2
Con la successione di Eisenhower alla Casa Bianca, nel 1953, la politica estera
americana ridefinì le proprie strategie. Uno degli aspetti caratterizzanti i primi anni
dell’amministrazione Eisenhower è senz’altro la strategia del New Look e della massive
retaliation. Queste nuove strategie prevedevano la creazione di un sistema difensivo
anti-comunista capace di dispiegare il massimo di efficacia a costi tollerabili: il che
significava in concreto che “il modo migliore per prevenire l’aggressione” era quello di
“basarsi in primo luogo su una grande capacità di risposta immediata” e massiccia
contro qualsiasi atto ostile sovietico (strategia della massive retaliation, cioè della
rappresaglia massiccia)
3
. Il New Look prevedeva che ogni aggressione sovietica fosse
contrastata da una risposta nucleare massiccia, tale da annientare la potenza
dell’avversario.
La contrapposizione al comunismo comportò un profondo riesame della politica
degli Stati Uniti verso il Medio Oriente, tanto che la regione fu, per la prima volta,
considerata di interesse vitale per Washington. Il 5 Gennaio 1957, nella solenne cornice
del Congresso riunito in seduta comune, il Presidente Eisenhower avanzò la proposta di
un intervento americano in un area geografica fino a poco prima considerata periferica
rispetto agli interessi strategici di Washington. Il documento conteneva i punti salienti
della Middle East Resolution, meglio conosciuta come Dottrina Eisenhower. La regione,
affermava il Presidente, correva il pericolo di cadere sotto il controllo dell’Unione
Sovietica, di conseguenza gli Stati Uniti dovevano agire immediatamente per aiutare le
nazioni mediorientali a mantenere la propria indipendenza. Eisenhower, quindi, chiese
al Congresso di approvare una risoluzione che lo autorizzasse a fornire assistenza
economica e militare a tutti gli stati del Medio Oriente che avessero denunciato la
minaccia posta dal ‘comunismo internazionale’.
L’effetto catalizzatore della Dottrina Eisenhower fu la guerra di Suez, alla fine del
1956, nella quale Gran Bretagna, Francia ed Israele non riuscirono a capovolgere con la
forza il risultato della nazionalizzazione del Canale di Suez da parte dell’Egitto di
Nasser. Il fallimento di questa operazione fu una delle cause della perdita per la Gran
Bretagna del suo status come principale potenza occidentale in Medio Oriente. Suez
rappresentò il climax della storia del Medio Oriente negli anni ’50 e della politica
occidentale nella regione. Nonostante la condanna dell’intervento anglo-francese da
parte degli Stati Uniti, Washington fu costretta a rivedere profondamente la propria
strategia verso il Medio Oriente. L’esito più significativo di tale riesame strategico fu la
Dottrina Eisenhower, che segnò l’ingresso degli Stati Uniti nell’area come potenza
occidentale dominante, un ruolo che gli Stati Uniti eserciteranno a lungo anche dopo
che la dottrina fu abbandonata. Eisenhower ed il suo Segretario di Stato, John Foster
Dulles, pensavano che l’umiliazione subita dagli Inglesi aveva creato un “vacuum”, un
vuoto di potere, nella regione che l’Unione Sovietica avrebbe colmato se gli Stati Uniti
non avessero agito tempestivamente.
Ufficialmente la Dottrina Eisenhower mirava a proteggere il Medio Oriente, anche
con l’impiego delle forze armate degli Stati Uniti, da possibili attacchi sovietici; in
questo senso si trattava di una specifica applicazione della dottrina del contenimento
con la quale gli Stati Uniti avevano condotto la Guerra Fredda per un decennio. Una
delle finalità specifiche della Dottrina Eisenhower fu quella di informare l’Unione
Sovietica che il Medio Oriente sarebbe stato una delle aree in cui gli Stati Uniti
avrebbero esercitato i loro diritti affermati dalla Dottrina Truman per bloccare
3
ENNIO DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali 1918-1999, Editori Laterza, Bari, 2000, pag. 813.
