peculiarità della situazione italiana, e cogliendone gli echi nel dibattito
dottrinale sviluppatosi nel nostro paese.
La seconda parte dell’elaborato è dedicata all’esame di alcune esperienze
concrete di partecipazione finanziaria in tre stati nazionali europei.
Come termini di paragone della situazione italiana abbiamo scelto il caso
francese e il caso inglese, che oltre a costituire due degli esempi più fecondi
in ambito europeo, offrono degli importanti spunti di riflessione sulla
situazione italiana.
La Francia è il paese in cui la partecipazione finanziaria dei lavoratori ha
radici più risalenti e consolidate. Gli istituti si sono sviluppati sul piano dei
diritti dei lavoratori, grazie al sostegno legislativo prestato alle rivendicazioni
sindacali.
In Inghilterra invece la partecipazione finanziaria si è sviluppata per iniziativa
quasi unilaterale dei datori che hanno saputo cogliere le positive implicazioni
dell’interessamento dei salariati. L’assetto attuale della materia è il risultato
della politica antisindacale svolta dai governi conservatori nel corso degli
anni ’80 e della precisa scelta di limitare le funzionalità della partecipazione
alla dimensione economica e retributiva, escludendo veementemente ogni
ingerenza dei lavoratori nella gestione dell’impresa.
Infine rivolgeremo lo sguardo alla situazione italiana con i suoi fallimenti e i
suoi spunti di vitalità.
Cercheremo di rendere conto delle scelte e degli ostacoli che hanno impedito
di dare attuazione al disegno partecipativo prospettato dagli articoli 46 e 47
della nostra carta costituzionale, e analizzeremo gli strumenti legislativi di cui
le parti oggi dispongono per realizzare schemi di partecipazione azionaria.
Ci soffermeremo in particolare sull’inadeguatezza di tali strumenti alla
realizzazione di una vera democrazia economica, e ne prenderemo lo spunto
necessario per accennare al dibattito de iure condendo che negli ultimi anni
ha riguardato la materia, dibattito culminato con le presentazione di un
progetto di legge del quale approfondiremo i tratti essenziali.
VI
L’ultima parte dell’elaborato sarà invece dedicata al dibattito comunitario, e
agli intensi sforzi da parte delle istituzioni di promuovere il coinvolgimento,
anche finanziario, dei lavoratori nell’impresa. In questa prospettiva
presteremo particolare attenzione al contesto nel quale il tema
dell’azionariato è stato trattato, e alle difficoltà di ricavare una sede autonoma
per lo sviluppo della materia, che di volta in volta è stata ricondotta
nell’ambito delle politiche sociali, retributive, macroeconomiche ecc.
Infine non potremo che rendere conto della sproporzione tra gli sforzi e i
mezzi impiegati, e i risultati raggiunti; e della decisione degli organi
comunitari di non intervenire direttamente sulla materia, ma di mettersi al
servizio delle parti sociali e della loro autonomia, fornendo studi e
promuovendo lo scambio di informazioni nell’assunto che gli istituiti di
partecipazione finanziaria non possono essere imposti dall’alto ma devono
nascere da una esigenza comune alle parti di superare il conflitto sociale
nell’ottica della collaborazione, dell’integrazione e della valorizzazione del
capitale umano.
VII
- Parte prima -
PERCHÉ LA PARTECIPAZIONE FINANZIARIA
1 CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
Il tema della partecipazione dei lavoratori all’impresa sta acquistando un
ruolo determinante anche nei sistemi di relazioni industriali, come quello
italiano, fondati sul protagonismo delle organizzazioni sindacali, e sulla
contrattazione collettiva come strumento oppositivo, come «contraltare del
potere datoriale»
1
.
Ciò perché la contrattazione collettiva è in crisi ovunque, e anche in Italia i
sindacati vedono ormai messa in discussione l’esclusività della loro azione
rappresentativa, «la storica pretesa di costituire l’unico o il prevalente canale
di comunicazione tra impresa e collettività dei lavoratori»
2
.
