3
fluida, noi la possediamo»
1
. Parola “insatura” che attende nuove configurazioni
di senso, e non più una parola “vuota”, impossibile da definire
concettualmente, se non nel senso della sua funzione di contenitore di
“realizzazioni” di “presunzioni”: «Non sappiamo cioè ancora se quest’idea
possa realizzarsi»
2
.
L’indagine sulle modalità di donazione di senso che la mente umana compie
nell’ambito interpersonale e intrasoggettivo necessita di una concezione della
“verità” che sia slegata dalle categorie concettuali, e che sia il più vicina
possibile alla sfera della sensibilità, dell’emotività e dell’affettività, dato che
ogni “quadro” che l’uomo si costruisce riguardo le proprie relazioni e il proprio
sé, è inscindibile da quella sfera. Conoscere la psiche umana significa costruire
dei modelli e delle teorie capaci di comprendere i movimenti affettivi ed
emotivi che guidano l’uomo nelle sue scelte e nel suo agire. La teoria
psicoanalitica è nata dall’esigenza di comprendere e curare le sofferenze che si
originano nella sfera psichica cosciente dai movimenti emotivi ed affettivi
inconsci. In questo lavoro, il temine “affetti inconsci” sta ad indicare
l’organizzazione che le pulsioni hanno assunto durante l’evoluzione della
psiche umana; delle strutturazioni capaci di fondare, dirigere e di organizzare il
senso che il soggetto darà al suo ambiente e al proprio sé. Con questo termine
intende estendere la concezione husserliana della sfera di donazione di senso
1
Husserl, E. (1950) Meditazioni cartesiane. Con l’aggiunta dei Discorsi parigini. Milano,
Bompiani, 1989, p. 44.
2
Ib., p. 44.
4
oltre l’ambito della coscienza, e proporre l’esistenza di “quadri” di senso
inconsci che si sono organizzati, a partire dalla relazione delle pulsioni con gli
oggetti mentali, durante l’evoluzione della specie. In questo quadro, con il
termine “affettivo” vengono qui denotati i movimenti psichici e gli oggetti in essi
coinvolti che la psicoanalisi tenta di mettere in contatto con la coscienza e con il
pensiero del soggetto. Il percorso che la psicoanalisi ha seguito fin dalla sua
nascita è stato quello di condurre sul piano del pensiero fenomeni dalle
caratteristiche sensibili, con un valore emotivo tale da suscitare resistenze alla
comprensione, e quindi alla conoscenza e alla verità soggettiva.
Il percorso che qui viene proposto prende le mosse dalle considerazioni di
Sigmund Freud circa la “verità” che la nuova disciplina da lui creata era capace
di apportare alla conoscenza della psiche del soggetto e del senso che
l’individuo donava inconsciamente al proprio ambiente relazionale, ponendolo
in azione senza condurlo ad una elaborazione sul piano del pensiero cosciente.
Le concezioni freudiane trovano un seguito originale nell’opera di Melanie
Klein, la quale “apre” la costituzione della realtà psichica alle relazioni oggettuali,
vale a dire all’intrinseco legame, nella formazione della mente del soggetto, tra
l’apparato pulsionale e i fantasmi degli oggetti esterni. Questa autrice ha
introdotto, grazie all’analisi effettuata sui bambini, dei concetti chiave per la
comprensione dello sviluppo della realtà psichica nella relazione originaria con
la madre. I concetti di identificazione proiettiva, posizione schizo-paranoide e
depressiva e di rêverie hanno reso possibile l’accesso alle dinamiche oggettuali
5
della realtà psichica in evoluzione, che la teoria freudiana non era capace di dare.
La conoscenza della verità affettiva si sposta così, dal piano di un tipo di
donazione di senso evoluto, come quello del complesso edipico freudiano, al
piano della formazione primaria di un mondo interno nel quale trova posto il
senso che il soggetto dona a tutti i suoi oggetti esterni e alle relazioni con essi.
Il terzo autore preso in esame, Wilfred Ruprecht Bion, ricollegandosi alle ipotesi
freudiane sulla costituzione dell’apparato psichico e riprendendo le concezioni
kleiniane sui primissimi meccanismi operanti nella realtà psichica (vale a dire, il
meccanismo dell’identificazione proiettiva, le due posizioni e l’interazione emotiva
tra madre e bambino) e sull’attività della pulsione epistemofilica che in quella
realtà originaria opera, formula una teoria della formazione e dell’uso del
pensiero tale da comprendere la relazione con la “verità” psicoanalitica e il
cambiamento soggettivo che da essa deriva.
