La condanna del MEC da parte dei comunisti italiani non impedì, tuttavia, ai
vertici del partito di riconoscere e di sottolineare < i possibili vantaggi che dalla
CEE potevano derivare agli effetti di una intensificazione degli scambi >
6
commerciali e < di una azione coordinata e unitaria per il movimento sindacale
europeo. >
7
Del resto il PCI riconobbe, a partire dalla seconda metà degli anni ’60, che la
situazione politica ed economica dell’Europa occidentale si era evoluta a tal punto
che il MEC, concepito inizialmente come una < testa di ponte del capitale
americano in Europa >
8
, diventava invece progressivamente lo strumento
necessario per ottenere una sempre più evidente autonomia dell’Europa dagli Stati
Uniti d’America sul piano non soltanto economico, ma anche politico.
9
A tale processo di “revisionismo” contribuì la forte crescita produttiva e
competitiva dei paesi europei, che sollevò sempre più frequenti casi di
contrapposizione di interessi economici tra CEE ed America, ed anche l’audace
politica antiamericana di De Gaulle, del quale i comunisti cominciarono ad
apprezzare la concezione di una Europa come forza autonoma da Stati Uniti e
URSS, mantenendo però inalterate le premesse secondo le quali questa unità
europea dovesse realizzarsi < in una prospettiva socialista >
10
.
Ma il fattore determinante che portò il PCI a rivedere in toto il suo impegno ed i
suoi obiettivi internazionalistici fu senza dubbio il netto distacco delle posizioni di
Mosca in seguito al “grave dissenso” conseguente alla crisi cecoslovacca nel
’68.
11
Pur ribadendo < ancora una volta il profondo, fraterno, schietto rapporto che
unisce i comunisti italiani all’Unione Sovietica e al PCUS >
12
, il PCI prese
nettamente le distanze dall’intervento sovietico e si presentò compatto
all’appuntamento del XII Congresso, nel 1969, affermando < il pieno rispetto
dell’autonomia e della sovranità di ogni partito comunista e di ogni Stato
socialista >
13
e rifiutando la concezione monolitica secondo cui la via al
socialismo di ogni paese si dovesse ridurre all’imitazione e alla subordinazione nei
sato e con la concezione internazionalista che il PCI
confronti dell’Unione Sovietica.
Era la cosiddetta via nazionale al socialismo: un nuovo modello che esprimeva
una profonda rottura col pas
aveva sinora rappresentato.
Da allora l’impegno del PCI sui temi europeisti si diramò in due direzioni: in
primo luogo i comunisti scelsero di dare il proprio contributo attivo nel processo
di costruzione europea, scegliendo di lavorare all’interno e per la Comunità
6
Ibidem, pg. 221
7
Ibidem, pg. 221
8
Ibidem, pg. 222
9
Ibidem, pg. 222
10
Ibidem, pg. 222
11
Ibidem, pg. 221
12
Ibidem, pg. 215-216
13
Ibidem, pg. 218
2
Europea, indirizzando la propria lotta nel rafforzamento e nella democratizzazione
degli organismi comunitari ( progettando a tal scopo una riforma del Parlamento
Europeo che prevedeva una elezione popolare a suffragio universale
14
), nonché
nella crescente intensificazione dei rapporti con le principali forze di sinistra
1969 ottenne la possibilità di sedere al
di “coesistenza pacifica” a quella di “superamento dei blocchi
deva
o europeo potesse
i fosse stato il rispetto della
cancelliere
ipale del PCI
livello internazionale negli anni immediatamente successivi al ’69.
operanti in Europa.
15
L’importanza che nel PCI andava assumendo la questione europea fu evidenziata
dalla designazione di Amendola a capo della delegazione comunista che, prima tra
i partiti comunisti occidentali, nel
Parlamento Europeo di Strasburgo.
16
In secondo luogo i comunisti rividero i cardini della politica Est-Ovest, passando
dalla concezione
contrapposti”.
17
Infatti, coerentemente con le premesse secondo le quali ogni Stato ed ogni singolo
partito dovesse ricercare in tutta autonomia e indipendenza la propria via al
socialismo, i comunisti rifiutarono la logica politica che stava alla base dei
blocchi, ovvero il fatto che esistessero due grandi potenze e tutta una serie di Stati
che, trovatisi in condizioni di inferiorità e subalternità, non potevano di fatto
giocare un ruolo importante in un processo di distensione e riappacificazione del
continente che li riguardava tutti ma che, stando così le cose, dipen
esclusivamente da un eventuale accordo bilaterale tra Mosca e Washington.
18
Pertanto il PCI, pur considerando la costruzione di un sistema di sicurezza
europeo imprescindibile dall’accordo e dalla volontà in tal senso delle due
superpotenze, sostenne a gran voce la necessità che ogni Stat
dare autonomamente il proprio contributo a tale solenne scopo.
Ovviamente, ciò non sarebbe stato possibile finché fossero rimaste in Europa le
truppe e le basi militari straniere e finché non v
autonomia e della sovranità di ogni singolo Stato.
19
In tal senso i comunisti, se da un lato concepirono l’Europa Occidentale come
forza autonoma ed equidistante dalle due superpotenze, dall’altro favorirono con
ogni mezzo ogni politica europea (ed in particolare la Ostpolitik del
tedesco Willy Brandt) volta ad un graduale superamento dei blocchi.