Sullo sfondo vi è la trasformazione dell’organizzazione del lavoro
nell’impresa post fordista, il bisogno di un diritto del lavoro più flessibile e, più
in generale, il bisogno di cooperazione attiva del lavoratore e di adesione ad
obiettivo flessibili, «tutti elementi che favoriscono formule partecipative,
anziché disgiuntive, di amministrazione dei rapporti di lavoro e rendono meno
desiderabile la produzione di uniformità normative, che era e resta il terreno
tradizionale dell’intervento negoziale del sindacato a livello dell’impresa»
3
.
La globalizzazione ha ridotto il “senso di estraneità” tra lavoratori e datori di
lavoro perché li costringe a collaborare in nome della competizione. Li
1
BALLESTRERO, Diritto sindacale, Giappichelli, Torino 2003, p. 118.
2
D’ANTONA, Partecipazione, codeterminazione, contrattazione: (temi per un diritto sindacale
possibile), in RGL, 1992, p. 137.
3
Ibidem, p. 138.
1
costringe a condividere l’obiettivo della loro azione quotidiana: il profitto
diventa semplicemente «l’altra faccia della retribuzione»
4
.
Affermare la crisi della contrattazione collettiva non significa però
preconizzare la crisi del sindacato; significa piuttosto indicare nella
concorrenza di modelli regolativi diversi e di forme nuove di azione collettiva,
la più severa sfida che sta davanti ai sindacati.
Se vorrà giocare un ruolo da protagonista nelle trasformazioni in atto, il
sindacato dovrà essere in grado di ridiscutere profondamente il suo ruolo per
dimostrarsi capace di coniugare le posizioni assunte a livello delle politiche
concertative di più ampio respiro con le scelte adottate nell’ambito delle
singole imprese. Dovrà mostrarsi in grado di creare, contrattare e anche
strutturare le condizioni favorevoli per l’assunzione di responsabilità
partecipative (sia a livello strategico che operativo) da parte dei lavoratori
nelle diverse istituzioni della vita economica e sociale; e soprattutto dovrà
allargare gli ambiti di rappresentanza, cogliendo con intelligenza e duttilità il
senso delle trasformazioni in atto
5
.
L’ultima parte del Libro Bianco sul Welfare di MARCO BIAGI è dedicata alla
prospettiva di una “democrazia economica”: «non l’utopia dottrinaria, tipica di
un documento pregevole ma destinato all’inutilità. Ma lo sbocco necessario di
una società sempre più libera, dinamica e flessibile»
6
.
Scriveva BIAGI: «l’esperienza comparata insegna che i sistemi di relazioni
industriali più partecipativi riescono a conferire maggiore competitività al
sistema produttivo […] si ottengono risultati incoraggianti sul piano del
miglioramento dell’efficienza organizzativa, riducendo le resistenze alle
innovazioni tecnologiche, supportando le decisioni manageriali con una
4
ZILIO GRANDI, La retribuzione. Fonti struttura funzioni, Jovene Editore, Napoli 1996, p. 291;
p. 308 ss.
5
Cfr.: B. MANGHI, Sindacalismo oggi, in Aggiornamenti sociali, 2000, p.1.
6
ARTONI, Le tesi dei giovani imprenditori. Relazione del Presidente, Capri 2002, p. 2.
Reperibile in www.giovaniimprenditori.org .
2
maggiore legittimazione e coinvolgendo i rappresentanti dei lavoratori in una
logica di confronto»
7
.
Ed è probabilmente questo l’aspetto più innovativo del Libro Bianco, e allo
stesso tempo più “temibile” per chi ancor oggi predica lo scontro sociale, la
lotta di classe.
