non sembra possibile prevedere una fine, di diseredati, sfollati e perseguitati
diretti verso il nostro continente. Gli Stati europei stentano a trovare
soluzioni condivise, e nel tema dell’asilo è sempre più possibile intravedere
una di quelle questioni in cui diversi valori e visioni del mondo trovano un
campo di confronto e scontro. In Italia non esiste tuttora una legge organica
sul diritto d’asilo, capace di riunire le diverse fonti internazionali,
costituzionali e statali. Da poco meno di due anni, però, sono entrate in
vigore le modifiche alla procedura per l’ottenimento dello status di rifugiato,
previste dalla legge n. 189 del 2002, la c.d. Bossi-Fini.
Con questo elaborato intendo inquadrare con una certa organicità la
situazione giuridica e sociale del fenomeno dei richiedenti asilo e dei rifugiati
in Italia. In particolare, mi concentrerò sulle novità e sui fini della nuova
normativa, e sui risultati e le problematiche emersi a due anni dalla sua
applicazione. Per raggiungere questo obbiettivo non potrò prescindere
dall’inquadrare gli aspetti essenziali della materia nel contesto internazionale
ed europeo: di ciò mi occuperò nel primo capitolo. Nella prima sezione,
delineerò le principali caratteristiche storiche, giuridiche e sociali del diritto
d’asilo nel panorama internazionale; nella seconda, approfondirò il dibattito
in corso a livello europeo, che ha prodotto diverse direttive, recentemente
attuate o in fase di attuazione.
Nel secondo capitolo, invece, si esaminerà analiticamente la normativa
vigente nel nostro ordinamento, sia con riguardo agli aspetti costituzionali e
giurisprudenziali, sia in relazione alle novità apportate alla procedura
amministrativa.
Nell’ultima parte dell’elaborato, infine, l’analisi si concentrerà su raccolte
statistiche, prassi e casi esemplificativi. Lo scopo sarà, da un lato, quello di
definire le dimensioni e le caratteristiche del fenomeno a livello nazionale;
dall’altro, quello di far emergere come, in alcuni suoi momenti critici, la
procedura abbia trovato reale applicazione, e come ciò abbia potuto influire
sulla reale tutela del diritto d’asilo in Italia.
2
I- I rifugiati nel diritto internazionale e
comunitario
SEZIONE PRIMA: CONTESTO E DIRITTO INTERNAZIONALE
I.1- IL CONTESTO INTERNAZIONALE
Prima di iniziare una analisi delle norme di diritto internazionale più
rilevanti, ritengo utile inquadrare le dimensioni e le caratteristiche che il
fenomeno dei rifugiati ha assunto dal dopoguerra fino ad oggi, e
contestualizzare le fonti con riferimento al panorama socio-politico in cui
sono state elaborate
1
.
Questione preliminare risulta però individuare i soggetti che sia opportuno
considerare come “rifugiati” in una analisi di questo tipo.
I.1.1- Chi sono i rifugiati
Nel diritto internazionale il significato giuridico strettamente inteso del
termine “rifugiato” si lega alla definizione contenuta nella Convenzione di
1
Per una più estesa ricostruzione socio-politica del fenomeno dei rifugiati, si vedano: Alto
commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR), I rifugiati nel mondo 2000: 50
anni di azione umanitaria, New York, 2000 (Nota: traduzione ufficiale a cura dell’ACNUR);
United Nation High Commissioner for Refugees (UNHCR), The state of the world’s
refugees 2006: human displacement in the new millenium, New York, 2006; M. I. Macioti,
E. Pugliese, L’esperienza migratoria in Italia: immigrati e rifugiati in Italia, Bari, 2003, p.
163-179; per l’evoluzione giuridica del diritto dei rifugiati, si vedano,tra gli altri: G.S.
Goodwin-Gill, The Refugee in International Law, Oxford, 1983; E. M. Mafrolla,
L’evoluzione del regime internazionale in materia di asilo: tra sovranità territoriale e
dovere umanitario, in Rivista internazionale dei diritti umani, 2001/2, p. 532 ss; F. Morrone,
L’asilo nel diritto internazionale, in B. M. Bilotta, F. A. Cappelletti (a cura di), Il diritto
d’asilo, Padova, 2006, pp. 31-79.
