3
televisivo o anche, in misura minore, radiofonico, è che il terrorismo sia un fenomeno
che ormai riguarda potenzialmente la vita di tutti noi, che invade la nostra quotidianità.
Il filo rosso che questa tesi intende seguire è mostrare, riportando gli esempi più
significativi, che l’adozione di un certo linguaggio propagandistico da parte dei politici,
e in primis da parte dei governanti dell’unica, influentissima, superpotenza mondiale, ha
perlomeno contribuito a diffondere un clima internazionale di tensione tra le culture, e di
paura all’interno di ogni singola cultura (non solo in quella occidentale, ma anche in
quella islamica e nelle altre). Il pesante sospetto, dichiarato assolutamente plausibile da
autorevoli fonti in Europa come in America, è che tanti governi, nelle società occidentali
come in altre parti del mondo (vedi gli esempi di Russia, Cina, Arabia Saudita, Pakistan,
Indonesia, e di vari Stati africani, anche tra i più evoluti democraticamente) abbiano
usufruito della paura generata dall’insistenza di questo tipo di linguaggio, per varare
leggi presentate come difese della sicurezza dei cittadini dal pericolo terrorismo, ma
contenenti rilevanti restrizioni dei diritti civili conquistati in alcune società da qualche
decennio, in altre più recentemente. Non verranno dati giudizi personali, mi limiterò a
presentare da un lato i discorsi in questione, dall’altro l’analisi di vari esperti o di
giornalisti sulle dinamiche da essi scaturite o scaturibili. Le deduzioni saranno lasciate al
lettore.
Il primo capitolo fornirà una panoramica su come i mass media e l’opinione pubblica
abbiano reagito nell’immediato all’evento dell’11 settembre. Evento definito “mediale”,
cioè progettato da coloro che l’hanno compiuto per farlo diventare oggetto di attenzione
mediatica in diretta, e in effetti le immagini che riprendono gli aerei schiantarsi sulle
Twin Towers sono tra le più forti tra quelle riguardanti eventi ripresi in diretta. Si
cercherà poi di analizzare come l’immaginario collettivo (denominato universo
simbolico) possa essere stato colpito e modificato, in particolare quello degli Americani,
dallo shock per un tale avvenimento, e si comincerà ad accennare una prima
introduzione su come il governo americano possa aver usufruito del cambiamento di
universo simbolico tra la popolazione nel portare avanti la sua politica.
Il secondo capitolo conterrà innanzitutto una parte introduttiva in cui traccerò prima
un profilo della cosiddetta corrente neoconservatrice americana, ritenuta avere un peso
preponderante nelle decisioni e nella scelta del linguaggio dell’amministrazione USA, e
riassumerò poi la biografia di George W. Bush, per avere un background informativo
che possa far luce su alcune delle sue prese di posizione dopo l’11 settembre. Quindi si
4
entrerà nel vivo dell’argomento della tesi. Verranno analizzate le prime dichiarazioni di
Bush dopo gli attentati, con l’enunciazione di termini e concetti, come quello di guerra
al terrorismo, che sarebbero diventati la bandiera del governo americano anche negli
anni successivi. Ma verranno prese in considerazione anche alcune infelici scelte
terminologiche, come l’uso dell’espressione «crociata contro il male», pronunciata dallo
stesso Bush. Si farà cenno ai provvedimenti della NATO e del Congresso USA mirati a
cambiare in parte i concetti di alleanza e di diritto di accedere all’opzione della guerra,
provvedimenti che saranno alla base delle successive azioni di politica estera del
governo americano e dei suoi alleati. E si ripercorrerà il momento in cui il presidente
americano, sulle macerie del World Trade Center, seppe conquistare l’appassionato
sostegno di milioni di americani dimostrando un improvviso e insospettato
atteggiamento da leader. Verrà riservato un paragrafo all’esplorazione delle diverse
definizioni e interpretazioni del termine terrorismo. Infine, si ripercorreranno i passaggi
che portarono all’identificazione del nemico da incolpare per le stragi di New York e
Washington.
Con il terzo capitolo passerò ad analizzare la comunicazione mediatica operata dai
terroristi, o “martiri per la fede”, come loro stessi e i loro seguaci si definiscono.
