2affidarono l'esclusivo controllo dell'attività finanziaria alla Sommaria;
"custode dell'interesse del Fisco, legato direttamente e indirettamente
alla corretta amministrazione delle Università, che assicurava il
continuo e puntuale pagamento dei tributi statali"3.
Il tribunale napoletano nella gestione dei tributi si avvaleva di
ministri provinciali, governatori locali, uditori e presidi che agivano
come suoi delegati entro i limiti di ben determinate competenze. La
Camera della Sommaria, infatti, lasciava poca libertà di azione e, come
ha scritto Maria Grazia Maiorini, era "un ostacolo per il potere della
monarchia assoluta, alla quale impediva la libera disposizione e anche
la piena conoscenza di uno dei suoi strumenti fondamentali, le finanze,
la base della sua attività e della sua stessa sopravvivenza"4.
Carlo III di Borbone aprì una breccia nel monopolio della
Sommaria e, nell'intento di riappropriarsi delle provincie e di instaurare
3 M. G. MAIORINI, La Reggenza borbonica (1759 - 1767), Ed. Giannini, Napoli 1991, p.
401.
4 Ibidem, p. 401.
3un rapporto diretto con lo Stato per allargare il consenso, caldeggiò la
riforma dell'amministrazione finanziaria. Iniziativa "di innovazione
tecnica e assieme di lotta politica"5, che segnò un notevole sviluppo
rispetto al precedente sistema tributario, se non altro per il rilevamento
dei dati che venne fatto con una certa uniformità6.
La riforma dell'amministrazione finanziaria mosse i primi passi con
la nomina di Giovanni Brancaccio a soprintendente delle rendite e
l'istituzione, il 30 luglio 1737, della segreteria delle Finanze, definita
Segreteria di Stato d'Azienda ed antesignana del successivo ministero
delle Finanze.
Nel 1740 il Brancaccio assunse l'iniziativa di avviare l'istituzione del
catasto, con l'introduzione di nuovi criteri di tassazione in sostituzione
del vecchio metodo della numerazione dei fuochi7. La nuova forma di
censimento, rileva Augusto Placanica, doveva rispondere a nuovi e più
5 F. BARRA, Pensiero riformatore..., cit., p. 19.
6 S. BRICH, Dipignano nel 1700. Aspetti sociali ed economici, Ed. 1994, p. 17.
7 N.F.FARAGLIA , Il Comune nell'Italia Meridionale (1100 - 1806), Tip. Regia
Università, Napoli 1883, p. 137; F. CARACCIOLO, Sud, debiti e gabelle, Gravami, potere
e società nel Mezzogiorno in età moderna, Ed. ESI, Napoli 1983, p. 61.
4razionali criteri di accertamento patrimoniale per una più equa
distribuzione del carico fiscale8.
S'imponeva, pertanto, l'adozione di un correttivo al sistema che
aveva dimostrato la sua inefficienza ed il 17 marzo 1741 fu pubblicato,
a firma del luogotenente della Regia Camera della Sommaria Ludovico
Paternò, il bando contenente le istruzioni "circa le confezioni de'
catasti", applicative del dispaccio reale del 4 ottobre 1740 trasmesso
dallo stesso Brancaccio.
Pasquale Villani riguardo a questo tentativo puntualizza che
"l'ordine per la formazione di un nuovo catasto connesso al
provvedimento del 1737 che fissava definitivamente il numero dei
fuochi, fu il primo serio tentativo di riforma globale intrapreso dalla
monarchia borbonica"9.
8 A. PLACANICA , Presentazione, in "Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i Catasti
Onciari", Atti del Seminario di studi 1979-1983, Ed ESI, Napoli 1983, vol. I, p. 9.
9 P. VILLANI , Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Ed. Laterza, Bari 1974, p. 105.
5Nei seguenti anni 1741 - 1742 diverse prammatiche stabilirono e
dettarono le istruzioni sul metodo da seguire nella loro redazione10.
Preso atto che il sistema fino allora vigente gravava "sopra la minuta
gente, che, non potendo soffrire quel peso di tasse, di gabelle e di altri
dazi imposti, veniva tutto giorno angustiata e strapazzata dagli Esattori
e Gabellieri...", s'intese perseguire lo scopo "che i pesi si no con
eguaglianza ripartiti, e che 'l povero non sia caricato più delle sue
deboli forze ed il ricco paghi secondo i suoi averi"; si espresse, cioè, la
volontà di conseguire la perequazione fiscale.
Un bando, emanato il 15 agosto 1741 sempre a firma del
luogotenente della Sommaria Ludovico Paternò, richiese la
consapevolezza dei riformatori che il catasto non avrebbe conseguito le
sue finalità qualora si fosse mantenuta l'immunità fiscale dei beni
ecclesiastici, giacché "dei beni del regno trovandosi gran parte passata
in manus mortuas, senza che per essi si paghi un sol quattrino per li
10 L. GIUSTINIANI, Nuove collezione delle Prammatiche del Regno di Napoli,Napoli
1804, VI sotto il titolo "F rma censualis et capiatationi, sive de catastis".
6bisogni dello Stato, i soli beni posseduti dà laici non possono bastare
per sollievo desiderato de' poveri e delle comunità"; il concetto fu
ribadito nel bando appositamente promulgato il 28 settembre 1742.
Costituendo un'importante innovazione apportata dal catasto onciario,
per la prima volta gli ecclesiastici, che in passato erano sempre stati
esenti da tributi, furono tassati, pur se è da rilevare che ovviamente non
era estraneo a tale misura l'intento di incrementare le pubbliche
entrate11.
