5
Si è assistito altresì a una riconsiderazione dell’importanza della
“persona” e con la legge 53/03 le prospettive riformiste sembrano
essere state veicolate verso una più puntuale centralità dell’alunno, la
personalizzazione degli apprendimenti e un nuovo approccio alla
valutazione.
E’ stata la volontà di approfondire alcuni aspetti riguardanti la
Riforma della scuola a guidare la stesura di questo lavoro.
La tesi è stata suddivisa in due parti: la prima riguardante le Unità
di Apprendimento, la seconda il Portfolio, entrambe nell’ottica di una
ricerca delle connessioni ed articolazioni sostanziali dei modelli di
programmazione.
Nel primo capitolo inerente le Unità di apprendimento, prima di
prendere in esame l’impostazione didattico-disciplinare della scuola
odierna, ho delineato i processi di riforma e di ripensamento dei
sistemi scolastici che nel tempo hanno subito notevoli variazioni.
Ho quindi analizzato la programmazione per obiettivi nata
intorno agli anni ’20 e le critiche che ad essa sono state mosse, la
didattica per concetti che si colloca intorno agli anni ‘80/’90 quando le
condizioni storiche e sociali sono mutate, la programmazione per
sfondi, nata nello stesso periodo, la postprogrammazione, modello che
meglio si adatta alla scuola dell’infanzia, sino ad arrivare a delineare
la scuola dell’autonomia e, in particolare, alcuni aspetti concernenti la
legge 53/2003.
La legge dell’autonomia scolastica n. 59/97, ha cambiato
radicalmente la realtà delle scuole che hanno visto riconosciuto il
diritto/dovere di integrare le linee formative valide per il territorio
nazionale con una progettualità propria capace di cogliere le
specifiche istanze locali.
6
E’ per mezzo del P.O.F. (Piano dell’Offerta Formativa) che ogni
singola istituzione realizza tale istanza e si connota in termini di
visibilità.
Oggetto di specifico interesse nel presente lavoro è stato il
concetto di personalizzazione dell’educazione e della didattica, idea
portante della scuola della Riforma (legge 53/03).
Tale idea richiede alla scuola di organizzarsi non in funzione di
“saperi” tradizionali, ma di obiettivi formativi rispondenti ai bisogni
educativi della persona e alle singolari potenzialità cognitive, affettive,
volitive.
Nella visione della Riforma, le Unità di apprendimento
rappresentano l’elemento strategico attraverso cui ogni docente (o
gruppo docente) traduce i bisogni degli alunni in obiettivi formativi,
costruisce percorsi differenziati, delinea attività e metodi che
conducono alla loro realizzazione, mette in atto strumenti appropriati
alla concretezza dei vari contesti educativi, superando le
frammentazioni disciplinari e l’abitudine a privilegiare le esigenze
dell’insegnamento invece che dell’apprendimento.
Nelle Indicazioni nazionali si legge che: «Il cuore del processo
educativo si ritrova, nel compito delle istituzioni scolastiche e dei
docenti di progettare le Unità di Apprendimento caratterizzate da
obiettivi formativi adatti e significativi per i singoli allievi […] volte a
garantire la trasformazione delle capacità di ciascuno in reali e
documentate competenze».
1
Nel secondo capitolo ho dapprima analizzato la natura, l’identità,
i contenuti e la forma degli Obiettivi Formativi.
1
Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati (Sito del MIUR).
7
Essi, all’interno dei documenti nazionali della Riforma, rivestono
un duplice significato:
a) costituiscono ciò che, delimitando un campo di esperienza e di
possibile competenza, conferisce unità e senso alle Unità di
apprendimento;
b) sono le conoscenze e le abilità (delle discipline e della convivenza
civile) implicate nella realizzazione dell’esperienza stessa.
E’ l’obiettivo per un intero gruppo di alunni che deve
trasformarsi nell’obiettivo di ciascuno mediante l’implicazione di
conoscenze e abilità anche diverse per ognuno. In quanto obiettivo
formativo non è esclusivamente didattico, né esclusivamente
educativo; esso rappresenta piuttosto la sintesi concreta di questi due
aspetti.
