Cap. II Cenni storici comparativi
infine, per designare la morte procurata ad un ammalato
al fine di liberarlo da insopportabili tormenti. Sebbene
oggi possa senz’altro riconoscersi che sia appunto nei
confronti di quest’ultima situazione che la parola
eutanasia trovi il suo più largo se non esclusivo impiego,
è opportuno dire subito che, ai fini di una trattazione
destinata ad esaminare gli aspetti giuridici della
problematica sottesa al tema dell’eutanasia, non si può
limitare l’analisi ad un solo tipo di situazione o di
comportamento, escludendone preliminarmente gli altri,
fermo restando che, trattandosi di una nozione di
carattere prammatico, relativa ad un problema così aperto
e dibattuto, ogni tentativo di rigorosa tipicizzazione
finisce sempre per rivelarsi più o meno arbitrario. Da qui
l’opportunità di esaminare, sotto il profilo della rilevanza
giuridica, le diverse situazioni ed i vari tipi di
comportamento che, nel corso della storia, hanno finito
per essere contrassegnati col nome di eutanasia. Partendo
dal termine eutanasia nel suo significato più ristretto, si
Tesi di Laurea in Diritto Penale Relatore: Prof. Saverio Fortuna 23
Il problema dell’eutanasia nei suoi riflessi penalistici
può dunque tentare di farne una sorta di “storia”
attraverso i secoli, premettendo che una ricognizione
storica significativa dovrebbe allargarsi soprattutto
all’evoluzione dell’idea della morte e del dolore,
soprattutto sul piano esistenziale, sia in rapporto
all’esistenza che la persona ha vissuto, sia in rapporto
alle aspettative di una vita ultraterrena. Nel mondo greco,
ad esempio, erano presenti diverse concezioni della vita
ultraterrena, ma l’espressione “buona morte” veniva
utilizzata prevalentemente in riferimento alle modalità
con cui si concludeva l’esperienza di una vita: per un
guerriero la buona morte era l’eroica morte in battaglia.
In tale contesto la morte era universalmente considerata
un evento naturale, di cui erano fissate ineluttabilmente
l’ora e le circostanze senza poterle mutare, per questo
“morire con dignità” voleva dire rassegnarsi a ciò che la
natura aveva stabilito per ciascun essere mortale.
Tesi di Laurea Candidato: Cinzia De Santis 24
Cap. II Cenni storici comparativi
2.2. L’eutanasia: nel mondo antico
Nel mondo antico era già presente quella che potremmo
definire eutanasia sociale, nel senso che la società
sopprimeva o abbandonava alla propria sorte persone che
potessero risultare un peso per essa. Tale pratica è attestata a
Sparta, nel mondo romano
15
, ma anche in culture più
arcaiche, ad esempio tra le popolazioni cannibali dell’isola
di Sumatra, e si può agevolmente supporre che i popoli
primitivi esponessero alla stessa sorte tutti coloro che, in
condizioni di vita durissime, non apparivano in grado di
resistere nella lotta per la sopravvivenza. In tale contesto si
colloca la pratica dell’esposizione dei nati
16
, istituto in uso
presso vari popoli antichi, particolarmente presso le
popolazioni greche e le popolazioni romane. Esso discende
15
Da un passo di CICERONE, De legibus, 3,8,19, si desume che probabilmente
anche in Roma i fanciulli con certe deformità venivano uccisi, seguendo l’esempio
di Sparta. Secondo Dionisio (cfr. FLACHI, Diritto penale romano. I singoli reati,
Cedam, Padova 1932, p.157), Romolo avrebbe consentito di uccidere gli infanti
mutilati o mostruosi, o di esporli, dopo che gli stessi erano stati mostrati a cinque
vicini che ne dovevano costatare la mostruosità.
16
E. VOLTERRA, Esposizione dei nati, Diritto greco e romano, in Noss. dig. It,
vol. VI, Torino, 1960, p. 878.