Se l’esperienza ha dimostrato che non vi è necessariamente antagonismo tra
partecipazione e contrattazione collettiva, non bisogna però dimenticare
“l’ineliminabile tensione” che corre tra i due termini: sinonimo di integrazione
il primo, di autonomia il secondo. «Partecipare significa riconoscere
l’esistenza nell’impresa di aree o materie sulle quali vi è, non distinzione, ma
comunanza di interessi; la partecipazione implica sempre una limitazione
dell’autonomia delle parti»
8
.
1.1 Alcune distinzioni preliminari
Finora abbiamo parlato indifferenziatamente di partecipazione dei lavoratori,
e abbiamo cercato di sgomberare il campo da alcuni equivoci circa i rapporti
tra partecipazione e contrattazione collettiva.
Ora è necessario procedere ad alcune fondamentali distinzioni che ci
permettono di individuare meglio l’oggetto della nostra analisi.
Definita la partecipazione in generale come l’insieme degli istituti e delle
pratiche con i quali le parti superano la «soglia dello scambio» convenuto tra
offerta e impiego di lavoro, perché riconoscono che sussistono «obiettivi
comuni condivisibili, in primis quello della solidità competitiva dell’impresa e
7
BIAGI - BLANPAIN, Diritto del lavoro e relazioni industriali nei paesi industrializzati ed
economia di mercato. Profili comparati, Maggioli 1991, p. 577.
8
D’ANTONA, Op. cit., p. 138.
3
quello del rispetto e della valorizzazione del lavoro»
9
, è doveroso proseguire
con una «summa divisio»
10
tra le diverse forme di partecipazione.
La distinzione è quella tra partecipazione alla regola, alla decisione, alla
gestione (il cui paradigma è il sistema tedesco della Mitbestimmung) e
partecipazione reddito, al guadagno, alla proprietà o al patrimonio
dell’impresa. In una parola alla sua economia.
Alla distinzione tra partecipazione alle decisioni e partecipazione
all’economia dell’impresa si collega la distinzione più ampia tra democrazia
industriale e democrazia economica
11
.
Anche all’interno della partecipazione economica, è poi necessario
procedere a una suddivisione tra tre forme: partecipazione agli utili o al
profitto, partecipazione ai risultai d’impresa su base azionaria e
partecipazione azionaria alla proprietà dell’impresa.
La distinzione tra le prima forma e le altre due è piuttosto semplice: la prima
(espressamente prevista anche dall’art. 2099 cod. civ.) consiste in una
semplice ripartizione tra imprenditore e lavoratori del profitto di impresa –
calcolato secondo i parametri di produttività o redditività- e realizza una
forma di salario variabile che, pur trasferendo in capo ai dipendenti una parte
dei rischi dell’impresa, «non altera la causa tipica del contratto di lavoro
subordinato»
12
, consistente nel «rapporto sinallagmatico tra prestazione di
lavoro e retribuzione»
13
.
9
BAGLIONI – CASTRO – FIGURATI, NAPOLI - PAPARELLA, Oltre la soglia dello scambio, La
partecipazione dei lavoratori nell’impresa: idee e proposte, CESOS, Roma 2000, p. 6.
10
Il termine è di PEDRAZZOLI, Partecipazione, costituzione economica e art. 46 della
costituzione. Chiose e distinzioni sul declino di un’idea, in RIDL, 2005, I, p. 429.
11
D’ANTONA, voce Partecipazione dei lavoratori alla economia delle imprese, in Enciclopedia
Giuridica Treccani, Roma 1990.
12
ALAIMO, La partecipazione azionaria dei lavoratori, Giuffrè, Milano 1998, p. 169.
13
Ibidem.
4
Il fenomeno è in crescita in tutta Europa
14
, e si inserisce in quel processo di
evoluzione dei sistemi retributivi reso necessario dalla competizione sempre
più serrata con il capitalismo statunitense e giapponese
15
.