20
La politica di superamento dei blocchi sarebbe stata l’impegno princ
a
14
Ibidem, pg. 222
15
Ibidem, pg. 224
16
Ibidem, pg. 221
17
Ibidem, pg. 226
18
Ibidem, pg. 226
19
Ibidem, pg. 227
20
Ibidem, pg. 227
3
2. Verso il primo allargamento (1969-1973)
ella
guardo agli obiettivi storici che dovevano essere realizzati
ro revisione per realizzare una trasformazione democratica
atizzazione” della
non adeguata > alla pressante richiesta di
osa intendeva Amendola per
azione per la costruzione di una unità europea che sia lo sbocco della sua
In una simile situazione internazionale, che vide i comunisti italiani impegnati
nella costruzione di una nuova Europa che fosse unita, socialista, libera, autonoma
dalle grandi potenze, era chiaro sin dall’inizio che i quadri dirigenziali del partito
non attribuissero la benché minima importanza o rilevanza sul piano storico a quel
processo di allargamento della CEE che, iniziato simbolicamente il 1. dicembre
1969 alla Conferenza dell’Aja, avrebbe nel giro di pochi anni aperto le porte d
Comunità a nuovi paesi membri, ovvero Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca.
Fu lo stesso Amendola, in un convegno svoltosi a Roma il 23 novembre 1971 ed
avente per tema i comunisti e l’Europa, a precisare con estrema chiarezza il punto
di vista del suo partito ri
nel vecchio continente.
Amendola esordì affermando che < gli sviluppi mondiali hanno posto la CEE di
fronte alla necessità di una trasformazione. L’allargamento a Gran Bretagna,
Irlanda, Norvegia e Danimarca non è una risposta adeguata: devono cambiare il
carattere, il programma, l’assetto istituzionale. I comunisti, che votarono contro i
Trattati di Roma, [...] dichiarano di non porsi l’obiettivo di una rottura dei Trattati,
ma quello di una lo
della Comunità. >
21
Già da questa prima parte dell’articolo pubblicato su “l’Unità” emergono
contenuti estremamente interessanti: in primo luogo si sancì definitivamente il
cambiamento di rotta del partito comunista italiano, che rinunciava per sempre ad
opporsi alla CEE così come aveva fatto nel momento della votazione parlamentare
sui Trattati di Roma, e che ciò nonostante rinunciava anche ad accettare la realtà
europea così come era allora, ribadendo con forza la necessità di una revisione
istituzionale, per ciò che riguardava la cosiddetta “democr
Comunità, e di un mutamento di “carattere” e di “programma”.
In secondo luogo Amendola espresse il proprio parere sull’allargamento,
giudicandolo < una risposta
trasformazione della Comunità.
Nelle righe successive dell’articolo si capisce che c
< cambio di carattere > e < cambio di programma >.
Amendola proseguì così: < L’Europa a cui i comunisti si riferiscono è quella che
abbiamo studiato a scuola, come è delimitata dai suoi confini geografici,
dall’Atlantico agli Urali, dal Mare del Nord al Mediterraneo, e come è stata
determinata dalla sua storia, cioè con le sue differenziazioni economiche, sociali e
politiche. Rifiuto, quindi, della frattura e della “piccola Europa” che ne risulta;
21
s.f., Il compagno Amendola apre il convegno del CESPE sui comunisti e l’Europa, in “l’Unità”,
24 novembre 1971.
4
tumultuosa storia che l’ha vista culla del capitalismo ma anche
dell’organizzazione politica di classe dei proletari e del socialismo. >
22
L’unità europea, dunque, doveva essere un processo di cui occorreva che si
rendessero partecipi tutti i paesi d’Europa: i comunisti italiani rifiutavano
categoricamente la logica che stava alla base del processo di allargamento della
CEE, ovvero la logica di una federazione di Stati dell’Europa Occidentale.
Il “cambio di carattere” richiesto dai comunisti consisteva proprio nel rifiuto a
priori di costruire una Europa a metà, di integrare soltanto una piccola parte del
continente; in quel determinato momento storico occorreva che il processo di
integrazione superasse la logica dei blocchi e riunisse tutti i popoli europei.
Occorre peraltro precisare che, secondo la nostra opinione, tale progetto non
poteva che essere considerato pura utopia in un contesto storico in cui il rifiuto di
una “Europa a metà” veniva piuttosto a delinearsi all’atto pratico come la “morte”
della CEE e del processo di integrazione europea.
Nel superamento dei blocchi i comunisti indicarono quello che doveva essere il
vero scopo, il vero “programma” dell’Europa, < l’obiettivo storico da
raggiungere >
23
, la costruzione delle < premesse per l’unità d’Europa. >
24
Per superare la divisione in blocchi, occorreva un sistema di sicurezza collettivo:
< un tale sistema, riconoscendo indipendenza e uguaglianza ai piccoli Stati come
ai grandi, creerebbe le condizioni per la riduzione degli armamenti, la
eliminazione delle basi straniere, lo sviluppo di una larga cooperazione economica
e culturale. >
25
Amendola precisò anche che non vi era soltanto una Europa comunitaria: < vi
sono paesi neutrali e paesi socialisti, paesi non allineati (Jugoslavia) e paesi che
trattano l’adesione alla Comunità; vi sono degli Stati governati dai fascisti che
ricordano a tutti la necessità della solidarietà europea in appoggio ai popoli che si
battono per la libertà. >
26
Fermo restando, dunque, che la priorità assoluta era quella della costruzione di un
sistema collettivo che permettesse di superare la logica e l’esistenza dei blocchi e
conseguentemente di unire quelle due Europe sinora divise, l’obiettivo storico da
raggiungere, ovvero l’unità d’Europa, implicava la partecipazione al processo di
integrazione e unificazione anche da parte di quei paesi e di quei popoli che, per
determinate vicende storiche, erano rimasti al di fuori dei blocchi contrapposti.
