La proposta di un esercito europeo venne promossa dall’italiano Alcide De Gasperi su
ispirazione di Altiero Spinelli, delegato generale dell’Unione Europea dei Federalisti e suo
attivo consigliere. De Gasperi chiese ed ottenne che nel trattato CED fosse inserito l’art 38
2
che prevedeva l’elaborazione, da parte della futura Assemblea Parlamentare della CED di un
progetto “a struttura federale o confederale” cioè di una autorità politica europea.. I sei
ministri della CECA, in occasione del primo Consiglio del 10 settembre 1953, decisero di
incaricare la nuova Assemblea opportunamente integrata, di assolvere al mandato dell’art. 38
del progetto di trattato CED. La struttura della Comunità Politica prevedeva un sistema
parlamentare bicamerale (una Camera eletta a suffragio universale ed un Senato nominato dai
parlamenti nazionali con eguali poteri legislativi). Il potere esecutivo sarebbe stato in mano ad
un Consiglio Esecutivo Europeo
3
il cui presidente, nominato dal Senato, avrebbe designato gli
altri membri e da un Consiglio dei Ministri Nazionali. Si faceva riferimento anche ad una
Corte di Giustizia
4
e ad un Consiglio Economico e Sociale consultivo.
Le competenze della Comunità Politica, che avrebbe assorbito la CECA e la CED,
riguardavano il coordinamento della politica estera degli stati membri e la realizzazione del
trattato CED. Le istituzioni della Comunità avrebbero avviato la realizzazione di un Mercato
Comune Europeo. Bisogna dire che il destino del progetto era legato ad una conclusione
positiva delle ratifiche parlamentari del trattato CED. La primavera del 1953 vide la nascita di
un tentativo “contrattualistico” di superare la gradualità e la settorialità dell’integrazione
europea per poi accedere all’Unione Politica vera e propria dell’Europa Occidentale. Ma tutte
queste illusioni non durarono a lungo. Ci fu un ampio dibattito in Francia che coinvolse le
forze politiche e appassionò l’opinione pubblica.
La crisi dello stato nazione non era profonda, il principio di sovranità non era
indebolito, come in molti credevano all’inizio degli anni 50, e vi era un argomento di peso che
fu fatto valere con successo dagli avversari della CED e cioè che non era ragionevole, per la
Francia di allora, privarsi dell’autonomia militare nel momento in cui le colonie più lontane
erano in rivolta e quelle più vicine non erano più così sicure. Il fallimento del progetto CED
non era soltanto il frutto della grande discordia interna alla Francia, ma aveva origine
2
L’art 38 del trattato CED da indicazioni sulla composizione e sui poteri sull’assemblea parlamentare e sulle
modalità di partecipazione dei governi nazionali al processo decisionale della Comunità
3
Gli articoli dal 39 al 50 dello stesso trattato si occupano della struttura e dei poteri del Consiglio.
4
Gli articoli da 51 a 67 del trattato CED si occupano del funzionamento della Corte di Giustizia che, secondo
l’art 52 è la medesima rispetto a quella della CECA. In un caso si occupa di questioni relative ad una comunità e
in un altro di questioni riguardanti l’altra.
6
dall’impossibilità storica della realizzazione di un’unità politica europea. La caduta del
progetto CED, davanti all’ Assemblea Nazionale francese il 30 agosto 1954, segnò la fine del
primo vero tentativo diplomatico di dar vita ad una struttura federale europea; anche il fatto
che esso fosse partito da un’iniziativa francese e che si fosse sviluppato in un entusiasmante
negoziato di opposizioni e dibattiti, era una prova ulteriore della parte essenziale che la
politica francese recitava sullo scenario europeo. Il voto della Assemblea Nazionale peserà a
lungo sulle iniziative europee, segnando la fine di un periodo storico, in cui i tentativi di
unione avevano trovato sia un’ opinione pubblica, sia governi più sensibili al progetto. Di tutti
i tentativi rimaneva un solo risultato concreto rispetto all’integrazione e questo risultato era la
CECA. La Comunità Europea di Difesa, concepita nella paura del riarmo tedesco, era fallita,
perché l’integrazione era un male peggiore di quello che si voleva evitare e perché non si
voleva ( in particolar modo da parte francese) sottoscrivere un irrevocabile impegno politico,
sancendo in questo modo l’Unione Politica Europea con la rinuncia ad una possibile
egemonia francese. La soluzione alla crisi più ampia, che comprendeva la questione del
riarmo della Germania, fu trovata tramite la riesumazione del trattato di Bruxelles che era
stato pensato in funzione di mutua difesa da Francia, Belgio, Gran Bretagna, Lussemburgo e
Paesi Bassi. Concluso il 17 marzo 1948 esso istituiva il Consiglio dell’Unione Europea
Occidentale. Nel 1954 vi si aggiunsero alcuni protocolli, di cui uno sanciva l’adesione di
Germania e Italia all’Unione Europea Occidentale.
