5
Dall’altra parte, prenderò in esame il ruolo che l’Unione europea ha
assunto negli ultimi anni, in particolare da quando, nel 1992, con il Trattato
di Maastricht, i partners europei hanno stabilito le nuove direttive di
politica estera comune, sintetizzandole nell’art. 11 del Trattato: “…difesa
dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dell’indipendenza
dell’Unione; (…) sviluppo e coordinamento della democrazia e dello Stato
di diritto, nonché rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali”
1
. Esporrò come questi obiettivi, entrando a far parte
dell’agenda politica europea, abbiano conferito un volto nuovo all’Unione
e abbiano condizionato i suoi rapporti con i Paesi terzi e, in maniera
rilevante, quelli con Ankara.
Nel primo capitolo, rifacendomi ai dati offerti dai rapporti di
organizzazioni non governative (ONG) come Amnesty International o
l’Associazione Internazionale per i Diritti Umani di Turchia (IHD) e alle
relazioni annuali della Commissione Europea, presento un’ampia
panoramica delle violazioni dei diritti umani perpetrate dallo Stato turco,
delle evoluzioni degli ultimi anni ma anche delle lacune che, nonostante i
notevoli progressi, permangono, non solo dal punto di vista normativo ma,
anche e soprattutto, nella pratica.
Il secondo capitolo mette in evidenza la questione più spinosa e in
riferimento alla quale si registrano meno progressi, ovvero, quanto avviene
nelle carceri e nelle stazioni di polizia turche. Le motivazioni che possono
condurre al carcere, le violenze che vi si possono subire, l’impunità di cui
godono coloro che esercitano queste violenze, sono le manifestazioni di
una logica del potere che non segue le vie tracciate dal diritto, sono il
1
Neill Nugent, Governo e politiche dell’Unione Europea, Il Mulino, Bologna 1999, p. 481.
6
segnale che la Turchia è un paese ancora scarsamente sensibile alle
imposizioni della normativa internazionale che pure ha ratificato,
riconoscendone la supremazia rispetto al diritto interno.
Nel capitolo terzo viene trattato il tema della pena capitale. Quando
uno Stato prevede nel proprio ordinamento giuridico la possibilità di
uccidere un uomo, esso si rende padrone di un potere di vita o di morte sui
propri cittadini. Il diritto di uccidere rende lo Stato onnipotente, gli
conferisce un potere illimitato contravvenendo al principio su cui si regge
lo stato di diritto, ossia la subalternità dello stato stesso alla legge.
Mentre l’analisi dei momenti del pensiero filosofico che si sono
accostati all’argomento della pena di morte mostra come il dibattito sia
stato fondamentale per il riconoscimento dell’illegittimità e dell’inutilità
dell’esecuzione capitale, lo studio della normativa internazionale esistente
sul tema evidenzia il raggiungimento, da parte di un numero sempre
maggiore di Stati e con sempre maggiore urgenza, della consapevolezza
che la pena di morte costituisce la violazione del diritto primario alla vita e
che quindi sia necessario fare tutti gli sforzi possibili affinché essa venga
abolita in tutto il mondo.
All’interno di questo quadro si inserisce il caso dell’abolizione della
pena capitale da parte della Turchia, avvenuta nel luglio 2004. Tra questa
data e la data dell’ultima esecuzione capitale, a cui è seguita una moratoria
de facto delle esecuzioni, sono trascorsi vent’anni nel corso dei quali
l’interazione tra le autorità turche e l’Unione europea si è incrementata. Il
capitolo mostra come le azioni attuate dall’Ue nei confronti della Turchia
siano state indispensabili nella scelta abolizionista di quest’ultima.
