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gli Elementi di un’esperienza religiosa, letto da molti come vero e proprio
manifesto antifascista, nel quale il filosofo perugino espone con maggiore
organicità e maturità i suoi pensieri che già da tempo circolano dattiloscritti. E’
ideatore e promotore del Movimento liberalsocialista (e per questo scontò due
arresti), a carattere nazionale, che svolge una intensa opera di propaganda
antifascista ed ha un ruolo importante nella lotta partigiana (alla quale Capitini,
in coerenza con il principio della nonviolenza, non partecipa), ma non condivide
la sua successiva trasformazione nel Partito d’Azione.
Nel terzo capitolo si espone il pensiero ed il giudizio di Capitini sul fascismo: le
condizioni che hanno permesso il suo affermarsi, le complicità e le connivenze
(in particolare denunciando le responsabilità della Chiesa cattolica), le
conseguenze storiche, istituzionali ed umane; infine si affronta il tema delle
sanzioni contro i responsabili della tragedia fascista nella lettera al conte Carlo
Sforza (allora presidente dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro i
crimini fascisti).
Viene inoltre analizzato il pensiero di Capitini in merito all’antifascismo ed alla
Resistenza. Dell’antifascismo Capitini analizza il significato e l’importanza
storica, i caratteri nazionali e gli aspetti prettamente personali. La Resistenza, se
intesa in modo riduttivo come lotta partigiana, allora non è che la prosecuzione
armata di una lunga e precedente opposizione antifascista che ne costituisce
l’indispensabile premessa morale, culturale, politica; ma il concetto di
Resistenza, secondo Capitini, deve essere inteso come fenomeno complesso e
profondo, di più lunga durata rispetto alla lotta armata. Il movimento
resistenziale inizia nel ’25 con la trasformazione del Regime in dittatura e si
dispiega come resistenza politica, morale, ideologica durante il ventennio;
diventa poi drammaticamente armata dal ’43 al ’45. Essa continua anche dopo
la Liberazione, per promuovere il rinnovamento auspicato (istituzionale,
politico, sociale, morale) e non un cambiamento di facciata, e non quello che
avvenne poi: la restaurazione, certo senza manganello ed olio di ricino, sancita
dalla sostanziale continuità dell’apparato burocratico, della magistratura, delle
forze dell’ordine e dell’esercito.
Nell’ultimo capitolo si accenna alla vicenda di due giovani partigiani, Riccardo
Tenerini e Primo Ciabatti, allievi diretti di Capitini, e di Antonio Giuriolo,
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partigiano nonviolento e medaglia d’oro al valore militare, anche lui affascinato
dal pensiero del filosofo perugino.
Su tutti e tre l’esempio di Capitini ha esercitato una notevole influenza
(certamente e direttamente più sui primi due che su Giuriolo), ma tutti e tre
hanno partecipato alla lotta partigiana, a dimostrazione di quanto l’opera di
persuasione esercitata dal profeta italiano della nonviolenza non precludesse
mai l’iniziativa secondo libera coscienza. In questo caso si tratta di una scelta
diversa da quella di Capitini stesso, che alla lotta armata decise di non
partecipare affatto, convinto che contraddicesse al principio della nonviolenza.
La scelta di Capitini non significa certamente una condanna della lotta
partigiana, ma un modo diverso di essere antifascista, consapevole e coerente
fino alla fine. Non la vile o obbligata via di chi si ritrova costretto dagli eventi a
dover scegliere tra il rimanere a casa o lo schierarsi da una parte invece che
dall’altra, ma una profonda convinzione meditata e praticata per più di
vent’anni, e tanto matura quanto nuova e non compresa da molti (amici e non).
Scrive Matteo Soccio: «Quella di Capitini non è la posizione disonorevole di chi
ha abbandonato la lotta per mettere al sicuro se stesso, ma la sofferta
constatazione di chi è stato già sconfitto dalle scelte degli altri e dagli eventi»
(Capitini e il fascismo, in “Critica Liberale”, 1983).
Il lavoro di Capitini avrebbe dovuto condurre alla liberazione nonviolenta
(attraverso la sobria tenacia della noncollaborazione) dalla dittatura fascista,
non già alla guerra. Con amarezza ricorderà, nelle pagine autobiografiche di
Attraverso due terzi del secolo, che la guerra fu la sua sconfitta. Ricominciava
da capo, isolato e fuori dagli onori pubblici, da indipendente di sinistra e libero
religioso, come egli stesso si definirà.
* * *
La ricerca è stata svolta seguendo due strade differenti e parallele: la ricerca
bibliografica e la ricerca “alla fonte”. La prima non poteva essere sufficiente,
data la scarsità dei lavori che si occupano del Capitini antifascista (fa eccezione
il saggio già citato di Matteo Soccio, Capitini e il fascismo, e pochi altri brevi e
parziali scritti). Quindi è stata necessaria la ricerca nell’Archivio Capitini,
presso l’Archivio di Stato di Perugia. Il mio lavoro è consistito nel prendere in
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considerazione gli scritti di Capitini (manoscritti, dattiloscritti, qualche lettera
dell’epistolario con Claudio Baglietto, e tutti gli scritti e le pubblicazioni su
giornali, riviste e periodici) che riguardassero o avessero a che fare col fascismo
e il periodo della dittatura da una parte, e con l’antifascismo e la Resistenza
dall’altra.
