IV
A questo punto mi domando se questo tipo di comunicazione,
così intesa e descritta, potrebbe rappresentare una forma di
“dialogo a due” sia in ambito scolastico-educativo che
extrascolastico.
Il rapporto tra comunicazione ed educazione tanto frequente,
ma altrettanto problematico, potrebbe rappresentare un esempio
pratico del concetto di “Universalizzazione dell’educazione” e
di quell’insegnare “tutto a tutti” già promosso dal pedagogista
J. J. Comenio circa 300 anni fa.
Si è proceduto quindi in un’analisi storica del concetto di
educazione, con le relative ripercussioni sul piano socio
culturale precedenti alla riforma scolastica, ma anche
successive; cercando di mirare fino ad oggi verso una concreta
e reale qualità dell’istruzione.
Tuttavia, muovendo una critica all’attuale sistema formativo,
posso affermare che la qualità del processo educativo e di
conseguenza, l’efficacia dell’azione didattica saranno
compromesse, se colui che agirà in tali ambiti non sarà dotato
di una buona capacità diagnostica e comunicativa che li
permettano di cogliere i messaggi del soggetto in formazione,
interpretandoli e valutandoli correttamente.
Inoltre, per cercare di evitare quegli effetti negativi delle
relazioni studiati da Rosenthal e Jacobson e favorire la
V
comunicazione nei gruppi e nel “sistema classe”, così come è
stato considerato da L Von Bertlanffy nella sua analisi, si
dovrebbe optare verso una comunicazione interpersonale
autentica.
Questa prima parte del manoscritto si conclude con una ricerca
sperimentale in campo educativo basata sull’osservazione di un
tipo di comunicazione messa in atto dall’insegnante nel
contesto classe.
Ho notato come nonostante tutti gli “attacchi”, a volte gratuiti,
sull’istituzione scolastica, qualcosa è cambiato in positivo, in
quanto rispetto già a qualche anno fa, la scuola di oggi fiera
della sua autonomia, gestisce meglio i suoi tempi e i suoi spazi
anche con più frequenti rapporti sul territorio.
Nella prospettiva di ampliamento dell’offerta formativa, vige a
mio avviso, tra le scuole elementari una sana e giusta
competitività (almeno nelle scuole del nord-est dell’Italia); si è
abbandonata la famosa corsa al programma che “eclissava” la
centralità dell’alunno portatore di bisogni, a favore invece di
quest’ultimo promuovendo e mettendo in pratica il
suggerimento di J.J. Rousseau di “aspettare ad impartire se è
possibile una buona istruzione, per paura di partirne una
cattiva”.
VI
Vi è inoltre il tentativo di analizzare la comunicazione
educativa in ambito scolastico ponendomi il problema di
quando una comunicazione intenzionale può essere definita
“efficace” e a quale prezzo, considerato che, come afferma lo
studioso Bertin, “l’importanza dei processi comunicativi sullo
sviluppo della personalità è devastante sia dal punto di vista
intellettuale, che sociale”.
Di qui l’analisi di un “buon maestro” o semplicemente di un
buon comunicatore che consiste nel “mettersi nei panni
dell’altro” in una condizione di EIFBUBLUNG così come è
stata definita da Husserl, senza trascurare mai l’aspetto
educativo e formativo che una “corretta comunicazione”
potrebbe offrire alle nuove generazioni di “soggetti
multimediali”, fin troppo in sintonia con i mezzi comunicativi
multimediali e digitali.
L’analisi del processo comunicativo si sposta poi verso il
binomio comunicazione-educazione, due parole chiave che
consentono di allargare l’orizzonte e fare un tuffo nel passato,
confrontando vecchi e nuovi stili educativi e soprattutto
favorendo tra le novità lo stile educativo-didattico:
l’apprendimento comunicativo.
L’analisi trova il suo alimento in un atteggiamento esplorativo-
ricognitivo e critico che non dimentica di porre in risalto i
VII
problemi apparentemente risolti, nonché gli aspetti
contradditori che un cos’ vasto e complicato fenomeno
presenta, senza cercare, a tutti i costi ed in modo presuntuoso,
di offrire delle rigide e schematiche soluzioni.
Nella seconda parte del testo l’indagine prosegue verso una
direzione epistemologica-sperimentale prima con la descrizione
in seguito con la messa in atto di assiomi teorico-pratici e
tecniche comunicative in ambito didattico.
