche in ragione del fatto che i governi nazionali sono stati considerati per lungo
tempo sufficientemente legittimi per legittimare il processo di integrazione. La questione
della legittimità è stata posta con maggior forza nei primi anni novanta in seguito ad avve-
nimenti internazionali che hanno fatto sì che si sviluppasse una discussione approfondita sul
futuro ruolo dell’UE come attore di livello globale. In particolare l’implosione ed il dissol-
vimento dell’impero sovietico - con le conseguenti prospettive di allargamento ai paesi
4
Quello che si verifica è una riduzione dello spazio delle scelte a livello nazionale (a causa del progressivo svuotamento
delle sedi della sovranità nazionale), riduzione che non viene compensata a livello superiore (europeo) per cui il gover-
no europeo assomiglia più ad un governo delle regole che ad un governo delle scelte. J. P. Fitoussi, Il dittatore benevo-
lo. Saggio sul governo dell’Europa, Bologna, il Mulino, 2002, pp.7-18.
5
L. Siedentop, La democrazia in Europa, Torino, Einaudi, 2001.
6
dell’Est - ha confermato che regimi privi di legittimità sono destinati, nel lungo periodo, alla
dissoluzione, e che la legittimità nei moderni sistemi democratici dipende interamente dalla
credenza e dalla pratica dell’autogoverno democratico
6
. Successivamente la ratifica del
Trattato di Maastricht con il quale venivano poste le basi per fare dell’UE un’unione politi-
ca, ha reso ancor più necessaria l’attuazione di riforme atte a rendere più forte politicamente
la struttura dell’UE. Per questi motivi non è più possibile prescindere da un grande dibattito
costituzionale che coinvolga non solo la classe politica europea, ma soprattutto i cittadini
dei singoli Stati membri e che stabilisca gli obiettivi dell’integrazione, i limiti che dovrebbe
rispettare e gli strumenti che definiscono le responsabilità dei nuovi poteri e delle nuove isti-
tuzioni, in modo che i popoli europei possano tornare ad essere padroni del loro destino.
Il rischio che si corre, affrontando la questione del rapporto tra legalità e legittimità
7
(e tra
potere e legge) a livello comunitario, è di dilungarsi sulla problematicità della relazione tra
queste due categorie del pensiero politico, la cui storia recente si è intrecciata drammatica-
mente con la storia europea del ‘900: lo sforzo di razionalizzazione intrapreso da Weber (nel
tentativo di chiudere la legittimità nella forma della legalità) è stato avversato dall’opposto
tentativo della legittimità di sottrarsi a tale destino legalistico. Proprio la tensione tra legalità
e legittimità è all’origine della crisi degli Stati europei e della sovranità statale intesa in
senso classico, crisi che rende necessarie risposte ferme e convinte per arginare l’emergenza
e che a detta di molti potrebbe condurre addirittura al declino dello Stato nazione (la cui de-
cadenza è acuita anche dalla fine del rapporto univoco tra Stato e diritto e dallo sviluppo di
una pluralità di livelli ordinamentali). Nonostante, però, la tumultuosità delle relazioni tra
legalità e legittimità - e tra queste e la sovranità, che è il luogo in cui legalità e legittimità
entrano in contatto attraverso il concetto di potere costituente - a livello statale
l’opposizione tra queste categorie potrebbe non essere radicale, nel senso che il rispetto del-
la legalità può integrare e sostituire la legittimità. Ma nel momento in cui si passa dallo Sta-
to all’oltre Stato, e quindi all’UE, il problema diventa molto più complesso: la catena della
legittimazione, che nello Stato nazione seguiva un percorso rettilineo – con la sovranità co-
6
F. W. Scharpf, governare l’Europa. Legittimità democratica ed efficacia delle politiche dell’Unione Europea, Bologna,
il Mulino, 1999.
7
La legalità attiene alla sfera delle norme mentre la legittimità attiene alla sfera del consenso. M. Luciani, Legalità e le-
gittimità nel processo di integrazione europea, in G Bonacchi (a cura di), una Costituzione senza Stato, Bologna, il Mu-
lino, 2001.