3
l’espansionismo comunista. La Dottrina Eisenhower mirava, però, a contenere anche il
nazionalismo radicale arabo del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser e screditare la
sua politica di “neutralità positiva” nella Guerra Fredda. Per gli Stati Uniti la questione
cardinale era il comunismo internazionale. Se la maggior parte degli stati arabi avesse
dichiarato la propria opposizione al comunismo internazionale, gli altri governi arabi
che propugnavano la neutralità positiva nella Guerra Fredda sarebbero stati emarginati.
Sebbene Nasser professasse la neutralità nella Guerra Fredda, l’amministrazione
Eisenhower pensava, infatti, che il presidente egiziano fosse talmente ostile
all’Occidente, da diventare, forse inconsapevolmente, uno strumento
dell’espansionismo sovietico.
Questo volume intende proporre una analisi dettagliata e, per quanto possibile
completa, della Dottrina Eisenhower, analizzando le ragioni che spinsero
l’amministrazione americana ad elaborare la suddetta dottrina, esaminandone la sua
applicazione pratica, in particolare per quel che concerne l’intervento armato americano
in Libano nel 1958, fino ad arrivare alle cause del suo fallimento e quindi al suo relativo
abbandono.
Ovviamente, è parso indispensabile non tralasciare gli elementi causali che
costituiscono la causa necessitante della Dottrina Eisenhower, in quanto essi
rappresentano la base di partenza da cui prese le mosse la revisione della politica
mediorientale americana operata da Eisenhower e, soprattutto, dal suo Segretario di
Stato, John Foster Dulles. Per questo motivo, la prima parte del volume si apre con un
analisi delle conseguenze della crisi di Suez, anche per quel che concerne l’impatto di
questa crisi nel mondo arabo e la conseguente crescita del fenomeno del nazionalismo
arabo di stampo nasserista e del suo rapporto spesso conflittuale con gli Stati Uniti.
Inoltre, si esamina il dibattito interno all’amministrazione americana sulla necessità di
una nuova politica per il Medio Oriente che affermasse un rinnovato impegno politico e
militare americano nella regione, per arrivare infine all’elaborazione della Dottrina
Eisenhower. Il capitolo primo si chiude con un analisi degli interessi petroliferi degli
Stati Uniti nell’area mediorientale, in un intreccio indissolubile tra interessi economici e
corporativi da una parte ed interessi politici e pubblici dall’altra. La questione del
petrolio rappresentò uno dei fili rossi della politica degli Stati Uniti verso il Medio
Oriente. Con l’avvento dell’amministrazione Eisenhower essa divenne oggetto di analisi
sempre più attenta e, nello stesso tempo, preoccupata da parte del Dipartimento di Stato,
in quanto Washington vedeva nella possibile penetrazione sovietica nella regione e
nell’impetuosa crescita del fenomeno del nazionalismo pan-arabo il pericolo che i
campi petroliferi potessero sfuggire al controllo delle multinazionali occidentali,
pregiudicando sia la posizione economica delle stesse, sia, soprattutto, la posizione
politica dell’Occidente nella competizione Est-Ovest.
Il secondo capitolo analizza l’impatto della Dottrina Eisenhower nei paesi del Medio
Oriente, in particolare l’atteggiamento dell’amministrazione americana nei riguardi
della crisi giordana e, in seguito, di quella siriana nel 1957. Nei primi mesi dell’anno, la
Dottrina Eisenhower sembrava un successo. Sebbene pochi governi arabi la accettarono
esplicitamente, la dottrina contribuì al riallineamento politico del mondo arabo e al
consolidamento di un alleanza anti-nasserista. Con il sostegno di Washingon, Re
Hussein di Giordania riuscì a ripulire il suo governo e l’esercito da tutte le figure filo-
nasseriste. L’amministrazione Eisenhower però sottostimò la capacità di ripresa nel
nazionalismo radicale arabo, non considerando, inoltre, la fragilità dei paesi arabi amici
e la vulnerabilità dei propri successi nel mondo arabo. La seconda metà del 1957 mise
in evidenza tutti i limiti della politica mediorientale dell’amministrazione americana.