L’azionariato dei dipendenti invece implica una «vera e propria adesione del
lavoratore al capitale di rischio»
16
, sia tramite l’accesso diretto alla proprietà
dell’azienda, sia tramite la partecipazione indiretta ai risultati economici sotto
forma di dividendi e di apprezzamento del capitale sociale sottoscritto, il cui
valore si determina secondo l’andamento economico e produttivo
dell’impresa.
Sono poi sempre possibili forme miste di partecipazione agli utili che si
realizzano tramite la cessione di quote azionarie.
14
si veda infra per quanto riguarda la Francia, il sistema dell’Interéssement (§ 1.2.1.1); per
l’Inghilterra i Profit Related Pay (§ 2.2.1); e per l’Italia i Premi di produttività, qualità ed
efficienza.
15
Cfr., tra gli altri: ANTUNES, Addio al lavoro? Metamorfosi del mondo del lavoro nell’età della
globalizzazione, BFS edizioni, Pisa 2002, p. 56; DORE, Bisogna prendere il Giappone sul
serio, il Mulino, Bologna 1992, p. 103 ss;
Nonostante la sua apparente necessità, il fenomeno è stato spesso criticato dalla dottrina
giuslavoristica: si è infatti osservato che questa forma partecipativa, per come è solitamente
strutturata, contiene svariati effetti positivi per le imprese che la utilizzano, ma non sempre
altrettanti per i lavoratori: «Infatti, rendendo flessibile la quantità di salario erogata alle
prestazioni di mercato dell’impresa, permette di assorbire meglio eventuali turbolenze della
vita economica; però, se è vero che quando l’impresa registra successi anche i dipendenti
otterranno benefici, in caso contrario potrebbero non gradire molto questa forma di
remunerazione che li penalizzerebbe in caso di esiti negativi».
In più, alcuni parametri utilizzati sono piuttosto complessi, e il dipendente si trova pertanto
nella situazione di dover far dipendere il proprio stipendio da meccanismi che non
comprende fino in fondo. «Sarà perciò compito dei dirigenti d’impresa, soprattutto se il fine
auspicato con questo tipo di partecipazione è il coinvolgimento e l’incentivazione dei
dipendenti, rendere gli indicatori che desiderano utilizzare più comprensibili, e far sì che i
meccanismi siano più trasparenti, ossia che il lavoratore riesca a controllare l’effettiva
correlazione tra i risultati economici dell’impresa e il salario percepito». LIBBRA, Obiettivi e
ragioni socio-economiche a favore della partecipazione finanziaria, Fondazione Marco Biagi,
Modena 2003, p. 2.
16
UVALIC, La partecipazione finanziaria dei lavoratori nel paesi membri della Comunità
Economica Europea, in PL, n. 14, 1991, p. 5.
5
Nel caso di azionariato dei lavoratori quindi non si è più di fronte a una
semplice forma di retribuzione variabile, ma si arriva a una «effettiva
variazione del consueto assetto del rapporto di lavoro subordinato, attraverso
una traslazione sul dipendente di una serie di rischi tipici dell’imprenditore»
17
;
infatti il lavoratore è chiamato a sopportare le variazioni del valore dei titoli
potendo anche subire delle perdite.
Il coinvolgimento del dipendente azionista è quindi duplice: sia reddituale che
patrimoniale. Reddituale in relazione ai dividendi delle azioni possedute,
patrimoniale in relazione al valore delle azioni.
Decisamente più complessa è la distinzione tra le due forme di azionariato
dei dipendenti.