L’obiettivo è quello di mettere in luce l’aspetto più critico e
tortuoso di tutta la problematica e che suggerisce a me di
mettere le macchine e le tecniche comunicative e multimediali
al servizio dell’uomo e non viceversa, come purtroppo avviene
in alcuni casi, cercando di educare tutti i soggetti a trarre
profitto e non danno dai mezzi di comunicazione, nonché dagli
aspetti didattici-educativi che sono a loro connessi.
Infatti, agevolare un alunno che non riesce a comunicare con i
suoi compagni di classe attraverso il tradizionale uso del
linguaggio, è una conquista, e non significa affatto isolare il
problema ma al contrario favorire o addirittura far nascere la
comunicazione all’interno di un “sistema” quello comunicativo,
che può lasciare dello spazio anche all’emozione dell’incontro
con l’altro uguale ma allo stesso tempo diverso da me in un
piccolo mondo che non deve considerare una proprietà privata.
VIII
Probabilmente proprio per ovviare ad un tipo di comunicazione
sterile è verso una comunicazione interpersonale ed empatica
che ho deciso di orientare le mie ricerche e la mia curiosità,
lasciando consapevolmente che sullo sfondo si svolgesse il film
della globalizzazione, tanto familiare ed ovvio da non essere
più percepito come una novità.
Ed è all’interno di una responsabile e competente pratica
educativa che ogni educatore-formatore dovrebbe agire
imparando a conoscere le proprie emozioni ed i propri
sentimenti, nonché ad esprimerli attraverso le modalità di
comunicazione in grado di prefigurare un nuovo terreno
scolastico ed educativo in genere.
Il tutto nel rispetto delle varie identità personali ed attribuendo
sia all’”insegnante” che al formatore stesso un ruolo più attivo e
più consono alla complessità della nostra società.
L’ultima parte del lavoro è dedicata ad alcuni suggerimenti
metodologico-pratici utili a favorire la comunicazione
interpersonale in ambito scolastico ed extrascolastico,
motivando alcuni principi del tanto auspicato metodo socratico
della maieutica per “scoprire” l’altro e che potrebbe essere
assunto a tutti gli effetti come un vero e proprio stile di vita
all’interno di una società frenetica dove come afferma Adorno
“ognuno basta a se stesso” e non c’e tempo per comunicare.
IX
INTRODUZIONE
Definire al giorno d’oggi il concetto di comunicazione,
rappresenta, a mio avviso, un’opportunità importante per
permettere una volta tanto, alla comunicazione stessa di
“metacomunicare” ossia parlare di se stessa.
Nei primi due capitoli ho preso in considerazione l’ipotesi di
Watzlawick ed altri studiosi della scuola di Palo Alto “di
isolare” alcune proprietà semplici della comunicazione, dando
loro una forma di assunzioni teoriche utilizzabili nell’analisi
delle comunicazioni patologiche.
Prima fra tutti l’assioma che sancisce l’impossibilità di non
comunicare: qualsiasi interazione umana è “ipso-facto” una
forma di comunicazione.
Ogni comunicazione comporta di fatto un aspetto di
metacomunicazione che determina la relazione tra i
comunicanti.
Il terzo assioma decreta la connessione tra la punteggiatura
della sequenza degli scambi che articolano una comunicazione
e la relazione che intercorre tra i comunicanti.
Inoltre ho preso in esame ed ho illustrato il quarto assioma della
comunicazione di Watzlawick secondo il quale gli esseri umani
hanno la capacità di comunicare sia analogicamente sia
digitalmente.
X
Infatti quando gli esseri umani comunicano mediante immagini,
disegnando ad esempio, la comunicazione è analogica; quando
comunicando usano le parole la comunicazione è digitale.
Infine prendendo spunto dal quinto assioma per cui tutti gli
scambi comunicativi si fondano o sull’uguaglianza o sulla
differenza, ho approfondito il problema analizzando nel terzo
capitolo alcune tipologie di comunicazioni interpersonali con
relazioni simmetriche, come può essere considerata per
esempio quella relazione basata sull’amicizia o sull’amore ed
alcune altre a-simmetriche, citando ad esempio le relazioni
comunicative tra medico-paziente o insegnante-alunno.
Evidenziando discrepanze tra queste diverse tipologie di
rapporti comunicativi interpersonali, ma soprattutto
condividendo la tesi della prof.ssa M.G. Contini in base alla
quale: è facile e naturale rapportarsi all’altro soprattutto per
prendere piuttosto che per dare, facendo confluire
egoisticamente il rapporto verso le proprie ed esclusive
esigenze.