3
Ginevra del 1951
2
. Secondo detta Convenzione, è un rifugiato chiunque
abbia lasciato il proprio paese di origine e non possa o non voglia ritornarvi,
temendo a ragione di essere ivi perseguitato per ragioni di razza, religione,
nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue
opinioni politiche. Al di là degli aspetti giuridici più rilevanti e problematici
di detta definizione (che saranno toccati nei successivi paragrafi), basti ora
anticipare che la nozione che ne emerge, nata pensando essenzialmente ai
rifugiati politici, prevede alcuni requisiti soggettivi ed oggettivi che
delimitano l’ambito di applicazione della Convenzione stessa: essa, tuttavia,
risulta troppo restrittiva rispetto a un unico fenomeno sociale, de facto e nel
sentire comune, più ampio e variegato. A sostegno di ciò, basti pensare che
ormai quasi tutti gli Stati hanno ampliato la definizione di rifugiato ad altri
soggetti
3
, oppure prevedono forme di assistenza alternative (sussidiarie o
temporanee) per chi, pur non possedendo tutti i requisiti previsti dalla
Convenzione, risulti comunque in fuga e bisognoso di protezione
4
.
Il termine “rifugiato”, nel suo uso corrente, identifica in modo abbastanza
indefinito un soggetto in fuga da una qualche pericolo e che necessita di
protezione. Le motivazioni della fuga possono essere le più varie, potendosi
in relazione a queste immaginare alcune generiche categorie di rifugiati:
rifugiati politici (perseguitati per le loro idee politiche), rifugiati umanitari (in
fuga da situazioni di violenza generalizzata, guerra, violazione dei loro diritti
fondamentali), rifugiati ambientali (in fuga da catastrofi di tipo naturale),
2
Da una analisi complessiva delle fonti, G.S. Goodwin-Gill (The refugee in international
law, cit., p. 18) afferma che “ …on the basis of state and international organization
practice,…the content of the term ‘refugee’ in general international law” coincide con: “The
class of persons without, or unable to avail themselves of, the protection of the government
of their state of origin…”.
3
Si vedano, in questo senso, la Convenzione sopra i rifugiati dell’Organizzazione dell’Unità
Africana del 1969 (Convenzione OUA), art. 1.2, o la Dichiarazione di Cartagena sul
problema dei rifugiati e dei profughi in America Centrale del 1984. Per la Convenzione
OUA, v. nota 19.
4
Oltre all’Italia, che prevede il permesso per motivi umanitari dal 1998, possono essere
ricordati, fra gli altri, Germania, Regno Unito, Spagna, Svizzera, Olanda, Danimarca,
Svezia, Norvegia.
4
rifugiati economici (in fuga da carestie, povertà, fame)
5
. A questi si possono
aggiungere le persone che fuggono perché si reputano ingiustamente
perseguiti dalla legge, oppure perché vogliono evitare un sistema punitivo
che considerano inumano.
Il significato giuridico risulta quindi restrittivo, mentre quello corrente
indefinito e incapace di distinzione sicura fra rifugiati, migranti economici e
altri soggetti che comunque richiedono protezione: si pone con questo il
problema di determinare quali soggetti sia opportuno considerare per
delineare caratteristiche e dimensioni del fenomeno. Reputo che la migliore
soluzione sia fare riferimento ai soggetti che l’Alto commissariato delle
Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR in italiano; UNHCR in inglese)
considera ad oggi sotto il proprio mandato, non solo per l’attendibilità dei
dati che la stessa mette a disposizione, ma soprattutto per la lunga esperienza
operativa dell’organizzazione, che le ha imposto di adattarsi ai tempi e alle
esigenze del momento.
Il mandato dell’ACNUR si è progressivamente allargato negli anni fino a
comprendere
6
:
I rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra
Le persone in fuga da conflitti o da avvenimenti che abbiano
gravemente turbato l’ordine pubblico
7
( cd. Displaced Persons)
I rimpatriati (ovvero, gli ex rifugiati)
Gli apolidi
Gli sfollati all’interno dei propri paesi
8
(c.d. Internal Displaced
Person o IDPs)
5
G.S. Goodwin-Gill, The refugee in international law, cit., p. 1-2; F. Belvisi, Il diritto
d’asilo tra garanzia dei diritti dell’uomo ed immigrazione nell’Europa comunitaria, in
Sociologia del diritto, 1995/1, p. 63.