Innanzitutto ricostruirò il modo in cui al-Qā‘ida divenne conosciuta nel mondo,
soffermandomi sulla vera origine del nome, che non è quello originale datogli dai suoi
fondatori, bensì le fu dato dai servizi segreti americani. Ricercherò poi il significato del
concetto di “jihad” nella cultura arabo-islamica, scoprendo che esso è in buona parte
diverso da quello che gli attribuisce la civiltà occidentale per mezzo degli organi
d’informazione. Quindi giungerò alla descrizione dei comunicati di coloro che erano
stati identificati come nemici: prima le dichiarazioni di rappresentanti del regime afgano
dei Taliban, poi quelle di Saddam Hussein, infine i comunicati di Osama bin Laden, che
incitavano alla lotta contro l’Occidente con un linguaggio per certi versi parallelo a
quello utilizzato da Bush, incentrato cioè sull’idea di un grande scontro tra valori giusti e
amoralità, tra Bene e Male. Infine ripercorrerò la vicenda del dilemma dei mass media
tra scegliere o meno una pesante autocensura sui messaggi dei terroristi, ritenuti
pericolosi per il loro incitamento alla violenza e all’odio interculturale: i grandi network
informativi americani, a differenza che la maggioranza di quelli europei, scelsero di
operare un’autocensura. Sarà interessante analizzare le ragioni di questa scelta compatta,
e scoprire come il patriottismo e il senso di difesa della nazione negli Stati Uniti percorra
trasversalmente tutti i settori sociali e professionali. Passerò quindi a descrivere un altro
5
provvedimento preso dall’amministrazione USA, cioè l’istituzione di un vero e proprio
ufficio di dipartimento per la propaganda americana all’estero, esperimento che però non
conobbe i risultati sperati.
Il quarto capitolo si aprirà con la vicenda del dibattito e delle polemiche sulla
superiorità della civiltà occidentale. Nell’impossibilità di dare spazio agli innumerevoli
interventi sull’argomento, ho deciso di riportare quelli che destarono maggiore scalpore
a livello internazionale, dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio dei Ministri
italiano, Silvio Berlusconi, al tanto discusso pamphlet di Oriana Fallaci, esaminando gli
effetti che ebbero sull’opinione pubblica. Riserverò poi un breve spazio al caso,
accaduto negli USA un mese dopo gli attentati, della diffusione per posta dell’antrace,
episodio mai chiarito completamente, che contribuì non poco a mantenere alto lo stato di
panico e di insicurezza tra la popolazione americana. Quindi presenterò il
provvedimento legislativo denominato USA PATRIOT Act, spiegando brevemente quali
furono le parti di esso a essere messe sotto accusa da numerose associazioni per i diritti
civili. Infine riporterò la dichiarazione di Bush in cui egli pronuncia l’esistenza di un
“asse del male”, costituito da paesi che sponsorizzerebbero il terrorismo e
minaccerebbero quindi la stabilità mondiale. Si accennerà a come nei discorsi del
governo americano si desse un diverso peso alla pericolosità dei diversi Stati incriminati,
e si riporteranno alcune delle deduzioni sorte per spiegare questo atteggiamento.
Il quinto e ultimo capitolo sarà dedicato in buona parte alla vicenda della guerra in
Iraq. Verrà ripercorso il lungo braccio di ferro diplomatico tra Stati Uniti, con i loro
alleati, e altri paesi, alla cui testa vi erano Francia e Germania, che ritenevano
insufficienti le motivazioni addotte dal governo americano per muovere guerra all’Iraq.
Il perno su cui si basavano queste motivazioni era la presunta possessione di armi «di
distruzione di massa» da parte del regime iracheno. Gli Stati Uniti diedero sfogo alle
pressioni verbali più insistite e martellanti per convincere l’ONU ad autorizzare un
intervento armato, ma il controbilanciamento di Francia e Germania condusse le
discussioni in sede di Consiglio di Sicurezza a delle cavillose dispute terminologiche che
sfociarono in una risoluzione ambigua, in cui ogni parte in causa poteva vedervi almeno
un risultato a suo favore: infatti quella risoluzione non inibì affatto la decisione
americana di attaccare. Un curioso caso, parallelo a quello della tensione montante
contro l’Iraq, fu quello della Corea del Nord, che annunciò senza mezzi termini di aver
riavviato la produzione di energia nucleare. L’atteggiamento degli Stati Uniti di fronte a
6
quello, a tratti anche aggressivo, del Nord Corea, fu assolutamente diverso da quello
tenuto nei confronti dell’Iraq: usarono toni concilianti. Analizzerò brevemente il motivo
di questa forte differenza di comportamento. Poi riporterò gli ultimi discorsi tenuti
dall’amministrazione USA e dallo stesso Saddam Hussein prima della guerra, gli ultimi
confronti verbali. Passerò quindi a osservare la copertura della guerra da parte della
stampa, e poi come venne gestita informativamente la cattura di Saddam Hussein.
