che riesca a far emergere i significati simbolici che influenzano ogni prodotto e
che risultano più o meno vicini alla realtà sociale.
Non essendoci una letteratura adatta ai nostri fini, si è optato per analizzare il
materiale esistente e rileggerlo alla luce delle nostre esigenze
Prima di enunciare le specifiche del presente lavoro, bisogna premettere che, ai
fini della trattazione, il termine consumo, assumerà significati diversi dalla
semplice pratica di acquisto, e verrà inteso invece, come agire sociale dotato di
senso che ha a che fare con i valori simbolici e con le pratiche d’uso.
La trattazione è articolata in quattro capitoli, ognuno dei quali è stato trattato nei
particolari attraverso l’ulteriore suddivisione in paragrafi.
Nel primo capitolo si è preso in considerazione l’oggetto della Tesi andando a
spiegare cosa si intenda per consumo giovanile. Ovviamente, per dare una
definizione di consumo giovanile, è necessario chiarire chi sono i giovani e che
cosa si intenda, oggi, per giovani, visto che negli anni questo termine ha assunto
sfumature diverse. Pur parlando di giovani in generale, si è consapevoli del fatto
che non è possibile ricondurre il concetto di giovane ad un’unica categoria, dal
momento che questi devono essere differenziati in base a più variabili, tra cui
l’istruzione, la famiglia di appartenenza e quindi la classe sociale. I giovani infatti,
anche se inconsapevolmente, interiorizzano modelli di consumi diversi che li
portano a consumare con prospettive differenti, anche all’interno dello stesso
sistema di oggetti. Ciò che qui ci si propone, però, è di dare un’interpretazione
condivisibile, e di definire cosa verrà inteso per giovane nei capitoli successivi in
modo che non vi siano incomprensioni di significato nella trattazione. In seconda
analisi ci si è domandati se quello che per noi è il concetto di consumo giovanile è
sempre esistito oppure se non sia più plausibile ipotizzare che i genitori e i figli
non abbiano sempre avuto esigenze di consumo differenti.
Una volta dimostrata una diversità nei consumi si è pensato di segnalare quando
tale frattura sia avvenuta e in che modo. Si è andati quindi a ripercorrere negli
anni le mode giovanili che si sono susseguite, facendo particolare attenzione a
come sono avvenuti tali cambiamenti e a cosa si potesse definire come le loro
caratteristiche di consumo. Si è evidenziato in particolare quali fossero gli oggetti
qualificanti ogni singola moda, mostrando quali fossero le differenze di ognuna
5
per quanto riguarda il vestiario, gli accessori e beni più impegnativi quali il
motorino o la moto.
In definitiva, tale capitolo ha voluto dimostrare quanto nella realtà attuale della
nostra società pesi tale tipo di consumo riferito ai giovani, e come, sia la
contestazione giovanile, che lo status quo raggiunto dagli adulti, passino
attraverso i consumi.
Ovviamente tale consumo è stato alquanto incoraggiato dalle aziende, ed anche se
non si è fatto un rimando esplicito a tale concetto, da alcuni dati presenti in quello
che diventerà un excursus delle mode più significative dagli anni Cinquanta agli
anni Ottanta, si può immaginare come queste abbiano reagito alle modifiche negli
acquisti, e come siano state le prime a riconoscere e incoraggiare il consumo
giovanile.
Arrivati a questo punto si è giunti ad affermare che il mondo dei ragazzi si è
frastagliato in molteplici mode e manie, e che esistono diversi tipi di consumi
giovanili, i quali spesso corrispondono ad altrettante subculture giovanili.
Per addentrarci allora più nel dettaglio della nostra Tesi si è deciso di soffermarsi
ed analizzare una di queste subculture e si è scelto di prenderne in considerazione
una molto presente al giorno d’oggi: l’Hip Hop. La scelta dell’Hip Hop è dovuta
al fatto che questa è una subcultura che sta avendo così tanto successo da
accomunare ragazzi in tutto il mondo e, pur avendo delle radici molto profonde, al
di fuori del contesto in cui è nato, rispecchia bene l’impatto consumistico che qui
si vuole sottolineare e che è l’aspetto più conosciuto nel nostro Paese.
