sorta di asilo territoriale. Peraltro, nonostante lo Stato
accreditatario sia obbligato a rispettare e tutelare le funzioni
degli agenti diplomatici accreditati sul suo territorio
lasciandoli liberi di esercitarle e garantendo loro
determinate immunità -tra cui spiccano quelle personali
riguardanti l’inviolabilità fisica e l’immunità dalla
giurisdizione e quelle inerenti all’inviolabilità dei locali
della missione- la dottrina è concorde nel ritenere che le
missioni diplomatiche siano parti del territorio dello Stato
accreditatario e come tali non possano agire in violazione
delle leggi di detto Stato né tanto meno possano derogare la
sua sovranità. Proprio alla luce del dovere della missione
diplomatica di non interferire negli affari interni dello Stato
accreditatario, può affermarsi che l’asilo diplomatico non
possa essere considerato come un diritto degli Stati, né
tanto meno rientrare nelle funzioni proprie della missione
diplomatica. Al contrario, esso è considerato da larga parte
della dottrina come un atto che limita la sovranità dello
Stato ospite e, per questo motivo, si sostiene che tale pratica
non sia giustificabile alla stregua del diritto internazionale,
ma tollerata solo sulla base di un consenso dello Stato
accreditatario. Invero, concedere asilo diplomatico ad un
individuo ricercato dalle autorità locali, magari per motivi
politici, significherebbe in qualche modo ostacolare il
potere legittimo di coercizione dello Stato territoriale e
figurare come un intervento illecito nella vita politica dello
4
stesso. Quanto è stato detto finora è supportato anche dalla
prassi degli Stati -soprattutto di quelli europei e dagli Stati
Uniti d’America- che sin dal XIX° secolo si è orientata
verso l’eliminazione di tale pratica. Ciò nonostante si deve
sottolineare che in determinati periodi storici contrassegnati
da guerre, rivoluzioni o forti tensioni politiche, quegli stessi
Stati hanno ripreso a concedere asilo nelle proprie
ambasciate accreditate all’estero. Difatti, soprattutto
durante la guerra civile in Spagna nel 1936- 39 e nel
periodo della guerra fredda o ancora durante il colpo di
stato in Cile nel 1973, furono moltissimi gli Stati europei
che concessero asilo nelle proprie ambasciate, giustificando
tale atteggiamento con motivazioni di carattere umanitario.
Va ricordato che il carattere umanitario dell’asilo
diplomatico è stato posto in evidenza spesso in molte
dichiarazioni ufficiali dei Governi che, pur non accettando
l’esistenza di una consuetudine generale in materia, hanno
precisato che in determinate circostanze in cui i diritti
fondamentali dell’uomo, come la libertà e la vita, sono
messi in pericolo dall’agire di una giustizia arbitraria o di
una folla violenta, concedere asilo diviene un atto doveroso.
Ed è in questo senso che l’asilo diplomatico è stato previsto
dall’Institut de Droit International nella Risoluzione di
Bath elaborata nel 1950 e concernente l’istituto dell’asilo
nel diritto internazionale. Accanto ad un simile
atteggiamento degli Stati europei e degli Stati Uniti
5
D’america, si deve rilevare, tuttavia, l’opposto pensiero
degli Stati Latino- americani che considerano l’asilo
diplomatico come un vero e proprio diritto e come tale esso
è stato, nel corso degli anni, riconosciuto e affermato
attraverso la stipulazione di vari trattati, tra cui si ricorda la
Convenzione di Caracas sull’asilo diplomatico del 1954,
firmata dalla quasi totalità dei membri della Comunità
latino- americana.
Il presente lavoro, si propone di analizzare l’istituto
dell’asilo diplomatico soprattutto al fine di accertare se
davvero esso sia caduto in desuetudine in Europa e negli
Stati Uniti e, in particolare se può ammettersi un diritto di
asilo diplomatico nella regione latino- americana.
Il lavoro è articolato in tre capitoli. Nel primo ci si sofferma
sulle origini dell’asilo illustrando le varie fasi storiche dello
stesso, per poi inquadrarlo nell’ambito del diritto
internazionale.
Nel secondo capitolo, l’attenzione si incentra segnatamente
sull’asilo diplomatico, allo scopo di ricercare un eventuale
fondamento giuridico nel diritto internazionale generale.
Inoltre, notevole rilievo è dato alla posizione degli Stati
latino-americani in materia di asilo diplomatico e all’esame
dei presupposti per la sua legittimazione, nonché delle sue
caratteristiche procedurali.