La nuova "creatura fiscale", fu detta Onciario perché in once -
moneta solo nominale, pari a 6 ducati o 60 carlini - "venivano
capitalizzati i redditi annui computati al 5% nel caso di immobili e al
10% per gli animali. Accanto alle once dei beni, nel Catasto erano
riportate quelle da lavoro, al cui pagamento erano tenuti quanti
esercitavano un lavoro manuale o professionale. Di 12 once era
l'imponibile annuo attribuito al lavoro di braccianti, pastori e altre
11 M. PERFETTI, Rovito nel catasto onciario - un' istantanea del 1743 -, Ed. Cosenza
1994, p. 14.
7categorie di salariati, che generalmente avevano una paga giornaliera
compresa tra 1,5 e 2 carlini, per 14 once venivano invece tassati i
massari, gli artigiani e i mercanti e per 16 once i professionisti in
genere. Un'altra imposta personale cui erano sottoposti i capifamiglia
era il testatico, dal quale erano parzialmente esenti i nobili viventi,
quanti cioè vivevano di rendita e costituivano il primo dei tre ceti in cui
era suddivisa la cittadinanza... Alla descrizione e valutazione dei beni
immobili si provvedeva mediante il cosiddetto apprezzo della cui
compilazione erano incaricati quattro esperti agrimensori scelti
dall'Università. Oltre all'apprezzo, il catasto Onciario comprendeva lo
stato delle anime - elenchi delle singole famiglie fornite dai parroci - gli
atti preliminari inerenti alla nomina dei deputati e degli apprezzatori e
alla definizione dei criteri di massima da adottare nella valutazione dei
beni; le rivele - una sorta di dichiarazione dei redditi dei capi famiglia -
e infine l'onciario vero e proprio dove erano sintetizzati i dati
8precedenti al fine di fissare il carico tributario dei singoli fuochi e di
coloro che comunque avevano beni imponibili nel territorio
comunale"12.
Alle istruzioni divulgate dal governo borbonico nei primi mesi del
1741 per la compilazione del Catasto, le Università calabresi e
meridionali non obbedirono con molta prontezza ne tantomeno con
tanta perizia per cui vi furono difficoltà da ambe le parti: dei
contribuenti e degli amministratori. Fu necessario emanare nuove
Prammatiche delle quali quella pubblicata il 28 settembre 1742
conteneva le disposizioni più importanti e ordinava di completare i
catasti entro quattro mesi13. Anche queste disposizioni non ebbero i
frutti sperati e i Municipi calabresi inviarono la loro documentazione
solo nei primi anni del 1750 in seguito all'ultima Prammatica del 4
maggio 1753.
12 G. CARIDI, La Calabria nei documenti storici, Ed. Falzea, Reggio Calabria 2000, vol.
II, pp. 52-53.
13 P. VILLANI , Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione...cit., p. 107.
9In questo lavoro, tenuto conto dell'eccezionale ricchezza di notizie
contenute nel documento carolino, si è analizzato il Catasto Onciario
dell'antica Castelmonardo, focalizzando l'attenzione sui vari gruppi
sociali e lo spazio urbano all'interno del quale si muovono le famiglie.
In altri termini, si è cercato di scandire il ritmo della vita quotidiana e
di conoscere aspetti della mobilità sociale ed economica della comunità
presa in esame, nella consapevolezza che le fonti catastali sono
"sempre di ardua lettura e richiedono uno studio assai complesso e
competenze tecniche di non agevole acquisizione"14.
Abbiamo ritenuto opportuno suddividere la tesi in quattro capitoli,
nel primo dei quali si è cercato di illustrare la storia del Regno di
Napoli nel XVIII secolo. Un periodo di grande confusione che
nell'arco di breve tempo vide l'alternarsi del vicereato spagnolo ed
austriaco e la definitiva conquista del potere da parte di Carlo III di
Borbone. Nel secondo capitolo si è rivolta l'attenzione alla Calabria e
14 A. PLACANICA , Presentazione..., cit.,vol. I, p. 9.
10
alle millenarie piaghe sociali che, come scrissero Giuseppe Maria
Galanti e Giovan Battista Maria Jannucci, frenarono lo sviluppo
sociale di quella terra descritta come un rifugio di banditi, gente
violenta e avidi baroni. L'arco di tempo considerato è quello compreso
tra il 1707 e il 1799. Anni di carestie, pestilenze, terremoti e rivolte
sociali come la Repubblica Giacobina, caduta miseramente sotto i colpi
dell'armata sanfedista del Cardinale Fabrizio Ruffo.
Nel terzo capitolo, per mettere meglio in luce la precarietà della vita
calabrese, si è focalizzata l'attenzione su Filadelfia, piccolo centro del
catanzarese infeudato ai Pignatelli Aragona Cortes che sottoposero i
vassalli a diritti giurisdizionali e proibitivi. Il quarto capitolo, infine, è
dedicato al Catasto Onciario di Filadelfia e agli aspetti più disparati
che emergono dalla sua lettura. Dati che confermano, per l'ennesima
volta le differenze sociali esistenti in ogni comunità calabrese,
composta in gran parte da bracciali e pastori ed in mano ad una
11
oligarchia nobiliare locale che amministrava a suo piacimento la "cosa
pubblica".
Dalle dichiarazioni, o rivele, emerge che nel suo territorio abitavano
2170 individui, suddivisi in 230 fuochi. La famiglia era di tipo nucleare
composta generalmente da 7-8 persone, la maggior parte delle quali
vivevano in case di loro proprietà.
L'attività lavorativa dichiarata dai capi famiglia attesta la prevalenza
dell'attività agricola. Infatti vi erano 176 bracciali, 22 pastori e 55
massari. Le proprietà erano molto frazionate, e appartenevano a poche
famiglia della nobiltà locale che possedevano terreni e un gran numero
di animali.