- 2 -
Il severo regime poliziesco istituito da Napoleone e dai suoi
luogotenenti aveva impedito che i sentimenti di insoddisfazione, di
stanchezza e di ostilità italiani trovassero una espressione aperta ed il
malcontento trovò sfogo nell’ambito delle società segrete la cui
diffusione era favorita da tutte le potenze straniere ostili a Bonaparte,
prima fra tutte quella inglese.
L’attività degli agenti inglesi in Italia, che già era stata notevole
alla fine del XVIII secolo, era difatti ricominciata nel 1803
intensificandosi negli anni successivi fino a raggiungere vaste
proporzioni dopo il 1812 (basti pensare alla campagna antinapoleonica
organizzata dal nostro Augusto Bozzi Granville di concerto con il
ministero degli esteri inglese che aveva come propria appendice in
Italia il nobile Lord William Bentinck). Gli emissari inglesi
provvedevano a mantenere i contatti con i personaggi di spicco del
dissenso, a facilitarne l’espatrio ed il mantenimento all’estero (come
testimonia anche Foscolo nelle sue Opere politiche)
1
e ad appoggiare
le iniziative progettate dalle società segrete, con
1
Foscolo U.: Lettera apologetica, in Opere politiche. “Gli italiani vanno attorno per
l’Isola a far da pedanti di regole di grammatica e di pronuncia; parecchi non sono
ammirati che per l’arte di gorgheggiare…”.
- 3 -
l’occulta finalità di rendere l’Inghilterra padrona del
bacino del Mediterraneo e la nobile utopia di creare in Italia
un regno indipendente retto da una costituzione sul tipo di
quella inglese
2
.
Proprio a partire da questo periodo la letteratura iniziò a farsi
“vigile interprete di ogni nostra rinascita spirituale (…) assumendo
per la prima volta il valore di una vera e propria arma politica”
3
grazie anche alla diffusione di riviste di propaganda come “L’Italico”
uscito a Londra nel 1813-14 e diretto dal Bozzi Granville.
Anche nell’età della Restaurazione, dopo la caduta di
Napoleone, i rapporti tra italiani ed inglesi seguirono le stesse
modalità, fatto salvo che in Italia, al dominio francese, si era sostituito
quello austriaco (la longa manus di Vienna), che rispetto al precedente
era molto più pericoloso e restrittivo per le forze liberali miranti a
conquistare diritti politici e unificazione nazionale.
A partire dal 1820, l’Inghilterra, con il riconoscimento della
libertà di associazione, attuò un deciso mutamento di politica e prese
ad appoggiare sempre più chiaramente quei popoli i cui ideali
nazionalistici erano stati sacrificati dalla diplomazia internazionale,
2
Soriga R., Augusto Bozzi Granville e la rivista “L’Italico”, in Id., L’idea nazionale
italiana dal secolo XVIII all’unificazione, Soc.Tip.Modenese, Modena 1941
3
Ivi., p.12
- 4 -
accogliendo esuli illustri quali ad esempio i nostri Panizzi, Rossetti e
Mazzini e fornendo ai dissidenti un aiuto che metteva in pericolo il
complesso sistema di alleanze internazionali stabilito nel congresso di
Vienna, naturalmente quando ciò comportava vantaggi per il proprio
sistema politico ed economico.
Un’analisi dei rapporti tra le due nazioni, nel periodo preso in
considerazione, non potrà quindi prescindere dal considerare la
compagine politica, economica e sociale dell’Inghilterra dell’epoca
cercando di individuare quelli che furono i presupposti
dell’avvicinamento e del sostegno alla causa italiana, passando poi
allo studio delle origini, della composizione e della rilevanza delle
diverse sette che proliferarono all’epoca in tutta Italia e
dall’individuazione e descrizione di coloro che esercitarono, tramite
queste e grazie alla collaborazione, alla protezione ed all’ospitalità
anglosassoni, la più intensa attività politica e culturale pre-
risorgimentale.
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1.1 L’INGHILTERRA “OFFICINA DEL MONDO”
Verso la metà del secolo la Gran Bretagna si era trasformata da
una società prevalentemente rurale ed agricola in una società
prevalentemente urbana ed industriale.
Nei primi trent’anni del periodo in questione esplosero conflitti
sociali e politici tra gli interessi fondiari e agricoli da una parte e
quelli, sempre più importanti, commerciali ed industriali dall’altra. Lo
scontro si accese su problemi come la riforma elettorale e il sistema
parlamentare, la riorganizzazione dell’assistenza ai poveri e delle
amministrazioni locali, il libero scambio e la legislazione sulle
fabbriche.
