ESPRESSO PER ROMA
Mentre lasciavamo la stazione ferroviaria di Parigi, il fumo della locomotiva e la
velocità dello spostamento, rendevano confuse le luci di Bercy e Charenton, A
Villeneuve Saint Georges, la Senna era oscurata dalla polvere e dal crepuscolo e
con la promessa di una bruma invernale. Attraversammo Melun con la rapidità di
un lampo. Dopo Fointanbleau fu scuro e non riuscii più a capire dove ci
trovassimo. Era forse la Yonne o la Loing? Un ricordo dei giorni di sole a Moret
sur Long, con i salici che facevano pendere le loro chiome dorate arrivavano sulla
acqua e i pescatori seduti immobili come statue e la banda musicale della città che
suonava in un campo al di là del fiume, sempre le stesse melodie…
Nella gioia e nell’agitazione di essere nuovamente in viaggio avevo voglia di
conversare con i compagni di viaggio in corridoio. Ma mentre stavo parlando loro
cominciai a chiedermi se avevo davvero dei compagni di viaggio. L’uomo alla
mia destra di nazionalità belga, dai capelli bianchi era in viaggio per una
conferenza sulla téléphérique a Venezia. Per scherzo gli dissi:”Lei farà un
piacevole soggiorno a Venezia – Venezia è l’unico posto dove non ci sono delle
funivie”. Non si divertiva affatto. Mostrò chiaramente la sua totale indifferenza.
Era stato in troppi luoghi e tutti gli erano apparsi essere assez banal. Quando udì
che la colazione gli sarebbe costata almeno 350 franchi esclamò: “Malesh!” Ma
nemmeno l’Arabia gli era piaciuta. D’altra parte mentre aspettava che gli si
preparasse il letto, c’era un francese calvo , dal petto sporgente come piccione che
indossava guanti in pelle di cinghiale. Lo avevo visto baciare diverse volte la
moglie e le due belle figlie alla Gare de Lion quasi come se fosse dovuto partire
per sempre per il Sud America.Anche lui aveva visitato troppi luoghi .Era stato
capitano di vascello ed ora faceva l’impresario edile a Parigi. “Casa”, diceva, con
rimpianto – è lì dove riesci a trovare ad occhi chiusi la pipa o il pennello da barba
o tua moglie.”
Nel vagone ristorante ero seduto con un tedesco che andava a Genova per poi
imbarcarsi per Istanbul. Era piccolo di statura, vispo e di spirito vivace come i
capelli a spazzola. Era un commerciante di tabacco che si era stabilito
definitivamente in Turchia. Io, che probabilmente morirò senza aver visto i
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mosaici di Santa Sofia o il Bizantino dell’Anatolia, mostrai interesse e lo spinsi a
raccontarmi della Turchia. Parlava in modo perspicace della gente. Aveva goduto
fino in fondo i viaggi disagiati nell’interno. Ma quanto al viaggio come io
l’intendo, ovvero al viaggio en soi et pour soi,lo liquidò dicendo: - “Ora devo
andare a Smyrne…” Riuscite ad immaginare qualcuno che dica “Devo andare” a
Smyrne?”
Ritornai alla mia cabina e scambiai qualche chiacchiera con l’omino dalla pelle
scura che mi preparava il letto. Mi sforzai di ricordare il nome del Duca che si
dice essere il figlio di uno di questi moretti. Questo non poteva esserlo. Era troppo
malinconico per uno che ami i vagoni letto. Quando gli domandai dove avesse
imparato l’inglese, mi rispose con fare stanco:”Lo faccio da 25 anni”. Deve essere
piuttosto deprimente stare sempre a vedere persone che vanno dappertutto mentre
tu stesso non riesci ad andare da nessuna parte, un po’ come il vecchio cane di
Lanty Hanlon che seguiva tutti ma solo per un pezzo di strada. Quando chiusi la
porta dietro di lui e cominciai a prepararmi per la notte, giunsi alla sensata
conclusione che qualsiasi cosa io intenda per viaggio certo non mi riferisco
all’andare da un luogo all’altro.
Che noia tutta questa gente! Ma sono poi davvero noiosi? Se questo , pensai, fosse
l’inizio di un romanzo di Graham Greene , ne verrebbe fuori che sono tutte anime
angustiate e forse quando chiudono la porta e iniziano a prepararsi per la notte, si
mettono a parlare a sé stesse. Mi vennero in mente i loro volti e fui certo che,
come viaggiatori esperti, avrebbero dormito sonni profondi.