Particolare attenzione, poi, dovevano prestare gli europei a quei < popoli che si
battono per la libertà > negli < Stati governati dai fascisti >: questa frase fu quasi
una anticipazione di ciò che sarebbe avvenuto soltanto pochi anni più tardi,
allorquando i comunisti italiani avrebbero premuto sull’Europa per renderla uno
strumento per la democratizzazione dei tre paesi (Grecia, Portogallo e Spagna) che
avrebbero vissuto una tesa transizione dal fascismo alla libertà.
22
Ibidem
23
Ibidem
24
Ibidem
25
Ibidem
26
Ibidem
5
Rileggendo attentamente l’articolo nella sua interezza si comprende benissimo
come, in presenza di una simile visione della realtà internazionale e di un simile
disegno politico per il futuro dell’Europa, il fatto che la Comunità Economica
Europea constasse di sei, nove o dieci paesi membri era, secondo l’ottica dei
comunisti italiani, del tutto irrilevante.
Lo stesso Amendola precisò alcuni giorni dopo il suddetto convegno che < l’Italia
partecipa al processo di integrazione europea che ha luogo nella Comunità; i
comunisti hanno coscienza di questa realtà, la riconoscono, e intendono
contribuire a trasformarla, nella prospettiva dell’unità di tutta l’Europa, del
superamento dei blocchi. >
27
Nell’ottica della battaglia per il superamento dei blocchi e dell’unità di tutta
l’Europa, nonché per la profonda trasformazione di cui aveva bisogno la
Comunità europea, il processo di allargamento comunitario era dunque un fatto
marginale e come tale era riportato negli articoli del quotidiano del Partito
comunista italiano, ovvero l’Unità.
Già alla vigilia della Conferenza dell’Aja, che avrebbe dovuto far cadere il veto
francese sulla adesione della Gran Bretagna alla CEE, fu sottolineato come < la
ambiziosa agenda della Conferenza è una trasparente finzione diplomatica. >
28
Si prevedeva che < il vero punto di riferimento della discussione >
29
non sarebbe
stato l’allargamento della Comunità, bensì < la crisi irreversibile di tutte le
originarie ipotesi europeistiche sia sul piano economico che sul piano politico. >
30
Del resto, in riferimento ad un articolo apparso sulla “Pravda”, in cui si sosteneva
la tesi secondo la quale < la sicurezza dell’Europa riposa non sulla conservazione
dei blocchi militari, ma su un processo di attiva collaborazione tra gli Stati e
sull’abbattimento delle differenti barriere >
31
, i comunisti italiani precisarono che
le < differenti barriere > che dovevano essere abbattute non erano soltanto quelle
della militarizzazione, ma anche quelle economiche < di cui è simbolo l’Europa
dei sei. >
32
Eppure la crisi economica dell’Europa dei sei e la conseguente necessità di una
revisione sostanziale delle politiche del MEC era talmente evidente da lasciar
prevedere, alla vigilia della Conferenza dell’Aja, che < agli esiti fallimentari del
MEC agricolo la Conferenza dedicherà gran parte dei lavori. >
33
La politica agricola del MEC era in effetti un punto al quale i comunisti italiani
davano particolare importanza; essi lottavano per una sua revisione totale,
partendo dal presupposto che il nostro Paese pagasse un alto prezzo per proteggere
i prodotti agricoli degli altri Paesi ed allo stesso tempo non facesse niente per i
propri contadini, il cui reddito diminuiva sensibilmente con la logica conseguenza
27
s.f., Una conferenza economica per l’Europa, in “l’Unità”, 26 novembre 1971
28
s.f., Si apre oggi all’Aja il <vertice> del MEC, in “l’Unità”, 1 dicembre 1969
29
Ibidem.
30
Ibidem.
31
Enzo Roggi, La Pravda: abbattere le barriere in Europa, in “l’Unità”, 8 dicembre 1969
32
Ibidem.
33
s.f., Si apre oggi all’Aja il <vertice> del MEC, in “l’Unità”, 1 dicembre 1969
6
del progressivo spopolamento delle campagne; nel MEC i comunisti vedevano
soltanto < un alibi internazionale a tutti coloro che negano una politica di riforme
sociali o di trasformazioni produttive, capace di diminuire i costi della produzione
e quindi di elevare i redditi dei contadini e al tempo stesso di far diminuire i prezzi
al consumo dei prodotti agro-alimentari >
34
, oppure, per usare parole ben più
esplicite, < un imbroglio >
35
nel quale < l’Italia ha trovato solo disinganni e
spese. >
36
La questione della politica agricola e, più in generale, di tutte le politiche
economiche della CEE, era direttamente collegata a quella dell’allargamento, sia
perché, in un primo momento, fu lo stesso primo ministro britannico Wilson a
polemizzare a tal proposito, sia perché successivamente i comunisti, come
vedremo, sapranno cogliere nel processo di allargamento l’occasione per
richiedere una revisione globale di tali politiche.
Wilson fu estremamente chiaro nella sua polemica: affermò che < c’è un limite ai
sacrifici economici che il Paese è disposto a sostenere per l’entrata nel MEC >
37
e
che la Gran Bretagna, se non avesse ottenuto condizioni eque, non sarebbe entrata.
Wilson puntualizzò però che < le ragioni politiche dell’ingresso britannico nel
MEC superano di gran lunga l’importanza dei vantaggi economici, anche di quelli
a lunga scadenza, che il Paese riceverebbe dell’ammissione. >
38
Da parte inglese, dunque, l’ingresso nel MEC era considerato un fatto di rilevanza
soprattutto politica.