Subentrerà quindi un paragrafo sullo scandalo del carcere di Abu Ghraib e sull’enorme
ricaduta che ebbe sui mass media, costringendo a un forte imbarazzo il governo USA e
in particolare il segretario alla Difesa Donald Henry Rumsfeld. Giungerò poi a
raccontare come gli attentati a Madrid dell’11 marzo 2004 furono fatali alla classe
politica spagnola del primo ministro José María Aznar, che perse le successive elezioni
politiche, pur essendo in netto vantaggio nei sondaggi, a causa della pessima gestione
comunicativa con cui trattò il dramma dell’attentato. Infine riporterò nuovamente
l’attenzione in Iraq soffermandomi sulla tragica escalation dei sequestri filmati dai
terroristi, con tutto il corollario di macabri rituali e consuetudini.
Al termine, rifacendomi al significativo discorso d’insediamento di Bush per il suo
secondo mandato presidenziale, avanzerò qualche considerazione sui possibili rischi di
una società continuamente sottoposta al “bombardamento” di una propaganda che
presenta la civiltà occidentale in costante pericolo di essere sconvolta dalla violenza
terroristica, e insiste sulla vocazione dell’America a una missione “redentrice” di tutte le
parti del mondo che non conoscono la democrazia; missione da portare avanti con
entusiasmo e determinazione, generati da una sorta di “idealismo messianico”, a cui
Bush sembra rifarsi sempre più appassionatamente.
7
CAPITOLO I
IL PUNTO ZERO DI UN NUOVO ORDINE MONDIALE
1. 11 settembre 2001: un clamoroso evento mediale
Gli attentati terroristici che colpirono le città di New York e di Washington l’11
settembre 2001 furono definiti unanimemente da tutta la stampa internazionale, già dal
giorno stesso della tragedia, come capolavori mediatici. Per la prima volta nella storia,
infatti, un evento di tale portata e drammaticità veniva ripreso in diretta televisiva e
poteva quindi essere osservato in diretta, in tutto il suo svolgimento, da telespettatori in
tutto il mondo, nonostante l’assoluta imprevedibilità di un tale fatto-notizia. Ciò che
permise questa eccezionale circostanza fu che gli attentati alle Twin Towers del World
Trade Center ebbero luogo nella metropoli che più di ogni altra era il simbolo stesso
della modernità, quindi sede, tra l’altro, di importanti network televisivi, che si trovarono
così a documentare “in casa” quello storico avvenimento.
Ciò che fu subito chiaro, e che ancor oggi colpisce per la facilità con cui tale
operazione fu condotta, è che i terroristi avevano studiato nei particolari il modo più
clamoroso per attirare l’attenzione del mondo intero: fare schiantare aerei di linea carichi
di passeggeri sul Pentagono, centro simbolico e reale della potenza militare degli Stati
Uniti, sul Campidoglio o sulla Casa Bianca, centri simbolici e reali della politica
americana (obiettivi non raggiunti perché l’aereo che sembra si stesse dirigendo su uno
di essi precipitò in Pennsylvania, in seguito alla colluttazione tra i terroristi a bordo e i
passeggeri) e sul World Trade Center a New York, una tra le sedi simboliche e reali
della moderna cultura occidentale e della globalizzazione. Una tale pianificazione ebbe
l’effetto di trasformare un evento giornalistico in un vero e proprio evento mediale. La
differenza tra i due concetti risiede nel fatto che il secondo implica una preparazione ex
ante dell’evento, volta a predisporre il pubblico all’appuntamento cerimoniale
1
. Cioè i
diciannove attentatori a bordo dei quattro aerei avevano calcolato di interporre un certo
lasso di tempo, in particolare tra gli impatti dei due aerei sul WTC, in modo tale che i
network televisivi, inquadrando il luogo dell’evento mediale subito dopo il primo
1
DAYAN D. e KATZ E. (1992), Media Events. The Live Broadcasting of History, Cambridge
(Massachusetts), Harvard University Press.