Io dormii male. La carrozza era surriscaldata e la stufa a carbone in fondo al
corridoio incominciò ad emanare un fumo pungente. Finalmente caddi in un
sonno leggero. Fui risvegliato dal treno che si fermava alla frontiera. Scoprii che
mi ero liberato quasi denudato a causa del calore. Quando i doganieri entrarono
nella cabina,erano ben protetti contro il freddo, e presumo che potesse essere
pungente a questa ora del mattino, a metà settembre, sotto il Moncenisio.
Mentre stavo per girare la chiave nella toppo dopo che l’ultimo fu ucciso, spinsi lo
sguardo lungo il corridoio. Almeno un’altra persona non dormiva. La donna stava
in piedi, aveva dei bei capelli biondi che le scendevano su una vestaglia color lilla
e fissava con insistenza la banchina vuota illuminata. Uscii per fumare una
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sigaretta. Sembrava una rosa inglese in fiore, andava a Rapallo per stare da uno
zio. Era la sua prima frontiera continentale. Rise ad un cartello che diceva:”Venite
in Cornovaglia”. L’ultima volta che avevo fatto questo percorso era Novembre, la
neve fioccava a mulinelli e il vento ululava. Anche quella notte, ero rimasto in
piedi nel corridoio, da solo finché due persone non si erano unite a me: un uomo
con le bretelle e una donna che indossava un bellissimo sari giallo. Arrivavano da
Ceylon via Genova. Erano entrambi all’incirca sui 50 anni. Si tenevano per mano
come innamorati, e fissavano intensamente la neve che scendeva a mulinelli,
emozionati e incantati come questa ragazza inglese. La loro prima neve. La prima
frontiera della donna.
Dopo quanto tempo, pensai, mentre tornai a letto, i viaggiatori si annoiano? Se
chiedi a un commesso viaggiatore dove fosse la notte precedente egli ti guarda
dritto in faccia come fossi trasparente. Ho sentito dire che l’Invitato di un Re dura
non più di due anni. Si devono i viaggiatori dividere in professionisti e dilettanti?
Ma quali sono i professionisti e quali i dilettanti? La mia impressione è che le
persone che fissano i finestrini del vagone di notte siano i veri viaggiatori. Taluni
sostengono che il viaggio sia una fuga. Il viaggio non è mai una fuga. Tutta
l’esistenza è vissuta in un terreno predestinato. Un lancio di dadi e la vita è un po’
qui un po’ lì. Sono me stesso e avrei potuto essere chiunque altro. (Pensateci!
Un’intera vita trascorsa a fare la spola sull’Orient Express e poi scoprire di essere
il padre di un duca!) Passiamo da un terreno predestinato ad un altro, da una realtà
ad un’altra. Cosa si fissa allora , quando si è persi nella riflessione , nell’oscurità o
nella neve? Forse a specchi o a ombre di se stessi?Se la ragazza in lilla si
esprimesse a parole nel corridoio, sussurrerebbe attraverso il vetro della finestra
che si appanna sotto il suo respiro: “E se fossi te.”
Quando mi svegliai sbirciai sotto le veneziane, c’era una luce grigiastra. Nebbia
nella valle del Rodano. Un altro treno sferragliava laggiù. Altre persone stavano
fissando. Al San Gottardo c’erano altri doganieri che si erano avvolti nelle loro
giacche dai colletti alla canadese. La foschia incombeva sul Lago Maggiore. Al
Brennero una ragazza americana che si lamenta: “Oh Papino vorrei proprio che ti
mettessi una maglia”. C’è neve qui sulle cime più alte. Per le 8.00 il sole dissiperà
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il freddo pungente autunnale. Bevvi del caffé dal termos. Quando uscii il sole
splendeva sul Piemonte.
Ad Alessandria mi appoggiai al finestrino del corridoio e improvvisamente il
calore celestiale mi prendeva furtivamente sulla schiena. Mi tolsi il cappotto
mentre ci avvicinavamo a Genova, lungo la valle della Bocchetta. Una tazza di
mare azzurro che colma il vuoto tra le colline. Domenica. I campi sono vuoti.
Folle attendono alle due stazioni di Genova i treni locali per la Riviera. Un
rintocco di campana di chiesa. Il vecchio sgretolarsi di case italiane dai colori rosa
bianco e giallo, - cotte dal calore, fracide di sole, - che si innalzano sulla collina a
gradoni e sotto di noi il Mediterraneo scorre sempre più luccicante e saettante tra
le case che scivolano via. La ragazza in lilla è di nuovo nel corridoio, ora è vestita
color crema e verde. Nel suo scompartimento il commerciante di tabacco tedesco
legge il New York Times e non guarda mai il mare azzurro.