Sono stati delineati, in seguito, i tratti distintivi delle Unità di
apprendimento e delle stesse intese come processo o evento. Le Unità
di apprendimento, non esprimendo una metodologia didattica
concreta, bensì una indicazione metodologica, sono compatibili con
ogni teoria didattica, lasciando la libertà di scelta all’insegnamento dei
singoli docenti. Dietro di esse traspare però una precisa idea di
processo formativo e del ruolo svolto dall’apprendimento al suo
interno. La formazione è infatti pensata come il risultato
dell’implementazione di conoscenze e abilità su capacità disponibili,
per trasformarle in competenze.
Nella seconda parte ho poi considerato il profilo storico del
portfolio, analizzato lo stesso nei Paesi europei ed extraeuropei e
preso in esame strumenti assimilabili al portfolio.
Il mio interesse è stato rivolto anche all’evoluzione del concetto
di valutazione nel tempo. Ho preso in esame il cambiamento che vi è
8
stato, dalla valutazione di tipo sommativo a quella formativa,
diagnostica, sino ad arrivare a quella autentica che offre la possibilità
sia agli insegnanti che agli studenti di monitorare il loro percorso, di
autovalutarsi e, in conformità a ciò, di migliorare il processo di
insegnamento o di apprendimento. Questo tipo di valutazione serve
agli insegnanti per sviluppare la propria professionalità, agli studenti
per diventare autoriflessivi e assumersi il controllo del proprio
apprendimento. In questo modo, gli insegnanti scoprono il loro ruolo
come "mediatori" dell'apprendimento, gli studenti si scoprono
esaminatori di se stessi.
Ho quindi cercato di evidenziare, come una corretta valutazione
possa essere l’unico modo per dare garanzia di qualità al sistema
scolastico e quanto sia indispensabile una “cultura della valutazione” a
supporto di qualsiasi attività di insegnamento
Nel corso del lavoro ho successivamente sottolineato la stretta
connessione tra valutazione e orientamento. La valutazione è sempre
orientante, in quanto nel riconoscere conoscenze e competenze al
soggetto valutato, lo aiuta a percepire le sue potenzialità per giungere
a un orientamento consapevole che abbia valenza di autorientamento.
In ultima analisi, dopo aver fatto riferimento alla mia esperienza
di insegnante nell’utilizzo di tale strumento e aver inserito il portfolio
adottato nel Circolo dove insegno lo scorso anno scolastico, ho
ritenuto doveroso far riferimento alla Prescrizione del Garante per la
protezione dei dati personali (Circolare ministeriale 10 novembre
2005 n. 84) e agli ultimi documenti firmati dall’attuale Ministro
Fioroni datati 31 agosto 2006 intesi a fornire indicazioni circa le
norme effettivamente vigenti e sugli orientamenti utili all'azione delle
scuole.
9
PARTE PRIMA
CAPITOLO I FONDAMENTI E QUESTIONI
1.1 Modelli di programmazione
La riforma Gentile aveva dato al Paese una scuola rispondente al
contesto culturale, civile, economico-produttivo del tempo. L’esigenza
di alte professionalità e di ruoli dirigenziali venivano soddisfatte dai
licei – che avevano il loro sbocco obbligato nella frequenza
universitaria – mentre quelle del nascente sviluppo industriale
venivano assicurate dai canali tecnico-professionali.
Negli ultimi decenni il contesto è profondamente mutato: i valori
etici e culturali non sono più universalmente condivisi, scienza,
tecnologia, economia e produzione sono soggette ad un continuo
cambiamento. Infine (ed è questo un dato di forte rilevanza)
l’istruzione, anche quella accademica, non è più prerogativa di una
élite culturale ed economica ma è diventata di massa.
2
In gran parte del mondo, da tempo sono in atto processi di
riforma e di ripensamento dei sistemi scolastici che hanno subito
notevoli rideterminazioni.
Prima di passare ad analizzare gli attuali sistemi scolastici,
ritengo sia opportuno per una migliore comprensione del presente,
dare uno sguardo a quelli che sono stati i modelli della didattica
scolastica sino ad oggi.
