Tutto ciò si mostra come un velato, ancorché necessario, compro-
messo nei rapporti tra l’individuo e lo Stato, tra la sfera privata e quella
pubblica.
Lo Stato ha interesse alla propria esistenza e alla propria stabilità e
tale interesse viene assicurato e protetto attraverso strumenti idonei di auto-
tutela; in questa attività pubblica il contrasto tra lo Stato e la sfera di libertà
del cittadino diviene inevitabile: il contemperamento di questo contrasto
segna, senza ombra di dubbio, il livello di civiltà di una società
3
.
Riconosciuta la necessità obiettiva della repressione dei reati, inte-
pur di fronte alle altrettanto innegabili esigenze di accertamento dei reati e della punizione dei
loro autori. E’ noto, tuttavia, che in Italia neppure con la Costituzione repubblicana il principio
della riparazione per l’ingiusta detenzione riuscì ad esservi espresso secondo la sua più classica
e genuina formulazione: numerose furono, nei dibattiti dell’assemblea costituente, le dichiara-
zioni d’intenti diametralmente opposte agli sprezzanti dileggi dei capo fila del pensiero giuridi-
co del ventennio. In tal senso M. CHIAVARIO, La presunzione di innocenza nella giurispru-
denza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in Giur. it. 2000, p. 1089, si veda anche P. A.
SODANO, Riparazione per l’ingiusta detenzione, Giappichelli, Torino, 1992, p. VIII.
3
Infatti, dopo oltre un secolo di intenso dibattito, quasi esclusivamente politico–dottrinario
all’inizio e, soprattutto, politico – legislativo negli ultimi decenni, soltanto a seguito
dell’approvazione di un nuovo codice di procedura penale che ribaltava il sistema inquisitorio,
abbracciando dichiaratamente i principi accusatori, la riparazione per ingiusta custodia cautela-
re ha trovato un riconoscimento normativo. E le molteplici difficoltà attuative che hanno ritar-
dato oltre misura la concretizzazione di un principio unanimemente definito di elementare civil-
tà giuridica, rappresentano tuttora un richiamo alla cautela quanto mai opportuno, anche se esse
non possono essere più motivo per accantonare la problematica, bensì stimolo verso
l’approfondimento dei profili tecnico–giuridici del nuovo istituto. La lunga attesa è stata però
compensata dalla predisposizione di una disciplina riparatoria che ha visto progressivamente
ampliate i suoi orizzonti fino a raggiungere una versione definitiva capace di reggere il confron-
to con quella di analoghi istituti stranieri di confermate esperienza. L’apprezzamento espresso
per la normativa, tuttavia, non può indurre a sottovalutare taluni suoi punti critici, lacunosi o in-
coerenti, quale, per esempio, il vistoso difetto di coordinamento con la legge 13 aprile 1988, n.
117, sulla responsabilità civile dei magistrati.
In questo senso M. COPPETTA, Custodia cautelare ingiusta e responsabilità civile dei magi-
strati, in Ind.. Pen. 1990, p. 125.
5
sa questa come preminente di fronte agli interesse dei singoli, deve ricono-
scersi, altresì, un interesse privato che deve essere compensato ed inden-
nizzato per le eventuali compressioni della libertà personale ingiustamente
subite
4
.
Il tentativo di frapporre ostacoli ad una piena realizzazione di que-
sto principio, attraverso argomentazioni estranee ai contenuti espressi dalla
Costituzione, nasconde una demoralizzante “ragione di Stato” che fonda il
suo presupposto in esigenze di bilancio e di spesa pubblica.
Se il grado di civiltà di una società si misura anche considerando il
suo ordinamento giuridico, il codice Rocco ha manifestato il carattere e-
saustivo e dominante dello Stato che lo aveva prodotto; infatti il problema
della riparazione nei confronti delle vittime da errori giudiziari veniva po-
sto e risolto dal codice del 1930 in termini di soccorso: l’interesse dello
Stato era condizionato al bisogno del condannato e della sua famiglia; sol-
tanto se il condannato fosse stato assolto a seguito di giudizio di revisione,
poteva proporre domanda di riparazione, sempreché avesse espiato, in for-
za della sentenza annullata, almeno tre mesi di pena detentiva o fosse stato
internato per misure di sicurezza detentive.