Lavoro impegnativo (bisogna considerare che molti scritti sono inediti quindi
reperibili solo come manoscritti e dattiloscritti) nell’interpretazione e soprattutto
nella selezione delle parti e dei concetti che ritenessi di volta in volta più
funzionali alla mia tesi: mettere insieme in un discorso organico e sintetico tutti
questi “pezzi” e dover dolorosamente scartare ampie parti per esigenze di
spazio, sicuramente non avrà giovato alla chiarezza ed alla esaustività di queste
pagine (il criterio che ho utilizzato nella ricostruzione, ripeto, è stato quello
della funzionalità al mio discorso, e non altri come ad esempio quello
cronologico
1
).
Trattandosi spesso di documenti inediti, ho preferito ricorrere frequentemente
alle citazioni, in modo che fosse possibile esprimere un concetto direttamente
con le parole dell’autore, non potendo un eventuale lettore avere altro riscontro
che quello di verificare di persona in Archivio.
Sicuramente questo lavoro non esaurisce affatto la ricerca riguardo alla attività
di Capitini (così importante e così poco conosciuta!) nel periodo fascista,
proprio perché, come dicevo, quello che riporto sono piccole e disordinate
citazioni tratte da un patrimonio ancora in gran parte da portare alla luce.
Spero che questo inizio sia da stimolo per una ricerca più attenta, esaustiva ed
approfondita al riguardo.
* * *
Attualmente, gli studi e il crescente interesse per la figura di Capitini e per il suo
messaggio, non hanno ancora preso in considerazione a sufficienza (per non
dire tralasciato) l’attività antifascista e l’importanza del suo pensiero e delle sue
iniziative nell’antifascismo e nella Resistenza. Tale soggetto a volte non si
conosce affatto, altre volte lo si fa in modo errato
2
.
1
Cioè in base alla cronologia degli scritti di Capitini, dal più datato al più recente.
2
Ad esempio, su Il fascismo. Dizionario di personaggi, cultura, economia, fonti nel dibattito
storiografico, a cura di A. De Bernardi e S. Guerracino, Bruno Mondadori, Milano 1998, p. 193,
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L’esempio di Capitini, a cominciare dalle discussioni notturne nelle stanze della
Normale, le prime riflessioni ed i primi dattiloscritti, la sua decisione di farsi
vegetariano, fino al suo primo gesto pubblico nel rifiutare la tessera fascista,
sono state indubbiamente decisive nella formazione di quell’ambiente di
dissenso da cui si svilupperà poi il Movimento liberalsocialista.
Non è preso in considerazione dagli studiosi il lavoro di Capitini in direzione di
una riforma religiosa in senso antistituzionale, antiautoritario e non dogmatico.
Bisognerebbe dare la dovuta importanza alle riflessioni filosofico-religiose che
contrastavano, allora in avanguardia, lo storicismo gentiliano dominante negli
ambienti accademici.
Già in quegli anni, tra i primi in Europa, Capitini recepiva l’insegnamento
nonviolento di Gandhi (che fondava l’istanza religiosa nella lotta politica), e
cercava di attuarlo nella situazione italiana.
Sosteneva (nei primi anni Trenta!) la necessità di superare lo statalismo
sovietico e lo sfruttamento capitalistico in una organizzazione federativa e
decentrata di popoli, che esercitassero il potere dal basso e partecipassero
attivamente alla vita pubblica, e facessero proprio il principio della nonviolenza
come garanzia irrinunciabile per una democrazia effettiva, partecipata e non
autoritaria.
Fu tra gli ideatori (il termine “liberalsocialismo” probabilmente è stato coniato
da Capitini stesso) e i fondatori del Movimento liberalsocialista (di cui redasse
nel ’37 i punti programmatici, sorta di primo manifesto), importantissimo sia
nell’antifascismo e nella lotta armata, sia come corrente di pensiero che voleva
conciliare l’istanza liberale della libertà individuale con l’istanza socialista della
fruizione da parte di tutti dei beni.
Instancabile viaggiatore, persuasore e suscitatore di “centri di antifascismo” in
molte parti d’Italia con cui teneva i collegamenti grazie ad una fitta rete di
amici, diffondeva scritti clandestini ed elenchi di libri da leggere; fondamentale
ruolo ebbe per molti la lettura dei suoi Elementi di un’esperienza religiosa,
manifesto d’antifascismo scritto durante l’apice della potenza del Regime e
decisivo nella formazione di una generazione di giovani antifascisti.
E dopo la Liberazione (ma non è tema di questo lavoro), continuò indefesso la
sua attività di pensiero e di azione per quella rivoluzione permanente
si legge alla voce Capitini che “fu condannato al confino”, quando invece venne diffidato e
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nonviolenta che assorbì tutto l’impegno e tutte le forze di una vita esemplare,
vivente trasparenza della sua intima persuasione, per dirla con le parole del
profeta della nonviolenza.
Il ruolo di Capitini nell’antifascismo e la profetica attualità del suo messaggio
pongono la questione di uno studio approfondito della sua opposizione
(pensiero e attività) durante il periodo della dittatura fascista e di una
riconsiderazione (o meglio: presa in considerazione) dell’importanza avuta da
una personalità di primo piano dell’antifascismo italiano, quale è stata Aldo
Capitini.
rimesso in libertà, seppur vigilata.