In ogni caso la Conferenza dell’Aja, secondo il parere espresso dalla stampa
comunista, si risolse in un < fallimento >
39
, lasciando del tutto insoluti i contrasti
di natura economica, nonostante gli sforzi della delegazione italiana per
raggiungere un compromesso; per completare l’insuccesso, non fu possibile
neppure indicare una data per l’inizio dei negoziati che avrebbero portato
all’adesione della Gran Bretagna.
40
A seguito di una riunione dell’UEO, svoltosi a Bruxelles pur senza la
partecipazione della Francia che seguiva la politica della “sedia vuota” dal
febbraio 1969 dato il forte sospetto del generale De Gaulle, che vedeva le riunioni
di tale organismo come < un modo per aggirare il suo veto all’ingresso britannico
nel MEC >
41
, il ministro degli esteri britannico Stewart ebbe comunque modo di
precisare che le trattative per l’ingresso del suo Paese nel MEC sarebbero iniziate
prima del giugno 1970.
42
34
Gerardo Chiaromonte, Il 1. Aprile del MEC, in “l’Unità”, 2 aprile 1970
35
s.f., L’imbroglio del MEC, in “l’Unità”, 17 settembre 1970
36
Ibidem.
37
s.f., Wilson polemizza nei confronti del MEC, in “l’Unità”, 14 gennaio 1970
38
Ibidem.
39
s.f., Il <vertice> dell’Aja è fallito, in “l’Unità”, 3 dicembre 1969
40
Ibidem.
41
s.f., Riunione dell’UEO a Bruxelles, in “l’Unità”, 10 gennaio 1970
42
Ibidem.
7
Ma il vero fallimento della Conferenza fu la mancanza di una linea politica
comunitaria nei confronti del processo di distensione e degli sviluppi nei rapporti
Est-Ovest: di qui la forte insoddisfazione di Brandt
43
, il quale comunque era
fermamente deciso ad andare avanti con la sua Ostpolitik, ricercando a Praga e a
Budapest interlocutori pronti < ad apprezzare le eventuali disposizioni del governo
tedesco >
44
e dando mandato all’ambasciatore tedesco a Mosca di intavolare una
serie di colloqui di alto livello con le autorità sovietiche, che lo porteranno ad
incontrare il ministro degli esteri Gromiko per tre volte nel giro di due settimane.
45
La Ostpolitik era la via giusta da percorrere, secondo quanto affermava il partito
comunista italiano in perfetta identità di vedute con i sovietici, per i quali < una
soluzione unitaria per la sicurezza in Europa non potrà non riconoscere l’esistenza
dei due Stati tedeschi. >
46
Negli ambienti comunitari vi era scetticismo nei confronti delle vedute di Brandt
proprio perché l’Europa occidentale non riusciva a liberarsi dalla subalternità nei
confronti degli Stati Uniti d’America che premevano, attraverso gli Stati Maggiori
della NATO, per impedire ogni miglioramento in Europa ed ogni passo in avanti
verso la distensione: vi erano in Europa occidentale, stando all’interpretazione dei
comunisti italiani, alcuni < partigiani della linea dura >
47
, i quali < cercano di
impedire la distensione tra l’Europa e i Paesi dell’Est. >
48
L’Europa avrebbe dovuto uscire da questa condizione di subalternità per
< espandersi politicamente verso i Paesi del Mediterraneo per così imporsi come
potenza di respiro planetario e poter acquisire punti di forza >
49
: questo era il
piano concepito da Pompidou e non visto di mal occhio dai comunisti italiani, i
quali però non mancavano di rilevare come la Francia fosse sola in un simile
progetto ambizioso, mentre la Germania era impegnata, anch’essa da sola, ad Est,
e la Gran Bretagna manteneva i propri rapporti privilegiati con gli Stati Uniti,
arrivando così alla conclusione che, in mancanza di un progetto comune,
< l’Europa politica è una velleità. >
50
Il vertice franco-tedesco del gennaio 1970 non riuscì certo a colmare le distanze
fra i due Paesi: se da una parte Pompidou, assillato dalla crisi economica e
finanziaria in cui versava il suo Paese, sembrò voler accettare gradualmente la
Ostpolitik di Brandt allo scopo di non essere tagliato fuori dai rapporti politico-
economici che con i Paesi socialisti ne sarebbero risultati, dall’altra parte la
Francia si mostrò estremamente riluttante ad accentuare, secondo la proposta
tedesca, la cooperazione politica tra i Paesi europei e totalmente ostile ad ogni
43
s.f., Il vertice dell’Aja è fallito, in “l’Unità”, 3 dicembre 1969
44
s.f., Budapest: per migliori rapporti con la RFT, in “l’Unità”, 13 dicembre 1969
45
A.G., Terzo colloquio di Gromiko con l’ambasciatore di Bonn, in “l’Unità”, 24 dicembre 1969
46
A.G., Mosca: commenti positivi all’iniziativa della RDT, in “l’Unità”, 29 dicembre 1969
47
A.G., Mosca: la Nato non vuole una conferenza europea, in “l’Unità”, 13 dicembre 1969
48
Ibidem.
49
Alberto Jacoviello, La Francia nel Mediterraneo, in “l’Unità”, 17 febbraio 1970
50
Ibidem.
8
idea che riguardasse una revisione dei compiti e del ruolo del Parlamento
Europeo.
51
Brandt sostenne con forza la necessità politica della < apertura delle conversazioni
a sei per l’allargamento del MEC alla Gran Bretagna >
52
, assicurando il suo
interlocutore francese sul fatto che < l’Europa a dieci può veramente compensare
il peso determinante della Germania in Europa >
53
e venendo così incontro alle
preoccupazioni francesi secondo le quali < una eventuale alleanza Londra-Bonn
andrebbe a scapito di un equlibrio europeo già instabile. >
54
La stessa questione dell’allargamento, che vista da Brandt era una necessità
storica, per il presidente francese non era altro se non una occasione per
riequilibrare a favore della Francia la bilancia del peso politico che pendeva allora
nettamente a favore di Bonn; d’altra parte, nell’ottica del futuro allargamento, era
necessario che si rinsaldasse l’asse Parigi-Bonn, proprio per evitare che la
Germania potesse ricercare sulle sponde del Tamigi il suo interlocutore
privilegiato che, nell’Europa occidentale, era e doveva restare la Francia.