Tesi di Laurea in Diritto Penale Relatore: Prof. Saverio Fortuna 25
Il problema dell’eutanasia nei suoi riflessi penalistici
dal potere assoluto dei capi dei gruppi familiari e dalla loro
facoltà di accogliere o meno in questi gruppi nuovi membri
e, secondo Plutarco una legge di Licurgo avrebbe disposto
l’esposizione obbligatoria dei neonati deformi
17
. Con
riferimento al mondo greco, sappiamo che veniva praticata
la cd. eugenia ovvero la soppressione di persone portatrici
di handicap, al fine di purificare la razza; essa trovava una
sua giustificazione nel fatto che le esigenze della polis
avevano il predominio su quelle dei cittadini, per cui la vita
dei singoli aveva un senso solo se utile alla vita della polis.
In proposito, ricordiamo un testo di Platone
17
che, nel porre
a confronto le arti mediche con quelle giuridiche, scrive
“esse cureranno quelli che siano naturalmente sani di corpo
e d’anima, quanto a quelli che non lo siano, i medici
lasceranno morire chi è fisicamente malato mentre i giudici
faranno uccidere chi ha l’anima naturalmente cattiva e
inguaribile”, d’altro canto il medesimo autore si esprime in
termini chiari contro il suicidio, anche se sembra ammettere
17
PLATONE, Repubblica, 409e-410.
Tesi di Laurea Candidato: Cinzia De Santis 26
Cap. II Cenni storici comparativi
qualche eccezione, citando tra i diversi testi significativi
quello in cui dichiara
18
di colui che si toglie la vita
“privandosi violentemente della sorte assegnatagli dal
destino e che, senza che lo Stato abbia ordinato per
punizione la sua morte, né che sia costretto da qualche
inevitabile sciagura capitatagli, ma per ignavia, prodotta
da debolezza di spirito, infligge a se stesso una pena
ingiusta (…) le tombe di coloro che si sono distrutti in tal
modo, siano in primo luogo da soli, in secondo luogo siano
essi sepolti senza onori in luoghi incolti e senza nome”.
Parimenti Aristotele
19
presenta il suicida come persona che
commette un’ingiustizia nei confronti della città ed affronta
specificamente anche il caso dei malati o in genere di chi è
sottoposto a situazioni di particolare disagio, citandoli come
esempio mentre parla della virtù del coraggio. Quanto al
ruolo del medico, in eventuali casi di “suicidio assistito”
possiamo dire che da un lato la prassi comune non
escludeva questo tipo di azione, ma dall’altro lato il
18
PLATONE, Leggi, IX, 873 c-d.
19
ARISTOTELE, Etica nicomachea, III, 116 a.
Tesi di Laurea in Diritto Penale Relatore: Prof. Saverio Fortuna 27
Il problema dell’eutanasia nei suoi riflessi penalistici
Giuramento di Ippocrate la esclude in modo categorico,
prescrivendo “non darò a nessuno farmaci mortali, neppure
se richiesto, né mai suggerirò di prenderne”. Sul suicidio in
generale vi sono poi diverse posizioni, da quella degli stoici
che lo additano come via d’uscita rispetto alla prospettiva di
essere costretti a venir meno ai propri doveri di uomini
virtuosi, a Cicerone
20
che così scrive “Tu, o Publio, e tutte le
persone rette, dovete conservare la vostra vita e non dovete
allontanarvi da essa senza il comando di colui che ve l’ha
data”.
2.3. Dal medioevo all’età moderna
In età medievale la riflessione sulle virtù etiche del medico,
si evolve nella linea segnata da Ippocrate e Galeno ed
arricchendosi delle suggestioni che provengono dalla cultura
20
CICERONE, Somnium Scipions, III, 7.