6
UNHCR, Protezione dei rifugiati: guida al diritto internazionale del rifugiato, 2003, p. 25
(http://www.unhcr.it/images/pdf/manualeparlamentari.pdf).
7
Essenzialmente corrispondono ai soggetti previsti dalla Convenzione OUA all’art. 1.2
8
Gli “Internal Displaced Persons” (IDPs) vengono considerati di competenza dell’ACNUR
solo alla presenza di determinate circostanze, stabilite dall’Assemblea Generale ONU nel
1993: 1)Una richiesta o una autorizzazione ad intervenire da parte dell’Assemblea Generale
o di un altro organismo competente dell’ONU; 2) Il consenso dello Stato interessato e, se del
5
Gli sfollati tornati alle loro abitazione (ovvero gli ex IDPs)
In questa prima sezione dell’elaborato, dunque, quando si farà
indistintamente riferimento al fenomeno dei rifugiati, si intenderanno come
coinvolte tutte queste categorie di persone.
I.1.2- I rifugiati dal dopoguerra ad oggi: ricostruzione storica
e giuridica del fenomeno
Secondo la ricostruzione storica e le stime fornite dall’ACNUR, alla fine
della seconda guerra mondiale (anni in cui nacque l’ACNUR stessa), erano
presenti in Europa più di 40 milioni di sfollati: persone deportate o fuggite
durante la guerra, espulse nei mesi immediatamente successivi, o in fuga dai
regimi del blocco comunista
9
. In questo contesto, la volontà di cancellare le
ferite della seconda guerra mondiale e di creare un sistema che in futuro
potesse scongiurare simili sofferenze, spinse gli Stati alla elaborazione e alla
firma della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
10
e della
Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (28 luglio 1951; di seguito,
Convenzione di Ginevra o semplicemente Convenzione).
La prima, firmata nel 1948, non riguarda specificamente il diritto d’asilo, ma
all’art. 14 si afferma che “ogni individuo ha diritto di chiedere e di godere di
asilo in un altro Paese”. La Convenzione di Ginevra, invece, venne creata
inizialmente con specifico riferimento ai fatti accaduti durante la guerra
11
,
caso, delle altre eventuali entità coinvolte nel conflitto; 3) La possibilità di accesso alla
popolazione colpita; 4) Adeguate condizioni di sicurezza per il personale dell’ACNUR e
delle agenzie partner; 5) Chiare linee di responsabilità e controllo, e possibilità d’intervento
nelle questioni relative alle protezione; 6) Risorse e capacità adeguate al compito. Cfr.
UNHCR, Protezione dei rifugiati,cit., p. 30.
9
ACNUR, I rifugiati nel mondo 2000, cit., p. 13.
10
Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948
11
La Convenzione, infatti, nella sua versione originale, doveva essere applicata ai soli
“…avvenimenti verificatesi anteriormente al 1° Gennaio 1951”. Inoltre gli Stati avevano la
facoltà di limitare ulteriormente l’applicabilità ai solo fatti avvenuti in Europa (art. 1.B).
6
allo scopo di trovare una soluzione al problema degli sfollati presenti in
Europa in quegli anni, ma successivamente si rivelerà il testo generale di
riferimento nella protezione dei rifugiati. E’ stato da più parti sottolineato che
la Convenzione, prevedendo in sostanza una procedura di tipo individuale
per il riconoscimento dello status, risulta più adatta a tutelare singoli rifugiati
politici (come i c.d. combattenti per la libertà provenienti dal blocco
comunista). In questo senso, il testo della Convenzione si rivelò fortemente
influenzato dalle tensioni generate dalla nascente guerra fredda, più che dalla
preoccupazione per l’enorme numero di sfollati presenti in Europa, al cui
problema lo sforzo congiunto degli Stati era in buona parte già riuscito a dare
soluzione
12
.
Comunque, al primo grosso impegno che la comunità internazionale dovette
sostenere, con la fuga di oltre 200.000 ungheresi a seguito della repressione
operata dai sovietici nel 1956, sembrò che i mezzi predisposti nel 1951
potessero rivelarsi sufficientemente efficaci
13
. I paesi occidentali, desiderosi
di dimostrare la loro superiorità nel rispetto dei diritti umani, risposero con
solidarietà all’esodo degli Ungheresi. Nello stesso periodo, però, trattamenti
analoghi non ricevettero i Cinesi in fuga verso Hong Kong, o i Tibetani
rifugiatisi in India, la cui situazione passò quasi totalmente inosservata
all’opinione pubblica e all’assistenza internazionale: venne così messo in
luce e criticato il carattere prettamente eurocentrico della Convenzione e
dell’opera dell’ACNUR
14
.