La rosa inglese venne consegnata a Rapallo. Il francese sonnecchiava. L’uomo
téléphérique consultava delle carte. Entravamo e uscivamo in un baleno dalle
gallerie, superando quelle numerose piccole insenature che frastagliavano la costa
per tutto il percorso della riviera. In una di esse, credo fosse Bonassola, fummo
costretti a fermarci per un momento, e vidi due giovani giocare quel gioco a palla
tipico del Sud in cui si usano i tamburelli come racchette e pensai:”Questa
Domenica, in questo stesso istante due ragazzi giocano a tennis in un campo di
Dublino”. L’universale giocata di dadi. E,può darsi che uno straniero a Dublino
stia guardando e pensando: - “Avrei potuto essere uno di voi”. – I cartelli in Italia
dicono: -“Venite in Cornovaglia” – i cartelli in Cornovaglia dicono: “Il sole della
Sicilia.”Che cosa desideriamo tutti noi? Un cambiamento di scena? Forse nella
stessa rappresentazione? Naturalmente. La rappresentazione non ha significato a
meno che si proceda con essa. Là dove sei nato è solo la prima scena. Mi sto
dirigendo a Napoli perché mi pongo la stessa domanda, che presumo, la ragazza
in lilla si stava ponendo questa mattina sotto il Moncenisio. “Fino a che punto
sono capace di essere diverso?” Si viaggia dentro di se. E’ tutto fatto con gli
specchi.
Vado a Napoli perché in questo periodo ogni anno ha luogo uno degli avvenimenti
italiani più caratteristici – un miracolo. Il sangue rappreso di un martire del quarto
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secolo si liquefa gradualmente davanti allo sguardo della gente. Immagino che la
gente urli si azzuffi per l’agitazione mentre osservano l’avvenimento. Questo San
Gennaro è parte della stessa rappresentazione, dall’omino dipinto che migliaia di
persone osservano nella sua tomba nella Piazza Rossa a Mosca. Nel momento in
cui la guardano vi partecipano,E’ la stessa rappresentazione del Corteo Regale a
Londra, del matrimonio di un Monarca Egiziano al Cairo, di me che scrivo libri a
Dublino. Guardando al miracolo ne diventerò parte. Tanto vale che dica subito che
non ne ho fatto parte. Possiamo, dovevo ancora impararlo, che possiamo ampliare
i nostri orizzonti con il viaggio: ma esso non ci trasforma.
La candela di Pisa si scioglieva da un lato al sole. Il fiume era al livello minimo.
Comprai un cestino da viaggio. Conteneva una bottiglia piccola di vino rosso, un
pezzo di vitello cucinato con la pastella, una fetta di prosciutto, un pacchetto di
patatine, due dolci all’uvetta, una pera, un grappolo d’uva, una barretta di
cioccolato, una forchetta di legno, una tazza di carta, un pizzico di sale e tre
stuzzicadenti. Il caldo divenne soporifero. A Livorno mi addormentai. Ogni volta
che socchiudevo gli occhi a mo’ di gatto addormentato, vedevo dei veli bianchi
che si stendevano sulla riva. L’Elba diventava indistinta all’orizzonte. Una
sensazione accecante di terra rossa e mare blu. Sognavo di pianure e di lagune. Il
sole tramontò su questo lato di Civitavecchia, una palla di sangue liquefaceva il
mare arroventato. La gentile D della luna illuminava Roma.
Quanto mi sembrava turbolenta la folla romana dopo il placido e regolare rumore
del treno a fianco del mare blu e la terra rossa e la pace sonnolenta del mio
compartimento! Ma ecco c’è George che mi aspetta con la macchina, il divieto
romano dei clacson dà un po’ di pace alle strade della Domenica sera; e George e
Carlotta vivono in un angolo tranquillo di Montesanto nella periferia a est della
città con da una parte l’appartamento con una finestra ad arco, dà a sud, mentre
dall’altra dà ad est così quando ceniamo vediamo una fila nobile di pini a ombrelli
che hanno per sfondo contro i monti, i Colli Albani e possiamo vedere Rocca di
Papa e le piccole nuvole immobili e godiamo di una vista anche su Tivoli e i
Castelli.
