V
offre le sue prestazioni di cura e che nel contempo è portatrice di bisogni non sempre
espressi o considerati e infine il punto di vista della famiglia che si “arrabatta”
(espressione poco letteraria ma che sicuramente rende l’idea della fatica e degli
equilibrismi che si fanno) per organizzare in proprio un sistema di assistenza a
domicilio costituito da tante tessere, in cui la parte principale del mosaico è costituita
sicuramente dalla badante.
Nel lavoro di cura privato a domicilio avviene l’incontro tra tre fragilità: in primis quella
dell’anziano non più autosufficiente, quindi quella delle donne immigrate, caratterizzata
da situazioni economiche difficili, provenienti da in Paesi la cui economia è al collasso.
Infine c’è la fragilità della famiglia, non più in grado di farsi carico da sola della cura dei
propri soggetti deboli. E sullo sfondo di ciò aggiungerei una quarta fragilità, quella del
sistema di welfare che non è in grado di dare risposte adeguate ai bisogni sopra
espressi.
Quella delle badanti straniere è una presenza così vicina e nello stesso tempo lontana
perché di queste donne e delle loro storie sappiamo poco, e il loro lavoro, totalizzante e
faticoso e così caricato di significati, a volte viene poco compreso e riconosciuto dalle
famiglie stesse, dagli operatori e, più in alto dai decisori politici. Solo da qualche anno,
infatti, si contano nuove politiche, a livello regionale o locale, per qualificare e formare
le badanti, affiancati dal sistema dei titoli sociali (buoni o voucher), interventi di
sostegno economico alle famiglie che se ne avvalgono o ancora tentativi di regolazione
del sistema, ma si tratta di situazioni ancora isolate, anche se interessanti, e non
collegate tra loro.
Questa tesi tenta di analizzare, nel quadro delle trasformazioni strutturali della nostra
società, il ruolo fondamentale che svolgono queste donne nell'ambiente di vita
VI
quotidiano di un sempre maggior numero di soggetti. Non c'è dubbio, infatti, che la
presenza femminile straniera venga largamente utilizzata per coprire una crescente
domanda di servizi alla persona che il nostro sistema di welfare non è riuscito a
organizzare e alla quale la famiglia non riesce più da sola a dare una risposta
adeguata. Il primo intento della tesi è dunque quello di tracciare i contorni del
fenomeno delle badanti, rispetto a come si configura in Italia – innanzitutto andando
ad indagare i motivi di questa presenza.
Nel primo capitolo si analizzano i primi due fattori che favoriscono il ricorso da parte
delle famiglie italiane alle assistenti domiciliari: l’invecchiamento della popolazione, e di
conseguenza l’aumento di persone anziane non autosufficienti, da un lato e il
mutamento della struttura della famiglia, la cui rete di sostegno si fa sempre più sottile,
il cui assetto cambia fortemente con l’inserimento della donna nel mercato del lavoro
dall’altro. Questi fattori hanno inciso sulla crescita della domanda di cura e sulla
difficoltà per molti nuclei familiari di continuare a provvedere autonomamente alla
responsabilità di assistenza dei soggetti più deboli. Le donne italiane, che in seno alla
famiglia si sono tradizionalmente prese cura di bambini, anziani e invalidi, oggi, vista la
crescente partecipazione al mondo del lavoro, fanno sempre più fatica ad armonizzare i
tempi della "doppia presenza". Sempre in questa prima parte si vedrà che il lavoro di
cura è considerato una sorta di “vocazione al femminile”, in grado di diffondersi senza
apprendimento e di conseguenza delegabile dal caregiver ad altre donne, anche al di
fuori della famiglia, senza per questo richiederne la necessaria qualificazione.
Un altro motivo che spinge la famiglia italiana ad avvalersi dell’assistente familiare è da
ritrovarsi nelle risposte istituzionali al bisogno di cura, descritte nel secondo capitolo,
VII
che appaiono insufficienti e non adeguate ai bisogni complessi dei soggetti non
autosufficienti.
Si tratta di un welfare di tipo familista e residuale, che lascia alla famiglia molte
responsabilità e tende a rispondere solo alle situazioni di maggiore fragilità, che
afferma la libertà di scelta dell’utente e affida al sistema dei mercati sociali
l’affermazione dei fornitori pubblici e privati di assistenza. E ancora di un welfare
caratterizzato da particolarismi regionali o locali, che verranno descritti brevemente
sempre in questo capitolo, che si chiude con una breve rassegna sui sistemi di
assistenza a favore degli anziani di alcune nazioni europee.