Prima di iniziare a parlare del secondo capitolo è necessario premettere che
l’obbiettivo di fondo dello stesso è quello di accostarsi il più possibile alla
comprensione della filosofia che sta dietro alla subcultura Hip Hop. Per tale
motivo, è possibile che alcune parti possano risultare scritte con un linguaggio
eccessivamente “sciolto”. Anche se tali parti verranno comunque evidenziate,
bisogna avvertire che tale mezzo espressivo permette di avvicinarsi maggiormente
a quelli che sono i tratti del linguaggio giovanile legati a tale subcultura, la quale
nasce in strada e quindi presenta delle espressioni che esposte con un linguaggio
eccessivamente formale non esprimerebbero quelli che sono i concetti originali, e
perderebbero parte di interesse al fine della nostra trattazione.
6
Nel secondo capitolo verrà considerato esclusivamente il fenomeno sociale
dell’Hip Hop. Si è scelto di mettere in risalto che cosa significhi veramente tale
subcultura. Per prima cosa si sono indicate quali sono le radici dell’Hip Hop,
evidenziando quindi dove è nato, i motivi per cui si è sviluppato ed ha avuto tanto
successo tra i giovani. In secondo luogo si è voluto fare una rassegna di quelli che
sono gli elementi portanti dell’Hip Hop e che, solo considerati insieme, possono
definirlo. Si è poi dato risalto ad alcune caratteristiche che più evidenziano tale
subcultura e cioè, quale abbigliamento veste chi la segue ed il ruolo delle ragazze.
Infine, si è inserito un paragrafo sull’Hip Hop in Italia, in cui si può riscontrare
come tale subcultura sia stata introdotta nel nostro Paese e come sia stata
accettata.
Il terzo capitolo, invece, tratta dell’aspetto consumistico dell’Hip Hop e quindi
della trasformazione di quest’ultimo in fenomeno di business, in moda.
In tale capitolo viene estrapolato ciò che la massa identifica con il termine Hip
Hop, in che modo questa si sente parte o meno della subcultura e se segue o meno
gli stessi principi originali, evidenziandone le differenze.
Una volta appurati tali concetti ci si focalizzerà sulle marche che trattano questo
stile, andando a sottolineare le diversità tra le imprese e ad evidenziare come
quest’ultime abbiano reagito all’Hip Hop e come l’abbiano sfruttato per fini
lucrativi.
Tutte le considerazioni evidenziate derivano da un attento lavoro di analisi svolto
comparando le nozioni dei capitoli precedenti con le informazioni ricavate dai siti
internet che trattano il mondo Hip Hop.
Il capitolo quarto vuole andare a conciliare i principi teorici mostrati in
precedenza con la realtà attuale e va quindi ad analizzare in concreto come le
aziende si siano legate all’Hip Hop e come siano riuscite a manipolarlo per
raggiungere i propri scopi di vendita.
Per fare ciò vengono introdotti alcuni principi del marketing operativo, andando
poi ad analizzare in concreto la variabile che più lega le imprese agli acquirenti,
consistente nella promozione del prodotto. Una volta studiati gli ambiti dei mezzi
di comunicazione in cui l’Hip Hop viene preso in considerazione, si è andati a
7
verificare come l’Hip Hop venga sfruttato come mezzo di promozione all’interno
degli spot pubblicitari italiani.
Alla fine del capitolo verrà preso in considerazione un caso pratico che dimostrerà
come i due aspetti, sociale ed economico, possano convivere. A tal fine, si è scelto
di studiare la figura di un rapper. La particolarità del caso sta nel fatto che tale
personaggio, pur essendo un esponente riconosciuto del mondo economico, e pur
essendo esso stesso divenuto un fenomeno di marketing, incarna ancora i valori
Hip Hop al punto da essere conosciuto con il nome Mr. Hip Hop.
Il quinto capitolo conclude tale lavoro con le ultime considerazioni che
sottolineano ciò che di più interessante si è riscontrato durante lo svolgimento
della presente Tesi e accostano il fenomeno Hip Hop alla teoria del qualcosa e del
nulla ipotizzata da Gorge Ritzer.
