Capitolo 1°
IL DIRITTO AL RIPOSO
Sommario: 1.1 L’importanza del riposo nella prestazione lavorativa – 1.1.1 Il divieto di
lavoro usurante applicabile in carenza legislativa e in prospettiva di una valutazione dei rischi
– 1.1.2 Il tempo libero e i tempi di non lavoro – 1.1.3 Evoluzione storica del diritto al riposo –
1.2 Diritto al riposo come principio riconosciuto costituzionalmente: l’art. 36 Cost. – 1.2.1
Limiti costituzionali alla durata della prestazione a garanzia del diritto alla salute – 1.2.2
Tutela costituzionale e rapporto tra le fonti – 1.3 Irrinunciabilità del diritto alle ferie – 1.3.1
La presunta illegittimità dell’art. 2109 c.c. – 1.3.2 Eccezioni al principio di irrinunciabilità
delle ferie?
Il diritto al riposo nasce dall’esigenza fisiologica dell’uomo al recupero delle proprie
energie psico-fisiche, in seguito ad un loro consumo nell’esercizio di una qualsiasi
attività lavorativa. Per comprendere meglio il bisogno di riposo, bisogna esplorarne
le cause che lo rendono necessario. Tali cause derivano dal lavoro, inteso come
attività effettiva, sforzo fisico ed intellettivo dell’individuo, soprattutto a riguardo
della sua estensione nel tempo.
1.1 L’IMPORTANZA DEL RIPOSO NELLA
PRESTAZIONE LAVORATIVA
Il “tempo di lavoro” è la misura di cui l’operaio si serve per contrattare la vendita
della propria forza lavoro
1
. Tuttavia per avere una misura più esatta del lavoro
erogato si dovrebbero valutare la capacità produttiva della forza lavoro, l’intensità ed
il ritmo con cui essa è impiegata nel processo produttivo, ovvero le sue qualità. La
forza lavoro, fa notare Marx
2
, come merce può apparire sul mercato soltanto in
quanto e perché viene offerta e venduta dal suo possessore. Ma affinché egli possa
venderla come merce, deve poterne disporre, quindi essere libero proprietario delle
proprie attitudini fisiche ed intellettuali, nonché della libertà della propria persona. Il
valore d’uso che il possessore del denaro riceve implica proporzionalmente un
consumo della merce forza lavoro, come ogni altra merce, ma gli effetti di tale
consumo si compiono fuori dal mercato, fuori dalla sfera della circolazione.
1
G. FALCUCCI, Orario di lavoro e riposi, IIª ed., Milano, L. di G.Pirola, 1973, p. 7.
2
K. MARX, Il capitale, Libro I, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 157 ss.
4
Le scienze del lavoro sono, in questo quadro, anche “scienze della fatica”
3
. Ogni
attività umana, e quindi anche il lavoro, comporta un dispendio di energie che, se non
vengono recuperate, danno luogo alla fatica, ovvero all’indebolimento progressivo
delle facoltà psico-fisiche.
La fatica è il risultato di vari fattori. Quelli endogeni, di complessa misurazione, sono:
la base biologica, intesa come efficienza psico-fisica, dipendente dal degrado
progressivo dell’organismo legato a fattori fisiologici quali l’età, ovvero a fattori
genetici o patologici, diversi da individuo ad individuo; l’attitudine ad affrontare una
determinata attività lavorativa, che dipende da predisposizioni fisiche e psichiche,
quali il sesso, la costituzione psico-fisica, ma anche dalla formazione culturale, la
qualificazione professionale e le precedenti esperienze lavorative
4
. Si pensi alla
maggiore fatica causata da stati di insoddisfazione per un lavoro scelto male, che non
gli consente di manifestare alcuna attitudine, partecipazione o provoca addirittura
“alienazione”, da mobbing, demansionamento, deprofessionalizzazione, ed allo stress
derivante da un personale disordine psicologico e relazionale.
L’insieme di tali componenti costituiscono la «capacità di lavoro»
5
degli individui.
