Introduzione
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------
3
I documenti post-conciliari, in modo particolare il magistero di Giovanni Paolo II e,
in continuità, l’inizio del pontificato di Benedetto XVI, rilanciano e incoraggiano la vita dei
Movimenti come “primavera della Chiesa”, capaci di quella “novità” derivante “dalla grazia
battesimale”, in grado di far approfondire “il mistero di comunione con Cristo e con i
fratelli”, nella “salda fedeltà al patrimonio della fede trasmesso dal flusso vivo della
Tradizione”, così da generare un “rinnovato flusso missionario, che porta ad incontrare
uomini e donne della nostra epoca nelle concrete situazioni in cui essi si trovano ed a posare
uno sguardo carico d’amore sulla dignità, sui bisogni e sul destino di ognuno”
6
.
Ma è possibile dare una definizione di “Movimento”, di “Gruppi”, di “Fraternità”? La
risposta la troviamo ancora nelle parole di Giovanni Paolo II:
“Questi termini vengono spesso riferiti a realtà diverse fra loro, a volte, perfino per
configurazione canonica. Se, da un lato, essa non può certamente esaurire né fissare la
ricchezza delle forme suscitate dalla creatività vivificante dello Spirito di Cristo, dall’altro
sta però ad indicare una concreta realtà ecclesiale a partecipazione laicale, un itinerario di
fede e di testimonianza cristiana che fonda il proprio metodo pedagogico su un carisma
preciso donato alla persona del fondatore in circostanze e modi determinati. L’originalità
propria del carisma che dà vita al Movimento non pretende, né lo potrebbe, di aggiungere
alcunché alla ricchezza del depositum fidei, custodito dalla Chiesa… Essa, però, costituisce
un sostegno potente, un richiamo suggestivo e convincente a vivere appieno, con
intelligenza e creatività, l’esperienza cristiana. Sta in ciò il presupposto per trovare risposte
adeguate alle sfide e alle urgenze dei tempi e delle circostanze storiche sempre diverse”
7
.
Nelle parole del Papa si riscontrano dunque tutti gli elementi specifici di una nuova
vita di comunione: la libertà dello Spirito; il valore del “sacerdozio comune”; la pedagogia
specifica di un fondatore; l’originalità nella Tradizione. Si tratta di fattori tutti capaci di dare
sempre “maggiore freschezza alla vita cristiana”.
Un ulteriore passo, nella linea della riflessione, sul cammino da percorrere che i
movimenti ecclesiali sono chiamati a compiere, lo troviamo nelle parole di Benedetto XVI
nell’“Incontro con i Movimenti Ecclesiali e le Nuove Comunità” del maggio 2006.
Partendo dalla domanda: “Chi o che cosa è lo Spirito Santo? Come possiamo riconoscerlo?
In che modo noi andiamo a Lui ed Egli viene a noi? Che cosa opera?”, il Papa sviluppa il
tema della vita e della libertà, come primi doni dello Spirito Santo e il tema dell’unità,
perché lo Spirito opera “in vista dell’unico corpo e nell’unità dell’unico corpo”.
6
Messaggio di Giovanni Paolo II ai partecipanti al Congresso Mondiale dei Movimenti Ecclesiali, Roma, 27-29 maggio
1998 (www.vatican.va).
7
Ibidem, n. 4.
Introduzione
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------
4
Vita, libertà, unità. Vita: “la vita la si trova soltanto donandola”; Libertà: “la vera libertà si
dimostra nella responsabilità”; Unità: “lo Spirito è datore di unità”
8
.
Da qui riparte lo slancio missionario dei cristiani; da questa rinnovata consapevolezza
ecclesiale riprende forza l’azione di Movimenti, dei Gruppi e delle Fraternità.
Il lavoro che mi accingo a presentare si situa all’interno di questa “novità”, intenta a
recuperare tutto il valore della tradizione laico-monastica, vissuta e condivisa nella “città
dell’uomo”: antico e nuovo che si coniugano in un vissuto quotidiano per ridare “sapore”
all’uomo contemporaneo perduto “nel fare” continuo della sua esistenza.
Tali sono le considerazioni che inducono Pierre Marie Delfieux, dopo un periodo
trascorso nel deserto del Sahara, a fondare le Fraternità monastiche di Gerusalemme. Il suo
intento è quello di riportare Dio nel cuore del vissuto umano (Au coeur des villes, au coeur
de Dieu), di ripensare l’esperienza monastica vivendola nel “cuore della città degli
uomini”
9
. Tale cammino di avvicinamento all’uomo contemporaneo prende le mosse da
lontano, ma vuole condividere fino in fondo la situazione attuale della chiesa e del mondo.
Da qui la novità che le “Fraternità monastiche di Gerusalemme” intendono sviluppare: la
dimensione ecumenica (ad intra), nella condivisione di tutta la spiritualità (come già
ricordato da Giovanni Paolo II, “Respirare con tutti e due i polmoni della Chiesa, quello
Occidentale e quello Orientale”), e la dimensione “mondana” (ad extra), l’essere accanto
all’uomo d’oggi ripetendo l’annuncio profetico “di nuovi cieli e nuova terra, in cui avrà
stabile dimora la giustizia… e la bellezza! Che il cristianesimo non è la religione del “no”
(al mondo, alla gioia, all’amore), ma è la religione del “sì”: sì alla vera gioia, alla vera
bellezza, al vero amore”
10
.
L’esperienza delle “Fraternità monastiche di Gerusalemme” approfondisce
primariamente i temi della vita cristiana: di totale consacrazione a Dio (con la consacrazione
religiosa, di povertà, obbedienza e castità) e attenzione alla crescita umana-spirituale
dell’uomo (che trova nell’ascolto della Parola e nella pratica del sacramento il sostegno alla
propria azione).