8
Capitolo Primo
Il consumo giovanile
1.1 Chi sono i giovani
Prima di addentrarsi nel cuore della trattazione è necessario esprimere dei concetti
di base che semplifichino la lettura di ciò che verrà in seguito.
L’espressione “consumo giovanile” significa che si ha come argomento i consumi
tipici dei giovani.
Ma cosa si intende per “giovani”? e Quale gruppo indica questa parola?
È necessario soffermarsi su questo punto dal momento che l’idea e la definizione
di giovane è molto cambiata nei diversi periodi storici.
La categoria “giovani” è sempre stata data per scontata ed è in questo senso che
essa rappresenta il classico concetto di “ideologia spontanea”
2
. Oggi siamo
talmente abituati a contrapporre la dipendenza dei ragazzi sotto i vent’anni (gli
adolescenti) alla relativa indipendenza dei ventenni (i giovani) da sorprenderci per
la mancata diversità. Noi associamo l’adolescenza a determinati obbiettivi di
crescita personale, che includono la formazione della personalità, mentre
attribuiamo ad età successive la scelta occupazionale ed altre responsabilità
sociali. Invece tale ciclo di vita non è stato condiviso in tutte le epoche passate.
Obiettivi di sviluppo personale, sociale ed economico coesistevano anziché essere
organizzati in modo sequenziale, spiegando così la mancata distinzione tra
adolescenza e giovinezza.
Rispetto ai criteri del lessico attuale, particolarmente rigoroso nel campo
biologico, i termini del linguaggio relativi all’età dell’uomo sono nell’Europa
preindustriale irrimediabilmente imprecisi. Ancora alla fine del diciottesimo
secolo il termine francese garςon e quello tedesco knabe venivano usati per
indicare tanto un bambino di sei anni quanto un individuo di trenta o uno di
2
Espressione di Pierre Bourdieu, Giovani senza tempo, Ombre Corte, Zevio (Verona), 2001, pag.
27.
9
quaranta anni. Parte di questa confusione derivava dal fatto che queste parole
denotavano anche uno status o una funzione, significando sia ragazzo che servo.
Ancora oggi “ragazzo” e “giovane” conservano tracce del loro doppio significato
originario.
Da questi indizi linguistici Philippe Ariès ha dedotto che l’Europa preindustriale
non distingueva affatto tra infanzia ed altre fasi pre-adulte della vita. Esisteva
un’ambiguità tra infanzia ed adolescenza, da un lato, e la categoria nota come
gioventù, dall’altro. La gente non aveva alcuna idea di ciò che noi chiamiamo
adolescenza e l’idea impiegò molto tempo a prendere forma.
Se si cerca la definizione di giovane nel vocabolario italiano vi si troverà scritto
“di persona che è tra l’adolescenza e la maturità”, ma questa espressione è più
difficile da interpretare di quanto si pensi.
La gioventù è una fase della vita che, lasciandosi alle spalle la prima infanzia, si
caratterizza come condizione sociale di semidipendenza
3
. Variano nei secoli la
durata e i contenuti di questo periodo, mutano i limiti cronologici tra l’infanzia e
la gioventù e fra quest’ultima e il momento di entrata nella fase adulta della vita,
ma sempre la gioventù è una condizione di dipendenza parziale i cui confini
vengono disegnati dall’esterno secondo l’azione del sistema sociale.
Ecco una rappresentazione che esprime graficamente ciò che andremo a spiegare
in seguito.
Figura 1 Stadi della vita nella società preindustriale
Fonte J.R. GILLIS, I giovani…, op.cit, pag. VIII.
3
GILLIS J.R., I giovani e la storia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1981, pag. VII.
10
Figura 2 Stadi della vita nella società postindustriale
Fonte J.R. GILLIS, I giovani…, op.cit, pag. VIII.
Nel primo grafico, che considera la suddivisione in tappe dei vari stadi della vita
durante il periodo preindustriale, adolescenza e gioventù si fondano nello stadio
della vita denominato giovinezza.
