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opera di chiarificazione terminologica e concettuale, ma anche per commentare ed
interpretare i risultati concreti delle scienze empiriche. Il mutamento di prospettiva e
la rottura rispetto all’ispirazione originaria della “svolta linguistica” sono stati stato
espressi con chiarezza da Dennett stesso, che in un intervento recente
2
rivendica
l’importanza del livello empirico accanto a quello concettuale, senza risparmiare
critiche al proprio maestro: “Ryle notoriously claimed to identify ‘category mistakes’
by appeal to the ‘logic’ of exixtence claims, but let’s face it: that was a bluff ”
3
. La
filosofia non può, secondo i difensori della posizione naturalista, limitarsi ad essere a
priori: deve “sporcarsi le mani” con i dati empirici e porsi in continuità con la
scienza.
A Content and Consciousness fanno seguito Brainstorms (1978), The Intentional
Stance (1987) e Consciousness Explained (1991), che illustrano il progressivo
affinarsi della teoria dennettiana, incentrata sui due poli della coscienza e
dell’intenzionalità. La prima è frammentata spazio-temporalmente in una serie di
programmi e sottoprogrammi implementati dal cervello che lavorano in parallelo. Il
Sé è concepito come una sorta di interfaccia narrativa che lavora in serie, tessendo
la trama di un racconto capace di dare identità al macchinario che lo sviluppa: noi.
L’intenzionalità viene riconcettualizzata da Dennett come una strategia adattiva di
attribuzione di razionalità, funzionale alla previsione del comportamento degli esseri
– umani e non – che ci circondano.
Nella teoria dennettiana tutte le attività coscienti possono (e devono) essere studiate
dalla prospettiva in terza persona
4
e al termine dell’analisi non rimane alcun “residuo
insolubile”, soggettivo e ineffabile
5
, che sfugga alle lenti della scienza.
2
Dennett, D.C., “Philosophy as Naïve Anthropology”, lettura tenuta durante un incontro dell’
American Philosophical Association Eastern Division nel dicembre 2005. Si tratta di un commento a
Bennett, M.R.- Hacker P.M.S., Philosophical Foundations of the Neuroscience, Blackwell, Oxford
2003. Oltre a rivolgere critiche alle neuroscienze, nel volume i due autori contestano la posizione di
quanti, tra i filosofi contemporanei (i loro obiettivi polemici sono, in particolare, Dennett e Searle),
attribuiscono alla filosofia un ruolo ancillare rispetto alla scienza. Essi rivendicano uno spazio
specifico all’indagine filosofica, intesa come disciplina a priori inaccessibile ai risultati delle singole
scienze. Su posizioni wittgensteiniane, Hacker intende rappresentare l’ala rimasta più fedele allo
spirito del Linguistic turn.
3
“Come è noto Ryle pretendeva di identificare gli ‘errori categoriali’ appellandosi alla ‘logica’ delle
affermazioni di esistenza, ma ammettiamolo: si trattava di un bluff” (trad. mia)
4
Heterophenomenology è il nome che Dennett dà al metodo di indagine che consente di rendere
interoggettivi i resoconti introspettivi attraverso lo studio dei resoconti verbali che i soggetti fanno dei
propri stati mentali privati.
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A completare quello che nel tempo è diventato un vero e proprio sistema filosofico,
Dennett ha sviluppato parallelamente la terza colonna della sua riflessione sul
mentale: il tema del libero arbitrio.
Per utilizzare un’espressione di Ryle, Elbow Room è un’ “intensa analisi a colpi di
accetta” (Ryle 1970; cit. in Dennett,1984, p. VII) intesa a sciogliere il nodo gordiano
filosofico del libero arbitrio, a prima vista tanto prestigioso quanto insolubile –
almeno con gli attrezzi concettuali spuntati della metafisica tradizionale. Dennett
abbozza una concezione naturalizzata della libertà, compatibile con le conquiste
della scienza e nel contempo desiderabile da un agente che voglia ritenersi
responsabile. Da valente filosofo-scultore quale è, Dennett sgrossa il blocco
marmoreo della questione, sbarazzandosi a colpi di affilata – e ben argomentata –
ironia di alcuni approcci filosofici inveterati, ma sistematicamente fuorvianti, al
problema del libero arbitrio. Una volta condotta a termine con successo l’operazione,
comincia a prendere corpo una forma di libero arbitrio biologically correct : alla
lusinghiera ma impossibile libertà come proprietà di un’anima incorporea, e alla
possibile ma inutile libertà come indeterminazione, si sostituisce la libertà come
calcolo finito delle possibilità di un essere senziente. Una libertà dal sapore
hobbesiano, ma dal volto umano, cucita su misura dall’evoluzione addosso agli
uomini e capace di fondarne la vita in società.