Per quanto riguarda la Comunità Economica Europea, nel 1972 e nel 1974 si svolsero
due conferenze al vertice, di cui una a sei e una a nove membri, perché nel frattempo avevano
aderito alla Comunità la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Danimarca. Al vertice del 1972 si
gettarono le basi della politica comune in materia monetaria, mentre nel 1974 i nove capi di
Stato e di governo della CEE, decisero di riunirsi tre volte all’anno nel Consiglio Europeo,.
Nello stesso anno, cominciarono anche a svolgersi riunioni informali dei ministri degli esteri
dei paesi membri, per elaborare una linea comune a livello di politica estera. Queste riunioni
erano alla base della cooperazione politica europea, prevista dall’Atto Unico Europeo, che
trasformò inoltre le conferenze al vertice, in una istituzione comunitaria, con il nome di
Consiglio Europeo.
7
2) L’Atto Unico
L’Atto Unico è un Trattato redatto dai 9 membri della CEE. E’ stato concluso a
Lussemburgo nel 1986, sotto gli auspici del Consiglio Europeo di Milano del giugno 1985.
5
E’ entrato in vigore il 1 luglio 1987.
Per quanto riguarda la politica estera, all’interno dell’Atto Unico, dobbiamo rifarci
all’art. 30.
6
Il primo comma asseriva che le parti si impegnavano a definire e attuare una
politica estera europea, gli stati inoltre dovevano consultarsi per far convergere le loro
posizioni e realizzare azioni comuni. In secondo luogo dovevano cercare di evitare azioni o
prese di posizione che potessero nuocere alla coerenza della loro condotta, tenendo conto del
principio della massima compattezza possibile, nelle posizioni da sostenere di fronte o
all’interno di organizzazioni internazionali
7
. Le riunioni dei ministri degli esteri in ambito
della cooperazione politica avvenivano almeno quattro volte all’anno e queste materie
potevano anche essere trattate nelle riunioni del Consiglio. La Commissione era associata a
pieno titolo ai lavori, mentre il Parlamento Europeo, veniva informato dalla Presidenza sui
temi trattati; la Presidenza a sua volta operava nel senso di prendere fortemente in
considerazione le opinioni dell’assemblea. Uno dei nuovi principi che l’Atto Unico ha
stabilito, è stata la creazione di un’ identità europea in politica estera, mediante una stretta
cooperazione fra gli stati, nella politica di sicurezza e un coordinamento delle posizioni
relative agli aspetti economici e politici della materia.
Le decisioni e le posizioni prese di concerto dagli stati membri, non dovevano entrare
in contrasto con gli impegni presi all’interno di altre istituzioni quali l’UEO e la NATO.
La Presidenza della CPE veniva esercitata dallo stato che era presidente di turno del
Consiglio delle Comunità Europee. Gli stati terzi potevano rivolgere le loro critiche o i loro
rilievi alla Presidenza della CPE, perché essa era responsabile delle attività che rientravano in
questo settore.
5
Nel Consiglio Europeo di Milano fu approvata per la prima volta a maggioranza la proposta di convocare una
CIG per predisporre un progetto di trattato per la cooperazione nel campo della sicurezza e della politica estera.
Tale conferenza portò all’approvazione dell’Atto Unico firmato nel febbraio 1986 ed entrato in vigore il 1 luglio
1987.
6
Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee, serie L n 169, 29 giugno 1987.
7
Tali argomenti sono stati trattati approfonditamente nei seguenti testi, E. REGELSBERGER, P. SCHOUTTETE DE
TERVARENT,W. WESSELS, Foreign policy of the European Union :from EPC to CFSP and beyond, Boulder,
London, 1997 e A. PIJPERS, E REGELSBERGER, W.WESSELS European political cooperation in the 1980s:a
common foreign policy for western Europe,Dordrecht, Boston, London, MartinusNijhoff publ. 1988.