4
In Giordania e Libano la Dottrina Eisenhower aiutò i regimi arabi conservatori a
consolidare il proprio potere politico interno, inglobando sempre più questi paesi nella
sfera di influenza occidentale. Durante la crisi giordana, la dottrina fornì un ombrello di
sicurezza sotto il quale i regimi filo-occidentali potevano cooperare gli uni con gli altri
per far fronte alle minacce provenienti dal nazionalismo pan-arabo. La crisi siriana,
nella seconda metà del 1957, mise in evidenza come la dottrina non poteva evitare che
un regime radicale consolidasse il proprio potere interno, allacciando, inoltre, dei
rapporti stretti con l’Unione Sovietica. Peggio ancora, nel tentare di utilizzare la dottrina
per rovesciare il governo siriano, l’amministrazione Eisenhower contribuì a provocare
una crisi regionale che velocemente si trasformò in una crisi internazionale con il
pericolo di una guerra tra le due superpotenze. La parte finale del secondo capitolo si
occupa della creazione della Repubblica Araba Unita, e delle sue relative ripercussioni
sulla politica dell’amministrazione americana e sui rapporti di potere in Medio Oriente.
I primi mesi del 1958 furono un periodo trionfale per Nasser. L’unione siro-egiziana nel
Febbraio di quell’anno e il grande entusiasmo che questa suscitò tra le masse arabe,
rafforzarono la posizione strategica e politica di Nasser, terrorizzando i leader arabi
conservatori.
Il terzo ed ultimo capitolo tratta dell’applicazione pratica della Dottrina Eisenhower
nell’analisi della crisi libanese e giordana del 1958, con il conseguente intervento
armato anglo-americano, ed, infine del fallimento e del superamento della stessa
dottrina. La politica americana nei riguardi del Libano nella primavera-estate del 1958
appare imbarazzante nel migliore delle ipotesi, se non senza senso. Per parecchi mesi
l’amministrazione Eisenhower appoggiò senza riserve il presidente libanese Chamoun il
cui unico obiettivo era il consolidamento del suo potere interno, la qual cosa provocò
una crisi che si trascinò per parecchi mesi. Gli Stati Uniti quindi decisero di intervenire
militarmente quando la crisi politica libanese pareva in via di soluzione.
Paradossalmente le forze militari americane si trovarono coinvolte nelle ostilità con
l’esercito della nazione che loro erano venuti a salvare. Con il ritiro delle truppe dal
Libano, apparve chiaro alla stessa amministrazione americana che la Dottrina
Eisenhower era un mezzo totalmente inefficace per affrontare le crisi mediorientali.
Allo stesso tempo, fu abbandonato uno dei principi cardine che stavano alla base della
dottrina, cioè il concetto che gli Stati Uniti potevano trarre benefici dal dividere il
mondo arabo in linee ideologiche, cercando di isolare il fenomeno del nazionalismo
radicale arabo. La polarizzazione del mondo arabo, causata dalla Dottrina Eisenhower,
aveva finito per danneggiare gli Stati Uniti e gli stessi stati conservatori arabi. Il
capitolo si chiude con gli sforzi dell’amministrazione americana di assumere una
posizione più conciliante nei confronti del movimento nasserista. Alla fine del 1958,
infatti, gli Stati Uniti abbandonarono la loro politica mirante ad isolare Nasser
costruendo un blocco di stati arabi conservatori. Il risultato di tutti questi eventi fu un
modesto riavvicinamento tra Stati Uniti e Repubblica Araba Unita che durò per tutto il
tempo residuo della presidenza di Eisenhower.