I decenni 1830-50 videro anche la nascita e la sconfitta
temporanea di movimenti operai come il cartismo ed il
tradeunionismo, prodotti dello sviluppo industriale di quegli anni.
All’epoca della grande esposizione del 1851 era ormai chiaro
che gli interessi commerciali ed industriali avevano realizzato quasi
tutti i loro obiettivi e che invece erano stati frustrati gli sforzi delle
classi lavoratrici per quella libertà di azione e di associazione che la
classe in ascesa dei commercianti e degli industriali era riuscita ad
assicurarsi.
Negli anni successivi al 1851 le conquiste della nuova classe
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dirigente vennero consolidate ed estese; si ebbe un notevole sviluppo
del commercio estero e degli investimenti, nonché della ricchezza
nazionale e trovarono sanzione giuridica una serie di misure intese ad
adattare il sistema politico e amministrativo alle esigenze della nuova
società urbana ed industriale.
Dall’espansione della ricchezza nazionale e dall’estensione
delle misure legislative di protezione la classe operaia trasse
considerevoli benefici: essa riuscì a creare trade-unions e
organizzazioni volontarie che gettarono le fondamenta del suo futuro
potere nello stato.
Alla base di questi conflitti e spostamenti nei rapporti di forze
sociali sta il fattore costante di un enorme e rapido sviluppo:
demografico, produttivo, degli scambi commerciali e degli
investimenti.
Tra il 1830 ed il 1870 la popolazione complessiva del Regno
Unito (costituito nel 1801 con l’unione dell’Irlanda alla Gran
Bretagna) passò da circa ventiquattro a quasi trentadue milioni di
abitanti.
Gli anni dal 1820 al 1840 furono l’era delle ferrovie e della
navigazione a vapore e, in parte in conseguenza di questo, un periodo
di grande sviluppo delle industrie pesanti, minerarie e tessili. Tra il
- 7 -
1825 ed il 1835 furono approvate in parlamento ben cinquantaquattro
leggi tutte concernenti le ferrovie. Il primo boom delle costruzioni
ferroviarie si ebbe negli anni 1836-37, quando vennero approvati altri
trentanove disegni di legge per la creazione di nuove linee in Gran
Bretagna, e altri 1700 Km di binario vennero ad aggiungersi alla rete
ferroviaria del paese.
La produzione delle miniere di carbone salì da trenta milioni di
tonnellate nel 1836 a cinquantasette milioni nel 1851, e quindi a
centodieci nel 1870. Verso la metà del secolo forse il cinquanta per
cento della produzione mondiale di ghisa era britannica ed un quarto
di essa era concentrata nella Scozia occidentale. Le esportazioni
britanniche di carbone, ferro ed acciaio aumentarono in proporzione.
Questa fu anche l’età dell’industria manifatturiera del cotone e dato
che tale materia prima doveva essere importata, questo settore
industriale fu ancor più strettamente degli altri legato al commercio
estero.
Intorno al 1850 la Gran Bretagna, quale conseguenza delle
trasformazioni economiche intervenute nei precedenti quaranta anni,
si era trionfalmente imposta come l’”officina del mondo”
4
e come il
4
D.Thomson, Il regno unito ed i suoi interessi mondiali, in The new Cambridge Modern
History, Cambridge University Press, trad. Storia del mondo moderno, Garzanti, 1988.
- 8 -
più importante centro mondiale dei commerci e delle spedizioni
marittime. Nei vent’anni successivi essa sfruttò i vantaggi ed i profitti
enormi che questa posizione offriva al capitale e al lavoro.
1.2 LA POLITICA INTERNA DEL REGNO UNITO
Nel periodo qui considerato la politica interna del Regno Unito
fu dominata dalle conseguenze dell’espansione demografica ed
economica.
Le categorie più favorite da tale sviluppo furono gli industriali
minerari e quelli tessili, le compagnie di navigazione, i commercianti,
i banchieri, i finanzieri e tutti coloro che erano legati per ragioni
d’affari ad un così imponente sviluppo produttivo e commerciale.
Ma prima ancora che la Gran Bretagna diventasse un paese
prevalentemente industriale, il sistema politico, fondato dell’assunto
che la terra costituisse la fonte più importante di ricchezza, era stato
messo in discussione e profondamente rinnovato.
La contestazione era venuta dal movimento per la riforma
parlamentare e municipale e le innovazioni consistettero nelle leggi di
riforma elettorale (Reform acts) del 1832 e nella legge di riforma
municipale (Municipal reform act) del 1835. Una volta approvate
queste riforme la strada si aprì ad una lunga serie di altre modifiche
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che ridussero ulteriormente la preponderanza, un tempo assoluta, degli
interessi fondiari; fra tali innovazioni figurarono l’abrogazione delle
leggi di navigazione Navigation laws e delle leggi sul grano Corn
laws, numerosi bilanci liberisti di Robert Peel e di William Ewart
Gladstone e la legge sulla rappresentanza popolare Representation of
the people act del 1867.
