Questo processo è dovuto sia a fattori politici che a fattori puramente
massmediologici. Per quanto riguarda i primi, la trasformazione dei sistemi elettorali
verso una logica maggioritaria ha incentrato l'attenzione più sul singolo candidato che
sul partito nel suo complesso; inoltre, dobbiamo considerare anche la crisi strutturale
che ha colpito il sistema partitico tradizionale, favorendo la nascita di nuovi soggetti
politici che preferiscono non definirsi più partiti. Da punto di vista strettamente
comunicazionale, i mass media - e la Tv in particolare - tendono per loro natura a
semplificare il messaggio politico, a renderlo il più chiaro e diretto possibile: non è
facile spiegare un partito, comunicarlo, molto più efficace e immediato è
rappresentarlo simbolicamente con un uomo, il leader, appunto, che diventa spesso
l'unica parte visibile del partito, prendendo il sopravvento su di esso. Per
personalizzazione della politica, quindi, non s'intende tanto una concentrazione del
potere nelle mai di un'unica persona, quanto il fatto che sia quasi sempre lo stesso
personaggio ad apparire sui media in rappresentanza del suo partito e tutto si incentra
intorno alla sua figura, alle sue competenze, ai suoi programmi e ai suoi obiettivi,
coinvolgendo anche la sua vita privata. In Italia questo processo prende il via tra la
fine degli anni '70 e i primi anni '80, per accentuarsi progressivamente nel corso degli
anni.
Per quanto riguarda la spettacolarizzazione della politica, si intende con
questo termine il processo di conformazione della politica alle esigenze organizzative
ed alle finalità di intrattenimento tipiche della televisione e dei moderni media. Nel
momento in cui la politica inizia a veicolare il suo messaggio non più tramite i
tradizionali canali propagandistici ma tramite il sistema mediatico, ad esso il
messaggio deve adattarsi, non tanto nel contenuto quanto nella forma espositiva.
L'adeguamento alla media logic è fondamentale dal momento che il politico
comunica tramite i media in cerca del consenso del grande pubblico televisivo, e per
ottenerlo deve presentarsi in maniera da essere accettato e riconosciuto come parte
non solo del sistema politico, ma anche di quello mediatico. Nascono quindi, ad
esempio, gli spot elettorali, i curatori d'immagine, le convention all'americana,
l'intervento delle agenzie pubblicitarie per programmare le campagne elettorali, e via
dicendo. Il linguaggio si semplifica, i temi si riducono, si cercano modalità alternative
di comunicazione che attraggano l'attenzione del telespettatore/elettore e lo
avvicinino al candidato, modalità, appunto, proprie più del mondo dello spettacolo
che del mondo politico.
Infine, il concetto di tematizzazione indica la pratica dell'imporre i propri temi
nel circuito dei mass media. I partiti politici, nel veicolare il loro messaggio, si
trovano a concorrere tra loro per guadagnare visibilità e importanza negli apparati
d'informazione; in questo contesto, riuscire ad inserire un tema, che per una parte
politica è significante, nel circuito informativo, significa dare visibilità all'argomento,
renderlo noto, e quindi importante. Uno studioso di comunicazione politica, Carlo
Marletti, ha definito la tematizzazione come quel processo che "implica qualcosa di
più che una semplice disposizione a trattare dei temi.
Essa piuttosto si riferisce alla possibilità che qualcosa - evento, situazione o
problema - venga posto al centro dell'attenzione e considerato come rilevante, al
punto da assumerlo come tema, ossia stabilire, in modo socialmente o politicamente
sanzionato, che esso deve essere pubblicamente approfondito, conosciuto, discusso,
risolto nelle alternative di svolgimento che implica"
1
. È importante, quindi, che un
soggetto politico sia in grado di imporre i temi che lo riguardano nell'agenda dei
media ma, dal punto di vista dei cittadini, sarebbe molto importante anche che i
media funzionassero come un canale per tematizzazioni autonome, come uno
strumento a disposizione dei cittadini per discutere le opzioni più significative e più
rilevanti intorno ai problemi ed agli eventi, in maniera indipendente dalle
lottizzazioni degli apparati di partito, di corrente, di gruppo d'interessi
2
.