8
schianto, avrebbero ripreso in diretta il secondo. Questo implica una buona conoscenza,
da parte dei terroristi che compirono questa operazione, delle dinamiche dei media, e
anche della loro ripercussione sul pubblico: infatti la scena dello schianto del secondo
aereo, insieme a quella del crollo delle Torri e a quelle dello skyline di Manhattan
avvolto dal fumo e della folla che fuggiva a piedi per le strade solitamente invase da
automobili, fu ritrasmessa continuamente in quelle ore, in una sorta di ossessivo rituale
tra l’informativo e lo spettacolare, veicolando l’idea della catastrofe e contribuendo a far
crescere la sensazione di angoscia di fronte a un avvenimento apocalittico.
In tutto il mondo per parecchie ore la gente cercò freneticamente di avere più
informazione possibile sull’accaduto, intasando e mandando in tilt Internet, passando da
un canale all’altro sulla televisione o sulla radio, contattando per telefono fisso o mobile
parenti e amici
2
. In un primo momento l’eccezionalità del fatto prese alla sprovvista
anche i cronisti, e la trasmissione continua delle medesime immagini sostituiva quasi del
tutto i commenti giornalistici. Dopo lo schianto degli aerei, per almeno mezz’ora le
uniche immagini in diretta che CNN e Sky News
3
furono in grado di trasmettere erano
quelle, statiche, del WTC in lontananza, filmate dalla postazione dell’Empire State
Building o da altri grattacieli vicini. Da lontano le telecamere riuscirono a riprendere
persone che si sporgevano dai piani alti delle Torri, tra il fumo che fuoriusciva; oltre a
pezzi di lamiera che precipitavano, si videro anche sagome umane gettarsi nel vuoto, in
un gesto disperato per fuggire alle fiamme. Poi qualche cronista risalì la corrente della
folla che fuggiva via, per giungere il più vicino possibile al luogo del disastro, venendo
anche investito – al pari della gente che scappava – dal cumulo di polveri delle macerie
delle Torri che collassavano, e raccogliendo così immagini che sembravano provenire
dalla prima linea di un fronte di guerra. Immagini che si aggiunsero al già scioccante
repertorio: l’aereo che andava a schiantarsi sulla seconda Torre (nei giorni successivi si
sarebbe aggiunta anche una ripresa amatoriale e casuale del primo attacco, che rimarrà
un prezioso documento storico), la gente che si gettava nel vuoto, il Pentagono in
fiamme, il rovinoso crollo del WTC, poi quello dei grattacieli vicini. In molti
evidenziarono la differenza nella dimensione rappresentativa rispetto alla copertura
2
Cfr. l’approfondita analisi attraverso sondaggi in MORCELLINI M., a cura di (2002), Torri crollanti.
Comunicazione, media e nuovi terrorismi dopo l’11 settembre, Milano, Franco Angeli.
3
Per quanto riguarda le emittenti di aziende di informazione, come pure per le testate della stampa
cartacea, utilizzerò il carattere corsivo quando esse sono nominate come canale informativo (radiofonico,
televisivo o cartaceo). Farò invece uso del carattere normale quando le nominerò come aziende.
9
televisiva della guerra del Golfo del 1991, che a suo tempo era stata definita come una
“guerra in diretta”:
[Guardare i telegiornali martedì è stato del tutto diverso dall’ultima volta che rimasi
incollata su CNN per guardare una guerra in tempo reale. Il campo di battaglia dell’invasore
aereo nella guerra del Golfo non aveva nulla in comune con quanto abbiamo visto questa
settimana. Allora, invece di edifici reali che collassano interamente su se stessi, vedevamo solo
asettici bersagli di cemento, demoliti e scomparsi all’istante. Chi c’era in quei poligoni
astratti? Non l’abbiamo mai scoperto.]
4
L’11 settembre 2001 invece tutti sapevano bene che nelle Torri crollanti morivano
migliaia di persone, impossibilitate a fuggire perché si trovavano a parecchi piani di
altezza, dove ognuno quella mattina stava svolgendo le proprie normali attività
quotidiane. E questo sapere bastava a generare il senso di angoscia nel telespettatore:
«[Assistevamo alla morte su una scala incredibile, ma non abbiamo visto nessuno
morire. L’incubo era in questo abisso di immaginazione. L’orrore era nella distanza]»
5
.