2
LUCIANA LEPRI, Proposta di riqualificazione del sistema scolastico, Comitato fondazione
Nova Spes, marzo 20001 pag. 4.
10
Negli ultimi decenni, all’interno della scuola italiana, abbiamo
assistito ad un’ampia e multiforme “sfilata” di modelli di
programmazione. Tale successione ha assunto la forma di “mode”
programmatorie alternative, ognuna delle quali presenta la formula
utile per ottimizzare il processo di insegnamento/apprendimento, e per
focalizzare l’attenzione, di volta in volta, sull’educando,
sull’educatore o sull’oggetto dell’apprendimento. I risultati ottenuti
hanno fatto sì che questi modelli si collocassero all’interno di
segmenti scolastici particolarmente definiti. La programmazione “per
sfondi integratori” ad esempio è ampiamente usata nella scuola
dell’infanzia, la postprogrammazione, la programmazione “per
obiettivi” e quella “per concetti” largamente utilizzate nella scuola
primaria e secondaria.
Il minimo comune denominatore che possiamo ravvisare nella
pluralità di modelli di programmazione attualmente noti e utilizzati
all’interno del sistema scolastico italiano è il carattere
dell’intenzionalità.
3
Riconoscendo un carattere di intenzionalità ai modelli di
programmazione diffusi nel sistema scolastico italiano si constata, la
scomparsa o, meglio, la forte attenuazione dell’elemento di
estemporaneità e improvvisazione presente nel “fare scuola”. In
questo senso, si riconosce la possibilità di controllare e influenzare i
processi di sviluppo e di apprendimento attraverso la pianificazione di
interventi adeguati e, nello stesso tempo, viene riconosciuto al docente
il ruolo di progettista della formazione.
3
. BALDACCI M.., Insegnare a programmare, Milano, Ethel Giorgio Mondadori, 1994. pp. 56-
61; anche BALDACCI M., Insegnare oggi, Lecce, Pensa Multimedia, 2000, pp. 39-45; Boselli G.,
Postprogrammazione, 1988 La Nuova Italia , pp 63-69.
11
Assumere il ruolo di progettista della formazione obbliga ad
analisi, scelte e decisioni (preliminari e in corso d’azione) relativi ad
una valutazione degli effettivi guadagni formativi che si intendono
perseguire.
“Per quanto concerne, in particolare, il sistema scolastico
italiano, le locuzioni progettazione didattica e programmazione
didattica vengono di fatto utilizzate come sinonime, per denotare, in
entrambi i casi, l’attività di pianificazione iniziale e di eventuale
revisione in itinere di un piano didattico (o didattico-educativo)
elaborato in una specifica situazione e per specifici intenti formativi.
In Italia, nell’organizzazione vigente prima della concessione a tutte
le istituzioni scolastiche dell’autonomia gestionale, organizzativa e
didattica, la progettazione formativa veniva di fatto realizzata dagli
organismi centrali del ministero, mentre, a partire dalla seconda metà
degli anni settanta, alle istituzioni scolastiche spettava il compito di
eseguire esclusivamente la programmazione.”
4
Gli studi sul curricolo pubblicati negli anni settanta evidenziano
la possibilità di diverse concezioni del curricolo.
Frey
5
ad esempio, distingue tra: teorie ad orientamento
contenutistico e strutturalistico, che considerano come elemento
centrale del curricolo l'oggetto di apprendimento, nella versione
classica di "materia" o in quella più attuale di "struttura della
disciplina". Vi sono state poi teorie ad orientamento processuale e
sistemico nelle quali il processo di programmazione è determinato
dagli obiettivi da conseguire; teorie tassonomiche, secondo cui il
curricolo viene organizzato in base ad una classificazione
4
LASTRUCCI E. Progettare, programmare e valutare l’attività formativa, Anicia 2000, pp.13-14
5
Frey K., Teorie del curricolo, Feltrinelli, Milano, 1977.