Nel contesto italiano questi processi si sono affermati con ritardo e,
ovviamente, con caratteristiche proprie. In particolare, la sinistra italiana si è
caratterizzata per un iniziale rifiuto delle nuove modalità comunicative, e per un
ritardo nel loro utilizzo. Il Partito Comunista, per la sua struttura di partito di massa,
si è contraddistinto per avere una rete comunicativa interna ed autonoma molto ampia
ed efficace, che gli ha permesso di isolarsi rispetto all'irrompere dei media sulla scena
politica, e di assumere una posizione critica in merito.
1
Marletti Carlo, Prima e dopo. Tematizzazione e comunicazione politica. Dati per la verifica dei programmi
trasmessi, Torino, Eri-Edizioni Rai, 1985, p. 24.
2
Savarese Rossella (a cura di), L'americanizzazione della politica in Italia. TV ed elezioni negli anni
Novanta, Milano, Franco Angeli Editore, 1996.
Con i cambiamenti intercorsi nella politica italiana e con il passaggio dal Pci
al Pds - e quindi da una struttura di partito di massa a quella di un partito ad
organizzazione più leggera ed elastica - questo atteggiamento si è rilevato
controproducente, e il Pds ha dovuto prendere coscienza, anche se in maniera tardiva,
delle mutate condizioni politiche e comunicazionali. Proprio questo particolare
atteggiamento del Pci-Pds e la travagliata storia del partito, ne fanno un esempio
molto interessante da studiare nella sua evoluzione rispetto al sistema mediatico.
CAPITOLO 1
IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO E LA
COMUNICAZIONE POLITICA
1.1. Il Pci come partito di massa nei suoi rapporti con i media.
Il Partito Comunista Italiano nasce dalla scissione di una minoranza di sinistra
dal Partito Socialista durante il Congresso tenuto a Livorno nel 1921. Durante il
periodo fascista e la Seconda Guerra Mondiale, i comunisti, insieme ad altri, furono i
protagonisti della Resistenza: durante tutto il ventennio, il Pci riuscì a tenere in piedi
e ad alimentare dall'interno e dall'estero una propria rete clandestina, a diffondere
opuscoli, giornali e volantini di propaganda, a infiltrare suoi uomini nei sindacati e
nelle organizzazioni giovanili fasciste. Il partito sopravvisse grazie a questo sistema
di propaganda forse rudimentale nei mezzi, ma raffinato nella diffusione e, senza
dubbio, efficace. Questo stesso sistema sopravvisse, arricchendosi, anche dopo il
conflitto mondiale e, fino all'entrata in gioco dei mass media, in particolare della
televisione, le dinamiche comunicative del partito al suo interno e verso l'esterno
mantennero la loro efficacia.
Al termine del conflitto, il Pci godeva di una nuova forza e credibilità proprio
grazie al contributo offerto alla lotta antifascista, e su questo fondava i suoi titoli di
legittimità per presentarsi come forza nazionale e di governo. Il partito contava un
milione di iscritti già nel 1945, e 1.700.000 solo un anno dopo. Sin dalle sue origini,
quindi, il Pci si pone nel panorama politico italiano come partito di massa
3
per
antonomasia; per comprendere il rapporto instauratosi tra il Pci e i mass media negli
anni '70 e '80, dobbiamo brevemente prendere in considerazione le caratteristiche
dell'organizzazione del partito, in quanto partito di massa, e le pratiche comunicative
antecedenti alla diffusione dei moderni media.
A livello organizzativo, il Partito comunista nasce sul modello fortemente
centralizzato e burocratizzato di quello leninista, per poi adattarsi alla società civile
italiana grazie all'elaborazione di Gramsci e Togliatti. Negli anni '50 il Pci, pur
accettando le critiche alle degenerazioni del regime stalinista, e riservandosi una certa
autonomia rispetto all'Urss, si mantenne sostanzialmente fedele al modello sovietico.
Togliatti fu il primo a parlare, negli anni '60, di "vie nazionali al socialismo"
allentando, seppur debolmente, lo stretto legame con il regime sovietico.
Un'organizzazione, comunque, basata sul centralismo, in cui alla democrazia più
formale che sostanziale delle sezioni fa da contrappunto una rete dirigenziale molto
rigida, organizzata in una ferrea gerarchia
4
.
Il partito di massa, e il Pci in quanto tale, "può essere interpretato e analizzato
nella sua dinamica come un sistema di comunicazioni"
5
interne ed esterne. Infatti,
3
Definiamo sinteticamente un partito di massa come quel modello di partito che nasce in Europa a cavallo tra XIX e
XX secolo, proposto per la prima volta proprio dai socialisti e basato sull'inquadramento di larghi strati della
popolazione attraverso una struttura permanente, articolata in organizzazioni locali e facente capo ad un unico centro
dirigente.