Questa previsione negava l’erroneità della condanna e, quindi, del-
lo Stato; l’intervento istituzionale era volto ad un’azione caritatevole, soc-
corritrice, e le stesse conseguenze negative della condanna e della deten-
zione erano un evento non collegabile, neanche indirettamente, allo Stato il
4
F. CORDERO, Errore giudiziario e riparazione pecuniaria, in Jus, 1963, p. 294, il quale sot-
tolinea che: “la repressione dei reati corrisponde a un interesse vitale della società; la posta è
tale, da giustificare un sacrificio inflitto al subditus. Già l’essere colpito da un’accusa impone
una sofferenza; ma considerazioni non dissimili valgono nei confronti del testimone, la cui e-
scussione si risolve talora in un’autentica tortura; per esprimere immaginosamente il concetto,
si dice che i cittadini sono soggetti a una servitù di giustizia. Sarebbe ammirevole il legislatore
che riconoscesse un diritto alla riparazione a chiunque sia prosciolto da una accusa; ma è ra-
gionevole pensare che un simile risultato concepibile in una società perfetta, appartenga al no-
vero delle utopie”.
6
quale, come entità astratta, ma nello stesso tempo riparatrice, interveniva
per lenire situazioni di bisogno.
Il principio dell’indennizzo previsto per coloro che fossero stati
privati della libertà e poi riconosciuti innocenti era gia sancito addirittura
nel codice penale del 1786 dal granduca Pietro Leopoldo di Toscana
5
; an-
che il codice del Regno delle due Sicilie del 1819 aveva previsto, secondo
un principio indennitario, il “ristoro dei danni” a favore delle persone inno-
centi “perseguitati per errore o calunnia nei giudizi penali”. Analogo prin-
cipio non venne invece recepito dal codice Zanardelli del 1887 poiché le
condizioni finanziarie dello Stato non erano in grado di sostenere le spese
che l’applicazione del principio indennitario avrebbe comportato; in segui-
to, con il codice del 1913, si fa strada, per poi essere applicato interamente
dal codice Rocco, l’onere dello Stato a corrispondere una somma di danaro
per coloro che si fossero trovati “in condizioni economiche bisognevoli di
soccorso”, a titolo di riparazione dei danni patrimoniali cagionati per errori
giudiziari.
Come per molti istituti contenuti nel codice del 1930, anche la ma-
teria relativa alla riparazione degli errori giudiziari entrò in contrasto con i
principi contenuti nella Carta Costituzionale che, nell’ultimo comma
dell’art. 24, stabilisce che “la legge determina le condizioni e i modi per la
riparazione degli errori giudiziari”; un tale dissidio appare ancor più evi-
dente se si tiene conto che la riparazione prevista dal codice Rocco: “finiva
per ridursi alla sola revisione della sentenza irrevocabile di condanna, che
5
V. CAVALLAI, La riparazione degli errori giudiziari secondo l’art. 24 ultimo comma della
Costituzione, in Giust. Pen., 1954, I, p. 268, nota n. 13: “venne allora costituita una cassa nella
quale debbano calare tutte le multe di tutti i tribunali della Stato. Di questa cassa, per quanto
si estenderanno i suoi assegnamenti, dovranno indennizzarsi tutti quelli che, danneggiati per
diritti altrui, dal delinquente non possono ottenere il risarcimento per mancanza di patrimonio
o per fuga e tutti quelli i quali, senza dolo o colpa ma solo per certe combinazioni fatali o di-
sgraziate, saranno stati processati, carcerati e poi trovati innocenti e come tali assolti”.
7
fosse posteriormente riconosciuta ingiusta, cui poteva tutt’al più accom-
pagnarsi, in una ristretta serie di casi, che pure copriva l’intero arco delle
ipotesi di revisione, una “riparazione pecuniaria a titolo di soccorso”, su-
bordinata, per giunta, all’accertamento discrezionale dello stato di biso-
gno del richiedente o della sua famiglia
6
”.
Era evidente il contrasto tra la norma costituzionale e la previsione
legislativa contenuta nel codice Rocco sulla natura e sul tipo di situazione
giuridico-soggettiva che faceva capo all’individuo che fosse vittima di un
errore giudiziario.