7
Il quarto capitolo, concentrandosi, innanzitutto, sulla storia delle
relazioni tra Ankara e Bruxelles, ha l’obiettivo di provare che le politiche
messe in atto dall’Unione europea a favore della Turchia, ma anche le
condizioni a cui tali politiche sono subordinate e l’atteggiamento attendista
che, durante tutti questi anni, ha caratterizzato il comportamento
dell’Unione nei confronti della Turchia, concorrono al determinarsi dei
cambiamenti posti in essere dalle autorità turche in riferimento alla tutela
dei diritti umani, e che l’abolizione della pena di morte, oltre ad essere di
per sé un importante risultato, è solo uno degli obiettivi raggiungibili grazie
alle dinamiche che coinvolgono i due soggetti.
Le riforme legislative volte al riconoscimento di tali diritti sono parte
di un quadro molto ampio di trasformazione mirato all’adesione della
Turchia all’Unione europea. Allo scopo di inserire le problematiche
riguardanti i diritti umani all’interno di questo quadro, il quinto capitolo
offre una visione d’insieme degli interessi reciproci, sia di natura politica
che di stampo economico, della Turchia e dell’Unione europea, degli
ostacoli che si frappongono alla realizzazione del progetto di adesione e di
come questo progetto ponga entrambi di fronte a delle sfide che, seppure
con la giusta dose di cautela, meritano di essere affrontate.
8
1 LA TURCHIA E I DIRITTI UMANI
Situata ai margini, non solo geografici, dell’Europa, la Turchia ha cercato e
cerca ancora oggi di accorciare la distanza che la separa dal mondo
occidentale. È sin dal 1856, cioè dalla guerra di Crimea, quando la Sublime
Porta fu invitata dalle altre potenze a prender parte al “concerto europeo”
per decidere il destino del vecchio continente, che il paese ha avviato il suo
lungo processo di avvicinamento all’Europa e oggi è sicuramente, tra gli
Stati a maggioranza musulmana, il paese più vicino a laicismo e
democrazia e il più tradizionalmente filo-occidentale.
Fautore della trasformazione della Turchia in Stato moderno e
secolare sullo stampo delle democrazie occidentali, nonché fondatore della
Repubblica di Turchia nel 1923 fu Mustafa Kemal (1881-1938) detto
Atatürk, ovvero padre dei turchi; a lui si deve l’attuazione di una serie di
riforme che incisero sulla società e sulle tradizioni fino ad allora mantenute
dalla Turchia.
2
Nonostante la scelta “occidentale” che ha caratterizzato la politica
turca dell’ultimo secolo, consolidata dall’entrata della Turchia nella NATO
2
Dopo aver fatto deporre il sultano nel 1922, Atatürk diede l’avvio al programma di ricostruzione di cui
la società turca necessitava al termine della Prima Guerra Mondiale: pose la nuova capitale ad Ankara e
proclamò la Repubblica il 19 ottobre 1923 mentre la Costituzione venne varata il 20 aprile 1924. Il
Presidente impose alla nazione un accelerato processo di modernizzazione e occidentalizzazione: i
costumi della tradizione islamica vennero combattuti con la soppressione della poligamia, l’obbligatorietà
del matrimonio civile, la proibizione del velo e del fez, la chiusura delle confraternite religiose. L’Islam
non fu più religione di stato, furono introdotti codici di stampo occidentale e anche l’alfabeto latino. Cfr.
Stefano Nitoglia, La Turchia tra passato e presente storico, in “Nova Historica”, 4, 2, 2003, p. 25.
9
nel 1952 e dalla sua adesione ai principali organismi europei, quali il
Consiglio d’Europa
3
, guardiano dei valori europei, l’Oece, l’allora Cee
(quale membro associato) e l’Osce, la Turchia deve ancora superare seri
ostacoli non solo sul piano economico ma, anche e soprattutto, sul fronte
della tutela dei diritti umani, ancora insufficientemente garantita.
Quest’ultima rappresenta il maggiore impedimento al riconoscimento
della Turchia come paese di fatto europeo, laddove l’identità europea di
uno stato dipende non dall’iscrizione del proprio territorio entro determinati
confini ma dai valori che lo caratterizzano. Valori che l’Unione europea
individua nella dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo
Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, “comuni agli Stati membri in
una società fondata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla
solidarietà e sulla non discriminazione”, e la cui promozione è tra i suoi
obiettivi primari
4
.