8
Un altro livello della CPE era quello dei direttori politici, che si riunivano
regolarmente nel comitato politico e avevano una funzione logistica. Essi organizzavano le
riunioni dei ministri e ponevano all’ordine del giorno le questioni da affrontare.
In caso di necessità il comitato politico o la riunione ministeriale, venivano convocati
entro 48 ore su richiesta di tre stati membri.
La Presidenza era assistita da un Segretariato che operava sotto la sua autorità, nella
preparazione e nell’attuazione delle attività della CPE.
Come previsto dalle disposizioni finali dell’Atto Unico Europeo, dopo una conferenza
intergovernativa, durata quasi due anni, si è arrivati alla firma il 7 febbraio 1992 del Trattato
sull’Unione Europea, che ha dedicato il titolo V, alla politica estera e di sicurezza comune.
3) Il Trattato sull’Unione Europea
Il trattato di Maastricht costruiva un’Unione Europea basata su tre pilastri.
a) le tre comunità: Comunità Europea, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio
e Comunità Europea per l’Energia Atomica.
b) La politica estera e di sicurezza comune.
c) La cooperazione in materia di giustizia e affari interni.
E’ importante sottolineare che,di questi tre pilastri, il secondo ed il terzo non dovevano
essere soggetti al metodo comunitario, ma assumevano la forma di cooperazione fra stati. Ciò
significava che le decisioni venivano adottate dal Consiglio Europeo e dal Consiglio dei
Ministri all’unanimità.
Gli obiettivi della PESC erano:
1) La difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell’indipendenza
dell’Unione.
2) Il rafforzamento dell’Unione e dei suoi stati membri.
3) Il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale.
4) La promozione della cooperazione internazionale.
9
5) Lo sviluppo e il consolidamento della democrazia e dello stato di diritto, nonché il
rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
8
Il Consiglio Europeo, a cui partecipava il presidente della Commissione, stabiliva i
principi e gli orientamenti generali della PESC. Il Consiglio dei Ministri degli esteri si riuniva
almeno una volta al mese, per decidere le misure necessarie all’attuazione di questa politica.
In tale compito era coadiuvato da un comitato politico composto da direttori politici e
funzionari della Commissione. La presidenza veniva esercitata a turno, da ciascuno stato
membro per sei mesi. La presidenza in carica formava insieme a quella precedente e quella
successiva, la troika. La Commissione era pienamente associata ai lavori, in questa materia, e
aveva diritto di iniziativa nei confronti del Consiglio.
Il Parlamento Europeo veniva periodicamente informato dalla Presidenza e dalla
Commissione sugli sviluppi della PESC e poteva formulare domande e raccomandazioni al
Consiglio. Inoltre, teneva una seduta annuale per valutare i progressi in questo settore.
9
Tra la
commissione parlamentare per gli Affari Esteri e la Commissione Europea, vi sarebbe stato
un continuo confronto sulle questioni di politica estera. La commissione parlamentare
intratteneva con la presidenza del Consiglio, un continuo scambio di opinioni. In questo modo
si voleva garantire che le posizioni del Parlamento Europeo, fossero prese “in debita
considerazione”.
Le sottocommissioni del Parlamento si sarebbero occupate di diritti umani, sicurezza e
disarmo.
Delegazioni di osservatori avrebbero svolto il ruolo di sorveglianza di elezioni, come
in Palestina e in Russia.
10
La PESC si occupava di tutte le questioni relative alla sicurezza dell’Unione,
compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune, che avrebbe potuto
portare a una difesa comune. L’Unione non era munita di una struttura militare e per
l’attuazione delle decisioni in materia di difesa, si avvaleva della collaborazione dell’UEO.
Secondo la volontà dei suoi stati membri, che facevano parte sia dell’ UE che della
NATO, l’UEO avrebbe dovuto svilupparsi come componente di difesa dell’Unione e come
8
Qui facciamo riferimento agli art A e B del Trattato sull’Unione Europea, in NASCIMBENE, Comunità e Unione
Europea, Torino, 1995, pp. 259-60.
9
Titolo V, del Trattato sull’Unione Europea, in Comunità e Unione Europea, pp. 262-268.
10
Riguardo al rapporto tra la Commissione Affari Esteri e la Commissione Europea e a proposito delle
sottocommissioni del Parlamento Europeo, cfr, Hhttp://www.europa.eu.int/comm/publications/archives/H
booklets/move/07/txt_it.htm#coop#coop
10
mezzo per rafforzare il pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica.