7
me punto d’arrivo di un processo che nasceva dall’unità del popolo come potere costituente
– viene meno nella sua unitarietà e ci si ritrova in uno spazio non definito, fluido, in cui si
manifesta un vuoto di legittimazione. Secondo il parere di Luciani
8
, infatti, l’UE non cono-
sce la legalità costituzionale, mancando di una costituzione europea (nonostante la Corte di
Giustizia Europea affermi che i trattati possano configurarsi come costituzione), né tanto
meno conosce la legalità sostanziale, a causa della mancanza di uno spazio pubblico euro-
peo in cui sviluppare un’opinione pubblica ed un dibattito che possano suscitare consensi in
relazione al processo comunitario. Ciò implica l’impossibilità che, nell’ordinamento comu-
nitario, il rispetto della legalità esaurisca l’esigenza di legittimità e si avverte, quindi, la ne-
cessità di mettere al centro dei dibattiti sul futuro dell’Europa la questione della legittimità.
Per prima cosa bisogna sottolineare che all’origine del deficit di legittimità di cui soffre
l’Europa, vi è, in parte l’indebolimento della legittimità politica dei governi nazionali
9
, ed in
parte la specifica modalità di integrazione messa in atto dai padri fondatori, i quali, pur so-
gnando di creare uno stato federale europeo sul modello statunitense, compresero che i tem-
pi non erano maturi in Europa per proporre agli Stati europei (Stati nazionali gelosi della lo-
ro identità e sovranità) una tale iniziativa, soprattutto dopo il fallimento della CED (1954)
10
.
Fu per questo motivo che si orientò il processo di costruzione europeo verso lo stabilimento
di solidarietà di fatto - attraverso l’integrazione economica - suscettibili di aprire la strada ad
ulteriori passi in direzione del federalismo, e si optò per un metodo di integrazione che ope-
rava una sintesi tra il metodo intergovernativo e la pratica sopranazionale, cercando di ov-
viare alla mancanza di un vero governo europeo attraverso il dialogo permanente tra un or-
ganismo europeo indipendente ed i singoli governi nazionali. Le particolari modalità di svi-
luppo del progetto comunitario sembrano sollevare un problema importante: quello del rap-
8
Luciani riconosce la possibilità che la legalità possa in qualche maniera surrogare la legittimità solo negli ordinamenti
statali in cui la legalità si è plasmata nel continuo confronto con la Costituzione e la legge. M. Luciani, Legalità e legit-
timità nel processo di integrazione europea, in G Bonacchi (a cura di), una Costituzione senza Stato, Bologna, il Muli-
no, 2001, p. 73.
9
Sempre meno in grado di gestire e risolvere i problemi politici che si presentano, a causa dei processi, tra loro interrela-
ti, di globalizzazione economica ed unificazione europea. F. W. Scharpf, governare l’Europa. Legittimità democratica
ed efficacia delle politiche dell’Unione Europea, Bologna, il Mulino, 1999.
10
Il progetto d’integrazione europea nasce come progetto politico, per consentire ai paesi europei di controllare in ma-
niera stabile il potenziale tedesco. Tuttavia dopo il fallimento della CED si riconobbe l’impossibilità di progredire sulla
strada dell’integrazione politica e la logica dell’integrazione economica finì per dominare l’agenda politica, guidando la
successiva evoluzione istituzionale. F. W. Scharpf, governare l’Europa. Legittimità democratica ed efficacia delle poli-
tiche dell’Unione Europea, Bologna, il Mulino, 1999; J. L. Quermonne, L’Europe en quête de légitimité, Paris, Presses
de sciences po, coll. « La bibliothèque du citoyen », 2001.
8
porto tra libero mercato e democrazia liberale. Ciò che ci si domanda è se è vero che lo svi-
luppo di un libero mercato comporta automaticamente lo sviluppo di istituzioni liberali, che
quindi sarebbero considerate il semplice corollario di un sistema di scambi aperto, oppure se
queste rappresentano il frutto di una conquista che non è la diretta conseguenza di un merca-
to unico
11
. La risposta a questi interrogativi è fondamentale per lo sviluppo futuro
dell’Europa. Se è vero che il metodo comunitario ha ottenuto notevoli successi, giacché ha
permesso la realizzazione dell’unione doganale e del mercato unico, bisogna però tener con-
to del fatto che già dagli anni ‘70 il modello integrazione proposto da Monnet mostrerà i
primi segni di crisi a causa dell’ampliamento delle competenze comunitarie
12
e degli svi-
luppi contrastanti dal punto di vista giuridico e dal punto di vista politico. Giuridicamente,
nel periodo istitutivo, la Comunità si sviluppo con un inesorabile dinamismo di forte sopra-
nazionalità, grazie all’operato della Corte di Giustizia Europea che consentì una rapida inte-
grazione giuridica. Ma da un punto di vista politico, ci furono sviluppi contrari, con gli Stati
membri che assunsero il pieno controllo del processo decisionale, provocando un appesan-
timento dello stesso ed indebolendo l’efficienza della Comunità complessivamente intesa.