Pompidou era del resto disposto a fare qualche piccola concessione di fondo a
Brandt proprio per il timore che questi, ricercando una solida alleanza politica a
Londra e creando così un eventuale asse Londra-Bonn, finisse < per scostare
Parigi dalla leadership europea. >
55
Sulla base di questo genere di considerazioni < l’alleanza franco-tedesca, in
declino l’anno scorso, è stata rattoppata >
56
, anche se parve chiaro fin da subito
che < in questa rinnovata alleanza è ormai la Germania, e non la Francia, a
dirigere la musica. >
57
La centralità e l’autonomia della Germania in Europa non erano ormai più
discutibili, stando peraltro all’analisi politica dei comunisti italiani, secondo i
quali Brandt attuava una politica indipendente dagli Stati Uniti ed era riuscito, in
quegli ultimi mesi, a rafforzare la sua posizione verso Est e, per quanto riguardava
le questioni comunitarie, a dare < il visto d’ingresso nel MEC alla Gran Bretagna,
scavalcando così ancora una volta la Francia che sta perdendo definitivamente la
leadership in Europa. >
58
In conseguenza di tale perdita di leadership < i progetti francesi sull’Europa
vengono messi in secondo piano >
59
rispetto a quelli di Brandt: un fatto comunque
non negativo per i comunisti italiani, i quali erano notoriamente tenaci sostenitori
della politica del cancelliere tedesco.
51
Augusto Pancaldi, Discussione sull’Europa tra Brandt e Pompidou, in “l’Unità”, 31 gennaio 1970
52
s.f., Su nuove basi i rapporti Parigi-Bonn, in “l’Unità”, 1 febbraio 1970
53
Augusto Pancaldi, Discussione sull’Europa tra Brandt e Pompidou, in “l’Unità”, 31 gennaio 1970
54
Ibidem.
55
s.f., Su nuove basi i rapporti Parigi-Bonn, in “l’Unità”, 1 febbraio 1970
56
Ibidem.
57
Ibidem.
58
Alberto Jacoviello, Rassegna internazionale, in “l’Unità”, 6 marzo 1970
59
Ibidem.
9
I timori francesi su di un possibile asse preferenziale Londra-Bonn non erano
peraltro infondati, dato che Brandt, recatosi a Londra < per sondare le opinioni di
Wilson su MEC e Ostpolitik >
60
, colse l’occasione per rafforzare l’intesa anglo-
tedesca, registrando una < perfetta identità di vedute e stretta collaborazione sul
piano politico, economico e militare. >
61
A Londra il cancelliere tedesco non mancò di rilevare < per l’ennesima volta la
necessità dell’ingresso britannico nel MEC. >
62
Appena un mese più tardi Brandt, in visita ufficiale a Washington, precisò che era
auspicabile un allargamento della Comunità < per poter così diventare un partner
degli USA su un piede di uguaglianza e di autonomia >
63
: una tesi, questa, che i
comunisti italiani avrebbero fatto propria alcuni anni dopo, ma che in quel
determinato momento storico era destinata a non avere una particolare rilevanza e
attenzione da parte del PCI.
Per quanto riguardava il fatto specifico dell’ingresso della Gran Bretagna nel
MEC, i comunisti italiani erano addirittura di parere opposto: ritenevano
fondatissime le paure di chi vedeva in Londra un Paese disposto a lasciarsi guidare
e condizionare dal grande alleato americano che quindi, anziché trovarsi di fronte
una Europa più autonoma e più indipendente, avrebbe accentuato la sua forza nei
confronti della Comunità allargata.
Lo scetticismo dei comunisti di fronte all’ingresso della Gran Bretagna fu ben
riassunto da Augusto Pancaldi, firma di spicco de “l’Unità”, il quale,
successivamente all’incontro dell’Eliseo tra Pompidou e il nuovo primo ministro
britannico Heath, dopo aver messo in evidenza come fosse difficile pronosticare il
modo in cui l’Inghilterra si sarebbe mossa nel gioco comunitario, si domandò: <
Come non temere, ad allargamento avvenuto, una accresciuta influenza atlantica
su questa Europa “grande formato”, se già oggi i conservatori e gli atlantici
battono le mani all’accordo dell’Eliseo perché, come scrive l’Aurore, questa
nuova Europa conglobante altri Paesi atlantici come l’Inghilterra, la Norvegia e la
Danimarca situerà questo continente al suo vero posto, cioè accanto alle “altre
nazioni libere come gli Stati Uniti e il Canada associato al patto atlantico”? >
64
Ennio Polito, dal canto suo, ritenne < legittimi >
65
tutti gli interrogativi posti
riguardo al ruolo della Gran Bretagna all’interno della Comunità, poiché < non vi
è alcuna garanzia che Londra non continui a lasciarsi guidare dal suo legame con
gli Stati Uniti e non operi nel senso di una ulteriore atlantizzazione dell’Europa;
né si può escludere che, anziché far da contrappeso alla preponderanza di Bonn, si
orienti verso una intesa “anglosassone” a danno della Francia e degli altri. >
66
60
s.f., Willy Brandt è a Londra per sondare le opinioni di Wilson su MEC e Ostpolitik, in “l’Unità”,
3 marzo 1970
61
s.f., Conclusa la visita di Brandt, in “l’Unità”, 5 marzo 1970
62
Ibidem.