Il presente lavoro di ricerca si basa, soprattutto per quel che concerne l’analisi della
politica degli Stati Uniti nei riguardi dell’area mediorientale, su un attento studio dei
documenti del Dipartimento di Stato americano
4
, che forniscono un quadro esauriente
4
U.S Department of State, Foreign Relations of the United States (d’ora innanzi FRUS), annata 1945
volume VIII; annata 1952-1954 volumi n. IX – X; annata 1955 – 1957 volumi n. XII – XIII – XVI;
annata 1958 – 1960 volumi n. XI – XII – XIII; annata 1961-1963 volume n. XVII.
5
del processo storico e diplomatico caratterizzante la politica mediorientale degli Stati
Uniti nel periodo dell’amministrazione Eisenhower. Molto utili per la stesura della
ricerca sono state le opere di carattere biografico e memorialistico, tra le quali la
biografia di Stephen E. Ambrose
5
sulla figura di Eisenhower che include numerose
citazioni ed interviste con lo stesso presidente; tra le opere memorialistiche da citare per
la loro importanza come testimonianza diretta degli eventi oggetto di questa ricerca, vi
sono le memorie dello stesso presidente Eisenhower
6
, un resoconto degli anni della sua
presidenza, pur con tutti i limiti di qualsiasi testo autobiografico o memorialistico; per
quel che concerne, invece, gli sforzi diplomatici operati dagli Stati Uniti durante la crisi
libanese del 1958, è di fondamentale importanza l’opera di colui che ne fu il maggiore
artefice, lo Speciale Assistente del Presidente Eisenhower, Robert Murphy
7
.
Una interessante ricostruzione storica degli interessi economici e petroliferi degli
Stati Uniti nell’area mediorientale è fornita, oltre che dai documenti ufficiali del
Dipartimento di Stato americano, dall’opera di Daniel Yergin
8
.
Per quanto riguarda invece l’analisi del fenomeno del nazionalismo arabo e dei suoi
rapporti spesso conflittuali con gli Stati Uniti va ricordato il volume di Salim Yaqub
9
,
che ci offre inoltre una dettagliata analisi della Dottrina Eisenhower.
Nell’arco di poche centinaia di pagine è impossibile rendere giustizia ai molteplici
eventi storici che hanno caratterizzato le relazioni tra Stati Uniti e Medio Oriente nel
periodo storico in questione. Ho dovuto altresì rinunciare ad approfondire gli aspetti
sociali e culturali che molto spesso stanno alla base delle incomprensioni tra mondo
islamico da una parte e mondo occidentale dall’altra, poiché esulano in certo qual modo
dalla questione affrontata in questo libro. Anche a questo riguardo mi è parso opportuno
rinviare ad altre opere.
L’ingresso degli Stati Uniti nell’area mediorientale come attori principali e il loro
rapporto spesso conflittuale con il mondo arabo sono il filo conduttore del lavoro di
ricerca. L’approccio politico e culturale degli Stati Uniti nei riguardi del mondo arabo,
nell’analisi specifica della Dottrina Eisenhower e delle ragioni del suo fallimento,
possono, infatti, costituire un trait d’union con le incomprensioni tra Stati Uniti da una
parte e mondo arabo-islamico dall’altra che caratterizzeranno l’epoca successiva..
L’analisi della genesi e delle cause del fallimento della Dottrina Eisenhower getta le
basi per la comprensione di quella che sarà la politica mediorientale degli Stati Uniti
negli anni successivi. L’amministrazione Eisenhower nei suoi ultimi anni tracciò le
linee guida di quella che sarebbe stata la politica mediorientale seguita dai suoi
successori, concludendo la sua iniziativa politica con un deficit di risultati che furono
poi ereditati dalle amministrazioni democratiche di Kennedy e Johnson.
5
STEPHEN E. AMBROSE, Eisenhower, Soldier and President, New York, Simon & Schuster, 1990.