Nonostante gran parte della dottrina avesse riconosciuto che quello
che spettava alla vittima di errori giudiziari fosse un diritto soggettivo
7
, la
previsione normativa del codice del 1930, aderendo alla concezione di uno
Stato soccorritore e negando, per di più, l’errore quale presupposto del suo
intervento nei confronti del soggetto ritenuto innocente dopo la revisione
della condanna, non poteva non ritenere che il cittadino fosse portatore di
un mero interesse alla riparazione.
Un primo e parziale adeguamento alla Carta costituzionale si ha
con la legge 23 maggio 1960, n. 540, che, modificando gli artt. 571 e 574
c.p.p., riconosceva ed introduceva un diritto soggettivo alla riparazione in
sede di revisione per l’assolto, a condizione che non avesse dato o concor-
so a dare causa all’errore giudiziario per dolo o colpa grave: non c’è più
l’azione soccorritrice dello Stato, bensì il diritto alla riparazione è commi-
6
G. SPANGHER, Voce Riparazione pecuniaria, in Enc. Dir., Vol. III, p. 1015, nota n. 6: “la
riparazione a seguito di revisione risultava, invero limitata alle ipotesi in cui, in conseguenza
della sentenza annullata, il prosciolto avesse espiato una pena detentiva per almeno tre mesi o
fosse stato sottoposto a misura di sicurezza detentiva per una non minore durata o avesse ri-
sarcito i danno senza che gli fosse rimasta la possibilità di una efficace ripetizione”.
7
La riparazione dell’errore giudiziario, nell’arco di un secolo, si è così evoluta, da prestazione
caritativa a diritto soggettivo pubblico, presidiato da un procedimento garantito e di facile ac-
cesso. R. VANNI,Nuovi profili della riparazione dell’errore giudiziario ,CEDAM, Padova,
1992, p. 48.
8
surato alla durata dell’eventuale carcerazione preventiva o internamento e
alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna. Rimane-
vano ancora esenti, da qualsiasi diritto alla riparazione, la custodia cautela-
re sofferta dal cittadino successivamente assolto ed i periodi detentivi, an-
corché seguiti da condanna, che fossero stati disposti o mantenuti fuori dei
casi consentiti dalla legge.
Questa situazione contrastava non solo con i principi costituzionali,
ma anche con quanto contenuto nell’art. 5, paragrafo 5, della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (C.E.D.U.), re-
sa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, ove è previsto che
ogni persona vittima di un arresto o di una detenzione, eseguiti in violazio-
ne di quanto disposto dallo stesso articolo, ha diritto ad un indennizzo.
Si trattava, pertanto, di verificare se il legislatore ordinario, preso
atto di quanto contenuto nell’art. 24 Costituzione e tenuto conto che lo
stesso è libero di regolare le “condizioni” per l’esercizio del diritto ed i
“modi” in cui il diritto stesso può essere fatto valere, potesse restringere il
concetto di errore giudiziario, ammettendo il diritto alla riparazione soltan-
to per alcuni errori ed escludendolo per altri.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 1 del 15 gennaio 1969
8
,
pur dichiarando la questione
9
non fondata, ha stabilito che l’ultimo comma
dell’art. 24 Cost. enuncia un principio di tutela dei “diritti inviolabili
dell’uomo” assunto in Costituzione fra quelli che stanno a fondamento
dell’intero ordinamento repubblicano che si specifica nella garanzia costi-
tuzionalmente apprestata ai singoli diritti individuali di libertà e, più preci-
samente, a quelli tra essi che sono immediata e diretta espressione della
personalità umana. La sentenza proseguiva inoltre affermando che: “è nel
8
Corte cost. 15 gennaio 1969, n. 1 in Gazz. Uff.le, 29 gennaio 1969, n. 25.
9
La questione era stata sollevata dal Tribunale Milano con ordinanza 15 dicembre 1966, in
Gazz. Uff.le, 11 marzo 1967, n. 64.