In un certo senso gli sviluppi giuridici integrazionisti, almeno indirettamente, incisero su
quelli politici di portata disintegrazionista, per cui il processo d’integrazione risultò essere
caratterizzato, sin dalle origini, da una forte asimmetria, da un dualismo crescente tra il ca-
rattere sovranazionale del diritto europeo ed il carattere intergovernativo della politica euro-
pea
13
. Il metodo comunitario si rivelerà, dunque, inadatto al perseguimento dell’unione poli-
tica. Questa situazione indurrà i politici europei a comprendere la necessità di mobilitare gli
Stati membri al servizio dell’impresa comunitaria ed in vista di quest’obiettivo, si suggerirà
ai capi di Stato e di governo di formare un “governo provvisorio” che è all’origine del Con-
siglio europeo - che ancora oggi, nonostante nelle intenzioni dei politici dovesse essere una
soluzione provvisoria, svolge funzioni di governo e funzioni legislative. L’inserimento di
questa dose di democraticità indiretta, presentava il vantaggio di introdurre nel sistema una
11
L. Siedentop, La democrazia in Europa, Torino, Einaudi, 2001.
12
L’ampliamento delle competenze comunitarie avvenne dal 1963 grazie ad una serie di sentenze della Corte di Giusti-
zia Europea che sancirono i quattro principi che hanno plasmato i rapporti tra Stati e Comunità (principio dell’effetto di-
retto, di supremazia del diritto comunitario, dottrina dei poteri impliciti e principi in materia di diritti fondamentali) e
che hanno mostrato la pervasività del potere comunitario. J.H.H. Weiler, La trasformazione dell’Europa, in La costitu-
zione dell’Europa, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 33-173.
13
J.H.H. Weiler, La trasformazione dell’Europa, in La costituzione dell’Europa, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 33-173.
9
misura minima di responsabilità politica, ma aveva l’inconveniente di spezzettarne
l’esercizio davanti ai parlamenti nazionali rendendo difficile la gestione efficace e stabile di
una Comunità che puntava a divenire un’Unione politica estesa a livello continentale. Di qui
la proposta di mobilitare i cittadini degli stati membri dell’Unione con l’elezione diretta dei
membri dell’Assemblea parlamentare (in modo che il governo dell’Europa avesse un Par-
lamento davanti al quale essere responsabile) che fino al 1979 era composta da membri dei
parlamenti nazionali – i quali in questo modo vedevano in parte compensata la perdita di
potere che subivano a causa del continuo trasferimento di competenze a livello comunita-
rio
14
. L’elezione diretta del Parlamento europeo ha in parte rafforzato la legittimità
democratica del sistema europeo – rendendo elettiva l’istanza parlamentare - tuttavia questa
risulta ancora essere insufficiente, per cui, nonostante il ruolo del parlamento europeo si sia
notevolmente rafforzato, soprattutto in seguito alle riforme degli ultimi anni, questo non è
ancora in grado di svolgere a le funzioni svolte a livello statale dai parlamenti nazionali; il
Consiglio dei capi di Stato e di governo, d’altra parte, concepito come il governo – provvi-
sorio – della Comunità, è stato per lungo tempo il centro d’impulso del processo di integra-
zione, ma negli ultimi anni le sue riunioni sono diventate sempre più simili a quelle di una
conferenza diplomatica più adatta a discutere di interessi nazionali che dell’interesse
generale della comunità. L’incapacità del parlamento europeo di agire come una vera
istanza parlamentare e di contribuire alla legittimazione democratica del sistema
sovrastatale e la perdita di coerenza ed efficienza da parte del Consiglio, sono parzialmente
imputabili a quello che Ress considera una sorta di “difetto congenito
15
” dell’Unione: la
legislazione del governo. Con questa espressione Ress vuole indicare l’esercizio, da parte
del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, della funzione legislativa che negli
Stati membri è di competenza delle assemblee parlamentari. Quest’anomala ripartizione
delle competenze non è sembrata problematica fintanto che l’estensione delle competenze
limitata a poche materie; tale struttura, tuttavia, diventa legislative comunitarie era
14
Con l’elezione diretta del Parlamento europeo si ebbe un’ulteriore tentativo di legittimare il sistema comunitario, tut-
tavia si finirono per escludere completamente dal processo decisionale comunitario i parlamenti nazionali. Questi, infat-
ti, hanno visto ridursi progressivamente le loro competenze a vantaggio di un organo – il Consiglio – sul quale non e-
sercitano che un debole ed illusorio controllo. J. L. Quermonne, L’Europe en quête de légitimité, Paris, Presses de
sciences po, coll. « La bibliothèque du citoyen », 2001.