8
Incontro con i Movimenti Ecclesiali e le Nuove Comunità, Roma, 3 giugno 2006 (www.vatican.va).
9
Cfr. dalla Prefazione di: PIERRE-MARIE DELFIEUX, Come monastero la città, Ancora, Milano 2005, p. 9.
10
Ibidem, pp. 12-13.
Capitolo primo: Il fondatore
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------
5
CAPITOLO PRIMO
IL FONDATORE
Tracciare la figura del fondatore delle “Fraternità monastiche di Gerusalemme”, il
Padre Pierre-Marie Delfieux, non è impresa facile. Non lo è, perché il cliché che si conosce
del fondatore di un Ordine, di una Congregazione o di una Fraternità religiosa, non è quello
di una persona della quale si possa parlare mentre ancora è in vita. Non lo è, in ciò la
seconda ragione della mia cautela, perché quella delle Fraternità è un’esperienza giovane,
che prende le mosse da un vissuto recente e che è alla ricerca di un radicamento nel tessuto
ecclesiale e nella società.
Pierre-Marie Delfieux nasce a Campuac (Rouergue) il 4 dicembre 1934, ordinato
sacerdote il 29 giugno 1961, inizia l’esperienza ministeriale come Cappellano degli studenti
alla Sorbona di Parigi, proprio negli anni della contestazione giovanile, fine anni ’60, dove
ha modo di approfondire gli studi teologici e quelli scritturistici.
Sarà proprio nel vortice di quegli anni, dove il tessuto sociale è messo a dura prova
dalla contestazione giovanile
1
, e la vita della chiesa è chiamata ad una profonda revisione
dopo l’esperienza del Concilio Vaticano II, che Padre Delfieux chiede ed ottiene di potersi
ritirare nel deserto del Sahara, sulla montagna dell’Assekrem. Inizierà così, dopo dieci anni
di vita sacerdotale, un nuovo modo di essere prete e di sentirsi cristiano. La richiesta di un
anno sabbatico all’arcivescovo di Parigi, François Marty, lo porterà a sperimentare il valore
del silenzio, della solitudine, che gli consentirà di sentirsi cuore a cuore con Dio
2
. È l’inizio
di una “rivoluzione” personale che avrà come naturale sbocco, dopo circa due anni, il
ripensare se stesso in un modo completamente nuovo. Nuova la comprensione, antica la
forma nella quale verrà applicata questa novità: quella monastica. Caratterizzata dall’essere
monaco “di” città, essere monaco “in” città, nella città dove gli uomini vivono
quotidianamente la propria esperienza di vita.
1
“Non è invano che il Maggio ’68, dove non tutto è stato negativo, riconosciamolo!...”, è la valutazione che Pierre-
Marie Delfieux dà degli anni della contestazione, lui che l’ha vissuta in prima persona dentro il mondo universitario, in
P.-M. DELFIEUX, Come monastero la città, Ancora, Milano 2005, p. 41.
2
Cfr. www.jerusalem.cef.fr, Intervista a Pierre-Marie Delfieux; tutte le indicazioni biografiche avranno come fonte
questa intervista.
Capitolo primo: Il fondatore
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------
6
È questa la parola nuova che inizierà a prendere forma nella vita di Padre Delfieux:
“monaco”. Intraprendere una vita monastica dentro una realtà apparentemente lontana dalle
esigenze dello spirito: la città, che è tutta presa dal fare e dall’operare, distante e non
interessata al richiamo di Dio. Al contrario sarà, come vedremo, il luogo dove scoprire il
senso genuino del proprio essere e del proprio lavorare, dove scoprire le tracce della
presenza dell’Assoluto.
Fino a prima di iniziare l’esperienza del deserto, la parola che aveva segnato il cammino
umano e sacerdotale del Padre Delfieux era stata: “università”, o meglio “esperienza
universitaria”; dopo la conoscenza del deserto si fa strada un nuovo sapere: quello del
Sahara. Così, al termine “parigino”, che fino a quel momento aveva segnato la sua vita, si
affiancherà ora quello di “sahariano”
3
.
Il nascosto, taciuto, ma fortemente voluto, desiderio del Cardinale Marty di creare dentro la
città spazi di silenzio dove sperimentare la presenza di Dio nel frastuono degli uomini,
trovavano in Padre Delfieux il segno tangibile e la realizzazione concreta di quel progetto da
tempo accarezzato:
“L’accordo spontaneo del Cardinale Marty ha fatto in modo che questo desiderio diventasse
un ordine di missione. E tutto si è messo in moto”
4
.
Prima di proseguire nella presentazione della nascita e degli sviluppi di questa nuova
vita, mi sembra doveroso fare un passo indietro e cercare di esporre, seppur brevemente,
l’esperienza che sta all’origine e che ha determinato questa novità.
È l’esperienza del deserto che il Padre Fondatore ha fatto. Premetto che non ci sono
resoconti dettagliati degli anni di vita passati nel deserto dell’Assekrem, riporto quanto il
Padre Delfieux mi ha voluto gentilmente dire in un’intervista rilasciatami presso la Badia di
Firenze la seconda settimana del mese di febbraio 2007
5
.
Il primo contatto che il Padre Fondatore ha avuto con il deserto risale agli anni in cui
era Cappellano presso l’Università della Sorbona: “Ho conosciuto il deserto attraverso
l’esperienza dei pellegrinaggi universitari in Terra Santa”. Fin da subito l’emozione è forte.
3
Ibidem, intervista.
4
Ibidem, seconda domanda dell’intervista.
5
Vedi l’intera intervista in appendice.