Nel loro insieme queste riforme modificarono su tutti i fronti i
rapporti di forza politici e trasformarono il sistema elettorale e
parlamentare.
Infatti in questi decenni lo stato e la società subirono profonde e
permanenti trasformazioni: gli anni 1830-70 videro l’egemonia
politica prima dei Whigs e poi dei liberali, interrotta da brevi parentesi
in cui il governo passò ai conservatori, i Tories.
I Whigs, con l’appoggio dei radicali, sostennero misure come
l’abolizione della schiavitù, la riforma dell’assistenza ai poveri e delle
amministrazioni locali e il libero scambio, mentre i Tories,
riorganizzati nel partito conservatore da Peel e rassegnati ad accettare
la legge di riforma elettorale come un fatto compiuto, divennero i
difensori degli interessi fondiari, della chiesa e del parlamento contro
ulteriori riforme radicali.
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In questo periodo però la costituzione britannica lasciava ancora
sufficienti poteri all’aristocrazia e al sovrano per mantenere il sistema
parlamentare nei suoi binari tradizionali.
Mentre i partiti politici erano ancora impegnati a rafforzarsi
cercando nuove basi nell’opinione pubblica, la sopravvivenza di
questi elementi tradizionali fece sì che le forze democratiche, nonché
le nuove spinte dei ceti industriali e commerciali, potessero trovare
una certa rispondenza nel sistema politico, senza sommovimenti
violenti e senza sconvolgere il sistema di governo e l’apparato statale.
Forti movimenti umanitari e filantropici riuscirono a far
approvare importanti misure dal parlamento riformato, uno dei primi
atti del quale fu, nel 1833, l’abolizione della schiavitù in tutto
l’impero britannico. Un’altra riforma importante, sostenuta dai
suddetti movimenti, fu quella del miglioramento delle condizioni degli
operai in patria: la legge sulle fabbriche del 1833 estese le norme
protettive a tutto il settore tessile, impose la giornata lavorativa ad otto
ore per i fanciulli tra i nove ed i tredici anni e dodici ore per i ragazzi
tra i tredici e diciotto anni (tranne nei setifici); i primi inoltre erano
tenuti a frequentare la scuola per almeno due ore al giorno.
Per far rispettare le leggi vennero nominati ispettori di fabbrica
responsabili verso il ministro degli interni. Intanto filantropi
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instancabili quali Robert Owen e Shaftesbury si unirono a Edwin
Chadwich e ad altri riformatori radicali per imporre un miglioramento
delle condizioni dei fanciulli spazzacamini, dei detenuti e degli
infermi dementi. Molto più, comunque, poté essere attuato con la lotta
parlamentare.
La coscienza dell’opinione pubblica si era risvegliata e la strada
era ormai aperta per una più ampia azione di controllo statale sulla
vita economica. Una legge sulle miniere Mines act del 1842 estese i
controlli e le ispezioni alle miniere e vietò il lavoro di donne e
fanciulle nei pozzi e nelle gallerie sotterranee. Una legge sulle
fabbriche Factory act del 1844 impose l’adozione di dispositivi di
sicurezza per le macchine.
Alla fine del periodo qui preso in esame era ormai convinzione
diffusa che nell’interesse e per il benessere delle maestranze tutta
l’industria dovesse essere sottoposta a controlli statali; inoltre si
comprendeva sempre meglio che il miglioramento nelle condizioni di
lavoro, lungi dall’ostacolare gli affari e la produzione, poteva
addirittura portare ad un aumento della produttività; mentre lo stato
continuava ad estendere il proprio intervento normativo nell’industria,
le vecchie restrizioni sul commercio venivano gradualmente eliminate.
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Fin dal 1776, anno della pubblicazione della Wealth of nations
di Adam Smith, era sorto un movimento che esigeva un commercio
più libero e la semplificazione e la riduzione dei dazi sulle
importazioni e le esportazioni.
Il 28 gennaio 1839 anche il “Times” si pronunciò a favore del
libero scambio. I principi della libera concorrenza, applicati alle lotte
per le riforme sociali, sembrarono dover produrre notevoli effetti sui
partiti politici e sul funzionamento del sistema parlamentare. In alcuni
momenti il movimento assunse un carattere rivoluzionario e
l’opposizione popolare al governo raggiunse toni violentissimi.