Il grave deficit democratico e il mancato rispetto dei diritti
dell’uomo fanno, dunque, della Turchia un paese ancora immeritevole della
piena accoglienza in un continente che ha dato assoluta centralità alla tutela
dei diritti dell’individuo e delle libertà fondamentali, ragione per cui
l’ingresso della Turchia nell’Unione europea è subordinato all’attuazione di
riforme di natura politica, economica e sociale, indispensabili per adeguare
la situazione turca a quella degli altri paesi membri.
3
Con base a Strasburgo, il Consiglio d’Europa è stato istituito a Londra il 5 maggio del 1949. Ruolo
principale è il rafforzamento della democrazia, dei diritti umani e dello Stato di diritto. I suoi organismi
sono: il Comitato dei Ministri, l’Assemblea Parlamentare, il Congresso delle Autorità Locali e Regionali
d’Europa, il Segretariato Internazionale e il Tribunale Permanente.
4
Articolo I-2 della Costituzione Europea, Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, C310, 16 dicembre
2004.
10
In particolare, l’Unione ha sottolineato la necessità da parte della
Turchia di conformarsi pienamente ai cosiddetti Criteri di Copenaghen, che
richiedono ai paesi di “aver raggiunto la stabilità delle proprie istituzioni,
garantendo la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani, il rispetto e la
protezione delle minoranze”
5
.
Tra i vari nodi da risolvere, oltre che l’adozione dell’acquis
communautaire, hanno particolare rilevanza la questione del
coinvolgimento turco a Cipro, la cui parte settentrionale, sede di una
minoranza di etnia turca, fu invasa dall’esercito turco all’inizio degli anni
‘70 del XX secolo; la questione delle minoranze kurde, sfociata negli ultimi
vent’anni del XX secolo in un’aperta ribellione nelle province dell’Anatolia
sud-orientale; ed, infine, la questione del riconoscimento delle
responsabilità storiche dell’Impero Ottomano nel cosiddetto genocidio
armeno.
5
Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Copenaghen, 21-22 giugno 1993.
11
1.1 L’incognita dell’esercito
L’esercito turco ha giocato un ruolo centrale nella storia moderna della
Turchia, assurgendo a custode ultimo dei principi di laicità ed occidentalità
e, a volte, arrivando addirittura ad interrompere la dinamica parlamentare
con una serie di tre colpi di stato seguiti da brevi governi militari volti a
ristabilire i principi del kemalismo. L’ultimo golpe è avvenuto nel 1980
6
.
Negli ultimi anni l’esercito turco ha evitato il ricorso ai colpi di stato,
senza, tuttavia, rinunciare al suo ruolo di custode della Repubblica, come
nel caso del cosiddetto “colpo di stato post moderno” con cui, alla fine
degli anni ‘90 del XX secolo, venne disciolto il partito dei fondamentalisti
islamici allora al governo. Il ruolo giocato dall’esercito nella vita politica
del paese, che è il riflesso dell’ampio potere ad esso concesso attraverso il
Consiglio per la sicurezza nazionale (NSC), ne ha fatto il maggiore
responsabile delle persistenti violazioni dei diritti umani e dei crimini
commessi nei confronti delle minoranze etniche e religiose
7
.
L’egemonia dell’esercito mette in discussione il carattere
democratico del paese, laddove una democrazia, per essere tale, deve
dimostrare il suo totale assoggettamento al diritto.
Nell’ambito delle riforme varate dagli ultimi governi della Turchia
nel tentativo di fare ammettere il paese nell’Unione europea, una riguarda
proprio la rimozione dell’anomalo ruolo politico ricoperto dalle forze
armate, come testimonia il “2004 Regular Report on Turkey’s progress
towards accession”:
6
Amnesty International – Sezione italiana, Campagna Turchia, novembre 1996
(http://www2.amnesty.it/campaign/turchia/).