12
tassonomica, riferita ai livelli di competenza dell'alunno, graduati
secondo criteri di significatività e progressività, oppure ai contenuti
culturali, articolati in sequenze ottimali di insegnamento
6
.
Per Stenhause
7
, invece, le tipologie sono: il modello per
obiettivi, secondo cui il curricolo viene organizzato in funzione degli
stessi; il modello procedurale, centrato sui processi che i contenuti
culturali delle diverse materie dovrebbero attivare ed infine il modello
centrato sulla ricerca, fondato su una concezione sperimentale, dove il
curricolo diventa il campo di prova di ipotesi pedagogico-didattiche.
Scurati,
8
propone invece la seguente classificazione:
- curricolo centrato sulle materie (subject curriculum), basato sul
programma da seguire e sull'esposizione dell'insegnante;
- curricolo centrato sull'attività dell'alunno (activity curriculum),
derivante dall'impostazione attivistica, con percorsi non preordinati
ma da costruirsi in situazione, in base ai problemi incontrati e agli
interessi degli alunni;
- curricolo centrato su punti focali (core curriculum), organizzato
intorno a centri-perno e articolato in blocchi di attività di senso
compiuto.
Come si vede, nel concetto di curricolo sono compresi:
- gli scopi da perseguire: alla base di ogni modello esiste una
determinata concezione della persona formata mediante i percorsi
attuati;
6
DE LANDSHEERE G. e V., Definire gli obiettivi dell'educazione, La Nuova Italia, Firenze,
1977; una presentazione sintetica si trova in Azzali F.- Cristanini D., Programmare oggi, Fabbri,
Milano, 1995.
7
STENHAUSE L., Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo, Armando, Roma,
1977.
8
SCURATI C., Oltre il programma, verso il currricolo, in AA.VV., Insegnare per educare,
Morano, Napoli, 1976.
13
- i risultati attesi: in alcuni modelli sono predeterminati, in altri no;
alcuni modelli privilegiano i prodotti (abilità, conoscenze,
competenze), altri considerano risultato i processi attivati negli
alunni;
- i contenuti dei percorsi da realizzare: materie, discipline,
esperienze degli alunni.
L’organizzazione delle situazioni di apprendimento dipende, nei
diversi modelli, dalle concezioni riguardanti il ruolo dell'insegnante e
quello dell'alunno, dalle modalità dell'apprendimento e dagli interventi
più efficaci per determinarlo.
Si supera così la vecchia del concezione del curricolo come
"piano di studi" che appare riduttiva ed inefficace.
La diffusione della programmazione curricolare in Italia è stata
inizialmente connessa all'affermazione di un particolare modello
didattico, conosciuto come "pedagogia per obiettivi".
La programmazione per obiettivi, nasce negli anni ‘20 ad opera
del pedagogista Slenklin. Il periodo in cui Slenklin vive si connota per
una grande fiducia nell’ azione della scuola, in quanto si è posta degli
obiettivi che secondo questa teoria sono misurabili e verificabili
poichè scritti dall’esterno. Tali obiettivi sono operazionalizzabili in
quanto contestualizzati rispetto all’età, al grado, all’ordine di scuola,
agli alunni.
E’ palpabile in questo periodo grande fiducia anche nella
pedagogia in quanto può definire le tappe dell’educazione, del sistema
educativo, le finalità. Emerge la fiducia nell’azione del docente che fa
proprie le finalità della scuola e dei programmi che li rende personali
nel momento in cui li fa diventare tappe più vicine fissando obiettivi
didattici misurabili e verificabili.
14
Tale modo di procedere dà il via al concetto di
operazionalizzazione. La finalità viene avvicinata quanto più possibile
alla realtà e diventa così tappa a breve termine cioè obiettivo didattico.
Questo modello è caratterizzato dalle tassonomie che ben si
adeguano all’universo degli obiettivi. La gerarchizzazione presente in
una tassonomia ben si adegua infatti al concetto di obiettivi che
procedono dal semplice al complesso.