Nel secondo grafico, che considera invece l’età postindustriale, adolescenza e
gioventù hanno due ruoli ben distinti e la gioventù inizia a essere considerata una
categoria a parte con caratteristiche proprie.
Si tenterà ora di elaborare una ricostruzione storica di quando sorge, nella storia
europea, l’idea della giovinezza.
In tutte le epoche storiche il termine “giovane” è ricorrente e si riscontrano vari
tentativi di classificazione e delimitazione dell’età giovanile.
Nel mondo greco si fa sovente riferimento ai giovani come a soggetti da formare,
al centro di un processo di socializzazione intensivo che, a seconda dei casi,
privilegiava aspetti intellettuali, virtù militari, prestanza fisica, coraggio, etc..
Nella società romana si riscontra una precisa collocazione dei giovani. Il carattere
fortemente patriarcale di tale società confinava i figli in una situazione di
subordinazione e di dipendenza per molto tempo. Si aveva a che fare con una
giovinezza prolungata, dal momento che i figli erano privi di autonomia
economica e di possibilità decisionale fino alla morte del padre, a cui
subentravano nel possesso dei beni. Per questo motivo, nelle cronache del tempo,
veniva considerato giovane un soggetto di età compresa tra i 30 e i 45 anni che,
pur ricoprendo già vari ruoli pubblici, non era ancora del tutto autonomo nei
rapporti familiari.
11
Nel medioevo, invece, la giovinezza sembra venire eclissata. Fu un epoca poco
propensa a dare rilievo alle distinzioni per età, anche in rapporto ad una speranza
di vita particolarmente bassa. Tuttavia anche in quell’epoca si riconosceva in
qualche modo l’esistenza di un’età giovanile: si identificava come giovane un
soggetto che pur comportandosi già come un adulto non aveva ancora quella piena
autonomia, che gli veniva riconosciuta con il matrimonio.
Così, nelle classificazioni del periodo, la giovinezza era definita dal mondo colto
come l’età compresa tra i 21 e i 35 anni e nella cultura popolare veniva equiparata
all’estate (mentre la primavera simboleggiava l’infanzia, l’autunno l’età adulta e
l’inverno la vecchiaia).
Con l’inizio dell’età moderna si delinea un nuovo modo di guardare alle età della
vita, che trova il suo culmine nel Settecento.
Il punto di partenza di questo processo è rappresentato dalla radicale
trasformazione del senso dell’infanzia (come ha rivelato lo storico Philippe
Arìes
4
), che ha portato a individuare nei bambini qualità e caratteri prima non
riconosciuti e a farli oggetto di varie attenzioni.
Il sorgere di tali sentimenti è imputabile a vari fattori tra cui una relativa maggior
diffusione dell’istruzione e della formazione e una maggior considerazione dei
figli nella strategia di affermazione o sopravvivenza delle famiglie.
In rapporto a questo sentimento si è innescata una maggiore attenzione alle
diverse età della vita e il progressivo riconoscimento della giovinezza come un’età
a se stante, con caratteristiche proprie.
Si trattava comunque sempre di considerare la gioventù una condizione di
semidipendenza, che vedeva impegnati i figli dell’aristocrazia nella formazione e
quelli delle classi popolari nei lavori agricoli o nell’apprendistato.
A partire dunque dalla fine del XVII secolo si assiste al declino dell’immagine
tradizionale della giovinezza, al fatto cioè che i giovani venissero considerati
soprattutto come figli, senza una loro condizione e cultura autonoma.
In questo quadro la giovinezza cessa di essere l’età dell’attesa per eccellenza per
diventare l’età dell’apprendimento.
4
Si veda ARIES, Padri e figli nell’Europa medioevale e moderna, Laterza, Bari, 1968.
12
Al delinearsi di questa situazione hanno contribuito vari fattori oltre a quello della
diversa concezione dell’infanzia; tra questi, alcuni che più di altri meritano di
essere ricordati sono lo stemperarsi dell’immagine dei giovani come soggetti
immaturi e superficiali, un maggiore investimento delle famiglie nell’istruzione e
nella formazione professionale dei figli, l’affermarsi di una nuova ideologia
educativa che riconosce il valore, per i soggetti e per le società, della costruzione
delle capacità dei giovani ed estende questa risorsa anche alle classi sociali meno
elevate.