11
Sin dal 1992, l’UEO ha
affermato il primato della NATO nei contesti di autodifesa collettiva, decidendo quindi di
limitarsi alle azioni denominate “compiti di Petersberg”, che riguardavano il ristabilimento e
il consolidamento della pace, la gestione delle crisi e la protezione nell’ambito delle azioni
umanitarie.
12
L’Unione Europea aveva diversi strumenti per definire e attuare la politica estera e di
sicurezza. Uno di questi era la posizione comune, adottata dal Consiglio, che costituiva un
orientamento per la politica degli stati membri in questa materia, permettendo loro una azione
coordinata in seno alle organizzazioni internazionali. Il sostegno alle posizioni comuni
avrebbe dovuto, per esempio, portare al voto concorde in seno agli organismi e agli istituti
specializzati delle Nazioni Unite e all’interno della CSCE.
Il Consiglio poteva inoltre, adottare azioni comuni che a differenza delle posizioni,
non si limitavano a dare indicazioni sulla condotta della politica estera nazionale, ma avevano
carattere vincolante per gli stati membri. Riguardo alle azioni comuni è stato necessario
definire concretamente l’ambito, gli obiettivi, i mezzi e le procedure da utilizzare per la loro
definizione e attuazione.
La responsabilità per la fase esecutiva, spettava alla Presidenza, spesso sotto forma di
troika, e la regola generale per la loro adozione era l’unanimità. Su questioni secondarie si
sarebbe votato a maggioranza qualificata, applicando la ponderazione dei voti prevista dall’art
148 TCE.
Lo strumento di reazione e di presa di posizione più immediata, in merito agli
avvenimenti internazionali, era costituito dalla dichiarazione comune, che avrebbe assunto il
valore di un monito, nei confronti di quei paesi dove erano in atto violazioni gravi e
persistenti dei diritti umani e del diritto internazionale in generale.
13
Gli stessi redattori del TUE avevano previsto che nel 1996, una conferenza
intergovernativa avrebbe dovuto riformare alcune parti del trattato, secondo la procedura
dell’art N.
11
Vedi dichiarazione dell’Unione Europea Occidentale allegata al TUE.
12
Per la prima volta nella dichiarazione di Petersberg l’UEO stabilisce in quali campi intervenire. Cfr
http://www.weu.int/documents/920619peten.pdf.
13
vedi nota 9
11
3-1) La posizione danese
Secondo le conclusioni del Consiglio Europeo di Edimburgo del 1992, allegate al
TUE, la Danimarca non partecipava all’elaborazione e all’attuazione di decisioni aventi
implicazioni in materia di difesa e non ostacolava lo sviluppo di una collaborazione più stretta
fra gli altri stati membri in questo settore. Per confermare questa posizione verrà allegato al
Trattato di Amsterdam un Protocollo di cui la Danimarca poteva in ogni momento sospendere
l’applicazione notificando la sua decisione al Consiglio. In questo caso lo stato avrebbe
applicato tutte le misure pertinenti, in vigore in quel momento nell’ambito dell’Unione
Europea. In questo Protocollo si stabiliva anche che le clausole di opting out, si applicavano
alle politiche relativa alla creazione di uno spazio di libertà sicurezza e giustizia e in particolar
modo alle misure concernenti immigrazione asilo e visti
14
Per le decisioni del Consiglio in
questi settori,che dovevano essere adottate all’unanimità, si richiedeva l’unanimità dei
membri ad eccezione del rappresentante del governo danese.
4) Verso una politica estera e di sicurezza comune
All’interno di questo paragrafo verranno analizzati i Consigli Europei che vanno da
Copenaghen 1993 ad Amsterdam 1997 perché è all’interno di tale contesto che vengono
tracciate le linee guida di una possibile politica estera e di sicurezza comune.
4-1) I Consigli Europei da Copenaghen 1993 ad Amsterdam 1997
I Consigli Europei, hanno enucleato alcuni temi di particolare importanza, che
costituiscono il campo d’azione della politica estera della UE. Questi temi sono: i rapporti con
14
Cfr. Protocollo sulla posizione della Danimarca allegato al Trattato di Amsterdam, in
http://www.europa.eu.int/eur-lex/lex/it/treaties/dat/11997D.htm.
