In risposta alle critiche, a distanza di un anno, nel 1923,
uscirà una seconda edizione dell’opera
4
, con l’aggiunta di
una nuova Premessa e tre Appendici.
Nella premessa alla seconda edizione, Bergson afferma di
non aver modificato in alcun modo il testo, se non per
l’aggiunta di tre appendici
5
, destinate a chiarire eventuali
fraintendimenti e a rispondere ad alcune obiezioni
sollevate subito dopo la prima pubblicazione dell’opera.
Primo tra i relativisti francesi, Jean Becquerel attacca
Bergson soprattutto per quel che riguarda il «viaggio nella
palla di cannone» e il «paradosso dei due gemelli»
6
,
cercando di dimostrare l’errato uso delle trasformazioni di
Lorentz
7
da parte del filosofo.
Becquerel, in seguito al suo primo incontro con l’autore di
Durata e simultaneità – durante il quale motiva le sue
critiche –, decide di indirizzargli una lunga lettera per
ulteriori chiarimenti.
In essa, il fisico relativista insiste sul caso del viaggiatore
descritto da Langevin, considerando altri dati, e sulla
diversità dei tempi utilizzando il gruppo di Lorentz.
4
Successive ristampe della seconda edizione verranno pubblicate nel
1926, 1927, 1929, fino ad arrivare alla sesta, ed ultima, nel 1931; ci
sarà una settima ristampa, nel 1968, postuma (Bergson muore a Parigi il
4 gennaio 1941, durante l’occupazione tedesca).
5
La prima appendice si riferisce al «viaggio nella palla di cannone»; la
seconda alla «reciprocità dell’accelerazione»; la terza al «tempo
proprio» e la «linea dell’Universo».
6
J. BECQUEREL, Critique de l’ouvrage « Durée et simultanéité», in
«Bulletin scientifique des Étudiants de Paris», 10, n. 2, 1923, pp. 18-
29. Apparirà anche nella sua introduzione all’opera di A. METZ, La
Relativité, Paris 1923, nuova edizione aumentata 1926.
7
H. A. Lorentz (1853 – 1928), nel 1905, elabora in The Theory of
Electrons (II ed., Dover, New York 1952) la forma definitiva delle
proprie trasformazioni (o equazioni) che, oltre a coinvolgere le
coordinate spaziali, prevedono una trasformazione anche per il tempo.
Egli, tuttavia, non attribuirà alcun significato fisico a tale tempo
modificato che prenderà il nome di «tempo locale».
7
Come è noto, il paradosso dei due gemelli, presentato nel
1911 da Paul Langevin, suppone che un osservatore, posto
su «una palla di cannone», viaggi ad una velocità prossima
a quella della luce. Si immagina, inoltre, che il viaggiatore
parta dalla terra e si allontani per un anno, dopodiché
inizi, sempre alla stessa velocità (e senza perdere
nemmeno un istante per invertire la direzione di marcia), il
viaggio di ritorno sulla terra.
Al suo arrivo – secondo Langevin – il viaggiatore troverà
suo fratello gemello – rimasto immobile sulla terra –
invecchiato di duecento anni; questo perché – in accordo
con la teoria della Relatività –l’intervallo di tempo di un
individuo in viaggio è diverso da quello di una persona
immobile.
Nel caso descritto da Becquerel, il viaggio è eseguito ad
una velocità più ridotta (dura quattro ore rispetto al
viaggiatore) e, tuttavia, questi trova al suo ritorno gli
orologi della terra che segnano otto ore.
Bergson replica in una delle tre appendici
8
, ribadendo
ancora una volta quello che egli stesso definisce il punto
essenziale: le equazioni di Lorentz esprimono
semplicemente misure fittizie, attribuite, ma non realmente
esperibili, da un fisico in carne ed ossa.
Lo stesso concetto si presenta in Appendice III; in essa
l’autore – riprendendo alcuni passi tratti da Le principe de
relativité et la thèorie de la gravitation di J. Becquerel –
si sofferma sulla questione dell’accelerazione,
affermandone la sua reciprocità.
8
Nella prima appendice, Bergson ripercorre i punti salienti della lettera
di Jean Becquerel, evidenziando quelli che, a suo avviso, sono gli errori
commessi nell’interpretare la teoria della Relatività.
8
Secondo il senso comune, il movimento accelerato si
traduce – all’interno di un sistema –, in variazioni di
velocità che, di fatto, non si registrano in un sistema
immobile.
Ad esempio, un fisico – posizionato all’interno di un treno
che si muove rispetto alla banchina con una velocità non
costante –, avvertirà delle scosse ogni qualvolta la velocità
aumenta o diminuisce bruscamente, cosa che non avviene
ad un fisico posizionato sulla banchina.
L’accelerazione, dunque, sembrerebbe manifestarsi
attraverso alcuni fenomeni che riguarderebbero solo uno
dei due sistemi, negando l’ipotesi bergsoniana di una
reciprocità dell’accelerazione. Tuttavia – secondo Bergson
– questo è il risultato di una grande confusione:
«Si continua a vedere un sistema unico in ciò che si è
rivelato assemblaggio di sistemi, molteplicità di sistemi
differenti»
9
.