La spettacolarità con la quale tutto era avvenuto non poté non far balzare agli occhi la
rassomiglianza impressionante con le immagini catastrofiche di tanti film americani di
fantascienza. Interessante e significativo è il punto di vista di Alessandro Baricco che su
la Repubblica del 12 settembre titolò il suo articolo Quando la storia si presenta come
un film:
C’è un’ipertrofia irragionevole di esattezza simbolica, di purezza del gesto, di
spettacolarità, di immaginazione. […] in tutto questo c’è troppa maestria drammaturgia, c’è
troppo Hollywood, c’è troppa fiction. La Storia non era mai stata così. Il mondo non ha tempo
di essere così. La realtà non va a capo, non concorda i verbi, non scrive belle frasi. Noi lo
facciamo quando raccontiamo il mondo. Ma il mondo, di suo, è sgrammaticato, sporco e la
punteggiatura la mette che è uno schifo. E allora perché la storia che vedo accadere in quel
televisore è così perfetta? […] non è il semplice stupore di vedere la finzione diventare realtà:
è il terrore di vedere la realtà più seria che ci sia accadere nei modi della finzione.
4
KLEIN N. (2001), “Game over”, in The Nation, 15 settembre. Le parentesi quadre, d’ora in poi, stanno a
indicare che ciò che vi è scritto all’interno non è la citazione nella lingua originale, ma la sua traduzione in
italiano.
5
McEWAN I. (2001), “Beyond belief”, in The Guardian, 12 settembre.
10
Basta anche soltanto scorrere l’incalzante susseguirsi di alcuni flash d’agenzia di
stampa per rendersi conto della sensazione di allarme che l’informazione non poté fare a
meno di diffondere in tutto il mondo: 15.28, «il governo USA parla d’attentato»; 15.30,
«evacuata la Borsa»; 15.40, «la polizia avverte: un terzo aereo potrebbe avvicinarsi alle
torri»; 15.45, «evacuata la Casa Bianca»; 15.46, «Pentagono in fiamme»; 15.49,
«evacuati il Congresso e il Ministero del Tesoro a Washington per minacce
terroristiche»; 15.53, «chiusi tutti gli aeroporti USA»; 16.00, «il personale dell’ONU si
rifugia nel sottosuolo del Palazzo di vetro»; 16.03, «evacuato a Chicago grattacielo
Sears»
6
.
Nessun mezzo di comunicazione poté sottrarsi alla rivoluzione delle proprie routines
produttive. L’urgenza informativa moltiplicò a dismisura l’offerta dei contenuti legati
all’attentato e monopolizzò l’intero sistema dei media per molte settimane. Ci fu chi
rilevò: «Da 15 giorni i quotidiani dedicano venti pagine per ripetere sempre la stessa
cosa: e cioè che sono cadute le Torri gemelle. Non c’è mai stato nel nostro Paese un caso
di paralisi emotiva di questo tipo»
7
; e chi in seguito sostenne che si era trattato della
«trasmissione televisiva di massima audience di tutti i tempi»
8
. Una rapida analisi dei
dati di ascolto dei media in Italia sembra giustificare questa affermazione.
L’11 settembre s’incollarono davanti al teleschermo venticinque milioni d’italiani.
Sulla scorta dei dati forniti dalla RAI, dal momento del primo attacco si registra un
crescendo impressionante di ascolti fino a punte di dodici milioni di ascoltatori per
ciascuno dei due principali telegiornali di prima serata
9
. Rispetto allo stesso periodo (11-
29 settembre) dell’anno precedente, nei palinsesti RAI l’informazione passò da 246 a
444 ore di trasmissione, con un aumento dell’80,5%, mentre nell’azienda Mediaset (11-
17 settembre) passò da 41,3 a 79 ore, con una differenza del 91,3%
10
.
Anche i dati relativi alla radio confermano un’esplosione comunicativa, con
incrementi generalizzati di ascolto: dall’analisi di Audiradio, relativa al periodo 15
settembre-26 ottobre, emerge in particolare la performance di Radio 24-Il Sole 24Ore,
che registrò, anche per la crisi economica seguita agli attentati, un aumento da un
6
Dati e orari riportati dalle notizie dell’Archivio DEA dell’Agenzia di stampa ANSA.
7
ECO U. (2001), intervista di C. Cassino, “I media in Italia paralizzati dalla guerra”, in Puntocom, 25
settembre, p. 14.
8
GALLI DELLA LOGGIA E. (2002), “Il mondo senza guerre? Un sogno svanito con le Twin Towers”, in
Sette. Settimanale del Corriere della Sera, n. 36.
9
POLI S. (2001), “Twin Towers, sui numeri dei media dopo l’11 settembre”, in Problemi
dell’informazione, XXVI, n. 4, pp. 401-407.