9
principi costituzionali che la norma dell’art. 24 Cost. prescrivente che la
legge debba determinare <<le condizioni e i modi per la riparazione degli
errori giudiziari>>, assume portata sostanzialmente innovatrice rispetto
alla preesistente legislazione italiana, nella quale tale riparazione finiva
per ridursi alla sola revisione della sentenza irrevocabile di condanna che
fosse posteriormente riconosciuta ingiusta, cui poteva, tutt’al più accom-
pagnarsi in una ristretta serie di casi, una riparazione pecuniaria a titolo
di soccorso, subordinata, per giunta, all’accertamento discrezionale dello
stato di bisogno del richiedente, o della di lui famiglia”. Si sottolineava,
infine, che: “per la sua formulazione in termini estremamente generali il
principio della riparazione degli errori giudiziari postula l’esigenza di ap-
propriati interventi legislativi, indispensabili per conferirgli concretezza e
determinatezza di contorni, dandogli così pratica attuazione […]. Ne con-
segue che una legge che si limiti a dare attuazione parziale al principio
costituzionale, non per questo può dirsi incostituzionale”.
Pur mantenendo esente la legge n. 504/1960 da ogni rilievo di in-
costituzionalità, la Corte Costituzionale denunciava quindi un vuoto legi-
slativo per ciò che concerneva l’ipotesi di restituzione della libertà in as-
senza di una sentenza assolutoria successiva al giudizio di revisione.
La prima applicazione del principio costituzionale è stata rappre-
sentata dalla legge 3 aprile 1974, n. 108, contenente la delega al governo
per la emanazione di un nuovo codice di procedura penale; nella direttiva
n. 81
10
si indicava al legislatore di disciplinare “la riparazione dell’errore
10
La direttiva n. 81 della legge delega per la riforma del codice di procedura penale del 1974,
segna l’introduzione, sul piano legislativo, della riparazione per la custodia ingiustamente sof-
ferta. In attuazione di tale principio l’art. 300 del progetto preliminare del 1978, disciplinava, in
dettaglio, le fattispecie cui ricollegare l’effetto riparatorio. Da questa prima formulazione, dove
il diritto a chiedere l’indennizzo era limitato alla sola ipotesi di proscioglimento, con sentenza
irrevocabile, perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, l’istituto ha registrato
un continuo e inarrestabile ampliamento, nelle successive previsioni. In particolare, il suo ambi-
10
giudiziario o per ingiusta detenzione”: il progetto preliminare del 1978 sul-
la base di questa direttiva regolava la riparazione per ingiusta detenzione
negli artt. 300 e 301.
Tuttavia, negli anni successivi (ma anche concomitanti a quelli del
progetto preliminare del 1978) si ebbe, a livello legislativo, una radicale
inversione di tendenza per il mutato assetto dei problemi dell’ordine pub-
blico e della realtà criminale che si andava delineando: da una parte veniva
redatto il progetto del 1978 che innovava profondamente, in senso garanti-
stico, la struttura del processo penale, ivi compresi i rapporti tra cittadino e
Stato, dall’altra le richiamate esigenze di ordine pubblico e di fronteggiare
una nuova forma di criminalità, erano la causa del proliferare di quella che
venne poi definita “legislazione dell’emergenza”.
Verificata, pertanto, l’impossibilità di varare il nuovo codice di
procedura penale, si scelse la strada degli interventi settoriali, anche per ciò
che concerneva l’ingiusta detenzione. Al riguardo vennero presentati vari
disegni di legge che, facendo riferimento al progetto del 1978, regolavano
in maniera ancor più specifica l’intera materia: il primo fu il disegno di
legge n. 1778 ad iniziativa del Ministro di Garanzia e Giustizia, comunica-
to al Senato il 15 febbraio del 1982, ove si prevedeva che la riparazione
fosse estesa non solo alla custodia cautelare sofferta, ma anche
all’eventuale internamento a seguito di applicazione provvisoria di una mi-
sura di sicurezza; successivamente, il 21 ottobre 1983, fu presentato, ad i-
niziativa del Ministro di Grazia e Giustizia, il disegno di legge n. 694 che
anticipava, pur con modifiche, la disciplina poi regolata dagli attuali artt.
314 e 315 c.p.p..
L’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale risolse
to di operatività è andato dilatandosi sia attraverso l’aumento delle formule assolutorie che au-
torizzano l’azione riparatoria, sia attraverso l’estensione del diritto in parola anche a chi abbia
subito una restrizione della libertà in forza di un titolo illegittimo. Così COPPETTA, Custodia
cautelare, cit., p. 127.