6
Nel terzo capitolo, infine, si dà conto della prassi degli Stati
inerente all’asilo diplomatico, con un’attenzione particolare
al caso Haya de la Torre del 1950, che ha coinvolto due
Paesi latino americani; ossia la Colombia ed il Perù,
sostenitori di due diverse teorie in materia: da una parte la
Colombia che ammette l’esistenza di una consuetudine
regionale concernente l’asilo diplomatico, dall’altra invece
il Perù che nega tale consuetudine.
7
Capitolo primo
Il diritto d’asilo
8
1. L’asilo in Grecia
Il termine “asilo” ha origini molto antiche; esso infatti,
deriva dal greco “asylon”
1
e proprio dai greci veniva
impiegato per indicare determinati luoghi a cui si attribuiva
il privilegio dell’inviolabilità.
2
L’inviolabilità di questi
luoghi dipendeva dal fatto che essi erano consacrati al
culto delle divinità; e la ragione stessa del diritto di asilo di
cui si poteva godere in quei luoghi stava nella concezione
primitiva secondo cui la loro sacralità si irradiava su
chiunque vi si trovasse nelle vicinanze o avesse un contatto
fisico con una cosa sacra. Un altro elemento che inibiva
dall’impossessarsi di una cosa o di un uomo posti sotto la
protezione di un sito sacro era la convinzione che questo
potesse scatenare l’ira del dio a cui quel luogo era
consacrato provocandone la vendetta.
3
Naturalmente non
tutti i luoghi sacri offrivano questa protezione; ciò avveniva
1
La parola asilo deriva da “à” privativo e “sylon” “depredo”, “spoglio”, quindi “inviolabile”.
2
Si veda a tal proposito Giriodi (asilo diritto di)- (Storia del diritto) in Digesto
italiano, Vol. IV, parte I, Torino 1968, p. 778) il quale scrive: “Asilo era il nome
che nei secoli passati si dava a certi luoghi, ai quali si attribuiva il privilegio di
mettere al coperto da ogni persecuzione chiunque vi si fosse rifugiato; e il
diritto d’asilo si chiama l’immunità o privilegio di cui godevano quei certi
luoghi od edifizi”.
3
Si veda a tal proposito, Paoli, Asilo. Diritto greco e romano, in Novissimo Digesto italiano,
vol. 1, Parte 2, Torino, 1968, p. 1035 e ss.
9
solo per alcuni templi ai quali spettava appunto, il nome di
“asilo” e dove l’inviolabilità era garantita sia dal sacerdote
che dalla comunità nel cui territorio essi si ergevano. Tra
questi templi si ricordano quelli di Atena Alea a Tegea, di
Poseidone nell’isola di Calauria, di Atena Calcico e di
Esculapio nella città di Pergamo.
4
Va detto, inoltre, che era
questo un diritto che non conosceva discriminazioni razziali
o religiose; infatti, potevano goderne anche gli schiavi o gli
appartenenti ad altre religioni e soprattutto, non era
riservato solo a coloro che rischiavano la vita ma anche a
chi avesse contratto un debito e non voleva sottomettersi
all’esecuzione personale. La mancanza di discriminazione e
di eccezioni nella concessione dell’asilo, accompagnata
dalla limitazione dello stesso solo a determinati siti, hanno
portato molti autori a chiedersi qual era lo scopo di siffatto
istituto: se proteggere la vita umana sopra ogni cosa oppure
salvaguardare la sacralità del luogo e soprattutto la divinità
a cui esso era consacrato. Sembra si possa affermare in
modo abbastanza certo che in realtà l’asilo era un diritto
spettante alle divinità, infatti, gli altari erano il simbolo del
potere degli dei e portare via un rifugiato da questi luoghi
era considerato un “crimen lesae maiestatis”. Non vi era
alcun riguardo per la vita umana e questo è rilevabile nella
misura della vendetta che colpiva non il singolo autore del
4
Si veda Paoli, op. cit. p. 1035.
10
crimine, ma l’intera comunità di cui questi faceva parte.
5
Naturalmente ci sono voci dissonanti secondo cui, in un
dato momento della storia greca, vennero introdotte delle
limitazioni all’asilo, concernenti ad esempio, i criminali
regolarmente condannati.
6
Questa tesi però non è
accettabile in quanto non muta la condizione degli individui
riguardo all’asilo. In realtà, anche se tale restrizione fosse
stata realmente introdotta, essa muoveva dalle qualità
dell’asilando visto come oggetto del diritto d’asilo e non
come soggetto; inoltre è verosimile che questa restrizione
non fosse possibile nei templi che costituivano un vero e
proprio asilo.
7
Si può concludere, quindi, affermando che
l’asilo nella Grecia antica era fondato esclusivamente
sull’inviolabilità dei luoghi sacri e che la protezione
derivante si doveva a tale inviolabilità e non al desiderio di
salvare vite umane.