Tesi di Laurea Candidato: Cinzia De Santis 28
Cap. II Cenni storici comparativi
ebraico-cristiana
21
. Anche il tema del suicidio viene
affrontato in tale ottica e, fin dai Padri della Chiesa, sono
numerose le prese di posizione di quanti ne sottolineano
l’assoluta inconciliabilità con la morale cristiana, sul
presupposto per cui l’uomo non è padrone della propria vita
e non ne può disporre da arbitro assoluto. Tommaso
d’Aquino
22
esprime in modo lapidario le tre motivazioni per
cui il suicidio è un atto moralmente illecito, precisamente
“primo, perché per natura ogni essere ama se stesso, per
cui ciò implica la tendenza innata a conservare se stessi;
secondo, perché ciascun uomo è parte della società, è
essenzialmente della collettività, perciò uccidendosi farebbe
un torto alla società; terzo, la vita è un dono divino che
rimane in potere di colui il quale fa vivere e fa morire”.
L’età moderna, invece, si presenta con diversi volti e non è
possibile ricondurla univocamente ad un unico filone di
21
Il concetto di uccisione veramente pietosa, sorto nel Medio Evo, si affermò nei
secoli del Rinascimento e fu soprattutto Tommaso Moro che lo sviluppò nell’Utopia
(lib. II, 5). Secondo il Moro, quando un utopista “è colto da una malattia non solo
incurabile ma piena di dolori acuti e di angosce continue, i magistrati ed i sacerdoti
debbono esortarlo ad abbandonare questa terra.Essi gli devono dimostrare come,
non essendo più utile a questo mondo, ha torto se prolunga una malattia dolorosa,
per la quale egli riesce di peso a se stesso ed insopportabile agli altri”.
22
TOMMASO d’AQUINO, Summa Theologiae, II-II, qu. 64, art. 5, c.
Tesi di Laurea in Diritto Penale Relatore: Prof. Saverio Fortuna 29
Il problema dell’eutanasia nei suoi riflessi penalistici
pensiero. Da un lato prosegue la linea di pensiero che vede
nel suicidio un atto immorale e contrario al bene comune
della società, dall’altro vi sono alcuni pensatori che
sviluppano posizioni differenti, come ad esempio David
Hume
23
, mentre una posizione nettamente contraria al
suicidio è espressa da Immanuel Kant, sulla base di
argomentazioni laiche che si fondano sulla necessità di
rispettare quell’ordine morale su cui si fondano tutti i doveri
dell’uomo. Sul versante che più ci interessa, dell’eutanasia
in senso stretto, compare anche il termine in modo esplicito
ed il suo uso sembra certo che risalga ad uno scritto del
filosofo Francesco Bacone del 1605
24
.
23
DAVID HUME, Metafisica dei costumi, tr. it. Laterza, Roma-Bari, 1991, III ed.,
p. 279.
24
Egli esortava espressamente i medici ad alleviare le sofferenze ed i dolori non solo
quando questo sollievo può condurre alla guarigione, ma anche quando può servire a
procurare una morte dolce e calma, v. M. ADAMO, Il problema giuridico e medico-
legale dell’eutanasia, in Arch. Pen., 1950, I, p.375.
Tesi di Laurea Candidato: Cinzia De Santis 30
Cap. II Cenni storici comparativi
2.4. L’età contemporanea
Innanzitutto bisogna partire dalla premessa secondo cui
finchè la morte era universalmente considerata un evento
naturale di cui erano fissate ineluttabilmente l’ora e le
circostanze senza poterle mutare, “morire con dignità”
voleva dire rassegnarsi a ciò che la natura aveva stabilito per
ciascun mortale. In un simile contesto culturale, largamente
condiviso, la condanna morale dell’eutanasia incontrava
meno difficoltà, infatti appariva chiaro che porre
volutamente fine alla vita di un malato in fase terminale per
non farlo soffrire, significava andare contro le leggi
intangibili della natura, contro la dignità stessa dell’uomo.
La questione di una possibile legittimazione dell’eutanasia
cominciò invece a farsi strada, quando il progresso
scientifico e tecnico giunse a fornire alla medicina strumenti
in grado di contrastare il passo alla morte, riuscendo in
taluni casi a ritardarla e in altri casi ad anticiparla in modo
“dolce”, evitando le sofferenze e le umiliazioni dell’agonia.