Forse uno sguardo più ad ampio respiro può dare l’esempio di buone prassi, che vanno
tuttavia contestualizzate nella realtà italiana.
Nel terzo capitolo si individua un altro motivo della presenza delle badanti, legato
all’immigrazione femminile in Italia, che va ad incrementare il volume di offerta di
lavoratrici straniere nel mercato del lavoro di cura. In questa parte si delinea
brevemente un quadro generale dell’immigrazione in Italia, in particolare quella
femminile, per poi soffermarsi sulla figura della badante/assistente familiare: attraverso
elementi e riflessioni emersi da alcune ricerche si delineano i contorni del fenomeno,
passando attraverso dati sulla presenza, la provenienza, e le caratteristiche del lavoro
che svolgono. Il capitolo si conclude con la presentazione di alcuni profili sociologici
delle badanti, ripresi dall’analisi di Ambrosini
2
.
Nel quarto e ultimo capitolo si prova a rispondere all’interrogativo di partenza, ovvero
a come sia possibile qualificare e regolare il mercato privato della cura: in apertura si
considerano gli effetti che la presenza delle badanti ha avuto sul welfare e sui servizi
2
Ambrosini M., Cominelli C. ( a cura di) Un’assistenza senza confini” Fondazione ISMU-
Rapporto 2004
VIII
sociali, per poi considerare con attenzione alcune esperienze significative che hanno
trattato l’argomento a livello regionale o locale. Si tratta di Regioni come l’Emilia
Romagna, il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, che hanno messo in campo interventi per
la formazione delle badanti o per il sostegno economico alle famiglie. I progetti
esaminati sono invece “Madreperla”, primo intervento significativo sulle assistenti
familiari, realizzato nel modenese, e Network, più recente, che riguarda i Comuni del
vimercatese e tenta di creare una rete per sostenere domanda e offerta di lavoro di
cura.
Nel paragrafo che segue viene riportata l’analisi di una ricerca sul campo, in cui sono
stati analizzati e comparati 12 corsi di qualificazione rivolti ad assistenti familiari e
realizzati in realtà locali nel territorio lombardo (solo un corso è stato realizzato a
Parma).
Senza pretese di massima rappresentatività, i risultati forniscono spunti interessanti per
una riflessione più ampia in merito alla necessità di formazione per le badanti ed alle
modalità più opportune per realizzarla.
Nelle conclusioni, infine, partendo dalle esperienze realizzate, ho ipotizzato dei percorsi
possibili per sostenere la domanda di cura e collegare le assistenti familiari nel sistema
dei servizi sociali: come si vedrà si tratta di azioni rivolte contemporaneamente su più
fronti, all’anziano e alla sua famiglia, con il bisogno di assistenza, di essere sostenuti e
orientati nelle scelte, all’assistente familiare, che necessita di riconoscimento, tutele,
formazione.
La convinzione di fondo è che lo Stato, attraverso gli Enti locali e i servizi territoriali,
debba iniziare a considerare la funzione sociale delle assistenti familiari, cercando di
renderla visibile e di sostenerla con azioni di politiche integrate tra loro (attinenti la
IX
sfera sociale, delle migrazioni, della formazione professionale) e tenute insieme da una
sapiente regia. Obiettivo ambizioso, ma che se perseguito non può che portare
vantaggi all’intera collettività.
1
Capitolo 1
BISOGNI DEI SOGGETTI FRAGILI E LAVORO DI CURA
I Paesi europei sono caratterizzati sul piano demografico, per la maggior parte,
da due fenomeni correlati nelle loro dinamiche evolutive, che hanno assunto
natura strutturale e, quindi, destinati a esercitare nei prossimi decenni un
impatto sostanziale: l’invecchiamento della popolazione e l’aumento della
pressione migratoria.
Nel presente capitolo si tratterà il primo dei due aspetti: l’invecchiamento della
popolazione, e si vedranno anche altri cambiamenti di ordine demografico e
sociologico che portano al consolidarsi di nuove tipologie familiari. Il ritratto della
famiglia che si delinea oggi pone sfide di non poco conto al sistema odierno di
stato sociale, al fine di fronteggiare in modo adeguato i bisogni di cura degli
individui, soprattutto anziani, non autosufficienti.
1.1 Mutamenti della popolazione
Negli ultimi decenni l’aumento della popolazione anziana che si è verificato un po’
in tutto il mondo occidentale ha richiesto all’opinione pubblica in generale, e agli
studiosi in particolare, di stabilire un nuovo approccio nei confronti del tema della
vecchiaia, non più da intendersi solo in senso negativo, cioè come periodo di
decadenza dell’organismo umano, ma anche come fase della vita in cui si
esprimono potenzialità individuali che nel periodo precedente il pensionamento non
erano potute emergere per mancanza di tempi e spazi adeguati.