4
Tra i numerosissimi contributi riguardo all'organizzazione e al ruolo del Pci, si vedano p.e. Ferrero Fiorenzo, Dal Pci
al Pds: dalla questione sociale alla società civile, Milano, Franco Angeli Editore, 1994 e Pasquino Gianfranco, Il
sistema politico italiano, Bari, Laterza, 1985, p.128-168.
facendo un passo indietro, possiamo notare che nell'Ottocento le classi subalterne e le
masse popolari non erano in grado di far sentire la propria voce e di inserirsi nella
neonata società borghese in modo pubblico. Per comunicare politica i canali praticati
erano quelli della comunicazione orale, diffusa personalmente tra gli interessati. La
formazione dei partiti di massa di tipo socialista creò una sfera pubblica di
comunicazione politica alternativa a quella borghese:
"Il comizio socialista, l'associazionismo, ed infine i giornali socialisti,
rappresentarono l'ossatura di questa sfera popolare della
comunicazione, sociale e politica. I giornali socialisti furono, al loro
tempo, un modello di comunicazione alternativa, di circuito parallelo;
e furono anche un grosso fatto educativo, culturale, di emancipazione,
la prova che anche gli operai ed i contadini sapevano leggere e
sapevano scrivere, erano degli uomini come si diceva allora con
espressione tanto enfatica che ingenua. Ma accanto alle funzioni
educative, questa comunicazione ebbe sempre anche funzioni di
mobilitazione, di propaganda"
6
.
Questo tipo di comunicazioni, quindi, sopravvisse per tutto il periodo delle guerre
mondiali, e mantenne la sua efficacia anche dopo: fino al momento in cui la
televisione fa la sua comparsa, le dinamiche comunicative restano invariate.
5
Pasquino Gianfranco, "Mass media, partito di massa e trasformazioni della politica", in Il Mulino, XXXII, 288, luglio-
agosto 1983, p.562 (ora in Pasquino Gianfranco, La complessità della politica, Bari, Laterza, 1985, p.87-109).
6
Marletti Carlo, "Oltre la propaganda. L'informazione come scambio politico", in Grossi Giorgio (a cura di),
Comunicare politica. Propaganda, immagine e progetto nelle pratiche comunicative della Sinistra, Milano, Franco
Angeli Editore, 1983, p.67.
Riferendoci ora più in particolare alla comunicazione interna al partito - e
rimandando al paragrafo seguente le questioni riguardanti la comunicazione esterna
del Pci e la sua immagine pubblica - dobbiamo mettere in evidenza che proprio la
struttura del partito di massa, e del Pci in particolare, richiede la presenza di
un'efficace rete di comunicazioni fra dirigenti, militanti e iscritti. Difatti,
"il centralismo democratico è, a tutti gli effetti, un modulo basato
sull'acuta consapevolezza della necessità di un efficace sistema di
comunicazioni interne: nella sua versione classica leninista, esso si
basa sul più ampio dibattito alla base che produce le informazioni
necessarie affinché la leadership pervenga alle opportune decisioni
(flusso dal basso verso l'alto) e sulla comunicazione autoritativa delle
decisioni prese dai dirigenti alla base, affinché essa le attui
prontamente e fedelmente (flusso dall'alto verso il basso) "
7
.
E' proprio tramite questo tipo di comunicazione che il partito di massa mantiene
stretto il rapporto con i militanti, con la massa - appunto -, che ne è sostanza,
fondamento e ragion d'essere.
Con la nascita dei moderni media e, soprattutto, con la loro diffusione, i flussi
di comunicazione interni al partito subiscono notevoli cambiamenti: l'influenza dei
media è enorme, i dibattiti interni si svolgono ora sotto gli occhi di un'opinione
pubblica che non comprende più solo i militanti, ma anche i potenziali elettori o gli
appartenenti ad altri partiti. A partire dalla seconda metà degli anni '60, ma con
7
Pasquino Gianfranco, op.cit., p.562-563.