63
s.f., Primo colloquio in USA tra Nixon e Brandt, in “l’Unità”, 11 aprile 1970
64
Augusto Pamcaldi, Intesa per l’Inghilterra nel MEC, in “l’Unità”, 22 maggio 1971
65
Ennio Polito, Londra e il MEC, in “l’Unità”, 23 maggio 1971
66
Ibidem.
10
Jacoviello precisò che tale timore non era espresso soltanto dalle forze comuniste
o di sinistra: vi erano anche < forti inquietudini tra gli europeisti di fronte alla
prospettiva di una fragile autonomia della CEE rispetto agli Stati Uniti. >
67
Inquietudini fortemente condivise dall’opinione pubblica francese e dal presidente
Pompidou, il quale, a seguito delle elezioni politiche del giugno 1970 nelle quali i
conservatori britannici riportarono la vittoria
68
, affermò esplicitamente che < se
l’Inghilterra contava di continuare la sua partita doppia con l’America e con
l’Europa, cioè di restare con un piede dentro ed uno fuori dal MEC, la Francia non
avrebbe potuto approvare una tale posizione. >
69
Il messaggio era chiaro ed il nuovo ministro degli esteri britannico Home si recò
immediatamente a Parigi per rassicurare la Francia sulle buone intenzioni del
governo di Londra
70
, affinché ogni divergenza potesse essere appianata prima
della riunione interministeriale di Bruxelles, prevista per il 21 luglio 1970,
allorquando sarebbe iniziato il vero e proprio negoziato per l’allargamento della
Comunità.
71
Una riunione interministeriale a cui i comunisti italiani guardavano in ogni caso
con disinteresse e sfiducia.
72
Del resto lo stesso Berlinguer, scrivendo il messaggio augurale del PCI al partito
comunista britannico in occasione della ricorrenza del cinquantesimo anno dalla
fondazione del medesimo, se da un lato ribadì con fermezza la lotta per il
comunismo, contro la NATO e contro la potenza americana in Vietnam ed in
Europa
73
, dall’altro lato non fece il benché minimo accenno alla prospettiva
dell’ingresso britannico nella CEE, lasciando implicitamente intendere che
l’allargamento comunitario era in sé una questione di secondo piano.
A conferma di ciò, a seguito della visita a Roma di una delegazione sovietica, fu
scritto un comunicato congiunto PCI-PCUS in cui si faceva il punto degli
argomenti di politica internazionale dibattuti nel corso degli incontri, e
precisamente < della situazione nell’Asia del Sud-Est e della lotta dei popoli del
Vietnam, del Laos e della Cambogia contro l’aggressione americana; della
situazione in Medio Oriente e della lotta dei Paesi e dei popoli arabi per liquidare
le conseguenze della aggressione in Israele condotta con l’appoggio
dell’imperialismo; della situazione del Mediterraneo e delle nuove condizioni
createsi in Europa per la costruzione di un sistema di sicurezza collettivo >
74
,
laddove si intese, citando le < nuove condizioni createsi in Europa […] >, il
trattato firmato recentemente a Mosca tra l’Unione Sovietica e la Germania
67
Alberto Jacoviello, Rassegna internazionale, 26 maggio 1971
68
s.f., I conservatori vincono in Gran Bretagna, in “l’Unità”, 21 giugno 1970
69
s.f., Visita lampo in Francia del ministro inglese Home, in “l’Unità”, 15 luglio 1970
70
Ibidem.
71
s.f., L’Inghilterra ci riprova, in “l’Unità”, 22 luglio 1970
72
Ibidem.
73
s.f., Messaggio del PCI al PC di Gran Bretagna, in “l’Unità”, 6 agosto 1970
74
s.f., Comunicato congiunto PCI-PCUS, in “l’Unità”, 4 dicembre 1970
11
Federale
75
, che già fu salutato dal deputato comunista Umberto Cardia come
< una tappa importante in vista della costruzione di una Europa democratica e
pacifica, libera da blocchi militari contrapposti, in cui sia possibile la
cooperazione più intensa tra le Nazioni e gli Stati anche di diverse strutture sociali
e di orientamenti politico-ideologici differenti. >
76
In vista di un tale progetto, della costruzione di una tale Europa, i confermarono
implicitamente che l’allargamento della Comunità europea, della < piccola
Europa >, era un fatto sostanzialmente marginale e irrilevante a tal punto da non
essere neanche preso in considerazione durante gli importantissimi colloqui
romani con la delegazione del PCUS.
Neanche Giuseppe Boffa, nel suo editoriale su < dialogo e lotta per la distensione
in Europa >
77
, scritto subito dopo la partenza della delegazione sovietica da Roma,
fece il benché minimo accenno alla questione dell’allargamento comunitario.
Il nuovo governo britannico attribuiva invece alla questione molta importanza e
colse l’occasione della visita a Londra del ministro degli esteri italiano Aldo Moro
per insistere < affinché il governo di Roma si impegni ad adoperarsi per assicurare
una sollecita conclusione dei negoziati per l’ingresso della Gran Bretagna nel
MEC. >
78
Moro, da parte sua, affermò che era difficile prevedere una rapida conclusione del
negoziato che, su alcuni punti, si presentava particolarmente difficile.
79
Del resto l’appoggio del governo italiano alla richiesta d’adesione britannica non
era mai mancato, come lo stesso Moro ebbe modo di confermare anche in una
intervista rilasciata ad un giornale giapponese e riportata su l’Unità.