2
Sebbene dunque le definizioni anagrafiche stabiliscano che anziani sono gli
individui che hanno superato la soglia dei 65 anni d’età, le condizioni fisiche,
psicologiche, sociali dei soggetti che appartengono a tale categoria sono molto
diversificate, inducendo chi si accinge a studiare questa fase della vita a
considerare il tempo non solo in termini biologici ma anche sociali.
La struttura della popolazione negli ultimi decenni è caratterizzata da una
consistente contrazione dei tassi di fecondità e da un aumento della speranza
media di vita dovuto, a sua volta, al miglioramento di condizioni alimentari,
culturali, abitative e ai progressi in campo medico.
Di conseguenza l’intreccio di denatalità e aumento della speranza di vita ha causato
un aumento della popolazione anziana e, in particolare, di quella molto anziana,
soggetta a patologie spesso invalidanti che necessitano di cure sanitarie e
assistenziali continuative.
La vecchiaia, tipico fenomeno sociale dell’Occidente, è risultata essere di particolare
interesse per gli studiosi in quanto nell’ultimo periodo il numero di individui che
appartengono alla fascia della cosiddetta “terza e quarta età” è aumentato a ritmi
sostenuti. Questo trend viene chiamato dai demografi “transizione demografica”,
ovvero un cambiamento ormai consolidato nella struttura e nella dinamica della
popolazione.
Ne deriva da un lato un mutamento del rapporto tra popolazione attiva e passiva e
dall’altro crescenti richieste di servizi dal punto di vista del care (sanitario e
sociale).
3
Vediamo di seguito alcuni dati
3
.
L’Italia si posiziona, nella classifica dell’invecchiamento, ai primi posti assoluti non
solo in Europa, ma anche nel mondo: se il Giappone, infatti, è ad oggi il paese con
la popolazione anziana relativamente più numerosa, con un’età media pari a 41
anni, la nostra nazione (insieme a Germania, Svizzera e Svezia), lo segue con
un’età mediana di 40 anni. Secondo le proiezioni demografiche dell’ONU, nel 2050
sarà la Spagna il Paese più vecchio del mondo, con una mediana dell’età a 55 anni,
ma l’Italia sarà nuovamente nei primissimi posti con un’età mediana di 54.
Nell’Unione europea la fecondità è passata, negli ultimi 40 anni, da 2,4 a 1,4 figli per
donna con differenze rilevanti tra i vari Paesi: l’Italia ad esempio si trova al
penultimo posto con 1,21 figli per donna dopo la Spagna, con 1,19 figli per donna,
mentre altri Paesi dell’Europa del nord e continentale, come l’Irlanda con 1,92 figli
per donna, la Francia con 1,77, la Danimarca e la Finlandia con 1,74, si trovano ai
posti più alti. Le divergenze nei dati tra Paesi del bacino mediterraneo e Paesi del
nord sono imputabili al diverso ciclo di vita familiare, poiché nei primi solitamente i
figli nascono all’interno del matrimonio, ma in numero minore a causa delle difficoltà
crescenti nella gestione familiare e nei compiti di cura, mentre nei secondi si fanno
più figli anche se in età un po’ più avanzata e più frequentemente al di fuori del
matrimonio. In Italia il tasso di fecondità, che aveva raggiunto il valore di 2,6-2,7
figli per donna durante il baby boom degli anni ’60, è sceso in modo sostenuto fino
al 1994 arrivando al valore di 1,3, e da allora negli ultimi anni ‘90 ha mantenuto un
valore pressoché costante (1,2 circa) con delle differenze tra Regioni, in quanto al
3
I dati riportati di seguito sono tratti da “Anziani e rete dei servizi”vol 1 Il mutamento
demografico, le politiche, la legislazione, aprile 2003, a cura di C. Facchini, Pubblicazione
dell’esito della ricerca promossa da Provincia di Milano, realizzata da Università degli studi di
Milano Bicocca.
4
nord i valori sono più bassi e il modello del figlio unico è più diffuso rispetto alle
Regioni del sud.