15
Questo difetto congenito si basa, secondo l’analisi di Ress, non su una riserva nei riguardi di un potere legislativo del
Parlamento, ma sulla preoccupazione di preservare la sovranità degli Stati membri e le possibilità di influenzare il pro-
cesso legislativo comunitario, visto che un rafforzamento di poteri del parlamento europeo limiterebbe fortemente la po-
testà normativa degli Stati membri, riducendo la loro influenza sull’Unione. G. Ress, Parlamentarismo e democrazia in
Europa. Prima e dopo Maastricht, Napoli, Guida, 1999.
10
era limitata a poche materie; tale struttura, tuttavia, diventa intollerabile - non solo politica-
mente, ma anche con riferimento alla tradizione del parlamentarismo e del costituzionalismo
europeo - con l’estensione del potere legislativo del Consiglio a numerose materie di impor-
tanza fondamentale. Nella situazione attuale, in cui gran parte delle decisioni prese a Bru-
xelles hanno un impatto diretto ed immediato sulle singole legislazioni nazionali e sulla vita
quotidiana dei cittadini dell’UE, è necessario che le istituzioni comunitarie sviluppino un
adeguato livello di trasparenza e siano sufficientemente legittimate a svolgere le loro fun-
zioni per essere accettate dalle opinioni pubbliche nazionali.
In pratica sembra essere giunto il momento di porsi il problema della legittimità del proces-
so di integrazione europeo. Per Scharpf l’UE soffre di un deficit di legittimità a tre livelli
dovuto alla mancanza di un senso di identità collettiva, alla mancanza di un dibattito politi-
co su scala europea ed alla mancanza di una struttura istituzionale su scala europea in grado
di assicurare un certo grado di responsabilità dei governanti nei confronti dell’elettorato eu-
ropeo
16
. Certo si sarebbe potuto colmare questo deficit, almeno in linea di principio, attra-
verso riforme istituzionali, che tuttavia si sarebbero dovute intraprendere prima
dell’allargamento ai paesi dell’Est. Dopo il 2004, le prospettive in merito alla creazione di
un’identità europea condivisa, e di un dibattito che si sviluppi su scala europea che possa le-
gittimare le decisioni politicamente salienti, si allontana ancora di più. Le incertezze mag-
giori in relazione alla questione della legittimità politica dell’Unione, sono dovute per alcuni
intellettuali ad una crisi del pensiero politico in Europa, al tentativo, cioè, di interpretare ed
analizzare le questioni relative al processo di integrazione comunitario e al particolare asset-
to istituzionale dell’Unione, alla luce di categorie concettuali del pensiero politico (Stato,
nazione, popolo e sovranità) che, sebbene non siano divenute obsolete, non possono fungere
da traguardo concettuale del fenomeno europeo, né tanto meno possono aiutare a fare passi
avanti sulla strada della legittimazione della struttura comunitaria. Questa tesi che ormai è
divenuta una costante negli studi sull’UE, afferma dunque che sarebbe ingannevole cercare
le categorie necessarie ad analizzare la situazione che si sta delineando in UE, nel bagaglio
di concetti ed esperienze che hanno, nel corso dei secoli, portato alla formazione degli Stati
16
F. W. Scharpf, governare l’Europa. Legittimità democratica ed efficacia delle politiche dell’Unione Europea, Bolo-
gna, il Mulino, 1999.