Dennett ritaglia così uno “spazio di manovra” (elbow room, in inglese) per gli esseri
umani in un universo deterministico. Non vuole offrire ai suoi lettori, specialisti e
non, un contributo perfetto ma frammentario; egli concepisce piuttosto il lavoro
filosofico alla stregua di una scultura completa in ogni sua parte, non un raffinato
cammeo di pensiero simile ad un blocco marmoreo da cui spunta una mano di
squisita fattura, ma dove non rimane posto per il gomito (room for the elbow)
6
. Fuori
di metafora, ciò significa che Dennett non mira ad esaminare con rigore un singolo
aspetto del vastissimo problema, ambisce invece a tracciare le linee principali di un
tipo di libertà a tutto tondo, che mantiene quanto vi è di utile nella visione
5
Si fa qui riferimento alla nozione problematica di quale, oggetto di acceso dibattito tra i filosofi della
mente. Thomas Nagel è tra i più noti difensori del “residuo insolubile”. Per un brevissimo accenno
alla sua posizione, sotto questo punto di vista antitetica rispetto a quella di Dennett, vedere infra, nota
3, p. 15.
6
La metafora è introdotta nel primo capitolo di Elbow Room, pp. 1-19. Dalle stesse pagine sono tratte
le citazioni riportate nella Presentazione senza ulteriori indicazioni.
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tradizionale e si accorda con – e completa – la visione scientifica del mondo. Per far
ciò è necessario soffermarsi proprio su quegli aspetti del problema trascurati o
liquidati in breve dalla maggior parte degli autori: to go slow where others go fast,
analizzare con attenzione le opinioni e le metafore più diffuse.
Osservato in prospettiva, il lavoro del 1984 assume il valore di un progetto pilota, i
cui “pagherò” sono saldati a distanza di diciannove anni dal secondo e più ponderoso
lavoro di Dennett sulla libertà
7
, Freedom Evolves (2003). In esso il filosofo riprende
ed argomenta più distesamente le tesi esposte per sommi capi in Elbow Room e
rimaste, nella sostanza, inalterate. Lo sfondo ontologico dichiaratamente ammesso è
quello rappresentato dal mondo oggettivo, materialistico, impersonale delle scienze
fisiche, a partire dal quale Dennett traccia una genealogia della libertà che la riporta
dai cieli incorruttibili della metafisica, dove si librava in compagnia di anime
immortali e menti disincarnate, al mondo multiforme e cangiante della fisica e della
biologia, interpretato alla luce della teoria darwiniana dell’evoluzione. Come
prodotto del nostro cervello, a sua volta modellato dal plurimillenario processo
evolutivo, la libertà umana è più giovane della nostra specie ed evolve come ogni
altra caratteristica della biosfera. Essa è reale, ma non indipendente dalla nostra
esistenza, come lo è la legge di gravità. È reale in quanto è l’idea che fa da sfondo e
conferisce senso alle nostre azioni. Solo qualcosa che possiede una mente può essere
un candidato a sviluppare un simile concetto rivoluzionario, e questo qualcosa deve
vivere in società con altri simili, perché possa avviarsi quel processo di negoziazione
che trasforma tanti cervelli in tante menti, tanti agenti razionali in altrettanti agenti
liberi. L’idea della libertà è la strategia che ci rende soggetti responsabili – persone,
per usare la terminologia di Strawson (1982) – e in quanto tali capaci di controllo e
autocontrollo. È l’idea in nome della quale affrontiamo le scelte quotidiane, sotto il
cui vessillo assolviamo o condanniamo i nostri simili e noi stessi. Un meccanismo
per regolare la condotta e niente di più, dunque? Proprio così. In un’ottica
schiettamente utilitaristica, la libertà naturale di Dennett aumenta il benessere dei
suoi portatori, fa di noi ciò che siamo: esseri coscienti e autocoscienti che vivono in
società complesse. Meravigliose macchine biologiche capaci di stupirsi, dolersi e
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Non si considerano qui i contributi in forma di articoli, recensioni ed altro via via pubblicati da
Dennett, di cui pure si terrà conto nel corso del presente lavoro.
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rallegrarsi per decisioni di cui hanno scelto di addossarci la responsabilità. “Niente di
più”? Non si può negare che la tradizione assegni al libero arbitrio delle proprietà che
difettano alla versione proposta da Dennett, il quale, interrogato in merito, ribatte
serenamente:
“Tanto peggio per la tradizione”
(Dennett, 2004, p.301).
Il contributo di Dennett è stato accolto come uno dei più significativi nel contesto del
dibattito contemporaneo sul libero arbitrio. La prospettiva del filosofo americano ha
saputo sedurre il grande pubblico dei non specialisti, ha dischiuso nuove prospettive
di ricerca e aperto un campo inesplorato di conseguenze e implicazioni da scovare e
vagliare con nuovi, promettenti strumenti di pensiero. L’intento e la speranza di
questo lavoro è quello di esporre l’opera così com’è uscita dalle mani del suo autore,
per rilevarne le note di pregio e sperare di individuarne – laddove ve ne siano –
almeno alcune debolezze e imperfezioni.