Il calo dei tassi di fertilità, come si è accennato, non è quindi un fenomeno degli
ultimi tempi, ma anzi, una tendenza generalizzata dei paesi industrializzati che trova
molte delle sue cause originarie in fattori di ordine sociale, economico e
demografico. Fra i fattori che favoriscono il calo della fertilità ve ne sono alcuni che
si possono far derivare dall’accresciuto interesse della donna verso la partecipazione
del mercato del lavoro, ovvero il ruolo acquisito dalla donna nella società l’ha spinta
più decisamente verso la ricerca dell’indipendenza, anche verso un più elevato
protagonismo culturale ed economico. Accanto si individuano anche motivazioni
legate alla necessità di accrescere le fonti di reddito familiare, soprattutto in un
contesto recente in cui il posto di lavoro diviene sempre più precario. Da qui la
necessità di aumentare i livelli medi di istruzione e formazione, e quindi il tempo e le
energie da dedicare a questo scopo.
Dati più recenti, ricavati da anticipazioni del “Bilancio Demografico Nazionale” 2005
dell’ISTAT
4
, dimostrano che se da un lato ‘Italia è sempre più vecchia (un italiano su
cinque è ultrasessantacinquenne), la natalità è in aumento (la media di bambini per
donna è di 1,34, nel 2004 era di 1,33). Sempre in questo documento si sottolinea
nuovamente come il dato più significativo sia il numero degli anziani. “l’Italia è uno
dei Paesi a più elevato invecchiamento al mondo” e questo complica la prospettiva
di chi deve affrontare nodi economici, di pensioni, di sanità e di assistenza.
Nel 2005 il numero medio di figli per donna è appunto salito a 1,34 e costituisce il
livello più alto registrato nel Paese negli ultimi 15 anni. Si ipotizza inoltre che tale
4
Dati contenuti in un articolo on line tratto dal sito “Previsioni demografiche nazionali
1.1.2005/1.1.2050” www.demo.istat.it
5
tasso aumenterà a 1,6 figli per donna nel 2050, nel quadro di un assunto processo
di convergenza della fecondità nazionale a quella media dei paesi UE.
Ma l’aumento della natalità non basta per ringiovanire l’Italia: nel 2005 la
percentuale di individui con più di 65 anni ha raggiunto il 19,5%, mentre i minorenni
sono scesi al 17,1%. Continuando di questo passo, secondo le stime ISTAT, nel
2050 gli anziani potrebbero arrivare a costituire il 34% della popolazione e i minori
scendere al 15,4%.
Altro indicatore chiave è rappresentato dalla cosiddetta “speranza di vita”, che
tornerebbe ad assestarsi per il 2005 su livelli costanti, dopo il brusco calo del 2003
5
.
In particolare la vita media degli uomini cresce da 77,4 nel 2005 a 83, 6 nel 2050 e
quella delle donne da 83,3 a 88,8.
Le trasformazioni di cui si è parlato finora hanno mutato profondamente la struttura
demografica del nostro Paese e dell’Europa, che arriverà ad assumere in futuro una
forma a piramide rovesciata, ribaltando quella che è stata per secoli la tipica
struttura a piramide, in quanto il rapporto tra numero di giovani e anziani nella
popolazione è cambiato rispetto al passato.
Un indice rilevante per capire il livello di invecchiamento di una società è l’indice di
dipendenza strutturale degli anziani, ovvero il rapporto percentuale tra la
popolazione anziana (dai 65 anni in su) e quella attiva ovvero dai 15 ai 64 anni. In
Italia tale valore è cresciuto dal 26,9 dell’anno 2000 al 28,2 nel 2003, al 28,9 del
2004 e al 29,4 del 2005
6
. Le proiezioni al 2050 fanno emergere, da un lato
5
Legato all’eccesso di mortalità tra gli anziani addebitabile ad un inverno rigido e alla
successiva eccezionale torrida estate, e l’impennata del 2004, spiegabile con l’effetto –
selezione dei soggetti più deboli
6
Fonte; ISTAT- indicatori della struttura della popolazione anno 2005, dati inseriti in tabelle
ricavate dal sito.
6
l’ulteriore rallentamento della crescita della popolazione complessiva e la sua
contrazione in molti paesi; dall’altro l’ampliamento della sua differenza di
accrescimento rispetto alla popolazione anziana, che tende a posizionarsi in
prossimità dell’1,5% medio annuo. In tal senso si prospettano aumenti importanti
dell’indice di dipendenza degli anziani.
1.2 Nuovi modelli familiari
Accanto al quadro demografico sopra descritto, occorre porre attenzione anche ai
mutamenti, ad esso interconnessi, riguardanti la struttura della famiglia
contemporanea, che ha subito nel tempo modificazioni importanti e che continua
a costituire, almeno nel modello di welfare italiano, il soggetto principale a cui viene
affidato l’onere della cura dei soggetti deboli in essa presenti.