12
In particolare: E. M. Mafrolla, L’evoluzione del regime internazionale in materia di asilo,
cit., p. 545; M. Pedrazzi, Il diritto d’asilo nell’ordinamento internazionale agli albori del
terzo millennio, in L. Zagato (a cura di), Il diritto d’asilo nella Comunità Europea, Padova,
2006, p 18; vedi anche: L. Neri, Il diritto d’asilo. Profili sostanziali: lo status di rifugiato, in
B. Nascimbene (a cura di), Diritto degli stranieri, Padova, 2004, p. 1189-1190.
13
Gli Stati, ad esempio, optarono per una interpretazione estensiva della clausola temporale:
“… un rifugiato può aver abbandonato il proprio Paese prima o dopo i fatti del 1° gennaio
1951, purché la causa della sua partenza sia legata ad eventi anteriori”: E. M. Mafrolla,
L’evoluzione del regime internazionale in materia di asilo, cit., p. 541.
14
ACNUR, I rifugiati nel mondo 2000, cit., p. 6. In realtà, fin dal principio il mandato
dell’ACNUR si estendeva oltre i confini europei, ma era limitato ai soli rifugiati ai sensi
della Convenzione di Ginevra.
7
Nel corso degli anni ’60, l’Africa fu scossa da una ondata di guerre, volte a
ottenere l’indipendenza dagli stati europei, o causate dal vuoto di potere
provocato dal processo di decolonizzazione (di particolare importanza, sia in
termini numerici, sia di rilevanza politica, fu la “Guerra di liberazione
nazionale” in Algeria
15
). In questo frangente, divenne chiara la necessità di
allargare l’ambito di operatività della Convenzione oltre i fatti della seconda
guerra mondiale e i confini europei. Nel 1967, quindi, si giunse alla firma del
Protocollo relativo allo status dei rifugiati (31 gennaio 1967; di seguito,
Protocollo di New York), che portò alla abolizione delle limitazioni
geografiche e temporali previste dalla Convenzione
16
. Allo stesso anno risale
la Dichiarazione sull’asilo territoriale (New York, 14 dicembre 1967),
approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ribadì
espressamente tre principi, peraltro già largamente condivisi dalla comunità
internazionale: la non ostilità dell’atto d’asilo nei confronti del paese
d’origine dei rifugiati, la solidarietà verso i Paesi di primo asilo, il divieto del
respingimento e del rifiuto di ammissione, quando queste condotte possano
determinare persecuzioni, anche solo indirettamente
17
.
Gli anni successivi furono caratterizzati dallo scoppio di numerose e violente
crisi internazionali in Asia e in America Latina. Nei primi anni ’70 il
Bangladesh ottenne l’indipendenza dal Pakistan, ma ciò provoco oltre 10
milioni di persone che si rifugiarono in India, che furono in seguito in gran
parte rimpatriate. Successivamente in Cambogia, Laos e Vietnam, con lo
scoppio delle lotte che portarono alla nascita di governi di tipo comunista e
provocarono grandi masse di sfollati che tentavano di raggiungere i paesi
15
Secondo le stime dell’ACNUR, al termine della guerra franco-algerina nel marzo del
1962, più di 250.000 algerini erano rifugiati fra Tunisia e Marocco. La maggior parte di
questi furono rimpatriati nei mesi successivi per partecipare al referendum sull’indipendenza
che si tenne in luglio. Inoltre, quasi 160.000 algerini che avevano collaborato con l’esercito
francesei, furono reinseriti in Francia.
16
In realtà agli stati che avevano già firmato la Convenzione di Ginevra adottando
limitazioni geografiche, fu data la possibilità di mantenerle, limitando di fatto l’accoglienza
ai rifugiati europei provenienti dall’area socialista. L’Italia ha mantenuto la limitazione
geografica fino al 1990. Oggi solo Congo, Madagascar, Monaco, Malta e Turchia
continuano a mantenerla.