Questo lavoro intende mostrare come esista una linea di continuità nello
sviluppo della teoria psicoanalitica passando per quegli autori che, pur essendo
rimasti all’interno della teoria classica freudiana, si sono configurati come
“punti nodali”, in quanto hanno esteso, non solo l’ambito delle applicazioni e
delle conoscenze psicoanalitiche, ma hanno anche, e soprattutto, meditato e
sviluppato il ruolo che la verità svolge nella realtà psichica dell’individuo e la
sua configurazione nella psicoanalisi. Attraverso l’esame delle opere principali
di questi tre autori si vuole evidenziare, partendo dall’assunto dell’esistenza di
una intenzionalità affettiva inconscia, come la concezione della verità
6
psicoanalitica si sia mano a mano avvicinata all’esplicitazione della struttura di
senso qui ipotizzata.
7
Capitolo 1. La ricerca della verità nella psicoanalisi freudiana
Prima di diventare un atteggiamento conoscitivo dell’uomo e sull’uomo in
generale, la psicoanalisi nacque come terapia capace di accedere ai fenomeni,
allora inspiegabili, dell’isteria. Questa disfunzione mentale, infatti, non era
accessibile alla medicina accademica di stampo biologico, la quale «pretendeva
dall’anatomia la risoluzione di tutti i difficili ed oscuri problemi della patologia
nervosa e mentale»
3
, e veniva parzialmente curata con l’ipnosi e con la
suggestione. Una svolta nella terapia dell’isteria si ebbe con lo sviluppo del
metodo catartico elaborato da Breuer e Freud tra il 1892 e il 1895. Questo metodo
nacque dall’esperienza di Breuer con una paziente affetta da isteria, e consisteva
nell’abreazione di affetti che non si erano tradotti «in quel comportamento
motorio e in quell’espressione mimica, in cui normalmente gli stati emotivi
particolarmente intensi trovano un loro sfogo»
4
. I sintomi isterici, attraverso
questo metodo, venivano ricondotti, dopo che il paziente era stato immerso
nello stato di ipnosi, alla loro connessione con l’occasione patogena, in seguito
alla quale avevano fatto la loro prima comparsa; gli affetti rimossi venivano
perciò ricollegati alla rappresentazione patogena e “liquidati” attraverso una
scarica mimica e motoria adeguata.
Agli occhi di Freud, però, il metodo catartico, non era in grado di condurre ad
una completa guarigione: per lui quel metodo non era capace di intaccare o
3
Lobman, D. (1946) Problemi di psicoanalisi. Roma, De Carlo Editore, 1946, p. 7.
4
Musatti, C. L. (1977) Trattato di psicoanalisi. Torino, Bollati Boringhieri, p. 34.
8
risolvere definitivamente l’eziologia della malattia, così che i sintomi isterici
tendevano a ripresentarsi anche dopo la loro eliminazione: il metodo di Breuer
e Freud era solamente sintomatico, e non causale. La “causa” dell’isteria, il
“luogo” della sua origine, i meccanismi di formazione e gli “oggetti” coinvolti,
erano la “verità” che Freud cercava in quel periodo. La constatazione del
carattere sintomatico del metodo catartico, della possibilità che l’ipnosi potesse
essere «ottenuta con rapidità e senza bisogno di ricorrere a lunghe esperienze di
[…] [apprendimento] con una percentuale modesta di persone»
5
, e dei rischi di
ingerenza presenti nei suggerimenti dello sperimentatore durante la
ricostruzione dell’evento traumatico, condusse Freud a modificare la tecnica.
Tra l’abbandono del metodo catartico e la formulazione del metodo delle
associazioni libere, depositario della “regola psicoanalitica fondamentale”
dell’abbandono del giudizio sul decorso di pensiero, intercorse un periodo nel
quale la suggestione sembrava ancora l’origine dei progressi e delle parziali
guarigioni. Freud, in questo frangente di tempo, utilizzò «il procedimento che
aveva veduto usare da Bernheim per superare, dopo l’ipnosi, la amnesia
spontanea degli elementi che durante l’ipnosi erano stati vissuti»
6
e che
consisteva nell’accompagnare, «con una lieve pressione esercitata sul capo»
7
,
l’assicurazione che gli elementi non ricordati erano ancora presenti nella mente
del soggetto, e che «in seguito ad una tale pressione sarebbe apparsa
5
Ib., p. 99. Le inserzioni tra parentesi quadre sono mie.
6
Ib., p. 116.
7
Ib., p. 117.