80
Se i conservatori britannici da una parte potevano contare sull’appoggio
dell’Italia, dall’altra dovevano fare i conti con un forte scetticismo che
serpeggiava nell’opinione pubblica inglese e di cui fu lo stesso Wilson, un tempo
capo del governo laburista e promotore dell’adesione britannica alla CEE, a farsi
interprete, evidenziando come la Gran Bretagna, una volta che fosse entrata nella
Comunità e ne avesse accettato il principio della libera circolazione della
manodopera, avrebbe corso il rischio di essere invasa da forza lavoro a basso
prezzo specialmente dal Sud Italia.
81
Il Partito comunista britannico era dal canto suo ostile all’adesione nel MEC e
Gollan, leader di quel partito, colse l’occasione di un convegno dei partiti
comunisti occidentali svoltosi a Londra nel gennaio 1971 per ribadire con
fermezza la sua opposizione al processo d’allargamento.
82
75
s.f., Firmato a Mosca il trattato tra URSS e BRD, in “l’Unità”, 8 agosto 1970
76
s.f., Commento del compagno Umberto Cardia sul trattato URSS-BRD, in “l’Unità”, 13 agosto
1970
77
Giuseppe Boffa, Dialogo e lotta per la distensione in Europa, in “l’Unità”, 5 dicembre 1970
78
s.f., Moro: ancora difficoltà per l’ingresso di Londra nel MEC, in “l’Unità”, 18 dicembre 1970
79
Ibidem.
80
s.f., Intervista di Aldo Moro su Cina ed Europa, in “l’Unità”, 2 gennaio 1971
81
s.f., Ora i laburisti contro il MEC, in “l’Unità”, 5 maggio 1971
82
s.f., Aperto a Londra il convegno dei PC occidentali, in “l’Unità”, 12 gennaio 1971
12
Amendola, intervenuto nel dibattito in qualità di capo della delegazione comunista
italiana, precisò che < quanto alla estensione della CEE ad altri Paesi, non si tratta
di avere necessariamente posizioni uniformi, di dire semplicemente un sì o un no:
ogni partito può avere una posizione diversa, poiché i problemi si pongono
diversamente nei vari Paesi. >
83
Il concetto espresso da Amendola era molto importante, poiché sanciva
definitivamente l’assenza di un centro decisionale da cui partissero ordini o
direttive a cui ogni partito comunista avrebbe dovuto uniformarsi, con la
conseguenza che dovesse essere rispettata l’autonomia e l’indipendenza di ciascun
partito nazionale che doveva essere l’unico vero interprete di ciò che fosse giusto
o sbagliato per il proprio popolo.
Questo concetto, figlio di quella evoluzione politica e culturale che ebbe luogo nel
PCI in seguito ai già citati fatti di Praga del ’68, sarebbe stato riaffermato dai
comunisti italiani ogniqualvolta fossero emerse forti differenze di punti di vista tra
partiti nazionali in seno all’Internazionale comunista.
Nel suo discorso al convegno di Londra, Amendola si limitò a prendere atto delle
posizioni espresse dai comunisti britannici senza peraltro esporre quello che era il
suo punto di vista sull’allargamento.
84
In un dibattito sull’integrazione europea promosso dall’istituto di studi
parlamentari a Roma nel febbraio 1971, Amendola ebbe modo di precisare con
estrema chiarezza la posizione del PCI: < circa l’avvenire della CEE Amendola ha
detto che è condizionato dallo sviluppo del processo di distensione in Europa e
dalla capacità della Comunità di allargarsi anche ai paesi neutrali e, quindi,
all’intero continente, realizzando una un’unità europea che sia veramente tale. >
85
Amendola dunque non fece altro se non confermare la linea politica del PCI, ce
voleva veder realizzata un’unità europea che fosse < veramente tale > e che
abbracciasse tutti i Paesi d’Europa: in questa concezione emerse ancora una volta
il rifiuto della divisione del continente e della conseguente < piccola Europa >,
rappresentata da una Comunità europea destinata al fallimento storico se non
avesse saputo porsi l’obiettivo di unire tutto il continente.
Nel corso del dibattito vi furono forti pressioni dei parlamentari democristiani per
< richiedere una sorta di adesione incondizionata dei comunisti al processo di
integrazione >
86
; da una simile richiesta i comunisti dedussero che per i
democristiani < l’integrazione europea appare come un processo che dovrebbe
stare al di là del bene e del male, cioè degli interessi delle classi sociali. >
87
I comunisti non potevano avere nei confronti del processo di integrazione questa
concezione < al di là del bene e del male > che portasse necessariamente ad una
< adesione incondizionata >; occorreva innanzi tutto precisare che, in una ottica
83
s.f., Intervento alla Conferenza dei PC occidentali, in “l’Unità”, 13 gennaio 1971
84
Ibidem.
85
s.f., L’istituto di studi parlamentari a Roma ha ospitato giovedì sera un dibattito sull’integrazione
europea, in “l’Unità”, 20 febbraio 1971
86
Ibidem.
87
Ibidem.
13
classista, < una cosa è trasferire in Germania 10 miliardi e un’altra mandarvi mille
emigranti: il capitalista italiano possessore di quei 10 miliardi si trova benissimo,
gli emigranti invece molto male. >
88
Da questa constatazione risultava chiaro, secondo i comunisti, il motivo per cui
mancava al processo di integrazione l’appoggio popolare; del resto, per quanto
riguardava la questione dell’allargamento, questa non avrebbe minimamente
inciso sulla discriminazione classista che stava alla base del modello economico
europeo, e quindi non era da considerarsi questione determinante per una lotta da
condurre nel senso di una trasformazione della Comunità.