17
L. Neri, Il diritto d’asilo. Profili sostanziali, cit., p. 1198.
8
vicini (i c.d. boat people). L’ACNUR si adoperò nell’aiuto dei paesi di primo
asilo, promuovendo il reinsediamento di circa 2 milioni di rifugiati in paesi
terzi sicuri (principalmente Stati Uniti, Canada e Australia). Nello stesso
periodo l’America Latina vedeva l’affermarsi di regimi militari
particolarmente reazionari e repressivi in Cile e in Argentina, e la partenza di
molti rifugiati politici verso l’Europa.
L’esperienza di quegli anni mise ufficialmente in crisi la nozione
internazionale di rifugiato emergente dalla Convenzione. L’ACNUR vide
progressivamente allargare il proprio mandato a soggetti e situazioni che non
avrebbero formalmente riguardato l’applicazione della Convenzione di
Ginevra, ma che nella sostanza richiedevano l’intervento e la protezione
internazionale
18
. Con le crisi in Indocina, si presentò infatti la necessità di
dare assistenza a soggetti che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite era
riluttante a definire come “rifugiati”. Per la prima volta venne allora richiesto
all’ACNUR di occuparsi delle c.d. displaced persons presenti nella regione.
Questa richiesta, ripetuta successivamente altre volte, ha portato a rendere
ormai pacifico in diritto internazionale l’inclusione di questi soggetti fra
quelli di competenza dell’ACNUR. Oltre a ciò, molti Stati, preso atto della
necessità di adottare una nozione di rifugiato che meglio corrispondesse alle
reali condizioni dei profughi, stipularono accordi regionali
19
o formularono
18
Il mandato dell’ACNUR venne per la prima volta esteso a rifugiati non convenzionali per
giustificare le operazioni di aiuto ai rifugiati cinesi ad Hong Kong. In quella occasione,
l’assemblea generale delle Nazioni Uniti pregò l’ACNUR di prestare i suoi “buoni uffici” ai
cinesi rifugiatisi ad Hong Kong che necessitavano aiuto. La tecnica del mandato a svolgere
“buoni uffici”, che consentiva di aggirare il problema della critica implicita ai governi che
fossero stati riconosciuti come generatori di rifugiati, fu ripetuta anche per i profughi algerini
in Marocco e Tunisia e per quelli angolani in Congo. Nel 1965, la funzione dei “buoni
uffici” venne formalizzata nel mandato internazionale dell’ACNUR, che da allora si estende
a tutti gli sfollati a prescindere dai motivi che ne hanno determinato la fuga.
19
Tra questi deve essere ricordata la Convenzione sopra i rifugiati dell’Organizzazione
dell’Unità Africana (Convenzione OUA) del 1969 che, oltre i soggetti previsti dalla
Convenzione di Ginevra, definisce rifugiato “ogni persona che, a causa di aggressione
esterna, occupazione, dominio straniero o gravi turbamenti dell’ordine pubblico in tutto o in
parte del Paese d’origine o di cittadinanza, è obbligata a lasciare la propria residenza abituale
per cercare rifugio in un altro luogo fuori del Paese di origine o di cittadinanza”. La
definizione contenuta nella Convenzione OUA, nata dall’esperienza vissuta dagli stati
9
una normativa nazionale con cui si prevedeva il godimento dello status di
rifugiato per ulteriori soggetti rispetto a quelli previsti dalla Convenzione.
Nello stesso periodo, nel nostro continente si andava però affievolendo la
generosità che aveva inizialmente animato le politiche d’asilo
20
. Fino alla
metà degli anni ’70, l’Europa si era infatti dimostrata aperta nell’accogliere
rifugiati provenienti sia dall’Europa dell’Est, che dall’America del Sud (in
fuga dai golpe militari che avevano sconvolto la regione) o dall’Indocina
(reinsediati dai paesi di primo asilo). Tuttavia, la crisi petrolifera degli anni
’70 spinse un massiccio afflusso di persone, provenienti prevalentemente dal
Maghreb e dal Medio Oriente, a migrare in cerca di lavoro verso gli stati più
ricchi. Gli stati europei, che si trovavano in un momento di bassa crescita
economica ed erano impreparati a sostenere una reale politica migratoria,
reagirono a questa situazione con la chiusura quasi totale delle frontiere. I
migranti, privi di ogni possibilità di entrare legalmente nei paesi europei
come lavoratori, cominciarono allora ad utilizzare l’istituto dell’asilo, le cui
procedure risultavano più permissive, come una scappatoia per aggirare le
ben più restrittive misure adottate in materia di immigrazione
21
. Il risultato di
questa situazione fu un aumento esponenziale delle richieste di asilo
22
e un
crescente atteggiamento di sospetto e sfiducia verso l’istituto che sfociò in
politiche restrittive nell’interpretazione e nell’applicazione della
Convenzione di Ginevra
23
.