12
la Russia, la questione mediorientale, il riassetto della regione balcanica, lo sviluppo e
l’integrazione dell’area mediterranea e l’evoluzione delle relazioni transatlantiche.
Il Consiglio Europeo di Copenaghen si è svolto a ridosso del secondo referendum
danese, che ha sancito la ratifica del Trattato di Maastricht. Riguardo alla politica estera, in
tale contesto si sono affrontati diversi punti.
Russia
Con la Federazione Russa erano in corso negoziati per un accordo di partenariato e
cooperazione. Si auspicava che questa collaborazione sfociasse in un confronto politico
permanente tra presidente del Consiglio, presidente della Commissione e presidente russo. Il
Consiglio Europeo di Bruxelles svoltosi il 29 ottobre 1993 inviò una missione di osservatori
in previsione delle elezioni parlamentari del dicembre 1993. In seguito durante il Consiglio
Europeo di Corfù (24-25 giugno 1994) fu firmato l’accordo di partenariato fra Unione
Europea e Russia. Il Consiglio Europeo di Cannes del giugno 1995, poneva l’obiettivo di
costruire relazioni stabili con i paesi della CSI, per contribuire alla stabilità politica ed
economica della regione.
Nel Consiglio Europeo di Madrid (15-16 dicembre 1995) si esortava la Russia a
proseguire nello sforzo a favore della stabilità, dello sviluppo, della pace e della democrazia.
Si metteva in evidenza che lo sviluppo della cooperazione nell’ambito della sicurezza tra
L’Unione Europea e la Russia, era essenziale per la stabilità in Europa. Si prendeva atto con
soddisfazione che l’accordo di partenariato sarebbe entrato in vigore il 1 febbraio 1996 e si
esortavano le Parti Contraenti a ratificare gli accordi con Russia e Ucraina il prima possibile.
Per quanto riguarda l’approccio alla condotta delle relazioni con la Russia si adottavano i
seguenti elementi:
- sostegno costante all’ulteriore sviluppo della democrazia e del pluralismo e
rafforzamento delle norme giuridiche e l’invito all’adesione al Consiglio d’Europa.
- sviluppo di consultazioni regolari e supporto tecnico, attività di contatto e scambi
interpersonali a tutti i livelli,
- sostegno alla cooperazione regionale, monitoraggio delle elezioni parlamentari e
presidenziali russe.
13
A Firenze, il 21-22 giugno 1996, il Consiglio Europeo ribadì il sostegno al processo di
riforma in Russia. Accolse il positivo svolgimento delle elezioni ed il rafforzamento della
democrazia che contribuivano a rafforzare la pace, la stabilità e la sicurezza in Europa. Si
espresse a favore dell’entrata in vigore dell’accordo interinale del 1 febbraio 1996 e
dell’adozione del piano di azione del Consiglio, entrato in vigore il 13 maggio 1996, il quale
verteva su un sostegno al processo democratico, sulla cooperazione economica, sulla
sicurezza, sulle relazioni esterne e sulla giustizia e affari interni. Si forniva la base per una
cooperazione continua e fruttuosa. Si sottolineava inoltre, come il programma TACIS
15
costituisse un importante elemento nella promozione della transizione economica e della
democrazia in Russia ed un aiuto per l’attuazione del piano di azione. L’adesione effettiva
della Russia al Consiglio d’Europa il 28 febbraio 1996, costituiva un ulteriore passo verso il
consolidamento dei principi democratici e dei diritti dell’uomo. Nel Consiglio Europeo di
Amsterdam del 16-17 giugno 1997, vi fu la firma dell’atto costituente dei rapporti reciproci,
in materia di cooperazione e di sicurezza fra NATO e Federazione Russa.
16
Ex Jugoslavia
A partire dal Consiglio Europeo di Copenaghen, si sostenne che riguardo al conflitto
nella ex Jugoslavia una possibile soluzione negoziata doveva basarsi sull’indipendenza, la
sovranità e l’integrità territoriale della Bosnia Erzegovina, nel rispetto dei diritti umani e delle
convenzioni di diritto umanitario. Per portare a termine tali obiettivi, secondo il Consiglio, si
dovevano seguire le indicazioni contenute nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza
dell’ONU. L’Unione Europea e la comunità internazionale dovevano impegnarsi a mantenere
e rendere efficaci le sanzioni ONU a carico della federazione Jugoslava. A questo scopo
l’UEO e la NATO organizzarono pattugliamenti congiunti della costa della Serbia
Montenegro. I membri dell’UEO fornirono assistenza all’Ungheria, la Romania e la Bulgaria
nel pattugliamento del Danubio. Nel Consiglio Europeo di Bruxelles la Jugoslavia restava il
fulcro della riflessione del Consiglio in politica estera. La preoccupazione principale in quel
15
Il TACIS è un programma che l’Unione Europea ha promosso dal 1991 nei confronti delle repubbliche ex
sovietiche per facilitare il processo di transizione verso l’economia di mercato.