5
Euripide (Troadi, 78-84) racconta che quando Aiace strappò Cassandra dall’altare di Atena,
questa raccolse l’aiuto degli dei per vendicarsi, vendetta che colpì tutti i greci di ritorno da
Troia. La dea così si rivolse a Poseidone: “Quando salperanno da Ilio per le loro case, Zeus
manderà dal cielo pioggia, grandine incessante e fosche bufere; e promette di darmi la vampa
del fulmine, per scagliarla sulle navi achee e bruciarle col fuoco. E tu allora, da parte tua, fa
rimbombare le acque dell’Egeo per la violenza delle onde e i vortici del mare; riempi di
cadaveri il cavo antro d’Eubea, sì che in avvenire gli Achei imparino a rispettare i miei templi
e a venerare anche gli altri numi”.
6
La tesi di cui sopra è stata fortemente sostenuta da Crifò, Asilo (diritto di). a) Premessa
storica. 1) Diritti antichi, in Enciclopedia del diritto, vol. II, Milano, 1958, p. 193. L’autore,
infatti, sostiene che “da una primitiva indifferenziazione, dovuta a valutazioni religiose, si
passa alla precisazione degli elementi dell’istituto dell’asilo attraverso la disciplina di diritto
internazionale o interno, e sempre comunque attraverso il riconoscimento statale del privilegio
stesso”.
7
Secondo Paoli, (op. cit., p. 1036): “Pausania (II, 13, 3 e segg.) ci ha conservata la notizia che
nel tempio di Ganimede a Ilio, se un uomo incatenato fosse riuscito a entrarvi, le catene gli
venivano tolte e appese agli alberi del boschetto sacro, sorgente entro il recinto del tempio”.
11
2.L’exilium romano e l’asilo
ebraico
Le tradizioni greche in materia di asilo furono mantenute
dai romani anche se con una certa cautela; infatti,
nonostante la leggenda colleghi la nascita di Roma con il
luogo di asilo edificato da Romolo sul territorio in cui fu
costruita la città,
8
è opinione diffusa che quest’istituto non
fosse praticato a Roma con la stessa frequenza, in quanto
esso ripugnava al senso giuridico dei romani. I luoghi di
asilo erano molto pochi, tra questi il primo ad essere
edificato fu il Tempio di Giulio Cesare che l’imperatore
Augusto destinò a tale uso nel 42 a.c. Tuttavia, nonostante
la prudenza voluta dai romani, l’asilo era largamente
impiegato soprattutto nei territori greci soggetti all’impero.
In questi luoghi, l’asilo veniva concesso praticamente a
chiunque: delinquenti, schiavi e debitori insolventi, tanto da
divenire ben presto un pericolo per l’ordine pubblico. Per
questo motivo, nel 22 d.c., Tiberio ordinò al senato di
8
Si veda il mito di “Romolo”, in Dizionario di mitologia greca e latina, p. 609, in cui si legge
appunto che: “Secondo la tradizione Romolo aprì un santuario sul colle capitolino dove si
diede ad offrire asilo a tutti quanti per i più disparati motivi, desideravano lasciare la propria
patria. Il luogo si popolò di assassini che fuggivano alla condanna o di schiavi che avevano
abbandonato i loro padroni”. In questo modo Romolo avrebbe popolato di uomini la città
appena fondata.
12
ridurre di numero i luoghi di asilo, lasciando solo quelli che
potevano vantare un titolo antico e sicuro.
9
Alcuni autori
sostengono che fosse praticato a Roma un istituto simile
all’asilo: l’esilio, presente nel processo penale che
consentiva all’imputato di evitare la pena di morte
scegliendo di stabilirsi per sempre al di fuori dei confini di
Roma.
10
Tra questi due istituti, tuttavia c’era un’importante
differenza che si rilevava all’atto di evidenziare i soggetti a
cui spetterebbero i diritti ad essi connessi. Precisamente, nel
caso del diritto d’asilo, la soggettività spettava alle divinità,
mentre nel caso dell’esilio era il cittadino imputato prima
che vi fosse la condanna a goderne e, nonostante il fine
ultimo fosse la salvaguardia della vita umana, bisogna
precisare che nel primo caso tale elemento era un semplice
accidente, mentre nel secondo esso era lo scopo reale.
L’impossibilità di prelevare l’esiliato non discende più dal
timore della vendetta divina ma dal rispetto della legge.
L’istituto dell’asilo trovò largo seguito anche nei popoli che
praticavano religioni monoteistiche, tra questi gli ebrei che
come altri popoli, praticavano l’asilo per preservare i
colpevoli di omicidio involontario dalla vendetta del
9
Si veda Paoli, op. cit. p. 1036.