In ogni caso il governo italiano era deciso ad andare avanti sulle questioni
europeiste con o senza la < adesione incondizionata dei comunisti >; la visita di
Emilio Colombo e Aldo Moro a Bonn servì proprio a fare il punto
sull’allargamento della CEE e a ribadire l’impegno dell’Italia per favorire
l’adesione britannica.
89
Nel corso degli incontri italo-tedeschi il cancelliere Brandt sottolineò che < un
fallimento delle trattative per l’ingresso della Gran Bretagna nel MEC
indebolirebbe la forza contrattuale dell’Europa occidentale nelle trattative con
l’Est. >
90
Brandt riteneva effettivamente che, quanto più grande fosse stata la Comunità
europea, tanto maggiore sarebbe stato il peso politico di questa, con la
conseguenza di una maggiore autonomia dagli Stati Uniti e di un maggior margine
di manovra nelle trattative con i Paesi dell’Est.
La delegazione italiana si mostrò accondiscendente sulla Ostpolitik del cancelliere
tedesco e precisò che tale politica doveva < diventare non tanto la politica della
Germania Federale quanto quella della cosiddetta Europa unita >
91
: in tale
affermazione vi era una convergenza e una identità di vedute pressoché totale fra
il governo democristiano e l’opposizione comunista.
Nel maggio 1971 il negoziato con la Gran Bretagna entrò nella sua fase decisiva:
fu dapprima sancito l’ingresso britannico nell’EURATOM
92
e poi fu chiaro che,
ad uno ad uno, stavano cadendo tutti < i maggiori ostacoli per la Gran Bretagna
nel MEC. >
93
La stampa ed il partito comunista italiano ritenevano che l’adesione britannica al
MEC fosse ormai cosa fatta e si ponevano inquietanti interrogativi sul ruolo che
quel Paese avrebbe giocato nell’Europa comunitaria: si trattava fondamentalmente
di capire se la Gran Bretagna, dato il suo legame privilegiato con gli Stati Uniti
d’America, potesse causare una < ulteriore atlantizzazione dell’Europa >
94
,
88
Ibidem.
89
s.f., La visita di Colombo e Moro a Bonn, in “l’Unità”, 3 aprile 1971
90
Ibidem.
91
Ibidem.
92
s.f., La Gran Bretagna entra nell’EURATOM, in “l’Unità”, 12 maggio 1971
93
s.f., Caduti i maggiori ostacoli per la GB nel MEC, in “l’Unità”, 14 maggio 1971
94
Ennio Polito, Londra e il MEC, in “l’Unità”, 23 maggio 1971
14
condannando così la Comunità europea alla subalternità nei confronti della
politica americana.
Pompidou condivideva il timore che l’adesione britannica alla CEE seppellisse
definitivamente il suo sogno di una Comunità autonoma e terzaforzista: in un
< serrato confronto >
95
all’Eliseo con il premier britannico Heath il presidente
francese volle sincerarsi delle prospettive future della Comunità che si sarebbero
aperte attraverso l’allargamento alla Gran Bretagna.
96
La questione dell’allargamento creava comunque forti dissensi anche e soprattutto
a Londra, dove un sondaggio avrebbe indicato che due inglesi su tre erano
nettamente contrari
97
; l’opposizione all’integrazione europea veniva soprattutto
dagli elettori di sinistra
98
e da un < partito laburista profondamente diviso >
99
, nel
quale, se da una parte Wilson continuava a ripetere < di essere favorevole
all’ingresso solo se saranno salvaguardati certi interessi essenziali
dell’Inghilterra >
100
, dall’altra invece montava una forte protesta di molti militanti
che si proclamavano contrari a priori.
Il negoziato andò comunque avanti nella direzione giusta e nel giro di un mese si
giunse all’accordo per l’ingresso britannico nel MEC, ferma restando la
preoccupazione francese sul < futuro europeo dell’Europa >
101
e i forti dubbi dei
comunisti italiani sulla politica internazionale della Gran Bretagna, che avrebbe
potuto portare la Comunità allargata a correre < il rischio di rifluire sulle posizioni
classiche dell’integrazione capitalistica a livello atlantico e quindi di
subordinazione agli Stati Uniti. >
102
Il ministro degli esteri Aldo Moro, con toni di soddisfazione, affermò che questa
nuova Europa avrebbe potuto < far sentire in modo efficace la sua voce, in un
contesto mondiale sempre più articolato e vario >
103
; interpretando le parole del
ministro, ai comunisti, ai quali interessava particolarmente che l’Europa allargata
perseguisse < una sua politica autonoma rispetto ai blocchi >
104
, non restò che
chiedere la < prova dei fatti >
105
, sottolineando però che tali < fatti, fino ad ora,
sono del tutto mancati. >
106
In un editoriale scritto su l’Unità del 25 giugno 1971, Sergio Segre, esperto di
politica internazionale, polemizzò indirettamente con il ministro Moro affermando
che < nulla vi sarebbe di più dannoso, in questa fase, dell’abbandono a semplici
95
s.f., Serrato confronto Pompidou-Heath, in “l’Unità”, 21 maggio 1971
96
Ibidem.
97
s.f., Polemiche a Londra sull’adesione al MEC, in “l’Unità”, 24 maggio 1971
98
Ibidem.
99
s.f., Londra- Divergenze sul valore degli accordi di Bruxelles, in “l’Unità”, 14 maggio 1971
100
Ibidem.
101
Antonio Bronda, Profonde divisioni in Inghilterra sull’ingresso nel mercato comune, in
“l’Unità”, 24 giugno 1971
102
Alberto Jacoviello, Europa allargata ma zoppicante, in “l’Unità”, 24 giugno 1971
103
Ibidem.
104
Ibidem.
105
Ibidem.
106
Ibidem.
15