10
Questi dati e i successivi fanno riferimento a CERASE A., D’AMBROSI L. e MARTINO V. (2002),
“L’ora zero della comunicazione”, in M. Morcellini (a cura di), op. cit., pp. 40-41.
11
milione a oltre un milione e mezzo di ascoltatori giornalieri, con un incremento
superiore al 50%.
La rete Internet addirittura, nelle ore immediatamente successive all’evento, andò in
tilt a causa dell’enorme sovraccarico di utenti e quindi lo strumento multimediale
emergente, ritenuto il più utile per raccogliere informazioni, in quel frangente si rivelò
inefficace. Comunque l’enorme bisogno di informarsi è attestato chiaramente anche dai
dati relativi all’informazione su Internet. Sul sito www.repubblica.it, rispetto alla media
giornaliera, l’11 settembre i visitatori furono più del doppio, da 250.000 a 557.000, e le
pagine viste il quintuplo, arrivando a 10 milioni. Il sito www.corriere.it, pur
manifestando una maggiore difficoltà di accesso per parecchie ore, passò da 100.000 a
300.000 visitatori e quadruplicò il numero delle pagine visitate.
La stampa vide ovviamente un grande aumento delle tirature. A essa era riservata
un’informazione d’approfondimento, non potendo competere con la TV sulla
tempestività nel porgere la notizia. Ma proprio la sua caratteristica esclusiva di
approfondimento della notizia le garantì un boom di vendite, soprattutto, ovviamente,
nel giorno successivo agli attentati. Per esempio da domenica 9 settembre a mercoledì 12
settembre la tiratura de Il Corriere della Sera passò da 879.000 copie a 1.211.780, con un
aumento del 37,8%; nel medesimo periodo il quotidiano la Repubblica ebbe a sua volta
un aumento del 32%, passando dalle 759.000 copie a oltre un milione; e altri dati
notevoli sono da citare riguardo al 12 settembre, come le 736.631 copie de La Stampa,
che esaurì le scorte in magazzino, e le 515.290 de Il Sole 24Ore. Perfino i quotidiani
sportivi aprirono con le immagini degli attentati. I periodici si mantennero per parecchie
settimane a elevatissimi livelli di vendita, grazie alla possibilità di trattare l’argomento in
modo ancora più approfondito dei quotidiani. Riviste come Internazionale, Panorama,
L’Espresso e Oggi andarono letteralmente a ruba, risultando spesso introvabili in
edicola.
Le dimensioni del fenomeno comunicativo determinarono un mutamento anche nella
news organization. La maggior parte delle testate, infatti, decise di modificare la veste
grafica e il modo di porgere la notizia, adattandola a una situazione che appariva
lontanissima dall’esperienza quotidiana dei media. Una situazione di emergenza che
imponeva, anche emotivamente, una nuova forma nella comunicazione, una
comunicazione d’emergenza: «Raccontare l’11 settembre ha significato per i quotidiani
sconvolgere le normali routines produttive: foliazione, impaginazione, organizzazione
12
delle sezioni, utilizzazione delle fonti, tutto è stato travolto dal crollo delle Twin Towers:
attraverso l’emergenza del quotidiano e il quotidiano dell’emergenza, sono emersi
proprio i punti di crisi dei meccanismi di produzione-costruzione della notizia»
11
. In
certi ambiti – titolazioni a caratteri cubitali sempre più frequenti, maggiore utilizzo di
immagini e infografica, commento sempre più invasivo a scapito della nuda cronaca,
aumento in certi casi consistente della foliazione per dedicare più spazio a tematiche
internazionali, ricerca di un gergo più specialistico nella trattazione dei temi arabi,
trasversalità delle tematiche “terrorismo” e “guerra” ricorrenti in ogni settore-notizia,
compresi quelli dello sport, dello spettacolo e della mondanità – non si trattò di
cambiamenti momentanei, ma proprio di una sorta di rottura rispetto al modo di
presentare la notizia. Il successivo ciclico ripetersi di attentati e il fatto che
l’amministrazione statunitense ribadisse costantemente la situazione di guerra
permanente contro il terrorismo avrebbero fatto sì che le nuove formule editoriali
restassero a lungo inalterate, consolidandosi nel tempo e rimanendo in buona parte tali
fino a oggi.
11
MALLOZZI P. e SQUARCIONE M. (2002), “Le torri di carta. Un’analisi dei quotidiani”, in M.
Morcellini (a cura di), op. cit., p. 227.