Il dolore acuto e quello cronico affliggono decine di milioni di persone al
mondo ogni giorno.
Esistono dolori che durano soltanto pochi giorni, come quelli causati da
traumi, postumi di un’operazione o malattie che si riacutizzano.
Ma il dolore che più spaventa è quello cronico, che dura mesi o addirittura
anni.
È la sorte di chi soffre di cefalee o nevralgie persistenti, nevrite o dolore
lombare.
Ma non bisogna rassegnarsi alla sofferenza: è possibile alleviare il dolore,
attenuandolo in modo che diventi sopportabile. Così potrà migliorare
anche la qualità della vita.
Oggi sono disponili molte terapie contro il dolore che danno ottimi risultati.
La sua soppressione è possibile grazie ai trattamenti farmacologici.
I farmaci antidolorifici aiutano a non soffrire.
Se assunti correttamente, anche la morfina e i suoi derivati possono
contribuire a migliorare la qualità della vita senza alterare lo stato di
coscienza.
Sono, infatti, farmaci antidolorifici raccomandati dall'Organizzazione
Mondiale della Sanità.
In Italia la percentuale di medici che prescrivere la morfina è però ancora
molto bassa, sebbene la normativa sulle prescrizioni dei farmaci
analgesici oppiacei sia stata gradualmente e quasi totalmente rivista,
introducendo la possibilità di prescrivere sulla stessa ricetta fino a due
preparazioni o dosaggi e per trenta giorni di terapia.
Altri provvedimenti importanti sono stati quelli per lo sviluppo della rete
delle cura palliative e le iniziative per la realizzazione di ospedali senza
dolore.
L’efficacia del trattamento del dolore rimane uno tra i più importanti e
pressanti problemi medici mondiali: molti pazienti, infatti, trascorrono le
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ultime settimane, gli ultimi mesi della loro vita in situazioni estremamente
disagevoli di sofferenza e di invalidità.
Spesso vi è una reale inadeguatezza formativa e professionale ad
affrontare il dolore fisico, anche con strumenti relativamente innocui.
Questo avviene spesso per l’eccessiva attenzione riposta nella malattia di
base, che relega in un ambito “facoltativo” l’impegno a lenire la sofferenza
attuale, come fosse un aspetto.
In conclusione possiamo dire che il trattamento del dolore è spesso
inadeguato o inesistente per vari motivi quali:
• L’ignoranza a proposito delle cure capaci di sopprimere il dolore;
• La deformazione culturale del medico che, a volte, considera il
dolore come sintomo ineluttabile;
• I problemi legali che intralciano l’uso di analgesici oppioidi:
• I problemi legati alla dipendenza dei farmaci oppioidi.
Per questi ed altri motivi, nei primi anni ’80, l’O.M.S. ha focalizzato
l’attenzione sull’argomento pubblicando le linee guida per il controllo del
dolore.
L’obiettivo di queste linee guida è stato quello di stabilire un metodo
scientificamente valido che potesse essere usato a livello comunitario nei
paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo.
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PREMESSA
Non è la morte ad essere un male e a fare paura, bensì il processo del
morire, nel quale la morte costituisce il punto ultimo.
Come ci ha insegnato Vittorio Ventafridda, pioniere delle cure palliative, è
dovere assoluto del medico togliere qualunque sofferenza, sapendo
anche che il dolore ha una duplice natura, fisica e psichica.
In realtà nessuno sa descrivere il dolore, che si comprende solo quando
c’è, e che è quasi impossibile raccontare.
È dimostrato che il dolore incide nella memoria del cervello una specie di
solco, che scompare quando il dolore cessa.
Allorché il dolore si ripresenta la memoria lo potenzia e lo peggiora.
E allora vale quello che io mi sono sempre sforzato di fare, e di insegnare
ai miei medici: bisogna “correre avanti al dolore”, non lasciarlo ritornare.
Se potessi coniare uno slogan, direi che “non esiste più l’ora dell’iniezione
contro il male”.
Dolore, spasmi muscolari, estrema magrezza, stato di confusione,
insonnia oppure torpore, respirazione difficile, totale spossatezza,
stitichezza o diarrea, vomito, incontinenza.