11
provvidenzialmente l’infinito iter legislativo.
12
CAPITOLO 2
FONDAMENTO DEL PRINCIPIO DI RIPARAZIONE PER
L’INGIUSTA DETENZIONE NELLA COSTITUZIONE E
NELLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI
SOMMARIO: 2.1 La portata dell’art. 24 Cost. ― 2.2 Il concetto di ripara-
zione e di errore giudiziario ed i suoi limiti — 2.3 Le fonti
sovranazionali e la novella del 1960 — 2.4 La Convenzione
Europea ed il Patto Internazionale.
2.1 La portata dell’art. 24 Cost.
La disciplina per la riparazione dell’ingiusta detenzione anche se
pone le sue basi nell’offesa provocata ad un bene costituzionalmente ga-
rantito ( art. 13 Cost. ), ci porta, per poter ritrovare i suoi requisiti applica-
tivi, a dover far riferimento a categorie processualcivilistiche con riferi-
mento in particolar modo al tema della legittimazione e la quantificazione
del ristoro. Infatti prendendo in considerazione le sole questioni processua-
li in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione si fa opera forzatamente
selettiva, correndo il rischio di snaturare la struttura “interdisciplinare”
dell’istituto. Trattasi infatti, di materia caratterizzata da una sorta di “tra-
sversalità” al sistema. La domanda di riparazione genera, infatti, un giudi-
zio extra ordinem, avente natura di procedimento civile inserito per ragioni
13
di opportunità nel codice di rito
11
: il giudice penale è chiamato a decidere,
all’esito di una procedura camerale ex art. 127 c.p.p., sulla quantificazione
di una somma da attribuire, quale equo ristoro, a fronte di una “custodia i-
niqua”
12
.
Nonostante la risalente consacrazione nelle fonti internazionali, il
diritto alla riparazione per ingiusta carcerazione preventiva è “istituto di
assoluta novità”, introdotta (artt. 314 e 315 c.p.p.) in esecuzione della diret-
tiva n. 100 della legge delega: la portata innovativa di tale codificazione è
sintomatica di una “nuova” cultura giudiziaria ispirata dall’attuazione del
modello accusatorio
13
. E’ in questa cornice di garantismo processuale che
deve essere interpretata la norma dell’art. 24 Cost. secondo cui “la legge
determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”.
Infatti, mentre il progetto di costituzione garantiva l’azione riparatoria nel
quadro della responsabilità dei funzionari e degli enti pubblici per gli atti
compiuti in violazione dei diritti, il testo definitivo aggiunge all’art. 24 due
commi: il terzo, sull’assicurazione ai non abbienti dei mezzi per agire e di-
fendersi davanti ad ogni giurisdizione, rinviando l’attuazione ad appositi
istituti; il quarto, sulla riparazione degli errori giudiziari, demandando alla
11
E’ pacifico che il procedimento per l’attribuzione di una somma di denaro a titolo di ripara-
zione ha natura civile, attenendo esclusivamente interessi economici; si veda in tal senso Cass.,
Sez. IV, 21 aprile 1994, Tabacco, in Mass. pen. cass. 1994, fasc. 9, p. 99.
12
E’ funzionalmente competente a decidere sulla domanda di riparazione per ingiusta detenzio-
ne la Corte di appello, ex art. 102 disp. att. c.p.p.. La domanda deve essere presentata, a pena di
inammissibilità, entro due anni dalla definizione del procedimento penale. La domanda di ripa-
razione dell’errore giudiziario ex art. 645 c.p.p. e, per il rinvio operato dall’art. 315, comma ter-
zo, c.p.p., la domanda di riparazione per ingiusta detenzione debbono essere sottoscritte perso-
nalmente dalla parte o da un procuratore speciale, mentre potranno essere presentate nella can-
celleria della Corte d’appello anche dal difensore munito di semplice procura alle liti come
chiaramente afferma Cass., Sez. Un., 14 dicembre 1994, Scacchia, in Foro it. 1995, II, p. 145.
13
V. PINI, Sui criteri d’indennizzo nella riparazione per ingiusta detenzione, CEDAM, Pado-
va, 1993, pp. 349 e ss..
14