11
nazione moderni e quindi sarebbe sbagliato ricercare un qualsiasi parallelismo tra il percor-
so che ha portato alla formazione degli Stati nazione e il percorso, in continuo divenire,
dell’integrazione comunitaria
17
. Questa tesi è sicuramente valida e fondata, ma bisogna ana-
lizzare quest’argomentazione con le dovute cautele a causa di una ragione fondamentale: se
è vero che non è possibile ritrovare nella costruzione comunitaria la catena di legittimazione
breve e lineare che invece avevamo a livello degli Stati nazionali, è anche vero che tra il li-
vello comunitario e quello statale esiste un punto di contatto dato dal fatto che, in base a
quanto sancito anche dal Trattato costituzionale, l’identità valoriale dell’Europa è sostanzia-
ta dall’idea del rispetto della democrazia
18
. Il concetto di democrazia è, infatti - insieme ai
concetti di popolo e costituzione - al centro del patrimonio costituzionale europeo; allonta-
nandosi da questa sostanza, ci si allontana dall’origine di quel patrimonio che ha modellato
la storia degli Stati nazione moderni, e sì da per scontato che la strada per giungere alla le-
gittimazione democratica dell’UE debba essere diversa dal percorso attraverso cui gli Stati
membri hanno raggiunto la loro legittimità, per mezzo delle costituzioni. A questo punto è
opportuno riprendere le nozioni di legittimità, legalità e democrazia che sono fondamentali
per continuare nella nostra analisi. Relativamente alla democrazia, ai fini di quest’indagine,
può essere utile ricordare che un’istituzione è tanto più democratica, quanto maggiore è il
grado di vicinanza, rappresentatività e imputabilità dei governanti nei confronti dei governa-
ti. Ciò significa che ogni trasferimento di sovranità verso l’alto porta con se il rischio di al-
lontanare l’istituzione dalla collettività che dovrebbe rappresentare - e quindi potrebbe ri-
durre il grado di democrazia diretta nel breve periodo - poiché la vicinanza della nuova enti-
tà nei confronti dei cittadini sarà minore rispetto a quella dello Stato inteso singolarmente.
Per legalità s’intende un requisito del potere, per cui si dice che “un potere è legale [….]
17
Beaud afferma in proposito che, piuttosto che parlare di deficit di legittimità o di deficit democratico, sia opportuno
parlare di un deficit del pensiero politico in relazione al processo d’integrazione, volendo indicare con quest’espressione
l’impossibilità di interpretare ed analizzare l’evoluzione dell’UE alla luce di categorie classiche del pensiero politico e
l’incapacità di individuarne nuove, O. Beaud, Déficit politique ou déficit de la penseé politique?, in Le Debat n°87,
2005, Paris, Gallimard, pp. 44-59. Sulla stessa lunghezza d’onda Siedentop afferma che le incertezze sul futuro politico
dell’UE possono essere ricondotte ad una crisi che investe il pensiero politico europeo, crisi che prepara la strada al
dominio del linguaggio economico nei dibattiti di politica pubblica, L. Siedentop, La democrazia in Europa, Torino, Ei-
naudi, 2001. Anche le tesi di L. Cohen-Tanugi sembrano andare in questa direzione, dal momento che egli afferma
l’impossibilità di comprendere la specificità e la peculiarità del progetto europeo alla luce delle categorie tradizionali
della scienza politica, e sembra imputare i problemi di cui soffre l’UE alla mancanza di un dibattito democratico, non
solo a livello europeo, ma anche negli stessi Stati membri, L. Cohen-Tanugi, l’Europe en danger, Fayard, 1992.
18
B. De Giovanni, “Verso una Costituzione post-nazionale?” in G. Vacca (a cura di), Dalla Convenzione alla Costitu-
zione. Rapporto 2005 della Fondazione Istituto Gramsci sull’integrazione europea, edizioni Dedalo, pp21-58.
12
quando viene esercitato nell’ambito o in conformità delle leggi stabilite o comunque accet-
tate”
19
. Per legittimità s’intende, invece, “quell’attributo dello Stato consistente nella pre-
senza in una parte rilevante della popolazione di un grado di consenso tale da assicurare
l’obbedienza senza che sia necessario il ricorso alla forza
20
”; per citare Habermas: “dire che
un ordinamento politico gode di legittimità, vuol dire che vi sono ottime ragioni per consi-
derare la pretesa di quell’ordinamento di esser riconosciuto giusto e corretto
21
”.
Un’istituzione, un sistema o un’entità politica devono essere, nella gran parte dei casi, ma
non in tutti, legali per godere di legittimità - questo è il caso soprattutto delle democrazie
occidentali, il cui ethos politico è permeato dal concetto di “Stato di diritto”- ma un sistema
che sia legale non necessariamente godrà del requisito della legittimità
22
.