16
L’accordo stabiliva la volontà delle parti di costruire un’Europa unita pacifica e stabile. L’atto definiva le
modalità di azione e di decisione condivisa. Per ulteriori approfondimenti vedi Hhttp://www.nato.intH
14
momento era di garantire che gli aiuti umanitari giungessero alla popolazione bosniaca.
Affinché questo potesse accadere, era necessario che le parti permettessero la creazione di
corridoi umanitari specialmente verso Sarajevo. Il Consiglio diede mandato a Lord Owen di
intercedere coi dirigenti locali affinché i convogli umanitari potessero transitare e si
esprimeva riguardo alle modalità di protezione di tali aiuti. Occorreva convincere il maggior
numero possibile di stati a dare il loro contributo, in seconda battuta, allo scopo di proteggere
gli itinerari si indicava il rafforzamento del contingente dell’UNPROFOR, la forza di
protezione delle Nazioni Unite, che verrà analizzata più approfonditamente, nella sua forma e
nella sua funzione in seguito. Il 13 maggio 1994, l’Unione Europea, la Russia e gli Stati Uniti
si impegnarono a lavorare insieme per una soluzione negoziata del conflitto bosniaco. Il
Gruppo di Contatto, costituito da questi paesi, stava attraversando un momento critico, per la
non collaborazione delle parti in conflitto. Il Consiglio Europeo di Corfù si espresse per una
soluzione che preservasse la Bosnia Erzegovina come singola unione all’interno dei propri
confini internazionalmente riconosciuti; si potevano prevedere disposizioni costituzionali che
stabilissero le relazioni tra croato-bosniaci e serbo-bosniaci in base ad un accordo che
destinasse il 51% del territorio ai croato-bosniaci e il 49% ai serbo-bosniaci.
17
L’UE aveva
risposto positivamente all’invito di provvedere all’amministrazione di Mostar per un periodo
di due anni e aveva accolto favorevolmente la disponibilità dell’UEO a contribuire a tale
amministrazione. Nel Consiglio Europeo di Essen vi erano alcuni elementi di continuità
rispetto ai Consigli precedenti: si ribadiva la richiesta del cessate il fuoco nella zona protetta
di Bihac, ripetutamente violata dalle forze serbe, cui avrebbe dovuto seguire una cessazione
delle ostilità in tutta la Bosnia; si continuava ad esortare il mantenimento della funzione di
assistenza umanitaria da parte dell’UNPROFOR, con la richiesta indirizzata alle parti in
conflitto affinché fosse possibile continuare ad operare senza rischi. Infine si auspicava il
riconoscimento reciproco degli stati della ex Jugoslavia, all’interno delle frontiere stabilite a
livello internazionale.
17
Il Gruppo di Contatto aveva trovato notevoli difficoltà nel cercare di far rispettare gli accordi di Dayton a
causa della non collaborazione delle parti in conflitto. Il 23 marzo 1996 aveva elaborato un documento sullo
stato dell’attuazione degli accordi di Dayton, enucleando le difficoltà incontrate lungo il percorso e proponendo
modalità alternative per l’attuazione. Nonostante tutto ciò, emergeva nel documento, la volontà di salvaguardare
l’unità territoriale della Bosnia Erzegovina ed in questo senso, si sottolineava l’esigenza che qualsiasi proposta
non stridesse coi dettami costituzionali. Per ulteriori informazioni vedi Hhttp://www.balkanweb.comH Gli
accordi di Dayton sancivano la fine del conflitto in Bosnia istiuendo uno stato bosniaco diviso in due entità:
quella serbo-bosniaca e quella croato-musulmana, stabiliva dei criteri per la elaborazione di una costituzione del
nuovo stato e poneva le condizioni le basi e gli atti che avrebbero costituito la difesa dei confini. Per il testo degli
accordi di Dayton vedi http://www.balkanweb.com.
15