Questa situazione si accentua con i profondi mutamenti intervenuti nell’Ottocento
che includono il processo di industrializzazione, la mobilità territoriale della
popolazione e i cambiamenti nelle dinamiche demografiche e nei rapporti
familiari.
Nel complesso le famiglie sono meno numerose, per cui si riduce la tendenza a
collocare i figli all’esterno del nucleo familiare. I figli della borghesia vengono
indirizzati a svolgere l’occupazione dei padri, mentre quelli delle classi sociali più
basse rappresentano un’importante risorsa economica per il proprio nucleo
familiare. In questi casi il lavoro e il mestiere erano spesso l’eredità che i padri
tramandavano ai figli.
Il controllo della famiglia sui figli è ancora evidente e produce sovente reazioni
conflittuali da parte dei giovani, che ampliano progressivamente la loro sfera di
interesse. Questa sfera sarà destinata a estendersi ulteriormente nel tempo, a
seguito dello sviluppo della scolarizzazione e con il prodursi di vari modelli di
cultura giovanile cui danno molto adito alcuni insiemi di giovani caratterizzati da
una comune condizione o collocazione sociale (i giovani operai, i giovani
studenti, etc.).
Vi erano dunque tutte le condizioni sociali affinché si prestasse una maggiore
attenzione ai giovani a cui ormai veniva riconosciuto da un lato, il carattere di
potenziale risorsa da cui dipendeva il futuro della società e dall’altro la possibilità
che essi potessero diventare protagonisti di imprese sociali negative.
Pur tra varie discontinuità, la giovinezza si è delineata come un’età a se stante,
caratterizzata da tratti distintivi e specifici, dotata di una sua relativa autonomia e
considerazione.
13
Il veloce excursus storico che si è appena presentato offre varie indicazioni sulle
caratteristiche della storia sociale dei giovani e permette di esprimere alcune
considerazioni.
Innanzitutto è fondamentale sottolineare il carattere di variabilità dell’età.
Quest’ultima riguarda delle fasce che, come tali, sono “insiemi aperti” e che non
possiedono limiti numerici.
Ai giorni nostri si ritiene convenzionalmente “giovane” un soggetto la cui età è
compresa tra i 15-17 anni e i 30-35 anni, ma ci sono comunque differenze tra i
vari Stati: per esempio in Italia 18 anni è il tempo in cui si vota e si guida la
macchina mentre negli Stati Uniti la frontiera burocratica tra adolescenza e
gioventù è più frastagliata: a 16 anni si può guidare, a 18 anni si può votare e a 21
anni si può entrare da soli nei pub.
Si tratta comunque di una definizione che non sarebbe stata accettata qualche
decennio fa, caratterizzato da un precoce inserimento dei giovani nella vita adulta,
che non conosceva ancora la situazione di giovinezza prolungata tipica delle
ultime generazioni.
È necessario poi prendere in considerazione il fatto che una persona può essere
considerata giovane rispetto ad alcune funzioni sociali e vecchia per altre. Per uno
sportivo l’età di ventotto anni lo fa considerare “maturo”, mentre al contrario,
quando si parla di “giovane scrittore” si stanno considerando persone sopra i
quarant’anni. In questi casi stiamo considerando la “percezione sociale” dell’età
che, quindi, non è considerata come dato anagrafico, ma a seconda della posizione
che le persone occupano nelle relazioni che le definiscono socialmente.
Da ciò si evince la difficoltà di giungere ad una definizione univoca e valida
universalmente, del termine “giovinezza” e dell’età corrispondente.
La variabilità della definizione di giovinezza in una prospettiva storica rende
consapevoli che questo fenomeno è una “costruzione sociale e culturale”
5
.
Si tratta di un’età della vita che non sembra avere confini certi, che non può essere
delimitata con chiarezza né tramite quantificazioni demografiche né attraverso
definizioni di tipo giuridico.