In base a quanto detto è possibile affermare che il processo di integrazione comunitario,
benché concordato, causa una perdita di breve periodo del grado di democraticità e legitti-
mità; ma bisogna altresì sostenere che la Comunità gode del requisito della legalità. I trattati
istitutivi, infatti, sono stati tutti approvati dall’elettorato comunitario, tramite i singoli Par-
lamenti nazionali, in conformità ai principi costituzionali di ogni singolo Stato membro. I-
noltre i trattati sono stati riapprovati in diverse occasioni, con l’adesione di ogni nuovo
membro e con l’approvazione dei successivi emendamenti. Quindi il cammino percorso dal-
la Dichiarazione Schumann ad oggi, è stato rispettoso della legalità. La legalità del processo
di integrazione comunitario, non è tuttavia autonoma o interna al sistema comunitario, ma è
la legalità esterna al sistema, quella propria del diritto internazionale – che si risolve
nell’osservanza di norme pattizie e consuetudinarie - e non ha nulla a che vedere con la le-
galità che caratterizza i procedimenti costituzionali dello Stato
23
. Le istituzioni comunitarie
agiscono, quindi, in perfetta legalità conformemente ai mandati loro conferiti democratica-
mente dagli Stati attraverso la ratifica dei trattati. Ciò implica che se in Europa si parla di
crisi, deve trattarsi per forza di una crisi di legittimità. Quello che diventa, quindi, essenziale
19
Bobbio, Matteucci, Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, TEA, 2000, pp. 554-558, cit. p. 554.
20
Bobbio, Matteucci, Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, TEA, 2000, pp. 554-558, cit. p. 555.
21
J. Habermas, La costellazione postnazionale ed il futuro della democrazia, in La costellazione postnazionale, Milano,
Feltrinelli, 1999, pp. 29-102.
22
Le più grandi Rivoluzioni popolari sono avvenute in sistemi politici i cui governi godevano della perfetta legalità, ma
avevano perso la legittimità. J.H.H. Weiler, La trasformazione dell’Europa, in La costituzione dell’Europa, Bologna, il
Mulino, 2003, pp. 33-173.
23
M. Luciani, Legalità e legittimità nel processo d’integrazione europea, in G Bonacchi (a cura di), una Costituzione
senza Stato, Bologna, il Mulino, 2001, p. 71-87
13
per il successo del processo di integrazione, è il grado di legittimità, di consenso presso
l’opinione pubblica, di cui gode il sistema. Ma come emerge questa legittimità? Sono ipo-
tizzabili due risposte. Innanzi tutto attraverso una concreta e palese dimostrazione che il be-
nessere materiale della collettività sia aumentato grazie all’integrazione. Per molto tempo,
in effetti, il progetto comunitario ha goduto di un minimo di legittimità grazie ai risultati ot-
tenuti dal punto di vista del miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini europei. Tut-
tavia, in tempi di cambiamenti economici e politici mondiali, ed in un’Unione resa ancora
più complessa dall’allargamento, tale tipo di legittimità non è più sufficiente a legittimare
l’UE agli occhi dei cittadini i quali hanno il diritto di sapere dove porta questo progetto che
influisce in maniera così determinante sulle loro vite. L’altra modalità attraverso cui far e-
mergere la legittimità di cui necessità l’UE per andare avanti nel suo cammino, è
l’osservazione del fatto che la comunità politica integrata, possiede forme e caratteri demo-
cratici, nonché un’identità collettiva forte, e quindi ha recuperato a livello sovrastatale le
quote di democrazia perse a causa del processo di integrazione. Certo si deve riconoscere
che negli ultimi anni la democrazia si è progressivamente radicata in Europa, ma in ogni ca-
so il livello di democraticità del sistema europeo risulta essere ancora insufficiente. Il punto
di vista di molti intellettuali è che l’assenza di legittimità democratica sia una diretta conse-
guenza del deficit democratico e di parlamentarizzazione di cui l’UE soffre. Per questo mo-
tivo sono molti coloro i quali propongono di risolvere sia il problema della legittimità sia il
problema della democraticità dell’Unione, attraverso un aumento dei poteri legislativi e di
controllo del Parlamento europeo a discapito del Consiglio, in modo da rafforzare l’istanza
parlamentare (e da renderla più simile ad un “vero” parlamento) ed eliminare le cause, pre-
sunte, della crisi di legittimità. In realtà, Weiler ed altri studiosi
24
, sostengono che, seppure
24
Weiler, pur riconoscendo la necessità di rafforzare l’istanza parlamentare, ammette che un semplice potenziamento
dei poteri parlamentari, non risolverebbe il problema alla radice. J.H.H. Weiler, La trasformazione dell’Europa, in La
costituzione dell’Europa, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 33-173. Ferry, definendo l’Unione europea come “il massimo
d’integrazione possibile compatibile con le esigenze di nazioni fortemente strutturate”, afferma che l’unica soluzione
possibile per risolvere definitivamente il deficit democratico dell’Unione, sia la creazione di un “sistema di parlamenti”
che attiverebbe la democrazia rappresentativa, a livello europeo, molto più che un semplice rafforzamento dei poteri del
Parlamento europeo. Si dovrebbe, dunque, sviluppare un dialogo in orizzontale e verticale tra i livelli parlamentari na-
zionale ed europeo in modo tale da rendere realmente politico il ruolo del Parlamento e conferire ad esso nuova vitalità.