7
Commission of the European Communities, 2003 Regular Report on Turkey’s progress towards
accession, Brussels, October 2003, p.12.
12
“Since 1999, civilian control of the military has been strengthened.
The constitutional and legal framework has been amended to clarify the
position of the armed forces versus the civilian authorities. A number of
changes have been introduced over the last year to strengthen civilian
control of the military with a view to aligning it with practice in EU
member States”
8
.
È forse grazie a queste riforme che, nonostante i precedenti – colpi di
Stato e soppressione dei governi – , il comportamento dei militari dopo la
vittoria elettorale dell’Akp – Giustizia e Sviluppo – , il partito islamico
guidato da Tayyip Erdogan, è stato ineccepibile. Il responso delle urne è
stato rispettato e non ci sono state invasioni di campo da parte dei generali
in nome della difesa dello Stato secolare.
Le riforme, in primo luogo, riguardano i doveri, le funzioni e la
composizione del Consiglio per la sicurezza nazionale (NSC) che, fino a
questo momento, hanno assicurato il controllo dei militari sulla vita civile.
Prima di queste riforme, infatti, la gestione della vita politica, sociale ed
economica passava attraverso le decisioni del Consiglio per la sicurezza
nazionale, vero e proprio governo-ombra. Il NSC, composto dai vertici
dell’aeronautica, dell’esercito, della marina e della polizia, si riuniva una
volta al mese con il Presidente della Repubblica, il Primo ministro, e i
ministri della Difesa, degli Esteri e dell’Interno, per imporre le proprie
scelte al governo e al parlamento; aveva il potere di esaminare qualsiasi
questione, senza alcun limite; e le sue decisioni, mai rese pubbliche,
venivano trasmesse ufficialmente al governo tramite “raccomandazioni”,
che di fatto erano ordini.
8
Commission of the European Communities, op. cit., Brussels, 6 October 2004, p. 21.
13
La caduta di Necmettin Erbakan, nel febbraio 1997, ad esempio, è
stata decisa proprio dal NSC, dopo che il Primo ministro aveva osato
sottoporre al voto del Parlamento una serie di raccomandazioni dei militari
volte a debellare l’influenza islamica, mettendone così in discussione le
decisioni.
È sempre stato il NSC, senza alcun coinvolgimento del Governo e del
Parlamento, a decidere sulla produzione di armi, le cui spese non
figuravano nel bilancio dello Stato, e a stabilire il budget annuale delle
forze militari. Nessun tentativo di controllo politico è stato mai ammesso:
la caduta di Erbakan è stata determinata anche dal suo rifiuto di concedere i
fondi richiesti dai militari.
I vertici militari sono stati fino ad oggi i soli responsabili della
sicurezza interna ed esterna del paese e, oltre a decidere in completa
indipendenza le nomine e le promozioni all’interno delle forze armate e a
formulare la politica di difesa, hanno goduto di analoga autonomia anche
nel campo giudiziario, avendo i propri tribunali e giudici, competenti a
decidere pure in casi in cui erano coinvolti civili.
La costituzione turca adottata nel 1982 dalla cerchia di generali
autori del colpo di stato del 1980, e il cui art. 118 prevedeva la creazione
del NSC, ha concesso all’apparato militare e alle forze dell’ordine un potere
di repressione inimmaginabile in qualsiasi democrazia occidentale. Ad
esempio, l’art. 130 dichiarava che dovevano essere bandite dai rettori delle
università, ed erano punibili con sanzioni, le ricerche e le pubblicazioni
scientifiche non conformi all’art. 28, che tutela gli interessi e i valori
nazionali turchi, ivi compreso il principio di indivisibilità della Turchia. Il
14
Consiglio d’istruzione superiore (YÖK), creato in base alla Costituzione, ha
il potere di licenziare i professori sospettati di dissidenza ideologica (e di
condurli in giudizio se ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico).