6
DWIGHT D. EISENHOWER, La Pace Incerta, Gli Anni della Casa Bianca 1956-1961, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano, 1969.
7
ROBERT MURPHY, Un Diplomatico in Prima Linea, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1967.
8
DANIEL YERGIN, The Prize: The Epic Quest for Oil, Money and Power, New York, Simon & Schuster,
1991.
9
SALIM YAQUB, Containing Arab Nationalism: The Eisenhower Doctrine and the Middle East, The
University of North Carolina Press, Chapel Hill, London, 2004.
6
Capitolo 1: La Genesi della Dottrina Eisenhower
1.1 La Crisi di Suez: un punto di svolta?
Molti studiosi hanno visto nella crisi di Suez un punto di svolta che marcò l’inizio di
una nuova era nella politica internazionale. Retrospettivamente, l’affaire di Suez
effettivamente segna molteplici mutamenti importanti: per la prima volta infatti il terzo
mondo acquista una così grande importanza nel conflitto est-ovest; inoltre si può notare
per la prima volta un condominium sovietico-americano nella guerra fredda; ed infine,
gli Stati Uniti debuttano come attori principali nell’area mediorientale con tutta la loro
potenza. Quando il tentativo anglo-francese di riguadagnare il controllo sul Canale di
Suez fallì, fu chiaro a molti che il declino delle potenze coloniali europee, le politiche
della guerra fredda e la crescita impetuosa del nazionalismo nei nuovi paesi
indipendenti avevano mutato le dinamiche delle politiche mondiali. Il reale significato
della crisi di Suez risiede non tanto nel casus belli, la nazionalizzazione del Canale di
Suez da parte di Nasser e nella questione correlata del controllo sul canale, ma piuttosto
nell’impatto che la crisi ebbe sulle relazioni tra le potenze occidentali e i nuovi stati
indipendenti in Africa ed Asia. L’anno 1956 segna inoltre l’emergere di un conflitto
culturale tra due differenti sistemi di concepire le dinamiche internazionali: da un lato,
la vecchia cultura occidentale di stampo coloniale, impersonificata nell’area
mediorientale da Gran Bretagna e Francia, dall’altra le aspirazioni delle ex-colonie che
domandavano piena eguaglianza e sovranità, aspirazioni di cui si faceva portavoce il
presidente egiziano Nasser.
Il profondo dissenso anglo-americano durante l’evolversi della crisi mise in evidenza
un ulteriore conflitto: quello all’interno del blocco occidentale sulla maniera più
opportuna di affrontare i problemi nei paesi del Terzo Mondo. Da questo momento in
poi, come afferma Kissinger, “la Gran Bretagna discostandosi dall’unità europea optò
per la subordinazione permanente alla politica americana”. Prima di Suez, egli sostiene,
si era sempre resa conto di questa dipendenza, nonostante continuasse a comportarsi da
grande potenza, ma successivamente capì che non poteva andare contro la volontà
americana e non poteva più considerarsi alla pari degli Stati Uniti, ma avrebbe dovuto
sfruttare la sua special relationship per esercitare una influenza su decisioni sulle quali
aveva poca voce in capitolo e su decisioni essenzialmente prese da Washington.
1
L’impatto della crisi in Gran Bretagna costrinse Anthony Eden a dimettersi ed Harold
Macmillan prese il suo posto. La nuova era per gli inglesi fu realmente uno shock: Eden
fu l’ultimo Primo Ministro a credere che la Gran Bretagna fosse una potenza imperiale
di prim’ordine e fu un trauma pure per il suo popolo che dovette accettare il fatto che il
proprio paese perdeva il suo primato imperiale.
2
Harold Macmillan interpretò l’esito
della crisi di Suez come il passaggio della torcia dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti.
1
HENRY KISSINGER, L’arte della Diplomazia, Sperling & Kupfer, Milano, 1996, pag. 424.