maggior evidenza negli anni '70, il Pci "non controlla più il flusso di comunicazioni
all'interno in maniera egemonica"
8
, ma deve fare i conti con l'esterno, con i media,
con il giudizio dell'opinione pubblica, con eventuali distorsioni o incomprensioni, con
le interferenze esterne. Contemporaneamente, nuove generazioni di militanti hanno
fatto il loro ingresso sulla scena politica, influendo, a loro volta, sui processi
comunicativi interni. "Da una militanza che era, nella felice espressione di Giorgio
Amendola, «una scelta di vita», si è passati a forme di militanza molto più variegate,
diversificate, probabilmente meno intense, caratterizzate da intermittenza e dalla
pluralità di obiettivi"
9
, e da un'inedita apertura nei confronti del mondo esterno alla
realtà del partito e, quindi, anche nei confronti dei mass media, ai quali iniziano più
spesso a far riferimento e a far ricorso nell'ambito del dibattito politico interno. E' la
crisi dell'assetto tradizionale del partito di massa come sistema chiuso di
comunicazione dal vertice alla base, in un contesto di specifica subcultura
10
. Il partito
di massa, a questo punto, perde la sua autosufficienza, perde quei canali di
comunicazione diversi e partigiani che gli erano propri, e deve entrare in contatto con
quei media, con quella cultura che, fino a quel momento, erano stati considerati come
dimensioni e componenti della società capitalistica da combattere.
Il Pci, in sostanza, non può più limitarsi a definire la sua linea politica sulla
base delle preferenze dei militanti e delle consultazioni con la base, ma si trova a
8
Ibidem, p. 567.
7
Ibidem, p. 568.
8
Statera Gianni, "Le nuove modalità", in Jacobelli Jader, La comunicazione politica in Italia, Roma-Bari, Laterza,
1989. p.191-195.
dover "contrastare il flusso di comunicazioni provenienti dai nuovi media interessati
soprattutto a ciò che fa notizia, inclini non a dare la notizia, ma a crearla"
11
. La
comunicazione interna diventa, in un certo senso, sempre più esterna o, per lo meno,
influenzata dall'esterno. "Il Pci lentamente trasforma i propri strumenti effettivi di
comunicazione, orientandoli (…) verso l'esterno del sistema politico e cioè verso
quell'area rappresentata da un'opinione pubblica che comunque guarda al Pci, senza
peraltro essere dalla stessa organizzata secondo il modulo tradizionale che vedeva in
ogni elettore un potenziale iscritto ed in ogni iscritto un possibile militante"
12
. Questo
processo s'inserisce, favorendola, nella tendenza di scissione del partito dal proprio
sistema sociale di riferimento, scissione che sarà sempre più evidente soprattutto a
partire dalla seconda metà degli anni '70.
Il referendum sul divorzio del 1974 segna, a detta di molti, una data epocale
in questo senso: Umberto Eco e Pier Paolo Pasolini, tra gli altri, convennero
nell'affermare l'importanza della televisione e della stampa nel determinare la vittoria
dei "no" all'abrogazione della legge in questione. Fu quello il primo segnale che la
capacità dei partiti di mobilitare schiere di militanti e di coinvolgere migliaia di
attivisti era in progressiva diminuzione e che era ormai avviato quel fenomeno che
Gianfranco Pasquino ha definito lo sgretolamento della "subcultura politica sulla
quale il partito di massa aveva fatto leva e affidamento"
13
, fenomeno determinato
11
Pasquino Gianfranco, op.cit., p.569.
12
Fedele Marcello, "Il problema delle «reti effettive» nei processi di comunicazione politica", in Pasquino Gianfranco
(a cura di), Mass media e sistema politico, Atti del Convegno "La scienza politica in Italia: bilancio e prospettive",
Milano, maggio 1984, Milano, Franco Angeli Editore, 1986, p.92.
13
Pasquino Gianfranco, op.cit., p.562.
dalle trasformazioni socio-economiche in atto, ma anche da un nuovo ruolo e peso
delle comunicazioni. Per tutti gli anni '60 la comunicazione politica si riduce a mera
propaganda e anche le prime apparizioni televisive di Palmiro Togliatti in Tribuna
elettorale vengono vissute all'interno del partito come momento tattico e non come
comunicazione effettiva. Bisogna attendere proprio gli anni '70 affinché il modello
comunicativo del Pci abbandoni, almeno in parte, i tratti di diversità e separatezza
che lo avevano fino ad allora caratterizzato e affinché i quadri e i militanti non
vedessero più nel Telegiornale un "organo di stampa borghese" come il Corriere
della Sera o La Stampa, in quanto tale non affidabile
14
.