J. M. Ferry - P. Thibaud, Discussion sur l’Europe, Paris, Calmann-Lévy, 1992. Sulla stessa frequenza, Georg Ress af-
ferma che non essendo il Parlamento europeo in grado di coprire l’intero arco di competenze esercitate degli Stati
membri attraverso il Consiglio, la parlamentarizzazione dell’Unione non può essere assicurata né dal solo Parlamento
europeo né dai soli Parlamenti nazionali. Per questo motivo si è fatto strada nell’indirizzo costituzionale dell’Unione
l’idea che la questione del superamento del deficit democratico sia possibile solo attraverso la creazione di un’alleanza
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si dovessero conferire maggiori poteri al Parlamento europeo – in modo da ridurre il deficit
di parlamentarizzazione – ciò non basterebbe a risolvere i problemi di legittimità dell’UE,
ma addirittura potrebbe acuirli se all’aumento dei poteri del Parlamento europeo non doves-
se accompagnarsi un maggiore coinvolgimento dei parlamenti nazionali nel processo deci-
sionale europeo. L’assenza di legittimità caratteristica dell’Unione europea, è legata a fattori
diversi, ma tutti risalenti in modo più o meno diretto, alla questione del mancato spostamen-
to della lealtà dell’opinione pubblica europea nei confronti della nuova istituzione.
L’elettorato europeo (nella maggioranza degli Stati membri), non accetta volentieri l’idea
che settori fondamentali della vita pubblica, siano governati da un processo decisionale in
cui la propria voce nazionale sia una minoranza che può essere battuta da una maggioranza
rappresentativa di altri stati, diversi per storia, lingua, tradizioni culturali e politiche. Ciò
che manca dunque all’UE è un’identità collettiva forte, che permetta di sviluppare le forme
di solidarietà civica necessarie al funzionamento di un sistema complesso visto che “un pro-
cesso d’integrazione che non sia governato da un’identità coerente prima o poi conduce al
disordine
25
”. L’impossibilità di fatto per gli elettori europei di influire sulle regole che so-
vrintendono alla loro vita quotidiana, costituisce un limite dell’attuale assetto istituzionale,
ed è all’origine delle contestazioni sempre più frequenti che provengono da più parti. Le
contestazioni più energiche provengono
26
:
1. dalla collettività degli Stati - i quali criticano la frammentazione, l’incoerenza co-
stituzionale e la scarsa efficienza della struttura dell’UE;
2. dai singoli Stati membri, i quali non disdegnano di proporre soluzioni differenziate
(Europa a due velocità) che ridurrebbero ancora di più la coerenza e l’efficienza del sistema,
ma che per certi versi sembrano essere le uniche vie percorribili per consentire all’UE di u-
scire dall’attuale impasse;
fra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali: la presenza attiva dei Parlamenti nazionali diventa indispensabile per
compensare la marginalità del ruolo riservato al Parlamento europeo. G. Ress, Parlamentarismo e democrazia in Europa.
Prima e dopo Maastricht, Napoli, Guida, 1999.
25
L. Siedentop, La democrazia in Europa, Torino, Einaudi, 2001, cit. p. 226.
26
J. H. H. Weiler, La riforma del costituzionalismo europeo, in La costituzione dell’Europa, Bologna, il Mulino, 2003,
pp.451-474.
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