L’attenuazione di questa capacità aumenta più che proporzionalmente la fatica.
1.1.1 IL DIVIETO DI LAVORO USURANTE APPLICABILE IN
CARENZA LEGISLATIVA E IN PROSPETTIVA DI UNA
VALUTAZIONE DEI RISCHI.
La fatica è il risultato, oltre che di fattori endogeni, anche di fattori esogeni, qual è il
lavoro in riferimento alla forza usurante delle mansioni e dell’ambiente in cui si
svolge. La fatica sarà maggiore quanto più l’ambiente di lavoro è rumoroso ed
insalubre, o se la mansione prevede la movimentazione di carichi pesanti, posture
stancanti, vibrazioni, turnazioni notturne, ripetitività, concentrazione mentale,
responsabilità, ecc
6
.
Tuttavia, ragionando in questi termini qualsiasi lavoro è usurante, ed è pur vero che la
considerazione della sua durata incide notevolmente. In merito a ciò, bisogna tenere
conto che anche il fattore lavoro è assoggettato alla legge dei “rendimenti
decrescenti”. Il consumo del nostro corpo e la stanchezza crescono più che
3
G. FRIEDMANN, Trattato di sociologia del lavoro, vol. I, Milano, Edizioni di Comunità, 1963 , p. 151.
4
C. GERIN, La valutazione medico-legale del danno alla persona in responsabilità civile, IIª ed.,
Milano, 1987, p. 267 ss.
5
M. MARTINI-R. DI NARDO, L’idoneità al lavoro: ermeneutica medico-legale ed aspetti metodologico-
applicativi, in Rassegna di Medicina Legale Previdenziale, III, Roma, 1990, p. 47 ss.
6
Ai sensi dell’art.1 del d.lgs. n.374/93 «sono considerati lavori particolarmente usuranti quelli per il
cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo».
5
proporzionalmente rispetto al lavoro, dato che il lavoro compiuto da una persona già
stanca nuoce di più di un lavoro compiuto in condizioni normali, cosicché può
concludersi che il nostro corpo risente un danno maggiore per il lavoro che fa quando
è già stanco
7
. È da considerare che il rapporto tra tempo di recupero e tempo di lavoro
tende a crescere con la durata del lavoro, con conseguenze importanti
sull’intervallazione ottimale delle pause
8
. Le pause devono altresì consentire la
metabolizzazione di eventuali sostanze tossiche presenti nell’ambiente di lavoro;
l’assorbimento, infatti, varia in rapporto alla durata dell’esposizione ed alla fatica,
oltre che dall’ergonomia del luogo di lavoro (es. ventilazione).
«Il riposo adeguato» chiarisce l’art. 1 del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, vigente in
materia di organizzazione dell’orario di lavoro, «mira ad evitare che i lavoratori
procurino lesioni a se stessi, ad altri lavoratori o a terzi, o danneggino la loro salute, a
breve o a lungo termine».
Pertanto, nel rispetto di questi criteri generali, il medico competente, al momento
dell’effettuazione della valutazione dei rischi sotto il profilo sanitario ed in relazione
alla tipologia di mansione ed alla situazione ambientale in cui il lavoratore opera,
potrebbe anche considerare le modalità di godimento dei riposi, e dunque delle ferie,
come misura di sicurezza da inserire nella valutazione del rischio. Le conseguenze del
facere continuativo e incessante sono infatti l’aumento del rischio di eventi nocivi
alla salute, ma soprattutto il dilatarsi degli infortuni sul lavoro allorché la durata
sorpassa certi limiti.
In tal modo, il datore di lavoro dovrebbe tenerne conto nel momento in cui ne
stabilisce il periodo di godimento. In sintesi, le modalità di godimento delle ferie si
potrebbero annoverare tra le misure di prevenzione contro l’usura psico-fisica, ogni
qual volta il medico competente le inserisca nel documento di valutazione dei rischi.