Tesi di Laurea in Diritto Penale Relatore: Prof. Saverio Fortuna 31
Il problema dell’eutanasia nei suoi riflessi penalistici
Nacquero così gli interrogativi nuovi che tuttora ci
interpellano, precisamente fino a che punto si possa e si
debba resistere alla morte, se sia moralmente lecito
“accanirsi” nel combatterla. Già una trentina di anni fa,
movendo appunto da queste domande, un folto gruppo di
personalità della scienza e della cultura, compresi alcuni
Premi Nobel, redassero il Primo Manifesto sull’Eutanasia in
cui vi si afferma “è immorale tollerare, accettare o imporre
la sofferenza, crediamo nel valore e nella dignità
dell’individuo, ciò implica che lo si lasci libero di decidere
ragionevolmente della propria sorte, ogni individuo ha il
diritto di vivere con dignità e il diritto di morire con
dignità”
25
. Oggi queste idee sono largamente diffuse e si
può parallelamente costatare come, a partire dal XX secolo,
cresca in genere la domanda eutanasica e come quella che
potremmo definire eutanasia sociale, già presente nel
mondo antico ma che assume in età contemporanea forme
nuove anche sul piano giuridico, venga praticata in modo
25
The Humanist, luglio 1974.
Tesi di Laurea Candidato: Cinzia De Santis 32
Cap. II Cenni storici comparativi
più massiccio. Nell’immediato secondo dopoguerra, si
assiste ad un periodo di relativa cautela nel portare avanti le
istanze eutanasiche, anche perché il collegamento con le
stragi naziste risultava molto immediato. Il dibattito
sull’eutanasia volontaria, in ogni caso, non si interrompe ma
prosegue con tanto maggiore intensità quanto più i progressi
della medicina consentono la sopravvivenza di persone che
in altre epoche non sarebbero riuscite a sopravvivere.
Soprattutto negli anni 1955-1960 si sviluppano tecniche di
rianimazione tali da mettere in discussione anche le
precedenti metodiche per l’accertamento della morte, così
come si pone il problema dello status dei pazienti in stato
vegetativo persistente. Di fronte a tali nuove sfide riprende
slancio l’attività dei movimenti pro-eutanasia, promotori di
iniziative miranti sia a far accettare tale pratica a livello di
costume, sia soprattutto a legalizzarla
26
.
26
Segnaliamo alcuni punti di riferimento: nel 1967 LUIS KUTNER conia
l’espressione Living will per designare il rifiuto di alcune forme di terapia, da allora
inizia una forte campagna di diffusione di questi “testamenti biologici” che in molti
casi si configurano come vere e proprie richieste di “eutanasia passiva”; nel 1973 e
nel 1976 nascono, rispettivamente in Olanda e in Germania, società per l’eutanasia
volontaria.
Tesi di Laurea in Diritto Penale Relatore: Prof. Saverio Fortuna 33
Il problema dell’eutanasia nei suoi riflessi penalistici
2.5. Attuali definizioni terminologiche
Si può costatare come l’espressione eutanasia abbia
acquisito in concreto, nel corso della storia, significazioni
che si sono nettamente distaccate da quella etimologica di
“dolce morte”, venendo utilizzata per evocare il concetto
cruento di “uccisione”, eseguita per diverse finalità e con
diversi metodi, ed inoltre non sempre indolore
27
.