9
un’immagine, un ricordo, una idea, in diretta connessione col sintomo di cui ci
si stava occupando, o meglio in relazione con la primitiva formazione, con la
origine, di un tale sintomo»
8
. Anche se la suggestione sembrava avere ancora un
ruolo importante in questo procedimento, Freud pensò che la sua efficacia
dipendesse dal fatto che «L’azione della pressione esercitata sulla testa serviva
semplicemente a distogliere l’attenzione del soggetto da una ricerca
intenzionale del materiale dimenticato (ricerca intenzionale che non avrebbe
potuto condurre allo scopo, dato che su quella agivano le forze della
resistenza)
9
». Il “luogo” nel quale si manifestava la patologia isterica era lo
stesso che ne nascondeva la “verità”: la coscienza era solamente una delle
“parti”, una delle “componenti dinamiche” dalle quali traeva origine la
malattia. Infatti, tutte le idee prodotte dal paziente, una volta che le resistenze
erano state eluse, conducevano ad un nucleo patologico caratterizzato da
sentimenti di dolore e pena, la maggior parte dei quali a chiaro sfondo sessuale,
che si scontravano con i principi etici e morali della sfera cosciente del soggetto.
Freud si convinse che la causa dell’isteria, la sua “verità”, era la relazione
dinamica tra più “piani” dello psichico, l’uno dei quali noto e immediatamente
evidente all’individuo, e l’altro sconosciuto, formato da pensieri che traevano il
loro motivo d’essere da moti sessuali inaccettabili. La coscienza del soggetto,
forgiata da principi etici e morali saldi, tendeva automaticamente a ricacciare
questi pensieri nel “luogo” della loro origine, guadagnando l’incoscienza su
8
Ib., p. 117.
9
Ib., p. 117.
10
una parte di sé inaccettabile e, contemporaneamente, pagando il prezzo di una
menomazione funzionale. Infatti, il meccanismo di difesa adoperato per questo
“guadagno”, denominato rimozione, comporta la “separazione”, nel pensiero
inconscio, dell’affetto dalla rappresentazione ad essa connessa. In questo modo
loro destini erano differenti: la rappresentazione inaccessibile alla coscienza
veniva “ricacciata” nell’inconscio; mentre l’affetto, la sua “energia”, veniva
convertito in fenomeni somatici, vale a dire i sintomi funzionali dell’isteria. Non
c’era possibilità, dunque,di comprendere tali patologie se non ricorrendo alla
pura dimensione psichica, indagata nella sua complessità, nelle sue componenti
e nelle sue relazioni affettive. La ricerca si doveva indirizzare verso
l’esplorazione della formazione dei “pensieri inconsci”, del senso e del ruolo
che essi avevano nell’agire umano e nella produzione dei quadri di
comprensione del suo ambiente relazionale.
Il metodo che venne selezionandosi come più il efficace, per quanto lungo nei
tempi e molto laborioso, fu quello delle associazioni libere. Questo procedimento
di esplorazione della psiche rispondeva alle esigenze, essenziali per giungere al
nucleo patologico, di produrre nel soggetto un atteggiamento tale da fargli
«dimettere ogni tendenza critica»
10
verso il materiale associativo prodotto; da
essere “spassionato” nel raccontare il suo flusso ideativo; e da essere “sincero”,
sia nel trattare di persone, sia nel non tralasciare materiale a suo giudizio
inessenziale. Le linee associative che si dipartivano dalla considerazione dei
10
Ib., p. 118.
11
sintomi conducevano quasi inevitabilmente a narrazioni di traumi sessuali, che
il paziente riferiva di aver subito da parte dei uno dei genitori. La verità che, in
tal modo, si affacciava, aveva il carattere di un evento svoltosi nella realtà
fattuale, nella vita quotidiana, una verità che sembrava uscire dalle chiuse dello
psichico per manifestarsi su di un piano sociale. Fu così, che in un primo
momento, Freud si convinse che l’eziologia dell’isteria (quella che lui chiamò
“da difesa”) fosse da rintracciarsi nelle reazioni dei pazienti al trauma di un
abuso sessuale.