Il 2004 ha visto l’introduzione di molti significativi cambiamenti nel
sistema giuridico, volti ad ovviare a questo deficit di democrazia:
innanzitutto le Corti per la Sicurezza dello Stato, tanto criticate dall’Unione
europea perché “incompatibili con un sistema democratico e contrarie ai
principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, sono state
abolite in maggio e sostituite da speciali tribunali per reati gravi
9
; inoltre,
gli esponenti dell’esercito sono stati allontanati sia dal Consiglio
d’istruzione superiore (YÖK) che dal Consiglio superiore per le
trasmissioni radio-televisive (RTÜK )
10
.
Con un regolamento adottato nel gennaio 2004 è stato soppresso
l’esteso potere esecutivo del Segretariato del Consiglio per la sicurezza
nazionale ed esso è stato trasformato in un organismo con funzioni
puramente consultive e di definizione dell’agenda politica: il Segretariato
non può condurre indagini di propria iniziativa né può gestire direttamente i
fondi speciali per esso stanziati ed ora sotto l’esclusivo controllo del Primo
Ministro.
Le modifiche relative alla ristrutturazione interna del NSC
stabiliscono una sostanziale riduzione del personale e l’eliminazione di
alcuni reparti. La frequenza delle riunioni del NSC è stata ridotta a
9
Ibidem, p. 24.
10
Amnesty International, Report 2005. Turkey, 2005, consultabile in
http://web.amnesty.org/report2005/tur-summary-eng.
15
eccezione del caso in cui un incontro straordinario sia richiesto dal Primo
Ministro o dal Presidente.
11
Nell’agosto 2004, per la prima volta, un civile è stato nominato
Segretario Generale del NSC su proposta del Primo Ministro,
conformemente alle riforme introdotte nel luglio 2003.
Inoltre, sono state adottate due significative riforme atte ad
accrescere la trasparenza delle spese militari, e, per la prima volta, le spese
destinate alla difesa influiscono sul totale della spesa pubblica meno di
quelle indirizzate al campo della cultura e dell’educazione
12
.
Tuttavia, nonostante le numerose riforme, le forze armate in Turchia
continuano a disporre di notevoli facoltà in quanto l’interpretazione delle
disposizioni legali che ne definiscono il ruolo offre loro potenzialmente un
ampio raggio di manovra: gli articoli 35 e 85/1 della Turkish Armed Forces
Internal Service Law, ad esempio, definiscono come dovere delle forze
armate la difesa della Repubblica turca sulla base dei principi esposti nel
preambolo della Costituzione che includono l’integrità territoriale e la
laicità dello Stato; mentre il secondo articolo della NSC Law definisce la
sicurezza nazionale in termini tanto vaghi da poter essere interpretata, se
necessario, come se essa riguardasse quasi ogni settore politico.
Le forze armate in Turchia continuano ad esercitare influenza anche
attraverso una serie di meccanismi informali: in varie occasioni, i membri
militari del NSC hanno espresso la loro opinione su materie politiche
durante discorsi pubblici o dichiarazioni ai media
13
.
11
Ibidem, p. 22.
12
Si pensi che, fino a questo momento, sommando gli appartenenti all'Esercito, alla Marina, all'Aviazione
e alla Gendarmeria si arrivava a 573.800 unità (410.200 dei quali sono militari di leva) e il budget
destinato alla difesa ammontava al 13% della spesa interna lorda. Amnesty International – Sezione
italiana, op. cit., p. 23.
13
Commission of the European Communities, op. cit., Brussels, 6 October 2004, pp. 22-23.
16
Possiamo concludere che, complessivamente, le riforme degli ultimi
anni concernenti il funzionamento del NSC hanno rafforzato il controllo del
potere militare da parte di quello civile, ma, oltre alle riforme alle strutture
legali ed istituzionali, è importante che le autorità esercitino pienamente la
loro funzione di supervisori, in particolare riguardo alla formulazione del
piano per la sicurezza nazionale e alla sua attuazione.