Vediamo quindi che, per diversi anni, i nuovi mezzi di comunicazione di massa
rappresentano per il Pci uno strumento alieno, poco apprezzato e poco conosciuto.
Proprio la struttura di partito massa del Pci ha, in qualche modo, contribuito alla non
compenetrazione tra i due sistemi, ha limitato l'utilizzo dei mezzi di comunicazione
da parte del partito, che rimase così ancorato alle vecchie dinamiche comunicative e
propagandistiche più a lungo rispetto ad altri partiti. Nelle parole di Alberto
Abruzzese:
"Anche quando ci si getta sull'innovazione tecnologica, usandola
secondo parametri più o meno arretrati, si contribuisce ad enfatizzarne
il potere ma non si giunge a servirsene: così fu per il cinema, così è
per gli audiovisivi leggeri. Il campo delle comunicazioni di massa non
viene identificato come sistema e ciò comporta un uso tanto più
12
Statera Gianni, op.cit., p.191-195.
povero, scarso, inadeguato e distorto, quanto più il mezzo sintetizza e
potenzia tecnologicamente la dinamica innovativa di questo sistema
(dunque in particolare stampa di massa e televisione). (…) Tutto ciò
comporta la sottovalutazione e spesso la negazione preconcetta di tutti
quei dispositivi tecnologici che sostanziano il potere dei mezzi di
comunicazione in una società di massa tecnologicamente sofisticata
(…). Vale a dire che l'arretratezza culturale del movimento operaio
contribuisce ad appiattire le strategie ai margini del potere dei mass
media, fuori del flusso reale dei loro meccanismi partecipativi, fuori
della sensorietà collettiva, fuori dei linguaggi in atto"
15
.
15
Abruzzese Alberto, Il fantasma fracassone. Pci e politica della cultura, Roma, Lerici, 1982.
1.2. L'immagine del Partito Comunista Italiano.
1.2.1. L'immagine eteroprodotta
16
del Pci: il coverage dei comunisti nei mass
media.
A partire dalla seconda metà degli anni '70 il Partito Comunista si trova a far
fronte ad una situazione completamente nuova. E' dal 1975 circa, difatti, che il Pci
diventa oggetto privilegiato d'interesse di larga parte della stampa borghese. La
classe dirigente del partito non è preparata a questa novità; "nel vecchio sistema di
comunicazione politica separato si produce una sorta di cortocircuito. (…) Accade,
infatti, che il quadro comunista urbano - e persino il militante - legga prima La
Repubblica e poi L'Unità, fenomeno questo del tutto inconcepibile vent'anni fa"
17
.
Come abbiamo già sottolineato, è proprio la centralità del sistema comunicativo
interno del Pci che rende il processo di trasformazione - dovuto ai nuovi modelli di
comunicazione politica imposti dai mass media - più difficoltoso e lento rispetto, ad
esempio, al Psi o alla Dc.
In ogni modo, l'interesse dei media per il Pci cambia intorno al 1975. Prima di
quella data, i rappresentanti del Pci ricoprivano un ruolo quantomeno marginale negli
16
Si intende con immagine eteroprodotta quell'immagine che di un determinato partito i mass media e i partiti avversari
cercano di fornire; l'immagine autoprodotta definisce invece quell'immagine che il partito, sia attraverso le sue pratiche
sia mediante i suoi canali di comunicazione e di propaganda, tende a diffondere direttamente nella società; infine,
l'immagine sedimentata e quella di un dato partito che è già circolante nella società e già interiorizzata dai soggetti
sociali come conseguenza e sintesi di processi storici antecedenti (Giorgio Grossi, "Il partito politico e l'immagine. Note
sul caso del Pci", in S. Belligni (a cura di), La giraffa e il liocorno. Il Pci dagli anni '70 al nuovo decennio, Milano
Franco Angeli Editore, 1983, p.158.
17
Statera Gianni, op.cit., p.192.
organi d'informazione - ruolo, comunque, che rispondeva all'immagine autoprodotta
dal partito stesso, che sottolineava la sua diversità e la sua peculiarità nel panorama
politico italiano -. Fino a quel momento, il sistema italiano delle comunicazioni di
massa si poteva considerare bloccato, perché i comunisti erano relativamente esclusi
dalla negoziazione politica delle notizie. Non c'era alcun tipo d'interazione tra mezzi
d'informazione e partito, l'accesso veniva unilateralmente deciso dalla fonte
giornalistica. Il cambiamento si ha con la direzione di Piero Ottone al Corriere della
Sera e con la nascita della Repubblica di Eugenio Scalfari: a questo punto il coverage
dei comunisti viene aperto all'interazione, trasformando così un sistema di
trasmissione dei messaggi unidirezionale in uno di scambio e interazione.