Specie nel cancro, è questo il penoso elenco dei sintomi che
accompagnano i difficili giorni che precedono la morte, e che vedono
tante volte al letto del paziente soltanto i familiari stanchi e disperati,
impreparati ad una assistenza tanto impegnativa.
Come Marie De Hennezel insegna nel suo libro la dolce morte,
intervenire per ridare un equilibrio alle ore sconvolte dal male è il compito
del medico e delle èquipe di cure palliative, che possono davvero fare
molto per trasformare una morte straziante in un misericordioso
spegnersi, regalando al morente e alla sua famiglia anche spazi liberi
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dalla sofferenza, in cui il tempo sembra perfino allargarsi, e magari si
pronunciano le parole che non si erano dette mai.
I trattamenti antidolorifici, in seguito ad un un generale consenso, sono
assolutamente leciti anche sul piano giuridico.
Già nel 1971 il giurista Alfredo De Marsico scriveva: “…se per alleviare le
sofferenze il medico non può far ricorso che a rimedi il cui uso prolungato
implichi il diminuirsi delle resistenze vitali dell’inferno e quindi in pericolo
della sua morte, questa si verificherà non in dipendenza dei farmaci
prescritti, ma della malattia. Una malattia che non ammetta altra cura che
l’attenuazione del dolore non può condannare il medico all’inerzia; prima
che i farmaci, sarebbe la sofferenza a esaurire le energie del paziente. La
morte, perciò, in questi casi, deve intendersi come momento terribile del
ciclo evolutivo dell’infermità; l’efficacia concorsuale dei farmaci deve
ritenersi lecita, se non doverosa, come unico modo di estrinsecazione
dell’ufficio professionale, e in estremo scriminata dallo stato di necessità”.
(Umberto Veronesi, 2005)
Nel senso del diritto del morente a non soffrire si sono pronunciate
numerose istituzioni, dal Consiglio d’Europa del 1976 (diritto dei morenti a
non soffrire inutilmente) ai vari codici di deontologia medica e in tutto il
mondo.
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IL DOLORE
“ Il dolore è un nefando signore dell’umanità,
più terribile della morte stessa. ”
Albert Schweitzer
Fin da quando l’uomo è apparso sulla terra, il dolore è stato oggetto di
paura, di superstizione, d’interesse e di studio.
La meditazione, l'interpretazione e lo studio sul dolore costituiscono,
infatti, un patrimonio culturale antico quanto l’uomo.
Da sempre il dolore è stato oggetto di curiosità, rispetto, superstizione e
studio nelle varie discipline.
Ciononostante è sempre stato difficile giungere ad una soddisfacente
definizione del dolore.
Nelle popolazioni primitive, il dolore era considerato come un’espressione
del mondo magico, in cui la natura e l'uomo erano immersi, era
interpretato come effetto della presenza o dell'azione di spiriti malvagi o
di demoni e rientrava nella sfera di competenza dell'esperto di pratiche
magiche: lo "stregone".
Questo tipo di credenza persistette, in Occidente, fino alla nascita della
medicina ippocratica.
Ippocrate interpretò il dolore in termini biologici come la conseguenza di
un'alterazione quantitativa, in eccesso o in difetto, degli "umori", quelli che
riteneva essere i quattro elementi costitutivi fondamentali (sangue,
flegma, bile gialla e bile nera) che, equilibrandosi fra loro, regolavano
l'armonia del corpo. (http://www.aisd.it/tiengobellucci.php)
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Fu Aristotele ad imprimere una svolta concettuale e interpretativa,
considerandolo correlato ad un organo di senso (il tatto) e deputato a
svolgere una funzione fondamentale nel salvaguardare l’integrità fisica
dell'essere vivente.
Cartesio approfondì e sviluppò il concetto del dolore come sistema di
autodifesa: non solo a favore della tutela del singolo essere vivente ma,
in prospettiva, nella salvaguardia della specie.
Un allarme che segnala un pericolo in atto, uno spiacevole ma prezioso
avvertimento senza il quale ogni forma di vita finirebbe con l'estinguersi,
aggredita e distrutta da condizioni avverse.