5
GARELLI F., OFFI M., Giovani una vecchia storia?, SEI, Torino, 1997, pag. 10.
14
In sintesi, l’esistenza della giovinezza è generalmente riconosciuta nel corso della
storia europea occidentale, ma i suoi caratteri e confini cambiano di epoca in
epoca e risultano quindi diversi a seconda dei periodi.
Chi siano i giovani e quale arco della vita sia identificabile come giovinezza è
dunque oggetto di definizione sociale.
Il contenuto e l’estensione di questa età della vita, come si è appena dimostrato,
non è quindi determinabile soltanto in termini biologici o anagrafici, ma anche se
questi termini non sono sufficienti, essi sono comunque caratteri essenziali della
giovinezza che più identificano il pensiero delle persone a riguardo del termine.
Ciò è rappresentato dal fatto che la giovinezza per i più è un’età limite che viene
collocata tra due precise soglie anagrafiche: l’infanzia e l’età adulta.
Quello che possiamo considerare certo è che la nozione di giovinezza è passata
dall’essere un concetto riferito ad un gruppo minoritario, che apparteneva solo alle
classi più elevate della società, fino a divulgarsi a tutti gli strati della popolazione
e ha cambiato significato e connotazione finché, nel Novecento, “giovane” è
giunto ad indicare chiunque sia già inserito nel mercato dei consumi, ma non sia
ancora entrato in quello del lavoro.
La scolarizzazione di massa e il welfare allungano verso l’alto la giovinezza
posticipando l’ingresso nel mercato del lavoro e aumentando il periodo di
“indeterminatezza” sociale.
Anche quando un ragazzo o una ragazza lavorano, lo fanno oggi con la stessa
disposizione con cui lo studente va a scuola, completamente diversa da quella con
cui il giovane operaio entrava in fabbrica o l’impiegato in ufficio.
Per ciò che si è appena dichiarato, un giovane che lavora ha le stesse pratiche
sociali di un coetaneo studente fuori corso. Questo fa sì che mentre un ventenne di
famiglia proletaria sia, nell’Ottocento, già socialmente vecchio, il suo coetaneo
del secolo successivo è giovane a tutti gli effetti dal momento che in questo
passaggio la giovinezza ha cambiato i suoi tratti distintivi.
La definizione che viene data nel Novecento, prolunga verso il basso la gioventù,
poiché il numero sempre crescente di adolescenti (i teens) costituiscono un
mercato di consumo.
Ed è questo mercato, l’oggetto della presente analisi.
15
In pratica mentre nella società pre-industriale si puntava ad escludere il giovane
dal duplice ruolo di produttore e consumatore, in quanto solo l’accesso al primo
stadio dava pieno diritto al secondo, nella società industriale moderna le due
categorie sono state nettamente separate dal processo di differenziazione sociale
ed il giovane, quanto più viene escluso dal ruolo di produttore, tanto più è
legittimato a quello di consumatore sino a divenirne il principale tramite
simbolico. La rappresentazione del giovane come consumatore e l’attribuzione ad
esso di una caratteristica storicamente adulta per eccellenza, appare come un
modo per esorcizzare i pericoli derivanti dalla impossibilità di fornire modelli
coerenti di identificazione con il ruolo adulto di produttore.
Quello che oggi sembra improponibile nella sua generalità è la concezione, o
meglio, la raffigurazione della gioventù come fase della vita preparatoria a quella
adulta
6
, e questo non tanto a causa di un rifiuto consapevole da parte del giovane
della figura dell’adulto, quanto per l’assenza di un’immagine sociale dell’adulto
dotata di quella plasticità di caratteristiche tale da rendere significativo e
giustificato un processo di identificazione.
Alla luce di quanto emerso finora è possibile, arrivati a questo punto, elaborare
delle riflessioni al riguardo.