10
Si veda Grifò, (op. cit., p. 196), che scrive: “L’impedimento che un magistrato facesse al
cittadino che, prima della condanna, sceglie l’esilo, di esercitare tale facoltà garantitagli ed
apprestatagli dall’ordine giuridico, configurerebbe un “improbe factum”: questo e l’eventuale
intervento della censura, organo della pubblica opinione, sono garanzie sufficienti ad
assicurare il rispetto della libera determinazione dell’individuo, il quale, scegliendo l’esilio,
esercita un proprio diritto fondato sul riconoscimento di un interesse socialmente e
giuridicamente rilevante a sottrarsi alla pena di morte”.
13
sangue.
11
Così come per i greci, l’asilo degli ebrei aveva
una matrice fortemente religiosa avendo Dio stesso ordinato
a Mosè e agli altri padri della religione ebraica di edificare
all’interno di Israele delle città rifugio per coloro che
avessero ucciso involontariamente.
12
La casualità
dell’omicidio era fondamentale, in quanto, contrariamente a
quel che succedeva con l’asilo greco, per gli ebrei solo
coloro che potevano provare di aver ucciso senza averne
l’intenzione potevano essere accolti nei luoghi di asilo; in
caso contrario l’omicida doveva essere strappato dall’altare
e consegnato al vendicatore perché lo uccidesse.
13
Oltre ad
avere un fondamento religioso, l’asilo ebraico nasceva
anche dalla forte domanda di giustizia bene molto caro al
popolo semita in quanto esso serviva soprattutto a non
permettere che si commettesse un’ingiustizia ai danni di
una persona non colpevole. L’asilo assumeva il carattere di
una protezione cautelativa e temporanea, dal momento in
11
La vendetta del sangue era un istituto tipico della Legge del taglione, in cui si prevedeva che
coloro che uccidevano dovevano essere puniti con la morte per mano dei parenti della vittima.
12
Sull’edificazione delle città rifugio, si legga il Libro dei Numeri, 9-16, nella Sacra Bibbia, in
cui appunto è scritto: “ Il Signore disse a Mosè: “ Parla agli israeliti e riferisci loro: quando
avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Caanan, designerete città che siano
per voi città di asilo, dove possa rifugiarsi l’omicida che avrà ucciso qualcuno
involontariamente. Queste città vi serviranno di asilo contro il vendicatore del sangue, perché
l’omicida non sia messo a morte prima di comparire in giudizio davanti alla comunità. Delle
città che darete, sei saranno dunque per voi città di asilo. Darete tre città di qua dal Giordano
e darete tre altre città nel paese di Caanan; saranno città di rifugio agli Israeliti, al forestiero
e all’ospite che soggiornerà in mezzo a voi, perché vi si rifugi chiunque abbia ucciso qualcuno
involontariamente”.
13
Anche in questo caso è possibile trovare esempi nelle sacre scritture, precisamente nel Primo
libro dei Re ( 2, 28 e ss.), dove si narra della punizione inflitta a Ioab che si era macchiato di
omicidio volontario. Si legge “Ioab si rifugiò nella tenda del Signore e si afferrò ai corni
dell’altare. Fu riferito al re Salomone come Ioab si fosse rifugiato nella tenda del Signore e si
fosse portato al fianco dell’altare. Salomone invitò Benaia figlio di Iaoda con l’ordine “va,
colpiscilo!”. Benaia andò nella tenda del Signore e disse a Ioab “ Per ordine del re esci!”.
Quegli rispose: “No! Morirò qui”. Benaia riferì al re: “ Ioab ha parlato così e così mi ha
risposto”. Il re gli disse: “ Fa come egli ha detto; colpiscilo e seppelliscilo”.
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cui il rifugiato restava nella città di asilo fino alla morte del
sommo sacerdote, per poi subire un regolare processo. In
seguito al processo, se l’imputato veniva dichiarato
innocente poteva ritenersi libero e ritornare nella sua città di
origine, altrimenti sarebbe stato consegnato ai parenti della
vittima che gli avrebbero inflitto la giusta vendetta.
14
In
quest’ultimo particolare, l’asilo ebraico è affine all’esilio
romano dato che in entrambi i casi, la protezione veniva dal
rispetto della legge, la stessa legge che perseguiva il
fuggitivo fuori dal luogo di asilo e lo proteggeva al suo
interno.
L’asilo ebraico è l’ultimo caso di asilo pre- cristiano; dopo
la decadenza dell’impero romano e la diffusione del
cristianesimo, sorge un nuovo tipo di asilo: l’asilo
canonico.
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Si veda il libro di Giosuè, 20, 1-9, in La sacra Bibbia.
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