In particolare ciò può avvenire per lavori particolarmente pericolosi ed usuranti, per i
quali rileva la durata, la collocazione temporale e la continuità del riposo. Questo
adempimento andrebbe così ad incidere sul potere direttivo del datore di lavoro di
stabilire il periodo delle ferie, espresso nell’art. 2109 c.c., comprimendolo.
Quel che la legge non prevede, può essere previsto dai contratti collettivi. Resta però,
alla luce del principio di ragionevolezza, il limite giurisprudenziale del lavoro
“usurante”, per cui comunque è vietato lavorare per un tempo o a condizioni tali da
creare rischi per la salute ed alla sicurezza sia per sé che per i terzi con cui si venga a
contatto (art. 32 Cost.). È una garanzia finale e mobile, applicabile non solo a chi è
privo di tutela legale, ma anche ai lavoratori con disciplina legale, quando questa nei
singoli casi si riveli insufficiente. Il riferimento al concetto di “lavoro usurante”
perciò scatterà qualora nel caso concreto risultino superati i limiti di ragionevolezza
in rapporto alla tutela costituzionale della salute, considerando la normalità e (non
7
G. FALCUCCI, Orario di lavoro e riposi, cit. p. 11, vedi nota 1.
8
Cfr. A. MOSSO, La fatigue intellectuelle et physique, Parigi, Alcan, 1894, cit. a p. 152 da G.
FRIEDMANN, Trattato di sociologia del lavoro, cit., vedi nota 3.
6
solo l’estremo) di una rovina psico-fisica
9
, ma anche di un impoverimento della vita
di relazione, familiare e sociale
10
. S’impone, in definitiva, che la continuità del
lavoro sia spezzata e la durata abbia i suoi limiti nella giornata, nella settimana e
nell’anno. Considereremo, pertanto, tempo di riposo l’interruzione d’una reale e
determinata attività onde permettere all’organismo di ricostruire i mezzi per
esercitarla.
1.1.2 IL TEMPO LIBERO E TEMPI DI NON LAVORO
Più la vita e il lavoro in una comunità aumentano la fatica e la tensione, più il bisogno
di ore libere si fa sentire. I riposi sono necessari alla vita moderna però anche per altre
ragioni. Pensare il tempo di non lavoro come solo tempo di riposo sarebbe riduttivo.
Oltre al reintegro psico-fisico si situa infatti una fenomenologia di altre attività svolte
durante il tempo fuori dal lavoro: obbligazioni famigliari, sociali, religiose, para-
professionali, formative, che hanno in comune con il lavoro il carattere
dell’obbligatorietà. Non presenta tale connotazione invece il c.d. tempo per sé
11
,
ovvero il tempo libero, inteso come tempo effettivamente liberato da ogni
obbligatorietà. Peraltro, il tempo giornaliero che resta al lavoratore, detratta la durata
della prestazione di lavoro, dovrà essere depurato, oltre che dal tempo destinato al
riposo vero e proprio, anche del tempo per il trasporto, di notevole entità.
Il tempo libero non è dunque un tempo passivo destinato unicamente alla
riproduzione della forza lavoro, bensì è un tempo attivo, di studio, di costruzione e
arricchimento di una vita affettiva, di miglioramento fisico e psichico del lavoratore,
in sostanza di affermazione della propria personalità
12
, cioè un tempo di vita. È per
l’individuo un interesse esistenziale, che deve poter essere perseguito ed usato per
stare con sé stessi, per riflettere, per informarsi, per prendere decisioni, per orientarsi,
per svagarsi. Non è il loisir, privilegio della classe agiata dei secoli scorsi, e
nemmeno l’otium degli antichi, condizione riservata a pochi.
Tempo libero sufficiente è indispensabile se si vuol vivere in maniera totale,
equilibrata, utile e soddisfacente. Esso migliora la salute, sviluppa le capacità
individuali, permette di allevare meglio i figli, compiere più puntualmente i propri
obblighi civici, migliorare la propria istruzione. Avendo del tempo libero da dedicare
9
Cass., 23 luglio 2004, n. 13882.