Una prima considerazione emerge dal fatto che si è di fronte più ad una
“condizione” che ad un “processo” giovanile dal momento che quest’ultimo
implicherebbe il richiamo ad una serie di pratiche tese verso un esito prevedibile
ed indica un itinerario che porta i giovai ad inserirsi gradualmente nelle
responsabilità sociali. In realtà i giovani sembrano porsi sempre più come una
condizione a se stante, caratterizzati da una situazione di attesa il cui esito non è
prevedibile. La giovinezza si presenta come un’età che ha un valore in sé e il cui
significato non è dato soltanto dallo sbocco nella condizione adulta. Sembra
venire meno dunque l’idea di una condizione giovanile per lo più caratterizzata
dalla tensione verso lo status adulto. Ciò non significa che i giovani non mirino
all’inserimento sociale, ma vuol dire che mentre sono in questa situazione
d’attesa, mentre acquisiscono capacità e atteggiamenti, essi possono vivere altre
situazioni già all’insegna della stabilità. Gli esempi possono essere numerosi e
6
S.N. EISENSTADT, Da generazione a generazione, ETAS Kompass, Milano, 1971.
16
vanno dallo studente che combina il suo impegno prevalente con vari lavori e
lavoretti, ai giovani che vivono una situazione di dipendenza in vari campi ma
nello stesso tempo risultano del tutto autonomi in altre sfere della vita, come
quelle dei consumi e del tempo libero.
In sintesi quindi nella società contemporanea i giovani non si definiscono solo in
rapporto all’inserimento nella vita adulta, non fanno dipendere la loro identità
dalla tensione verso l’autonomia di vita a tutti gli effetti, verso l’emancipazione
totale. Chi sta inserendosi nel mondo adulto, è pertanto un soggetto abituato alla
sperimentazione, che ha già maturato l’autonomia in vari campi, anche quando la
sua condizione “ufficiale” era di dipendenza.
1.2 Il consumo giovanile è sempre esistito?
I giovani quindi, fanno parte di un mercato dei consumi, del quale però ancora
non si sono espresse le caratteristiche e che quindi potrebbe coincidere con quello
degli adulti. Si è abituati a pensare che ci sia un gusto giovanile differente da
quello degli adulti, ma in realtà non è sempre stato così.
Oggi si danno per acquisiti alcuni caratteri costitutivi dell’ “essere giovani” che
sono il frutto del rovesciamento vero e proprio di un paradigma, così come il
cambiamento nelle loro decisioni di consumo è una conseguenza di cambiamenti
culturali che sono avvenuti nel tempo.
Prima di tutto, per affrontare tale argomento è necessario interrogarsi su quando
cominci a delinearsi lo statuto del giovane nella società di massa e sul quando si
localizzi e si specializzi il discorso su questo settore specifico della popolazione
nel contesto italiano. La gran parte dell’evidenza empirica disponibile indurrebbe
ad additare in anni relativamente recenti il periodo di più ricca fioritura delle
manifestazioni e delle forme della cultura giovanile, ma l’atteggiamento risoluto e
autoconsapevole dei giovani al loro primo ingresso sulla scena politica, al finire
degli anni ’60 e il carattere corale che quella protesta ha – allora – rapidamente
assunto, inducono a ritenere che già da tempo la sfera giovanile si fosse costituita
come mondo a sé, differenziandosi e staccandosi da altri gruppi di età, e che dietro
la generazione del ’68 ve ne fossero altre, protagoniste di tappe diverse, meno
conosciute, di un lungo percorso di individuazione. Prima che in Italia, negli Stati
17
Uniti alcune importanti avvisaglie di cambiamento si erano messe in movimento.
Tra il 1941 e il 1944 erano stati scritti due libri che si sarebbero rivelati
fondamentali per le future generazioni: “The Beat Generation” di Jack Kerouak,
pubblicato solo nel 1957 con il titolo “On the Road”, e “Rebel without a cause” di
Robert Lindner, da cui fu poi tratto il film che approderà in Italia con il titolo di
“Gioventù bruciata”.
I protagonisti dei libri erano due giovani che, alla loro insoddisfazione nei
confronti della società ereditata dagli “adulti”, davano risposte diametralmente
opposte: il primo sceglieva la fuga, il secondo preferiva opporre una ribellione che
sfociava nel vandalismo puro e semplice.
È grazie a film come “The Wild One” (Il Selvaggio) che inizia a divulgarsi tra gli
adolescenti la moda dei giubbotti di pelle, la brillantina tra i capelli e lo slang
arrogante.