17
1.2 La libertà religiosa
Una delle questioni più intricate del sistema legislativo turco è
l’atteggiamento super-laicista dello stato che esclude ogni tipo di
manifestazione religiosa nonostante la libertà di culto sia riconosciuta come
principio fondamentale dalla Costituzione. Fin dal 1920 esistono leggi che
vietano le associazioni di stampo religioso e in specie le confraternite sufi.
Queste, tuttavia, hanno continuato ad esistere più o meno indisturbate fino
a quando i successi elettorali di partiti di orientamento fondamentalista
islamico hanno determinato una più rigorosa applicazione della legge.
Inoltre, sono state prese misure cautelari nei confronti di scuole e di
università accusate di essere vicine ai fondamentalisti e indotte a forzata
chiusura.
Nei confronti di questo scenario l’atteggiamento delle organizzazioni
internazionali che si occupano di diritti umani è di perplessità: da una parte,
è evidente che l’applicazione rigorosa delle leggi del 1920 è palese
violazione dei diritti di libertà religiosa; dall’altra, gli avvenimenti dell’11
settembre 2001 inducono ad usare controlli severi sulle attività del
fondamentalismo islamico vero o presunto che sia. Secondo il Rapporto
sulla libertà religiosa del Dipartimento di Stato americano del 2001, un
aspetto allarmante è l’estensione del controllo rigoroso anche verso i
cristiani: diversi sacerdoti e pastori sono stati arrestati per aver predicato
senza autorizzazione o svolto funzioni religiose. La chiesa ortodossa
aspetta dal 1971 il permesso di riaprire il suo seminario e, da quell’anno, è
costretta a mandare i suoi seminaristi all’estero per la necessaria
formazione. Gli esponenti delle minoranze religiose, tra i quali i cattolici,
18
nonostante la proclamata laicità dello stato, sono costretti a frequentare le
lezioni di formazione islamica nelle scuole statali. Contemporaneamente,
permane il divieto di costruire chiese o di restaurare quelle esistenti.
In seguito al comune appello delle quattro maggiori comunità
cristiane, le autorità turche hanno instaurato un dialogo all’inizio del 2004,
così, nel giugno di quell’anno, è stato adottato un documento – Regulation
on the Methods and Principles of the Boards of Non-Muslin Religious
Foundations – che regola le elezioni dei Consigli delle varie fondazioni
subordinandole, tuttavia, al controllo di un organo – il Directorate General
for Foundation – che ha il potere di chiudere le fondazioni, sequestrarne le
proprietà, licenziarne gli amministratori senza una disposizione giudiziaria
e intervenire nella gestione del loro bilancio
14
.
Le modifiche apportate dai “pacchetti di riforme”, dunque, non
hanno ancora prodotto gli effetti desiderati. Sebbene la libertà religiosa sia
formalmente garantita dalla Costituzione, le comunità religiose non
musulmane
15
continuano ad incontrare numerosi ostacoli. Esse non hanno
riconoscimento legale, godono di limitati diritti di proprietà, devono far
fronte ad interferenze nella gestione delle loro fondazioni e non possono
gestire dei propri seminari. Occorrerebbe un’appropriata legislazione che
garantisse la convivenza pacifica tra i diversi culti senza tuttavia intaccare i
fondamenti laici dello stato.
14
Commission of the European Communities, op. cit., Brussels, 6 October 2004, p. 43.
15
The unofficial estimated populations are: 60 000 Armenian Orthodox Christians; 20 000 Jews; 20000
Roman Catholics; 20 000 Syriac Orthodox Christians; 3000 Greek Orthodox Christians; 2500 Protestants;
2000 Syriac Catholics; 2000 Armenian Catholics; 500 Armenian Protestants; and 300 Chaldean
Catholics. Ibidem, p. 43.