Precisamente, infatti, per eutanasia si intende l’azione o
l’omissione, compiuta da un terzo e deliberatamente intesa
alla soppressione di una vita umana allo scopo di porre fine
alle sofferenze. Sebbene oggi possa senz’altro riconoscersi
che sia appunto in tale ambito che la parola eutanasia trovi il
27
Così G. IADECOLA, Eutanasia: problematiche giuridiche e medico legali
dell’eutanasia, Padova, 1991, pp. 2 ss. L’Autore, infatti, distingue tra: “eutanasia
economica, quale sottospecie dell’eutanasia eugenica, consistente nell’eliminazione
indolore dei malati incurabili, degli invalidi e dei vecchi, allo scopo di alleggerire
la società dal peso dei soggetti economicamente inutili, risparmiando le spese di
ricovero, di mantenimento e di assistenza; eutanasia criminale, consistente
nell’eliminazione indolore dei soggetti che con la loro pericolosità sociale potevano
porre in pericolo le esigenze di tutela della sicurezza della collettività; eutanasia
sperimentale, intesa come uccisione indolore di essere umani allo scopo di
effettuare sperimentazioni per favorire il progresso medico e scientifico; eutanasia
profilattica, consistente nell’eliminazione indolore di soggetti affetti da malattie
epidemiche; eutanasia solidaristica, intesa come sacrificio della vita di soggetti a
favore della vita o della salute di altri, ad esempio prelevando organi a scopo di
trapianto”.
Tesi di Laurea Candidato: Cinzia De Santis 34
Cap. II Cenni storici comparativi
suo più largo impiego, in realtà essa risulta innanzitutto
applicata ai procedimenti curativi mediante prodotti
analgesici e anestetici ed in genere alle terapie di natura
antidolorifica che vengono usate nei confronti dei
moribondi o dei soggetti malati in preda ad acute
sofferenze
28
. La dottrina ritiene, qui, unanimemente, trattarsi
di azioni del tutto lecite e considera anzi questi casi come
rientranti esclusivamente nell’ambito della pratica medica.
Se tali terapie ad esclusivo fine antidolorifico, sono
considerate dagli ordinamenti positivi e dal sentimento
giuridico universale come lecite
29
, indiscutibilmente illeciti
sono invece i trattamenti e più in generale le azioni dirette
ad estinguere la vita per farne cessare le sofferenze
30
. Si
delinea qui il tratto essenziale che caratterizza la forma
28
Cd. “Eutanasia pura”, v. sul punto, M. PORZIO, Eutanasia, in Enc.giur., Milano,
1972, vol. XVI, p. 104.
29
In Italia, sembra riconoscersi dalla dottrina il diritto del medico “di usare mezzi
anestetici quando si tratta di malattie inguaribili o dolorosissime anche se ne deriva
la morte che non è voluta”, cfr. MANZINI, Diritto penale, VIII, Torino, 1951, p.90.
30
Cd. “Eutanasia terapeutica o uccisione pietosa”, M. PORZIO, op. cit., p. 105. V.
anche la definizione del IADECOLA, op. cit., p.3, che la definisce quale “uccisione
liberatrice,ossia come morte arrecata allo scopo di far cessare una condizione
umana angosciante e particolarmente dolorosa. Essa assume anche la connotazione
di eutanasia terapeutica nel settore medico, in relazione all’impiego o all’omissione
di mezzi terapeutici al fine di ottenere la morte del paziente”.
Tesi di Laurea in Diritto Penale Relatore: Prof. Saverio Fortuna 35
Il problema dell’eutanasia nei suoi riflessi penalistici
tipica di eutanasia, cioè quella che non è più trattamento
diretto ad attutire il dolore, ma intervento attivo volto a
spegnere l’esistenza umana per affrancarla dalle sofferenze,
precisamente trattasi di morte provocata per un sentimento
di compassione per lo stato di particolare sofferenza in cui
versa la vittima. In tale ambito è possibile operare una
distinzione tra eutanasia attiva o commissiva ed eutanasia
passiva o omissiva, riferendoci alla prima quando si causa la
morte, ponendo in essere intenzionalmente un’azione alla
quale tale effetto segue di necessità, di una persona affetta
da malattia incurabile, in risposta ad un’apposita richiesta
(consensuale) o meno (non consensuale) del morituro; alla
seconda quando consiste nel non ritardare la morte di un
individuo giunto ad uno stadio terminale o in stato
vegetativo persistente, lasciando che la natura abbia il suo
corso abolendo i mezzi chimici e fisici di prolungamento
della vita applicati al paziente e necessari alla sua
sopravvivenza, anche attraverso la somministrazione di
palliativi………….
Tesi di Laurea Candidato: Cinzia De Santis 36