La nuova copertura non fu immediatamente accettata - e forse compresa - dai
comunisti stessi; affermava Alfredo Reichlin (dirigente nazionale del Pci e direttore
dell'Unità): "Io posso dire anche tutta la verità sul dibattito che c'è nella direzione del
Pci. Ma se non lo faccio come lo fa Repubblica, cioè teatralizzando falsamente il
contrasto tra Berlinguer e Napolitano, non interessa, non sono leggibile"
18
. Da questa
affermazione possiamo rilevare il disagio della classe dirigente comunista ad adattarsi
ad una situazione nuova, la resistenza ad accettare "un arricchimento delle forme di
interazione, in nome di una diversità la quale - pur potendo apparire rispettabile sotto
il profilo del costume - è del tutto irrilevante rispetto ai processi di comunicazione
18
Reichlin Alfredo, "Società dell'informazione e sinistra: per una nuova cultura politica del cambiamento", in Grossi
Giorgio (a cura di), Comunicare politica. Propaganda, immagine e progetto nelle pratiche comunicative della Sinistra,
Milano, Franco Angeli Editore, 1983, p.153.
interna, il cui ritualismo potrebbe alla lunga diventare un ostacolo alla stessa
efficienza politica"
19
.
Col passare del tempo, ovviamente, la presa di coscienza da parte della classe
dirigente del partito portò a graduali ma importanti cambiamenti, che attenuano
quell'impressione di rigidità rispetto al nuovo che caratterizzò i primi tempi. Già nello
statuto del XV Congresso (1979) il Pci ha apportato delle modifiche all'articolo
dedicato alla stampa ed ai mezzi di comunicazione di massa, eliminando ogni
riferimento all'obbligo di "diffondere costantemente i problemi del marxismo-
leninismo" e di informare esaurientemente sui "problemi e le conquiste dei paesi
socialisti".
20
In generale, l'immagine esterna del Pci, appare quella di un partito fortemente
gerarchizzato, che si propone come modello di razionalità politica:
"un progetto razionale - non solo di trasformazione ma anche di
gestione - con tutto quanto di moralistico ma anche di rigoroso questa
prospettiva comporta; una volontà continua di definire (…) problemi e
soluzioni, obiettivi e strumenti, aggregazioni e mediazioni, secondo
uno schema di azione politica inteso sia come lotta e individuazione di
avversari, sia soprattutto come processo razionale di articolazione di
mezzi e di fini"
21
19
Fedele Marcello, op.cit., p.92.
20
Ibidem, p.95.
21
Grossi Giorgio, "Le immagini esterne della Sinistra. Relazione in un ciclo di conferenze organizzato dalla Casa della
Cultura di Milano nel 1981 sul tema 'Immagini della Sinistra. Uso dei media e strategie comunicative dei partiti' ", in
AA.VV., Laboratorio politico.I linguaggi della politica, II, 4, Roma, Edizioni Einaudi, 1982, p.175-184.
Inoltre, il cambiamento dell'immagine eteroprodotta del partito va di pari
passo con i cambiamenti e le evoluzioni all'interno del Pci negli anni '70: la base
elettorale del Pci è in costante espansione
22
(anche grazie alla concessione del diritto
di voto ai diciottenni nel 1975) e il ruolo del partito nel sistema politico italiano è
quello del "partito di lotta e di governo"
23
, fino al compromesso storico della fine
degli anni '70, con cui il partito sancisce definitivamente la sua legittimazione come
partner di governo. L'impegno comunista per il rinnovamento del sistema politico
italiano ha catalizzato l'attenzione dei media, che ne hanno fatto soggetto privilegiato
di analisi.
22
Gli iscritti al Pci passano, nell'arco del decennio, da 1.500.000 a 1.761.297, gli elettori passano dai 9.072.454 (21,2%)
del 1972 a 11.129.262 (30,4%) del 1979. Si veda anche la tabella 2.1.
23
Lo slogan "Pci, partito di lotta e di governo", ripreso nel periodo della solidarietà nazionale risale, come concezione,
al Togliatti del partito nuovo.