Alla fine del 700 e per tutto l’ 800 gli studi di anatomia hanno portato al
riconoscimento e alla descrizione sempre più accurata e minuziosa di
recettori e vie nervose preposti alle varie sensibilità, ma per il dolore
rimaneva il dubbio: se si trattasse di un senso autonomo anch'esso, con
recettori e vie specifici, come vista, olfatto, tatto e gusto, o se
rappresentasse solo una particolare "variazione", uno "squilibrio"
quantitativo - qualitativo delle altre differenti sensazioni.
Saranno soltanto gli studi della neurofisiologia moderna che ci
permetteranno di iniziare il cammino per l’interpretazione di una
percezione sensoriale così complessa.
Il termine inglese “pain”(dolore) deriva dal latino poena, che significa
pena, punizione.
Nel 1979 l’International Association for the study of Pain descrive il dolore
come una “ esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, associata a
danno tessutale reale o potenziale, o descritta nei termini di tale danno,
segnalata da una qualche forma di comportamento rilevabile ”, e ancora:
“ il dolore è sempre soggettivo ” e quando una persona sostiene di
provarlo, anche in assenza di evidenza organica e funzionale, esso “
deve essere accettato come dolore ” (IASP, 1979).
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Il dolore tende a presentarsi all’uomo in due modi:
• In veste di amico che lo avverte dell’incombenza di un pericolo o di
uno stimolo nocivo;
• In veste di acerrimo nemico, o addirittura di “ sicario ”, che non
perdona. E’ questo il caso del dolore da cancro che diviene
malattia nella malattia, la più difficile da sopportare.
Il dolore ci dice che qualche cosa sta funzionando male in qualche area
del nostro corpo o ci avverte dell’esistenza di un danno. È dunque un
avvertimento del corpo al cervello affinché questo, in modo istintivo,
possa porre in atto un comportamento adeguato:
• Sottrarsi al dolore-danno;
• Affrontarlo e, se possibile, neutralizzandolo.
E' quindi una situazione di allarme finalizzata alla conservazione o al
ripristino dell'integrità organica - anatomica o funzionale, ma se però
persiste, procura sofferenza e disagio e diventa, essa stessa, causa di
squilibrio organico e/o psichico.
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ASPETTI DEL DOLORE
“ Il dolore è l’unica entità
alla quale si obbedisce sempre.”
Mercel Proust
Considerando il dolore in base alla sua durata possiamo definirlo:
(L. Brasseur, M. Chauvin, G. Guilbaud, 1999)
Acuto;
Il dolore acuto è il dolore che insorge inaspettatamente ed è di durata
limitata perché generalmente cessa con la guarigione della causa che lo
ha provocato.
Il dolore acuto svolge una duplice funzione:
• Rappresenta un segnale d’allarme per l’organismo per evitare un
danno maggiore (come ad esempio quando lo obbliga a tenere a riposo
la parte traumatizzata)
• Può essere un sintomo precoce di richiamo per giungere ad una
diagnosi.
Questo tipo di dolore viene quindi considerato come “utile”, e prima di
essere affrontato e trattato va capito, interpretato per un’adeguata terapia
della patologia.
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Cronico.
Il dolore cronico invece deve essere considerato in modo differente:
• Se la condizione patologica che provoca il dolore è nota e in buona
parte non aggredibile;
• Se il dolore è persistente nel tempo, in genere da 3 a 6 mesi;
• Se la sua presenza continua instaura un circolo vizioso di
depressione, ansia e altri disturbi emotivi, e il dolore diviene allora
sindrome autonoma con pesante impatto sulla vita di relazione e sugli
aspetti psicologici e sociali caratteristici della persona.
Allora il dolore diviene un sintomo “inutile” e va trattato nel modo più
tempestivo e completo possibile.
In questo senso, il dolore cronico non rappresenta solo un’estensione
temporale del dolore acuto, ma assume caratteristiche qualitative
completamente diverse, che necessitano di un approccio mentale,
culturale e professionale opposto.
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