Inoltre secondo Buber, filosofo dell’interrelazione, proprio il
rapporto “io-tu” è la relazione comunicativa per eccellenza, in
cui il soggetto entra con la totalità del suo essere, come una
persona autentica.
XI
Si distingue il pensiero di Biswanger, il quale afferma che
comunicare è come “essere con un altro assumendo un
determinato ruolo”.
Personalmente penso che sia difficile non essere se stessi e
quindi fingere, assumendo diversi ruoli nell’ambito di qualsiasi
tipo di relazione comunicativa.
Probabilmente potremmo, in base alla situazione, assumere un
atteggiamento diverso che faccia da cornice alla situazione;
come indossare una maschera pirandelliana rischiando però di
dare origine forse con altrettanta falsità, ad un tipo di relazione
non del tutto autentica.
Di qui l’importanza al giorno d’oggi di “educare ad una
comunicazione-relazione interpersonale” e comunicativa
pregna di sani principi e valori come afferma la prof.ssa Luisa
Santelli Beccegato nel suo libro “Bisogno di valori”.
Il quarto capitolo si apre con un breve excursus storico inerente
la figura dell’insegnante, come possessore di abilità
comunicative per antonomasia anche se, non sempre in passato
tale competenza è stata sempre valorizzata, bensì schiacciata da
quel pesante ruolo carico di responsabilità curricolari-didattiche
cui l’insegnante doveva esclusivamente far fronte.
Trascurando l’aspetto comunicativo è soprattutto la relazione
nel suo rapporto con la classe.
XII
La nuova prospettiva della relazionalità fa riferimento alla
necessità di rifiutare un tipo di rapporto interpersonale con gli
allievi che potrebbe essere qualificato come “rapporto a
comando” a favore invece, di una relazione reciproca nella
quale e per la quale si sente implicato di persona e si mostra
disponibile al di là di un semplice e comodo formalismo.
Inizia l’era dell’insegnante considerato coordinatore e tutor,
descritto così dalle attuali Indicazioni Nazionali che assegnano
una pluralità di funzioni e competenze.
È auspicabile formare ed aggiornare in itinere i docenti a
sviluppare competenze comunicative e relazionali e soprattutto
a saperle mettere in atto.
Nell’ultima parte del presente lavoro è riportato il sunto di
un’esperienza pratica personale che ha visto l’attuarsi in ambito
scolastico ed educativo di un tipo di “comunicazione efficace”
strutturata secondo una delle possibili metodologie nella specie
il “metodo Gordon” atte a migliorare la comunicazione tra
insegnante e alunno, con suggerimenti pratici e schede di
esercitazione per indurre e favorire quel determinato tipo di
comunicazione.
1
CAPITOLO 1
DEFINIRE IL PROCESSO COMUNICATIVO
1.1. IL SIGNIFICATO DEL CONCETTO DI COMUNICAZIONE E LA SUA
MESSA IN ATTO.
La comunicazione è al centro dell’esistenza quotidiana, è
presente sia pure in forme diverse in ogni ambito della vita
umana, in ogni gruppo sociale, è elemento della trama dei
rapporti tra le persone. Sono affermazioni difficilmente
contestabili, eppure, nel momento in cui ci si accinge a riflettere
sulla comunicazione, ci si trova di fronte ad un apparente
paradosso; da un lato, tutti gli studiosi riconoscono
l’importanza teorica del concetto, dall’altro sembra non esserci
accordo su una sua definizione univoca, talmente ampia è la
varietà di uso di questo termine nelle discipline più disparate,
dall’etologia all’informatica, dalla biologia alla filosofia.
Tuttavia, al di là di ogni affermazione scientifica o tecnica tutti
consideriamo la ”comunicazione” come il più efficace e
complesso strumento attraverso cui gli esseri umani
interagiscono e, per poter essere parte di una collettività, si può
affermare che essa è l’unico mezzo a loro disposizione.
La comunicazione ci permette di mandare segnali che, a loro
volta, generano risposte significative nell’ambiente che ci
2
circonda. QUINDI: OGNI COMPORTAMENTO E’
COMUNICAZIONE: NON SI PUO’ NON COMUNICARE:
ogni comportamento è una trasformazione dei processi
neuorologici interni e reca informazioni su questi processi. I
mini comportamenti (movimenti degli occhi, cambiamento di
colore della pelle, modificazione del respiro) forniscono
informazioni importanti sulla persona. Poi ognuno agisce
secondo la propria massa interna e come afferma ERIKSON
1
“noi traduciamo sempre il linguaggio dell’altro nel nostro”.
Il contesto che ci circonda è talmente vario che afferriamo solo
alcune delle molteplici possibilità di interpretazioni di esso.