La progettazione del curricolo secondo questo modello è stata
essenzialmente illustrata da A. e H. Nicholls
9
, come una procedura
articolata nelle seguenti fasi:
1. Analisi della situazione - Indica l’analisi degli elementi
caratteristici e connotativi del luogo in cui si opera e delle persone con
cui si deve operare;
2. Selezione degli obiettivi – Fra le diverse fasi della
programmazione didattica, quella della definizione degli obiettivi
assume un'importanza centrale. L'efficacia dei risultati
dell'itinerario formativo dipenderà, infatti, dall’ adeguatezza degli
obiettivi definiti in partenza o ridefiniti durante lo svolgimento del
processo di apprendimento-insegnamento in rapporto alle mete
educative e finalità da raggiungere.
L'adeguatezza degli obiettivi può essere valutata in base a quattro
differenti criteri. Occorre infatti considerare se gli obiettivi
individuati:
a) consentano effettivamente di perseguire le mete educative
stabilite dai programmi (ossia se costituiscono gli obiettivi
desiderati);
9
NICHOLLS A. e H., Guida pratica all'elaborazione di un curricolo, Feltrinelli, Milano, 1976.
15
b) risultino concretamente possibili nella situazione specifica, ossia
se, a partire dai livelli di soglia degli alunni, con i mezzi e gli
strumenti a disposizione e nel tempo disponibile siano
raggiungibili e non invece "ambiziosi";
c) siano stati correttamente ordinati in sequenza, ossia gli stessi si
trovino fra loro in un rapporto di non corretta propedeuticità;
d) siano stati ben formulati, espressi in forma chiara e rigorosa e
non vaga e generica.
Di questi quattro aspetti, l'ultimo assume una valenza prioritaria.
Se un determinato obiettivo, infatti, è stato enunciato in una forma non
chiara, la verifica del suo raggiungimento non fornisce un risultato
sicuro e attendibile. Potrà così accadere, per esempio, di giudicare che
gli alunni abbiano acquisito una certa abilità mentre di fatto ciò non è
avvenuto.
Se gli obiettivi risultano essere quelli desiderati e possibili e se
sono stati correttamente ordinati in sequenza, ciò potrà essere
verificato tramite la misurazione oggettiva degli apprendimenti. La
corretta formulazione degli obiettivi costituisce infatti, l’elemento
chiave del lavoro di programmazione
10
.
Altre fasi necessarie risultano essere:
3. Selezione e organizzazione dei contenuti - I contenuti sono una
parte di un sapere o di una disciplina e sono organizzati dal più
semplice al più complesso in relazione alla classe considerata.
E’ necessario considerare che vi sono obiettivi a lungo termine
(generali) e a breve termine (specifici). La selezione dei
contenuti è fatta in relazione alle conoscenze dell’alunno, alle
10
LASTRUCCI E., Progettare, programmare e valutare l’attività formativa, Anicia 2000 pp.
153-154.
16
preconoscenze e ai requisiti. E’ nella strutturazione dell’ UD
che il docente inserisce obiettivi, contenuti, argomenti, modalità
di verifica.
4. Selezione e organizzazione dei metodi e attività – Scelta del
metodo significa selezione del modello di programmazione. Per
quanto riguarda le attività possono essere curriculari o
extracurriculari.
5. Verifica e valutazione – Vede collegata la verifica alle UD. Il
rischio è che il docente effettuando una verifica abbia
un’informazione che si riferisce solo ad un determinato
momento.
In questo tipo di programmazione si ha una sequenza diacronica,
cosa che negli altri modelli scompare, a favore della simultaneità. Per
non mettere a rischio la riuscita di questo modello è importante
rispettare le sequenze.
A seguito della diffusione e dell’affermazione della pedagogia
per obiettivi, anche i programmi scolastici nazionali, a partire dalla
fine degli anni settanta elencano in modo più specifico gli obiettivi da
conseguire nelle varie discipline e attività scolastiche, pur senza
giungere all’analiticità degli obiettivi comportamentali.
Alla programmazione per obiettivi, sono state mosse numerose
critiche: di frammentazione dell’unitarietà del sapere, di esagerazione
nella pretesa di predefinire compiutamente gli esiti degli interventi
formativi, di tecnicismo e meccanicismo nelle procedure, di rigidità
nella impostazione gerarchica e lineare delle sequenze.