Se il sistema S΄ è in movimento rettilineo variato in
rapporto a S (considerato immobile ), allora – in accordo
con il fatto che il movimento è variazione della distanza –
S avrà un movimento rettilineo variato della stessa
velocità allo stesso momento, in rapporto a S΄, quando
questi, a sua volta, sarà considerato immobile.
La teoria della Relatività, tuttavia, mettendo sullo stesso
piano la «visione reale» e la «visione virtuale», non coglie
la reciprocità dell’accelerazione, che inevitabilmente
diventa dissimmetrica; anche in questo caso – sottolinea il
filosofo francese – l’errore risiede nel porre sullo stesso
piano le misurazioni reali di un sistema e «quelle che, di
9
H. BERGSON, Durata e simultaneità,cit., p. 155.
9
questo sistema, appaiono come effettivamente prese in un
altro»
10
.
Prerogativa essenziale della reciprocità dell’accelerazione
è, dunque, la distinzione delle due misure.
Di qui Bergson inizia a definire il ruolo essenziale del
filosofo, che è quello di distinguere il reale dal simbolico:
«(…) determinare ciò che è tempo vissuto, o capace
d’essere vissuto, e ciò che è tempo rappresentato al
pensiero, tempo che svanirebbe nell’istante stesso in cui
un osservatore in carne ed ossa si trasportasse in quei
luoghi per misurarlo veramente»
11
.
Le uniche misurazioni reali sono quelle che si riferiscono
al proprio sistema di riferimento, che per definizione si
assume essere in riposo; le misure fittizie o immaginarie,
al contrario, sono quelle che noi stessi attribuiamo ad altri
fisici, in movimento rispetto a noi, ma che non vengono
eseguite in maniera diretta.
In questo modo, risulta chiarito, per il filosofo della
durata, anche il senso del ritardo (o dilatazione) del tempo
dovuto alle variazioni di velocità; i tempi multipli e
rallentati sono tempi fittizi, inverificabili: uno solo è
quello reale, concretamente vissuto.
Il tempo concretamente vissuto, o che comunque potrebbe
esserlo, è l’unico misurabile e resta un tempo a ritmo
costante.
Oltre alla lettera di Becquerel, nel 1924, Bergson risponde
in una lettera-articolo, Les temps fictis et le temps réel,
inviata alla Revue de philosophie, anche agli attacchi di
10
H. BERGSON, Durata e simultaneità,cit., p. 161.
11
Ivi, pp. 161-162.
10
André Metz (allievo di Becquerel), formulati in un
articolo, Le temps d’Einstein et la philosophie. À propos
de la nouvelle édition de l’ouvrage de H. Bergson «Durée
et simultanéité», pubblicato anch’esso in «Revue de
Philosophie».
Le obiezioni sollevate da Metz si riferiscono alle
argomentazioni presentate da Bergson nelle prime pagine
del capitolo quarto di Durata e simultaneità, nel quale
l’autore riflette su una delle conseguenze della teoria della
Relatività, la quale implica, in primis, che la misura della
lunghezza di un segmento, riferita ad un sistema in
movimento, sia minore rispetto a quando è riferita a un
sistema a riposo, e inoltre, che le misure di tempo di un
qualsiasi fenomeno siano minori se riferite ad un sistema
in movimento, che se riferite ad un sistema in riposo.
E’ proprio partendo da quest’ultimo punto, relativo alla
“presunta” dilatazione del tempo, che Bergson elabora due
diverse ipotesi.
Nella prima ipotesi, la diversità di una misura riportata da
due osservatori è un effetto di prospettiva dovuta al
movimento, analogo agli effetti di prospettiva dovuti alla
distanza; nella seconda, invece, afferma che tra le misure
possibili e di valore diverso, descritte dalla teoria della
Relatività, una sola è quella reale, in quanto riferita ad un
sistema in riposo rispetto all’oggetto misurato.
Bergson, dunque, da un lato sembrerebbe affermare
l’assoluta equivalenza tra i due sistemi di riferimento;
dall’altro la veridicità di uno soltanto.
Dal punto di vista di Metz, la teoria della Relatività non
tiene conto in alcun modo della distinzione tra un
11
osservatore reale – che esegue le misure nel suo sistema –
e un osservatore immaginario, al quale vengono attribuite
le misure che l’osservatore reale ha trasformato per lui
adottando le equazioni di Lorentz.
Tale distinzione – continua Metz – sarebbe frutto di una
errata interpretazione della teoria della Relatività da parte
di Bergson, il quale tradirebbe quanto espresso dal fisico
tedesco.
Metz, nella prima obiezione, fa notare come alla base
dell’errore bergsoniano vi sia la credenza in una
reciprocità tra i due sistemi di riferimento, laddove, al
contrario, tutto ciò che è possibile osservare è una
dissimmetria irriducibile, dovuta al passaggio da un
sistema all’altro di uno solo dei due osservatori (l’altro
rimane immobile in un sistema unico).