2
Vedi l’analisi di LORD BELOFF, ‘The Crisis and Its Consequences for the Conservative Party’, in ROGER
LOUIS e ROGER OWEN, Suez 1956: the Crisis and Its Consequences, Clarendon Press, Oxford, 1989, pag.
334.
7
“L’azione inglese”, Macmillan disse al Segretario di Stato americano Dulles il 12
dicembre 1956, “è l’ultimo rantolo di una potenza in declino.[…] Forse fra 200 anni gli
Stati Uniti capiranno come noi ci sentiamo”. Nel frattempo egli invitava
l’amministrazione americana ad “elaborare un nuovo, fantasioso piano per il Medio
Oriente”.
3
Alcuni studiosi però, come Rashid Khalidi, tendono a ridimensionare la portata
storica dell’evento, mettendo soprattutto in discussione il fatto che la crisi di Suez
costituisca un reale punto di svolta per i paesi del Medio Oriente. La crisi di Suez,
Khalidi sostiene, costituisce certamente un punto di non ritorno per i paesi direttamente
coinvolti nell’aggressione all’Egitto, per l’Egitto stesso, per le superpotenze e gli altri
attori coinvolti, ma per quel che concerne le relazioni inter-arabe e le relazioni tra questi
paesi e le superpotenze, Suez non fece altro che riaffermare e rafforzare un trend già in
atto dal dopo-guerra.
4
Si può quindi sostenere che la crisi di Suez costituisce un punto di svolta nel senso
che fece emergere tutti quei mutamenti, soprattutto nel campo delle relazioni
internazionali, che fino a quel momento non erano stati pienamente percepiti. Era chiaro
infatti che la Gran Bretagna non potesse più agire da sola come potenza dominante.
Questo era senz’altro vero fin dal 1945, ma questo fatto non era ancora divenuto
manifesto, poiché nel decennio seguente la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti
acconsentirono al fatto che la Gran Bretagna continuasse ad esercitare la propria
egemonia, appoggiandosi ai britannici per il controllo dell’area mediorientale. Dopo il
1956 l’influenza inglese nell’area ne uscì fortemente ridimensionata, anche se non
scomparve del tutto; infatti una influenza inglese permase in Iraq, Giordania e in alcune
parti della penisola arabica, ma la novità stava nel fatto che da allora la suddetta
influenza si sarebbe potuta esercitare solamente all’interno di una cornice delineata
essenzialmente dalle amministrazioni americane.
Suez segnò pure un ulteriore mutamento: per la prima volta un area del Terzo
Mondo diviene oggetto di contesa tra le due superpotenze, segnando quindi l’estendersi
della competizione est-ovest anche nel Medio Oriente, che fino a quel momento era
rimasto estraneo alle logiche della guerra fredda. Da questo momento in poi le due
grandi superpotenze si vedranno sempre più impegnate nella competizione per
accattivarsi le simpatie dei nuovi stati indipendenti. Si poteva riscontrare un mutamento
nello scenario internazionale nel senso che la competizione est-ovest si spostava
dall’Europa verso i paesi di nuova indipendenza.
Suez, inoltre, segnò l’ascesa degli Stati Uniti alla guida mondiale. Dopo aver
destituito Francia e Gran Bretagna dai loro ruoli storici in Medio Oriente, “gli Stati
Uniti si accorsero che la responsabilità del controllo su quell’area ricadeva
essenzialmente sulle loro spalle”.
5
Suez può essere letta retrospettivamente come una
tappa importante nell’ascesa degli Stati Uniti verso la leadership mondiale. Non ci
saranno più che gli Stati Uniti nell’Occidente e loro se ne rendevano ben conto.
3
Memcon da Macmillan a Dulles, Parigi, 12 Dicembre 1956, FRUS 1955-1957, 27, pag.677-678.
4
Vedi RASHID KHALIDI, op. cit., pag. 378.
5
HENRY KISSINGER, op. cit, pag. 425.