Le critiche e le reazioni alla pedagogia per obiettivi hanno
stimolato, nella ricerca accademica e successivamente nelle prassi
professionali, diverse concezioni della didattica e della progettazione
17
del curricolo
11
, tra cui le più note e applicate nelle realtà scolastiche
sono la didattica per concetti e lo sfondo integratore. Altri modelli
presenti nell’attuale panorama sono: la postprogrammazione, la
progettazione per situazioni, la didattica per problemi, la didattica per
progetti, la progettazione clinica.
La didattica per concetti, si colloca nel periodo compreso tra gli
anni‘80/90 quando le condizioni storiche e sociali, erano mutate.
Nella programmazione per concetti, scompare la fiducia nella
scienza e quindi l’idea che tutto si possa misurare e verificare. Visto
che quelli sono anni di grande incertezza, cadono anche i valori umani
considerati assoluti fino ad allora. Muta il concetto di scuola; non è
più la scuola il soggetto custode di sapere, di cultura, di istruzione.
Alcuni valori sono venuti meno o sono stati rivisti nell’ottica del
pluralismo culturale, religioso. I valori, inoltre, non sono più
considerati in senso assiomatico, assoluto, ma nell’ottica di più punti
di vista e di riferimento. Negli anni ’20, la scuola e la famiglia
costituivano l’unico valore. Tale valore, negli anni ‘80/90, decade.
Mutando il contesto storico cambia l’approccio; venendo meno la
fiducia nelle scienze e quindi nella sicurezza, viene meno anche un
modello di programmazione con andamento gerarchico e tassonomico.
Nella programmazione per concetti l’attenzione non è posta sui
traguardi come in quella per obiettivi, ma sul problema della
conoscenza. Interessa comprendere come nasce la conoscenza, cosa
avviene nell’apprendimento, qual è il ruolo della scuola e dell’adulto
nella costruzione della conoscenza. La scuola degli anni 80/90 insieme
all’alunno costruisce il sapere. L’approccio muta, non si mettono più
al centro le informazioni, gli eventi, i fenomeni (le discipline sono
11
CRISTIANINI D., Programmare e valutare nella scuola materna, Fabbri, Milano, 1997.
18
fenomeni ed eventi), ma il modo con cui il soggetto si avvicina ai
fenomeni ed eventi.
Nella programmazione per concetti si recupera prima di tutto lo
stato di conoscenza che l’alunno ha rispetto ad una determinata
situazione, al centro di tutto si pone la mente dell’alunno che
coordina, unisce ed assimila le conoscenze pregresse con le nuove.
L’alunno non è più ritenuto carta assorbente. L’utilizzo della
programmazione per concetti conduce ad una modifica nella mente
dell’alunno perché rielabora, ristruttura le sue conoscenze e le amplia
nel confronto continuo tra ciò che possiede e gli anelli mancanti che
vengono fuori dalla conversazione clinica. E’ lo stesso individuo sulla
base delle strategie del docente ad elaborare conoscenze con il
passaggio da un sapere non strutturato ad un sapere esperto.
E’ tramite la mappa (insieme di concetti) elaborata dall’alunno,
che il sapere soggettivo, in relazione ad uno o più argomenti, viene
alla luce.
Come nella programmazione per concetti, anche in quella per
sfondi la scuola non ripone fiducia nella scienza. Questo modello
nasce negli anni ’80 ad opera di un gruppo ricercatori di Bologna.
Venuta alla luce negli stessi anni della programmazione per concetti
si rilevano elementi connotativi identici della società: pluralismo
culturale, perdita dei punti di riferimento. Accanto alla sfiducia nel
ruolo delle scienze che porta ad affermare che nulla può essere
determinato dall’inizio alla fine in ambito didattico, si afferma un altro
elemento: quello di unificare le sfere psicologiche e pedagogiche.
Questo modello si forma sulle scie di una teoria non pedagogica,
quella della Gestalt (teoria della forma). In questo tipo di
programmazione il docente è il regista, l’alunno è attore.