Nel 1897, però, fu costretto ad abbandonare questa spiegazione
11
, e ad elaborare
una teoria che chiamasse in causa, non tanto fatti realmente accaduti, abusi
sessuali che sembravano avere proporzioni endemiche, quanto la “realtà
psichica” delle persone, nella quale queste vicende traumatiche trovavano la
loro origine e la loro ragion d’essere in forza di movimenti “inconsci”
indipendenti sia dalla coscienza che dalla realtà esterna. A questo punto
divenne chiaro che la tradizionale concezione della mente, appiattita sul piano
“unidimensionale” della coscienza, era insufficiente per comprendere la genesi
di un senso che pervadeva comportamenti, pensieri e relazioni senza tuttavia
tradire la propria matrice inconscia. Il nuovo livello di verità della disciplina
che Freud veniva elaborando, e che avrebbe preso il nome di “psicoanalisi” nel
1899, si collocava proprio dove la coscienza trovava il proprio limite: la
11
«Non credo più ai miei neurotica». Freud, S. (1887-1902) Le origini della psicoanalisi. Lettere a
Wilhelm Fliess. 1887-1902. Torino, Bollati Boringhieri 1968, p. 153.
12
formazione del senso e dei pensieri, noti alla sfera cosciente solo come prodotto
finale, e non già nella loro radice pulsionale ed affettiva.
La psicoanalisi si configura come quella disciplina che, dopo aver scomposto
l’apparato psichico in “istanze”, interagenti tra loro in modo dinamico e aventi
ognuna una propria “origine” e una propria “logica” nel trattare i contenuti
psichici, tenta di ricercare il senso di ogni manifestazione psichica, sia che essa
si presenti nella forma di pensiero, di azione o di sentimento. Ognuna di queste
manifestazioni, anche la più inessenziale e all’apparenza irrilevante o “illogica”
può e deve trovare, per la concezione che la psicoanalisi ha dell’uomo, una sua
matrice inconscia, e quindi, pulsionale e affettiva. La materia privilegiata dalla
psicoanalisi «è costituita abitualmente da quei fatti poco appariscenti che le
altre scienze mettono da parte come troppo insignificanti: dai rimasugli, per
così dire, del mondo dei fenomeni»
12
. E sono fenomeni come gli “atti mancati”, i
sogni e i tic, che tradiscono la dinamicità e la conflittualità interna alla psiche, e
si qualificano quindi come “indizi” da seguire per ricercare il senso sottostante.
In questa ottica,«la tecnica [psicoanalitica] pone in atto una filologia del delitto»
13
,
un procedimento, al limite con la paranoia combinatoria
14
, che confondendosi con
12
Freud, S. (1915-17) Introduzione alla psicoanalisi. OSF, Vol. 8, pp. 209-10.
13
Gabetta, G. (1981) Strategie della ragione. Weber e Freud. Milano, Feltrinelli, p. 45.
L’inserzione tra parentesi quadre è mia.
14
Freud avverte del pericolo insito nell’atteggiamento conoscitivo psicoanalitico: «Anche il
lavorare sulla base di piccoli indizi, come usiamo costantemente fare in questo campo,
comporta determinati pericoli. Vi è una malattia psichica, la “paranoia combinatoria”, nella
quale l’impiego di tali piccoli indizi viene effettuato in modo illimitato; e io naturalmente non
mi farò garante che le inferenze costruite su questo fondamento siano sempre corrette. Da
questi pericoli può preservarci solo l’ampia base che sapremo dare alle nostre osservazioni, il
13
l’oggetto ricercato tenta di conoscere il “movente” di quel delitto che ha lasciato
le sue tracce nel manifestarsi della coscienza. Per trovare la verità che si cela
nell’ombra della coscienza la psicoanalisi forza sia il “testo” del paziente, sia la
persona dell’analista il quale, per trovare il “colpevole” del sintomo, è costretto
ad adoperare anche una “logica” a lui sconosciuta.
La psicoanalisi si appoggia su indizi che la parte arcaica e pulsionale
dell’apparato psichico, l’Es, ha lasciato durante il suo conflitto con la sfera
cosciente, convinta del fatto che «la difficoltà non è nell’esecuzione del misfatto,
ma nell’occultamento delle tracce»
15
. Le tracce lasciano intravedere un senso
che, nella sfera cosciente, non ha trovato una integrazione con il senso
manifesto alla coscienza. L’Es, prima manifestazione psicologica delle esigenze
corporee dell’organismo
16
, dal quale l’Io si evolverà per un atteggiamento più
adattivo dell’organismo stesso, persiste immutato nella sfera psichica
reclamando alla struttura dell’Io le sue esigenze di soddisfacimento, tutte
quante sotto l’egida del principio di piacere. In quanto filogeneticamente
originaria e legata inscindibilmente alla corporeità, l’istanza dell’Es è il primo
movimento donazione di senso, mai totalmente abbandonato nel flusso ideativo
ripetersi di impressioni analoghe nei più diversi campi della vita psichica». Freud, S. (1915-17)
Introduzione alla psicoanalisi. OSF, Vol. 8, p. 246.