Bergson, tuttavia, riprendendo quanto detto in Appendice
II, ribadisce la necessità di collocare l’osservatore reale da
qualche parte, cosa che continua a sfuggire a Metz.
A sua volta, Metz cerca di mostrare la verificabilità di un
rallentamento del tempo attraverso le esperienze fatte
all’interno stesso del sistema movente (sistema in moto
uniforme), al quale vengono applicate le formule di
Lorentz; in particolare riprende l’esperienza di Fizeau,
quelle di Bücherer, ed infine l’esperienza di Michelson e
Morley.
Anche in questo caso, Bergson non muta la propria
posizione, come dimostra la Lettera al Direttore della
Revue de Philosophie del 1924.
In essa, rivolgendosi al direttore della Revue de
Philosophie, Bergson afferma:
12
«André Metz ritiene che gli strumenti registratori bastino,
senza che si abbia bisogno di un osservatore per vedere
quello che essi segnano: è tutto ciò che ho trovato di
nuovo nella sua nota. (…) Per parlare, come fa,
dell’osservatore reale e dell’osservatore rappresentato, per
non vedere che c’è una distinzione, che si impone nella
teoria di Einstein e in questa teoria solamente, bisogna
che non supponga anche la natura della difficoltà. Il senso
delle mie riflessioni, come d’altronde quello del mio libro,
gli è totalmente sfuggito. Non ci posso fare niente»
12
.
Chiaro è il senso delle sue parole, come il forte
risentimento per non essere stato compreso né da Metz, né
dall’autore di un altro saggio edito nel 1923, Bergson ou
Einstein?, di A. d’Abro.
D’Abro confronta le tesi bergsoniane con la teoria della
Relatività di Einstein, assumendo una posizione
particolarmente ostile al filosofo francese, accusato di
aver mal interpretato le tesi relativiste.
Il punto di vista di d’Abro, come Mathieu fa notare
13
, non
è del tutto attendibile: spesso stravolge completamente il
discorso bergsoniano, rendendo impossibile il
discernimento tra gli errori commessi da Bergson e quelli
falsamente attribuitigli.
Diverse e numerose sono le polemiche intorno al lavoro di
Bergson, ma nessuna di essa riuscirà a far presa sul
filosofo, il quale lascerà immutata la sua opera sino
all’ultima ristampa del 1931.
12
H. BERGSON, Durata e simultaneità, cit., p. 195.
13
Vedi V. MATHIEU, Bergson. Il profondo e la sua espressione, Napoli,
Guida, 1971.
13
In Nota I alla Introduzione (parte seconda) al volume Il
pensiero e il movente
14
(1934), Bergson riassume i punti
principali della sua disamina della teoria della Relatività,
ribadendone l’importanza da un punto di vista filosofico
piuttosto che scientifico.
Tale nota attesta come il filosofo non abbia in realtà –
contrariamente a quanto da alcuni sostenuto –rinnegato
Durata e simultaneità: in essa si nota soltanto il
rammarico dell’autore per il modo in cui viene presentata
la teoria della Relatività, che, a suo avviso, allontanerebbe
nuovamente filosofia e scienza.
Quanto detto non spiega perché Bergson decida, ad un
certo punto della sua vita, di non ristampare più l’opera,
né perché non la menzioni tra gli scritti ceduti alla casa
editrice Presses Universitaires De France nel 1940.
Coloro i quali decidono di non inserire Durata e
simultaneità nella raccolta delle Opere di Bergson del
1959, motivano la scelta basandosi su una tradizione orale
raccolta da Le Roy, discepolo di Bergson, secondo la quale
il filosofo stesso avrebbe espresso l’intenzione di non
pubblicare più l’opera, poiché le sue conoscenze
matematiche non gli consentivano di analizzare a fondo la
teoria della Relatività generale (sebbene tuttora si è
concordi nel riconoscere la valida preparazione scientifica
dell’autore).
Altra motivazione addotta è il testamento stilato da
Bergson nel 1937, in cui interdice la pubblicazione di
qualsiasi scritto, commento o appunto inedito, pur senza
14
H. BERGSON, Il pensiero e il movente. Saggi e conferenze, Firenze,
Olschki, 2001.
14
espressamente vietare la ristampa di opere già edite
(quindi, implicitamente, non rinnega Durata e
simultaneità).
Come nota Henri Gouhier in Introduction a Henri Bergson,
Mélanges:
«Preferire, in certe circostanze, non ripubblicare un libro è
una cosa; vietare la sua ristampa è un’altra: niente ci
permette di pensare che Bergson abbia anche considerato
la seconda».
Proprio Gouhier introduce Durata e simultaneità nella
raccolta Mélanges del 1972, rivalutandone la portata
filosofica; infatti Durata e simultaneità rimane un testo di
grande interesse filosofico e fondamentale per la
comprensione del Tempo nel suo rapporto con lo spazio.
15