E ciò che cogliamo è filtrato dai nostri modi di essere
individuali, dalla nostra cultura personale, dagli interessi e dalle
nostre esperienze passate.
Tuttavia se consideriamo l’etimologia del termine, la
definizione di comunicazione assume un significato diverso,
esso deriva dal latino “communis” e significa “rendere
comune”, “far partecipe”. Questa è una definizione che mette in
rilievo la dimensione della reciprocità e il comunicare assume
la valenza di legare, partecipare, donare, dare e ricevere.
Diverso è il significato che tale concetto assume se si punta
l’attenzione sulla prospettiva circolare del flusso comunicativo
1
Erikson E.H., Infanzia e società, Roma, Armando, 1995, 17^ ed.
3
quale è il feed-back, offerto dai mezzi di comunicazione di
massa della più moderna tecnologia per trasmettere e ricevere
messaggi. In questa accezione funge da cardine il concetto di
TRASMISSIONE, inteso come passaggio di informazioni che
si avvale dello schema base della comunicazione costituito da
un’emittente di messaggio, da un canale di trasmissione, da un
ricettore di messaggi e da un codice, attraverso cui viene
enunciato il messaggio.
Gli orientamenti teorici della Scuola Americana di Palo Alto
della Pragmatica della Comunicazione, analizzano proprio gli
effetti comportamentali (pragmatici) dell’interazione
comunicativa.
Essa definisce alcune proprietà semplici o assiomi della
comunicazione che hanno fondamentali implicazioni
interpersonali e che danno forma ad un tipo di comunicazione
efficace o disturbata.
Da quanto ho affermato si evince che il concetto di
comunicazione come possibilità di rendere partecipi gli altri dei
nostri sentimenti è un “porsi in relazione con gli altri” e si
configura come processo attraverso il quale gli uomini mettono
in comune idee, pensieri e operano uno scambio di esperienze,
di sentimenti, di conoscenze, di desideri e di bisogni.
4
Si tratta di uno scambio di significati che influiscono sul modo
personale di essere, di fare, di sentire se stesso e gli altri.
Pertanto il concetto di comunicazione come scambio
interpersonale di esperienze, di idee, di sentimenti…. ci
introduce nella dimensione “dialogica” dell’interazione umana;
infatti secondo tale approccio il sistema di interazione
comunicativa, è il risultato di un complesso intreccio di attività
svolte da due o più soggetti che, interagendo costruiscono il
senso delle proprie azioni, sulla base di una “DISPONIBILITA’
ALLA COMUNICAZIONE” e di un “BAGAGLIO DI
CONOSCENZE ALTRUI”.
Da non sottovalutare, a mio avviso è il fatto che l’azione
comunicativa degli interlocutori non diventa solo un momento
di scambio, ma anche il mezzo attraverso il quale l’individuo
compie una riflessione su se stesso indotto proprio dalla
relazione con cui un’altra persona, come soggetto dotato di
caratteristiche proprie e unico nel suo essere.
Prestando attenzione ai feed-back (ossia al ritorno di
informazioni la cui percezione delle reazioni provocate negli
altri da un proprio comportamento) è indubbio che decifrare le
reazioni altrui è una risorsa importante per acquisire
consapevolezza della propria comunicazione, soprattutto quella
non verbale, comprensiva non solo della gestualità ma anche
5
del modo di guardare o di non guardare, del tono di voce, dello
stare vicino, di fronte, di lato, lontano all’interlocutore della
mimica facciale, degli atteggiamenti e delle valutazioni che si
stanno elaborando e così via.
Sarebbe doveroso per tutti noi che abbiamo responsabilità
educative, “sapere” quale tipo di comunicazione non verbale
stiamo lanciando mentre le nostre parole scorrono seguendo
percorsi stabiliti.
Non sempre, però, i feed-back sono precisi, a volte è difficile
sia coglierli, sia decifrarli.
Si può fare l’esempio di un oratore durante la cui conferenza gli
spettatori si assopiscono. Se lui non se ne accorge, può
andarsene soddisfatto e raccontare agli amici/colleghi che
l’auditorium era talmente attento che non si sentiva volare una
mosca.
Se se ne accorge il feed-back va decifrato: può essere un
pomeriggio di primavera che favorisce un certo torpore, gli
ascoltatori sono impreparati rispetto ai temi proposti, oppure
l’acustica della sala lascia a desiderare. Motivi plausibile, forse,
ma tutti esterni al relatore che non comprende se stesso nel
campo d’analisi.