15
Freud, S. (1934) L’uomo Mosè e la religione monoteistica. OSF, Vol. 11, p. 369.
16
«All’Es ci avviciniamo con paragoni: lo chiamiamo un caos, un crogiuolo di eccitamenti
ribollenti. Ce lo rappresentiamo come aperto all’estremità verso il somatico, da cui accoglie i
bisogni pulsionali, i quali trovano dunque nell’Es la loro espressione psichica». Freud, S. (1932)
Introduzione alla psicoanalisi. (Nuova serie di lezioni). OSF, Vol. 11, p. 185.
14
venutosi a creare con l’instaurazione dell’Io
17
. In questa sede si assume che l’Es,
nella sua attività di donazione di senso del mondo, rappresentato per lui dall’Io,
abbia selezionato delle “strutture” nelle quali le pulsioni hanno trovato una loro
organizzazione in relazione a determinati “oggetti”, e che questi “quadri” di
senso arcaici tentino costantemente di soverchiare e di imporsi sul senso che si
manifesta nella coscienza. «Flectere si nequeo superos, acheronte movevo [Se non
potrò piegare gli Dei, mi indirizzerò verso l’Acheronte]»
18
è l’espressione che
Freud utilizza per rappresentare la spinta dei moti pulsionali verso la coscienza,
e rende chiaro il carattere dinamico e conflittuale della psiche. La verità che
deve essere trovata, non risiede nella conoscenza o nella rappresentazione delle
pulsioni, che sono inconoscibili per principio, ma nel “senso” affettivo che esse
portano, (e quindi, un senso caratterizzato da emozioni e impressioni sensoriali,
data la derivazione corporea delle pulsioni), nell’incontro con l’ambito cosciente
e con il senso di cui questo è portatore.
La teoria e la pratica psicoanalitiche nascono dall’esigenza di reintegrare nella
consapevolezza del soggetto un “senso” inconscio mai perduto, ma omesso a
causa della sua “carica” emotiva, capace di disintegrare la coerenza e le basi
sulle quali la persona ha costruito la propria vita relazionale. Con il motto
17
«La concezione secondo cui l’Io è quella parte dell’Es che è stata modificata dalla vicinanza e
dall’influsso del mondo esterno, non ha quasi bisogno di essere giustificata: è questa la parte
predisposta per la ricezione degli stimoli e per la protezione dagli stessi». Ib., pp. 186-87.
18
Virgilio, Eneide, 7. 312. Cit. in, Freud, S. (1899) L’interpretazione dei sogni. OSF, Vol. 3, p. 553,
nota 1, dei curatori. L’inserzione tra parentesi quadre è mia. La traduzione è di Elvio Facchinelli
e Herma Trettl Facchinelli.
15
«Dove era l’Es, deve subentrare l’Io»
19
la psicoanalisi si propone di rendere
giustizia e di ridare dignità epistemologica alla corporeità e alle relazioni, così
come possono essere esperite nella loro più profonda ambivalenza e sincerità.
19
Freud, S. (1932) Introduzione alla psicoanalisi. (Nuova serie di lezioni). Torino, Bollati
Boringhieri, 1979, p. 190.
16
A. Un nuovo tipo di verità
Per quanto essa sia il risultato dell’integrazione di più discipline (medicina,
fisiologia, filosofia, letteratura) la psicoanalisi, sin dalla sua nascita, si è
configurata come un nuovo atteggiamento di indagine nel campo dello
psichico. Essa, infatti, sganciandosi dalle concezioni tradizionali della psicologia
accademica e filosofica, e reinquadrandole in un processo “decostruttivo”,
propone una visione della struttura e del funzionamento dell’apparato psichico
capace di comprenderne le molteplici manifestazioni. Se, a livello teorico-
clinico, il portato della psicoanalisi fu relativo, in quanto l’applicabilità della
terapia era circoscritta, come Freud stesso ammetteva, al solo campo delle
nevrosi di transfert; a livello, per così dire morale ed etico, portò un
cambiamento molto più radicale. È infatti l’atteggiamento verso l’agire umano,
verso la dicotomia classica tra follia e normalità, che la psicoanalisi rivoluziona.
La psicoanalisi ha «abbandonato l’idea che esista un ambito rigorosamente
definibile della normalità e una netta demarcazione fra ciò che è normale e ciò
che è morboso nella vita psichica»
20
per accedere ad una dimensione dove la
diagnosi non si confonde col giudizio (morale), e la terapia con l’avvicinamento
ad una “norma”.
20
S. Freud (1930) Introduzione allo studio psicologico su Thomas Woodrow Wilson. OSF, Vol.
11, p. 39.