La prima, la partecipazione finanziaria con obiettivi distributivi, secondo la
definizione di BAGLIONI
18
, ha la peculiarità di realizzare «un’elevata
partecipazione economica accompagnata da una scarsissima partecipazione
decisionale»
19
. Ciò si realizza solitamente attraverso l’attribuzione ai
dipendenti di azioni prive del diritto di voto o comunque attraverso la
sterilizzazione o il controllo dei diritti di voto spettanti ai dipendenti. Questa
forma partecipativa è tipica dei paesi anglosassoni, in cui assume la forma
tecnica dell’ESOP (Empoloyee Share Ownership Plan)
20
, ma ha preso piede
17
IZAR, L’azionariato dei dipendenti tra diritto del lavoro e diritto societario, in IZAR, La
partecipazione azionaria dei dipendenti, Giappichelli, Torino 2003, p. 148.
18
Cfr.: BAGLIONI – CASTRO – FIGURATI, NAPOLI - PAPARELLA Oltre la soglia dello scambio, La
partecipazione dei lavoratori nell’impresa: idee e proposte, CESOS, Roma 2000.
19
BRUNETTA, L’economia della partecipazione. Definizioni, modelli teorici, applicazioni,
legislazione comunitaria e italiana, Free Foundation for Research on European Economy,
2002, reperibile in www.freefoundation.com .
20
Gli ESOPs vengono posti in essere solitamente a scopo previdenziale ed operano
attraverso la costituzione di una fiduciaria (trust). Il trust contrae un prestito e utilizza i fondi
così ottenuti per acquistare azioni della società datrice di lavoro. Le azioni rimangono
depositate presso il trust che le detiene e le gestisce collettivamente. L’impresa datrice versa
periodicamente al trust le somme necessarie all’estinzione del prestito contratto. Man mano
che il debito si estingue le azioni vengono assegnate gratuitamente ai dipendenti. Invece per
tutto il periodo in cui le azioni rimangono depositate presso il trust il diritto di voto spetta ai
6
anche in Francia, dove l’actionnariat mediato da fondi di gestione comune
può essere il prodotto del sistema obbligatorio di participation, o della
costituzione volontaria di plans d’épargne d’entreprise, alimentati da
versamenti dei lavoratori e dell’impresa (vedi infra, § 1.2.2).
Al di fuori dell’esperienza anglosassone questa forma di partecipazione si
caratterizza per realizzare un coinvolgimento dei lavoratori uti singuli anziché
come categoria, ed è mal vista dalle organizzazioni sindacali
21
.
La seconda forma di partecipazione azionaria invece, ossia la partecipazione
finanziaria per influenza strategica
22
, tende a far sì che i lavoratori possano
influire sulle decisioni aziendali a livello tattico o addirittura strategico.
L’istituto attraverso cui si realizza questa forma partecipativa è la proprietà di
quote rilevanti del capitale di rischio dell’impresa, unito alla disponibilità dei
diritti di voto ad essa connessi. In casi estremi può arrivare anche al controllo
dell’impresa da parte dei dipendenti.
Tale influenza determinante può esplicitarsi tramite l’esercizio diretto da parte
dei lavoratori dei diritti di loro spettanti, oppure tramite l’elezione di
gestori del fondo (trustees) nominati dagli amministratori della società o di comune accordo
tra questi e i lavoratori o i loro rappresentanti.
È però possibile, anche se più raro, che i lavoratori indirizzino e vincolino il trustee circa
l’esercizio del diritto di voto, similmente a quanto accada nei c.d. ESOPS democratici di
matrice USA. Il sistema è il seguente: i lavoratori effettuano una votazione interna e poi il
trustee si impegna a rispettare gli indirizzi così emersi. In questo modo l’ESOP realizza (in
via mediata) l’influenza dei lavoratori sulle scelte relative alla gestione dell’impresa (cfr.:
FERRANTE, Forme e finalità dell’azionariato dei dipendenti nell’ordinamento italiano e
nell’esperienza comparata, in Jus, 2000, II p. 245-290).