Quando nel 1845 una malattia rovinosa distrusse il raccolto di
patate provocando una tremenda carestia, la lega chiese l’immediata e
completa abrogazione delle leggi che ostacolavano l’importazione di
cereali.
Il ministro Peel dovette affrontare la riforma di tutto il sistema
fiscale.
Il dazio sul granturco fu abolito, alle tariffe del 1842 sul grano,
avena, orzo e segale vennero sostituite tariffe molto ridotte e nel giro
di pochi anni i bilanci riuscirono a riorganizzare ed a semplificare
tutto il sistema fiscale e a ridurre i dazi doganali, le imposte di
consumo e l’onere del debito pubblico.
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Mentre i ceti imprenditoriali industriali e commerciali si
andavano inserendo nella struttura dello stato e trovavano un nuovo
spazio per i loro interessi nella elaborazione politica nazionale, le
classi lavoratrici non rimanevano davvero passive.
Nel 1830 esisteva già tra i lavoratori urbani una vigorosa
tradizione di solidarietà e di radicalismo, basti pensare che già dal
1815 le idee radicali avevano avuto larga diffusione, nonostante le
misure repressive dei governi.
Le unioni politiche diedero un contributo alla lotta per la
riforma elettorale e l’azione instancabile di uomini come Francis Place
riuscì ad imporre nel 1824 l’abrogazione delle clausole più oppressive
delle leggi che vietavano l’organizzazione sindacale Combination
laws riconoscendo ai lavoratori il diritto di unirsi in libere
organizzazioni: le Trade Unions.
Lo sviluppo dell’industrializzazione rese possibile una notevole
diffusione delle organizzazioni sindacali.
Vennero fondate nuove unioni di mestiere, con statuti legali e
regolamenti pubblici, che riuscirono a stipulare numerosi accordi
locali sulle condizioni di lavoro, di salario e di apprendistato.
I due decenni successivi furono caratterizzati soprattutto
dall’alleanza tra il radicalismo e il nuovo socialismo propugnato da
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Robert Owen, e dalla collaborazione di questi due movimenti con
quelli organizzati dalla classe operaia.
Entro il 1870 il lavoro organizzato si affermò come una forza di
fondamentale importanza nello stato. Molti leader di questi movimenti
comprendevano che il loro successo dipendeva dalla creazione di un
sentimento di solidarietà e di aiuto reciproco tra il lavoratori e dalla
capacità di esercitare pressioni sulle classi dirigenti e sugli industriali.
Nel 1836 William Lovett fondò la London Working Men’s
Association, formata da un gruppo di artigiani londinesi, tutti quanti
autodidatti e due anni dopo stilò la “People’s Charter” che divenne il
programma di riforme intorno al quale la maggioranza dei movimenti
radicali ed operai poté unirsi. Con tale carta gli aderenti al movimento
(che da essa prese per l’appunto il nome di cartismo) coscienti della
loro forza e dei loro diritti, rivendicavano elezioni annuali, il suffragio
universale maschile, una nuova e più equa divisione delle
circoscrizioni elettorali, l’abolizione del censo quale criterio
discriminatorio sul piano politico, il voto segreto e un’indennità per i
parlamentari che avrebbe consentito di esercitare il mandato anche a
chi non disponeva di rendite personali.
Una petizione, redatta secondo lo spirito della carta e
sottoscritta da più di un milione di persone fu presentata ufficialmente
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alla Camera dei Comuni e discussa in Parlamento nel 1839, ma senza
successo.
La reazione dei cartisti fu però molto vivace e sfociò a Newport
in violente sommosse destinate però a non ottenere alcun concreto
risultato.
In definitiva comunque gli anni 40-60, nonostante il protrarsi
delle agitazioni radicali per lo scrutinio segreto e l’estensione del
suffragio, furono un periodo di immensa prosperità nazionale e di
saldo predominio borghese durante il quale la Gran Bretagna favorì
tutte le lotte per l’autogoverno delle società oppresse, sorvegliò
gelosamente l’espansione delle potenze rivali e cercò di liberalizzare i
suoi scambi commerciali con l’Europa mediante trattati di commercio,
il più importante dei quali fu il trattato con la Francia del 1860.
La politica britannica fu improntata alla pace perché la guerra
ostacolava il commercio e danneggiava la produzione industriale.
La Gran Bretagna difatti non riteneva che i suoi interessi
fossero in contrasto con quelli degli altri paesi ed era profondamente
convinta che dato il carattere mondiale di tali interessi lo sviluppo e la
prosperità della Gran Bretagna avrebbero contribuito al progresso
generale del mondo: concezione ottimistica e comoda, ma anche fede
sincera e dinamica.