10
Cass., 11 febbraio 1980, n. 987.
11
P. SORCINELLI, Il tempo libero, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 192 ss.
12
Corte Cost. 18 dicembre 1987, n. 559. Ma anche Cass. 28 maggio 1986, n. 3603; e più recentemente
Cass., S.U., 12 novembre 2001, n. 14020, hanno ribadito che le ferie e la retribuzione non possono
essere intese come mero corrispettivo di un lavoro effettivo, ma debbano assicurare al lavoratore un
tempo libero, necessario alla tutela della salute (art. 32 Cost.), in Riv.giur.lav. 2002, p. 534 ss.
7
all’acquisizione di una educazione generale e migliorare proprie capacità tecniche, gli
individui potranno partecipare più attivamente alla vita economica e sociale,
contribuendo sempre più all’aumento della produttività ed al progresso della
collettività. Nelle statistiche sanitarie
13
, la manodopera più qualificata ha meno
infortuni, vive di più ed è anche meno soggetta alle patologie psichiche; una cultura
più elevata predispone a scelte di tempo libero più interessanti ed appaganti.
1.1.3 EVOLUZIONE STORICA DEL DIRITTO AL RIPOSO
L’Imperatore Augusto nell’anno 727 ad urbe condita estese a tutti i lavoratori agricoli
il tassativo diritto a un periodo di riposo di 14 giorni dopo un anno di lavoro:
nacquero così per tutto l’impero romano le feriae di Augusto
14
. Tale feriae si
distinguevano in publicae e privatae. Le prime, in particolare, obbligavano tutti i
cittadini e in alcune epoche dell’impero arrivarono a contare fino sessanta giorni
nell’arco dell’anno. Comunque questi giorni avevano finalità diverse da quelle delle
ferie odierne, in quanto erano giorni che rappresentavano un’offerta di tempo agli Dei
e durante i quali, appunto, non si potevano svolgere attività dal cui potere trarre lucro.
In tali giorni, si fermavano anche le attività pubbliche, come i tribunali.
Nel medioevo a tempi di lavoro piuttosto lunghi corrispondevano molti giorni non
lavorativi. Gli orari erano “dall’alba al tramonto” ed i carichi di lavoro mutavano a
seconda delle stagioni. Di regola, il sabato i lavori erano sospesi dalle tre del
pomeriggio e non venivano ripresi che al lunedì mattina. Era universalmente proibito
lavorare di notte, salvo per alcune arti (vetrai, fornaciai, ecc.) nelle quali per ragioni
tecniche la produzione una volta iniziata non poteva essere interrotta. I moralisti
giudicavano illecito il guadagno ottenuto da lavoro svolto nei giorni festivi e la
Chiesa con la decretale “Conquestum est nobis” di Gregorio IX (1232) determinò 42
giorni di festa l’anno oltre le domeniche, il che portava i giorni in cui ci si doveva
astenere dalle opere servili al numero di 94. Tali feste però non miravano alla
razionale alternanza di riposo e lavoro, e ciò si deduce dal criterio puramente
religioso con cui le feste erano distribuite nell’anno. Una simile preoccupazione non
poteva esserci dal momento che la relazione tra durata, ritmo e rendimento del lavoro
non era stata accertata
15
.
13
G. BERLINGUER, in AA.VV., Orario di lavoro e tempo libero: convegno nazionale ARCI, Milano-
Roma, Sapere Edizioni, 1974, p. 62.
14
Delle feriae si usufruiva per motivi climatici nel mese di Augustus, ultimati i raccolti agricoli. Di qui
l’etimologia del nostro “ferragosto”.
15
Cfr. A. FANFANI, Storia economica, dalla crisi dell’impero romano al principio del secolo XVIII, 4ª
ed., Milano, G. Principato, 1956, pp. 542, cit. a p. 109 da G. FALCUCCI, Orario di lavoro e riposi,
op.cit., vedi nota 1.
8