Rileva IMBERTI (Il sistema Inglese, in IZAR (a cura di), La partecipazione azionaria dei
dipendenti, G. Giappichelli Editore, Torino 2003, p. 25, che questa forma di partecipazione
ha incontrato il favore dei sindacati. Per esempio il Transport and General Workers’ Union
(uno dei maggiori sindacati inglesi) ha promosso, nelle aziende in cui è presente,
l’introduzione di questo tipo di ESOPs “democratici”, utilizzando l’Unity Trust Bank (istituto di
credito di proprietà delle organizzazioni sindacali).
21
Cfr.: GUAGLIANONE, Individuale e collettivo nell’azionariato dei dipendenti, Giappichelli,
Torino 2003, p. 117 ss.
22
Ci riferiamo ancora alla classificazione di BAGLIONI citata in nota 18.
7
rappresentanti dei lavoratori negli organi di direzione e controllo della
società
23
.
1.2 La partecipazione finanziaria
Questo elaborato si occupa della partecipazione finanziaria, definibile come
«l’accesso collettivo dei lavoratori al capitale»
24
dell’impresa per cui lavorano.
Accesso che si attua nella pratica attraverso le differenti modalità che ci
apprestiamo ad analizzare.
Per ora è necessario premettere che la partecipazione finanziaria è in sé
alquanto sfaccettata e comprende istituti talmente eterogenei per modalità
operative e finalità perseguite che molti da parte di molti autori è stato
avanzato il dubbio che forse è addirittura scorretto parlare di partecipazione
finanziaria tout court
25
.
In realtà lo stesso termine partecipazione finanziaria è al centro di numerosi
equivoci ed si trova utilizzato in dottrina con accezioni tra loro antitetiche: a
volte è utilizzato in contrapposizione alla partecipazione economica,
intendendo che la prima soddisfa solamente l’interesse materiale del
lavoratore, caratterizzandosi quindi per una finalità meramente distributiva,
mentre la seconda realizza anche interessi ulteriori del lavoratore e si
23
Per una critica approfondita delle implicazioni corrispondenti alle diverse possibilità citate
vedi BAGLIONI, Democrazia impossibile? I modelli collaborativi nell’impresa: il difficile
cammino della partecipazione tra democrazia ed efficienza, Il Mulino, Bologna 1995, in
particolare p. 69-71 e 191-196.
24
BAGLIONI, Partecipazione finanziaria e azionariato dei dipendenti, in L’impresa al plurale.
Quaderni della partecipazione, 2001, n.7-8, p.59.
25
«It is clear that there is considerable heterogeneity of participation “constellation“ within
financial participation. Profit sharing is very different from employee stock plans. There are
clear differences between subtypes of employee stock plans. […] More radically is open the
question whether the term “financial participation” should be used to group together these
instruments: the differences may outweigh the similarities». E. POUSTMA –P. KALMI – A. D.
PENDLETON, The Relationship between Financial Participation and Other Forms of Employee
Participation: New Survey Evidence from Europe, in Economic and Industrial Democracy,
2006, vol.27, n.4, p. 662.
8
caratterizza per una naturale tendenza a sfociare nella partecipazione
decisionale
26
. Altre volte con il termine si fa riferimento tanto alla
partecipazione azionaria che alla partecipazione agli utili, indipendentemente
dalle finalità che esse si propongono nel caso concreto
27
Di seguito ci riferiremo alla partecipazione finanziaria intendendola
principalmente nell’accezione di partecipazione azionaria, intendendo la
partecipazione dei lavoratori al capitale di rischio delle imprese come
l’espressione più tipica della partecipazione finanziaria.
L’azionariato dei lavoratori è infatti la forma partecipativa più completa e allo
stesso tempo la più problematica. È completa in quanto ricomprende in sé i
semi della partecipazione economica e di quella decisionale; e perché
combina finalità distributive e di influenza sui processi decisionali
28
. È
problematica perché porta a ridiscutere i ruoli degli attori dell’economia
capitalistica, creando una nuova relazione tra capitale e lavoro.