Si tratta di vedere, in primo luogo, come le trasformazioni in atto nel sistema
demografico cambiano la struttura familiare e la capacità della famiglia di prestare le
attività di cura tradizionalmente affidate alla sua responsabilità.
Si considerino innanzitutto le modifiche intervenute nella composizione numerica
della popolazione in conseguenza delle tendenze demografiche iniziate intorno alla
fine degli anni '60 di questo secolo e già descritte in precedenza: l'invecchiamento
della popolazione e il calo della fecondità. Per quanto riguarda la fecondità, come si
è detto sopra, l'Italia è uno dei paesi con i tassi di fecondità più bassi al mondo.
La riduzione delle nascite è riconducibile a una molteplicità di fattori, ma tra le
diverse spiegazioni, quella più comunemente adottata dagli analisti fa riferimento
innanzitutto al rapido sviluppo economico italiano degli anni successivi al
dopoguerra; sviluppo che è stato accompagnato a cambiamenti nei modelli di
7
consumo e di vita, a trasformazioni comportamentali che incidono sulla formazione
delle nuove famiglie e sulle stesse tipologie familiari.
Assistiamo a una diversa strutturazione temporale dei corsi di vita individuali e di
coppia: i giovani adulti tendono a prolungare la loro permanenza in famiglia e a
posticipare l'età del matrimonio provocando necessariamente lo slittamento di altre
fasi del ciclo di vita familiare, come la scelta di sposarsi e di conseguenza di avere
un figlio.
La riproduzione, anche per la diffusione di nuove tecniche contraccettive, non è più
un fatto casuale, ma ragionato e spesso programmato. Nel caso delle giovani coppie
la scelta di diventare genitori viene rimandata a qualche anno dopo le nozze e
l'innalzamento dell'età alla nascita del primo figlio fa diminuire anche la probabilità
di averne un secondo o un terzo. Si diffonde quindi un modello familiare centrato su
un basso numero di figli, spesso figli unici, e per una parte importante dei nuovi
nuclei la mancanza di prole diventa una scelta definitiva.
Gli effetti di un modello riproduttivo di questo tipo, oltre ad avere conseguenze
dirette sul tasso di crescita naturale della popolazione, attualmente insufficiente per
mantenere l'equilibrio demografico, si riflette sulla famiglia, riducendone le
dimensioni. Parallelamente la durata media della vita si è allungata fino a valori
impensabili, comportando un aumento della popolazione anziana. La famiglia
diventa sempre più stretta e lunga: si assiste a una rarefazione dei bambini, ci sono
meno fratelli, sorelle, cugini e coetanei. Vi sono al contrario più adulti e
particolarmente più generazioni (genitori, nonni, bisnonni) contemporaneamente in
vita.
8
Essere genitori, così come essere figli è una condizione che tende a durare per un
arco della vita molto lungo, senza quella alternanza tra i due ruoli che in epoche
passate era piuttosto la norma che l'eccezione. Si designano così, in modo più o
meno conflittuale, nuovi modelli di relazioni familiari: la famiglia per lunghi archi di
tempo diviene una comunità di adulti di varia età cui sono riconosciuti ampi gradi di
autonomia, pur entro rapporti di dipendenza e responsabilità di vario genere.
Nello stesso periodo si sono verificati mutamenti relativi alle tipologie familiari, ad
aspetti qualitativi, come l'affermarsi di nuovi comportamenti, di nuovi stili di vita,
ognuno dei quali ha inciso in modo evidente sulla crescita della domanda di cura da
parte di un sempre più elevato numero di soggetti e sull'impossibilità da parte delle
nuove generazioni di occuparsene.
Se la famiglia per la maggioranza degli italiani resta la coppia coniugata con figli, si
affiancano nuovi modi di intenderla: le giovani coppie cominciano a contemplare
l’unione di fatto non solo come periodo di prova dell’unione, ma anche e sempre più
come forma alternativa al matrimonio. L’insieme di queste nuove famiglie assume
un peso via via più rilevante. Nel 2003 i single e i genitori soli non vedovi, le coppie
di fatto di celibi e nubili e le coppie in cui almeno uno dei partner proviene da
precedente esperienza coniugale, arrivano a rappresentare oltre 5 milioni di
famiglie, a conferma della varietà sempre più accentuata dei modelli familiari
7
.
Accanto a ciò occorre segnalare che il processo di nuclearizzazione delle strutture
familiari, ossia la frammentazione delle famiglie estese e la costituzione di nuclei
autonomi, vede il crescente affermarsi di altra forma familiare: quella unipersonale.
7
Rapporto ISTAT anno 2004 “Indagine Multiscopo sulle famiglie”, cap. 4 Le trasformazioni
familiari.