1.2.1 Le prime avvisaglie di cambiamento
Solo verso il 1955, in America, il teenager comincia ad assumere le caratteristiche
moderne, in parte presenti ancora oggi. Ciò accade principalmente per tre ragioni
7
:
primo, perché i nuovi adolescenti americani hanno più disponibilità monetaria (la
paghetta media settimanale passa dai 2 dollari e mezzo del 1945 ai 10 dollari del
1960); secondo, perché sono consapevoli di vivere in un’epoca fortunata, a guerra
finita, con meno problemi e più tempo libero; terzo, perché si trovano bene con i
propri coetanei. Quest’ultimo elemento risulta quello che dà la maggiore spinta
allo sviluppo della figura del teenager: l’adolescente incontra i suoi amici a
scuola, studia insieme a loro, va a divertirsi negli stessi luoghi. Si accorge che tra
lui e il mondo dei bambini c’è grande differenza, ma la distanza è ancora più
abissale tra lui e il mondo degli adulti. Il giovane degli anni Cinquanta non si
sente più troppo gratificato dall’amicizia con un adulto, genitore o insegnante che
sia, ma diviene consapevole per la prima volta del fatto che si diverte soltanto con
i propri coetanei; nascono così i teenager.
7
F. DONADIO, M.GIANNOTTI, Teddy-boys rockettari e cyberpunk, Editori Riuniti, Roma,
1996.
18
La prima rivoluzione avviene nell’adozione di un nuovo codice di vestiario, che
tende a distinguere i nuovi giovani quanto più possibile dai pantaloncini corti dei
fratelli minori e dagli abiti “seri” dei genitori: compaiono quindi blue-jeans, t-shirt
e giubbotti di pelle copiati ai miti del cinema. Ne consegue un atteggiamento
irrispettoso nei confronti della società adulta con cui i giovani entrano in aperta
collisione, e un desiderio di maggiore libertà soprattutto nei consumi.
Gli adulti ora guardano il teenager come un alieno, un diverso che non merita
molto rispetto.
Chi ne parla lo fa per lo più in senso negativo sottolineando, secondo il loro modo
di vedere, l’eccessivo permissivismo educativo e la crisi dei valori tradizionali.
I teenager sono però molto graditi da coloro che capiscono il potenziale di affari
che è possibile ottenere da questo nuovo gruppo di acquirenti. Sia ragazzi che
ragazze acquistano come i giovani precedenti non si erano mai sognati di fare.
La musica che accompagna la nascita del teenager è il rock’n’roll, frutto della
fusione tra il country e il rhythm’n’blues; possiede un ritmo frenetico che si adatta
perfettamente alla nuova voglia di bruciare i tempi propria delle nuove
generazioni.
Nello stesso 1955 appaiono nuovi dischi di artisti emergenti, ma tutti egualmente
trasgressivi come “Tuttifrutti” di Little Richard, “Blue Suede Shoes” di Carl
Perkins, “Big Balls of Fire” di Jerry Lee Lewis etc., e inizia a incidere le proprie
canzoni quello che diventerà il mito di intere generazioni Elvis Aaron Presley.
Elvis con i suoi indumenti sportivi e il nuovo e trasgressivo modo di muoversi sul
palco sfrontato e sensuale conquista il mondo dei teenager: il suo rock scatenato
esprime chiaramente tutta la frustrazione che i ragazzi sentono confusamente
dentro di loro. E infatti i commenti dei giovani americani dell’epoca sono
rivelatori di questo modo di pensare: “Elvis Presley…Heartbreak Hotel!…Era
una cosa incredibilmente eccitante, incredibilmente ribelle…e ti faceva pensare:
bene, voglio dedicare il resto della mia vita a questa cosa, qualunque cosa essa
sia!”
8
.
A questa rivoluzione, il mondo “adulto” risponde con una vera e propria guerra:
le movenze dei cantanti vengono considerate un modo di compensare le carenze
8
F. DONADIO, M.GIANNOTTI, Teddy-boys…, op. cit.
19