Esagero a proposito della pace in Italia e George si irrita e dice:
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- “Prova ad avere un permesso di soggiorno! Prova ad importare una radio! Una
nostra amica americana ci ha scritto che ci manda un celestino da colazione. Le
abbiamo riscritto dicendole: “Ti raccomando, ti prego per favore, non mandarci
un cestino da colazione !” Ora il cestino è arrivato. “Per ben sei volte” - si lamenta
George, con i pugni rivolti al soffitto, “dico sei volte, sono andato in quel
maledetto ufficio …”
Trascorsi la maggior parte della giornata e quella successiva cercando di cambiare
il percorso dei biglietti alla stazione ferroviaria. Su e giù, di qui, di là scusa, per
favore, compili questo modulo, compili questo altro, prego nell’ufficio sbagliato,
per niente,e poi venivo rispedito all’ufficio giusto, scusa, e poi scoprendo che era
l’ufficio sbagliato, che peccato, e poi che l’ufficio sbagliato era stato quello
giusto, grazie scusa ancora, per favore … Per Dio! Questa burocrazia italiana!
Ma è comunque impossibile evadere la burocrazia in Italia. Se avete un
documento,un pezzo di carta, significa che almeno tre o quattro addetti ci
litigheranno su , d’altra parte, se non avete quel pezzo di carta i tre o quattro
addetti vengono a dirvi che dovete avere quel pezzo di carta in modo che possano
discuterci .Mentre mi sedetti, irritato e sfinito, nell’ultimo degli uffici, pensai e
guardando l’uomo che avrebbe dovuto occuparsi di me, “Lui può guardarsi tutti i
giorni le rovine dei Bagni di Diocleziano, le insegne pubblicitarie , CIM, Grandi
Magazzini, PERUGINA, Cioccolata Caramellata, MARTINI, la piuma e la curva
della fontana di Piazza Esedra, il Gran Hotel, e le nuvole placide sopra il Tevere e
il Granicolo, ma ahimé questo è tutto ciò che so, o che saprò mai su di lui perché
sono troppo stanco e contrariato e troppo timido per chiedergli di uscire per un
drink e comunque accidenti a lui , non voglio conoscere la storia della sua vita. Io
voglio i miei biglietti!” Grr! Grr! Che diamine avrà da scrivere?
“Mi scusi ! Devo andare in un altro ufficio.”
Pazienza! Sempre pazienza! E’ per questo che sono così suscettibili? Una
pazienza così protratta dovrebbe rendere i nervi di qualsiasi essere umano come
quelli del Reparto del Manicomio il Numero 999.
Riuscii a stento a prendere il treno della sera per Napoli.
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NAPOLI
Dopo Formia, la pianura si stende in lungo e in largo. E’ un mare di verde e il
terreno appare buono ma vi sono sinistri muretti di pietra. Ricordo di aver
superato quel percorso, un Novembre al mattino, quando la luce su Villa Linterno
(1) era fredda pura c’era acqua nell’aria ed il verde era livido del gelo autunnale; i
pioppi e le viti erano buttate in alto richiamavano alla mente la Francia ma la luce
fredda era tipica del Nord, avevo la sensazione che si sarebbe potuto essere in
Irlanda o in Inghilterra. Questa notte era persino più tipica del Nord, poiché la
pioggia picchiava contro i vetri e quando spuntammo nella stazione a Napoli era
diventata un acquazzone. Dal punto di vista architettonico è una delle peggiori
stazioni in Italia: si deve camminare per centinaia di iarde fino al posteggio taxi e
dei tram, così che il facchino diventa indispensabile. Il mio grasso facchino si
lasciò scappare un lamento di orrore alla mancia che gli diedi. Era una mancia
generosa così che io diedi un buffetto affettuoso sulla guancia grassa e scura,
sorrisi e dissi: “E’ troppo, e più che troppo!”.(2) Di colpo scoppiò in una risata
allegra mi strinse la mano con calore e si avviò ballonzolandosi sulle anche nella
pioggia come un orso grasso e vecchio. Pioggia o non pioggia non ero certo in
Inghilterra. Mi diressi in macchina verso la mia pensione sotto archi di luce
elettrica a colori curvando il volante a destra e poi a sinistra per le strade vuote.
Anche se amo Napoli intensamente e ritengo di amarla più di qualunque altra città
in Italia ad esclusione di Venezia,non posso fingere che la mia adorata sia bella.
Non è una città turistica. E’un porto grande, rauco, polveroso, brulicante,
traditore, degenerato, bello, brioso. Ha alcuni negozi ottimi, circa 9 alberghi di
qualità, alcuni buoni ristoranti ma bisogna scovarli, non vi sono per niente
impianti di balneazione – si deve andare ben distante, almeno fino a Marechiaro
perché l’acqua sia pulita – una passeggiata splendida nell’estremità occidentale
della città, che è in realtà tutto ciò che il turista desideroso di null’altro che sia
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1 Villa Linterno probabilmente allude a Villa Literno
2 Qui l’autore si riferisce ad un atteggiamento tipico dei Napoletani che sperimenta sin dai primi
passi fatti nella città.
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