In proposito è stato osservato che in realtà oggi sono gli stessi termini
capitale e lavoro ad essere in discussione; non solo nei loro rapporti, ma
anche nella loro essenza: mentre infatti il lavoro vede moltiplicare i propri
26
In questo senso, tra gli altri, BAGLIONI, ex plurimis, Op. ult cit..
27
In questo senso, tra gli altri, D’ANTONA, Op. ult cit; PEDRAZZOLI, Op. ult. cit..
28
La tesi che sosteniamo incontra molte opposizioni in dottrina, in particolare rileva
PEDRAZZOLI: «qui coesistono eccezionalmente entrambi i tipi della summa divisio» ma le
due dimensioni «restano fondamentalmente distinte». «Se i lavoratori […] ottengono di
acquisire il reddito (tutto o prevalente), o la proprietà (tutta o prevalente) dell’impresa, o di
determinare (in tutto o i prevalenza) la regola o la decisione, si entra in evenienze diverse
dalla partecipazione: si entra ad esempio nella socializzazione, nell’autodeterminazione, o
nell’autogestione». Cfr.: Op. ult. cit., p. 433.
9
statuti
29
, il capitale «si socializza, si diffonde e si istituzionalizza in nuovi attori
economici»
30
.
Il culmine di questo processo, da alcuni considerato necessario
31
, rende
evidente l’impossibilità di riferirsi a una partecipazione finanziaria disgiunta
dalla partecipazione alla gestione.
La partecipazione dei lavoratori «tanto nell’impresa attraverso il loro
responsabile coinvolgimento decisionale e operativo; quanto all’impresa
attraverso il concorso alla definizione del suo dover essere ed ei suoi
obbiettivi generali»
32
si presenta come un prisma che ha molte sfaccettature,
ma pur sempre un solo corpo. E questo corpo dev’essere proprio costituito
dalla partecipazione azionaria, perché l’azionariato è l’espressione della
partecipazione in cui la reductio ad unum delle varie forme partecipative si fa
manifesta.
Anche BAGLIONI ha evidenziato il ruolo di «collante» che l’azionariato dei
lavoratori può svolgere rispetto agli altri momenti partecipativi; fungendo da
ponte tra aspetti micro e macro economici, e tra interessi individuali e
collettivi
33
.
29
Cfr. tra gli altri: NAPOLI, Dallo statuto dei lavoratori allo statuto dei lavori, in ID., Lavoro,
diritto, mutamento sociale, Giappichelli, Torino 2002. Si vedano inoltre le proposte avanzate
nel 1998 da Marco Biagi e Michele Tiraboschi per un disegno di legge che realizzasse uno
“Statuto dei lavori” (RDL, 1999, I, pp. 282 ss), o la decisa presa di posizione di Santoro
Passarelli di intitolare il suo manuale didattico “Diritto dei lavori ” (Giappichelli, 2004).
30
CASELLI, Nuovi scenari per lo sviluppo e la partecipazione, in L’impresa al plurale.
Quaderni della partecipazione, 2001, n. 7-8, p. 42.
31
«Il processo di riorganizzazione delle imprese che ha caratterizzato l’ultimo ventennio,
attraverso sempre nuove tecnologie e mercati internazionali, ha prodotto sicuramente una
moltiplicazione delle opportunità, ma anche dei rischi, cosa che ha portato a chiedersi se
non si potesse risolvere la questione attraverso una ridefinizione della soggettività
dell’impresa, non più delegabile alla sola figura dell’imprenditore, e ha portato alcuni
manager ad optare per la partecipazione nella ricerca di ammortizzare i rischi d’impresa cui
erano sottoposti». LIBBRA, Op. cit., p. 6.
32
CASELLI, Op. cit., p. 42.
33
Cfr.: BAGLIONI, La partecipazione al tempo della globalizzazione, in L’impresa al plurale.
Quaderni della partecipazione, 2000, n. 5; ID, Democrazia impossibile? I modelli collaborativi
10