africani negli anni ’60, è generalmente considerata come l’esempio meglio riuscito di
definizione internazionale della categoria dei rifugiati.
20
F. Belvisi, Il diritto d’asilo tra garanzia dei diritti dell’uomo, cit., p. 66 ss.; ACNUR, I
rifugiati nel mondo 2000., cit., p. 161 ss.
21
In particolare furono gli Stati con una più antica e liberale politica d’asilo, come Germania,
Francia, Austria, Regno Unito e altri Paesi scandinavi e nord europei, a subire e denunciare
questa pratica.
22
Il numero annuale di richiedenti asilo nell’Europa Occidentale era stimato a circa 15.000 a
metà degli anni ‘70, 83.000 nel 1983, oltre 200.000 nel 1989.
23
Il pericolo, peraltro, è quello di cadere in un eccesso di semplificazione. Se, infatti, è
innegabile che vi sia stata una certa percentuale di soggetti che cominciò a richiedere asilo in
modo strumentale, bisogna ricordare che effettivamente gli anni ’70 e ’80 furono
caratterizzati da un elevato numero di conflitti e crisi umanitarie, che non sempre furono
portati adeguatamente all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, e che un generale
miglioramento dei mezzi di comunicazione permise ai singoli profughi, e non più ai soli
10
In questo stesso periodo, inoltre, cominciarono ad emergere due anomalie del
sistema di protezione internazionale dei rifugiati, che misero in luce la
necessità di pensare alcuni strumenti regionali europei che regolassero la
materia dell’asilo: il fenomeno delle richieste multiple e quello dei rifugiati
in orbita. Col fenomeno delle richieste multiple, si intende la strategia che
cominciò ad essere attuata da alcuni richiedenti asilo che presentavano
domanda in più Paesi europei, con la fondata speranza che in almeno uno di
essi la richiesta venisse accolta. Di rifugiati in orbita, si parla, invece, in
relazione a quei soggetti verso cui nessuno Stato si dichiara competente ad
esaminare la domanda d’asilo, eccependo la competenza di uno Stato terzo in
cui precedentemente il richiedente asilo si è fermato, ha soggiornato o ha
presentato domanda. Questi soggetti venivano “rimpallati” tra un confine e
l’altro dei vari Stati europei, spesso senza trovare nessuno che fosse
disponibile ad accoglierli
24
. Il tentativo di dare soluzione a questi due
problemi porterà gli stati della Comunità Europea alla elaborazione, nel
1990, della Convenzione di Dublino “sulla determinazione dello Stato
competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati
membri delle Comunità Europee” (di seguito, Convenzione di Dublino).
In questo contesto internazionale, fra istanze di rinnovamento e sospetti
emergenti, fallirono i vari tentativi di trovare una posizione comune
internazionale che superasse i limiti e le incertezze emerse dall’applicazione
della Convenzione di Ginevra e vincolasse gli Stati alla concessione
dell’asilo in presenza di determinate circostanze. Questo obbiettivo, già
gruppi organizzati dalle organizzazioni internazionali, di raggiungere con una certa facilità i
Paesi occidentali. Tutti questi devono essere considerati come altrettanti fattori che
determinarono un aumento delle domande d’asilo e contribuiscono a spiegare, ma non certo
a giustificare, il crearsi di un atteggiamento di sospetto e sfiducia verso i richiedenti asilo.
ACNUR, I rifugiati nel mondo 2000, cit., p. 162-163
24
L’incompetenza e l’espulsione verso altri paesi vengono giustificate in relazione al dettato
dell’art. 31 della Convenzione, che prevede: “ Gli Stati non prenderanno sanzioni penali, a
motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali, contro rifugiati che giungono
direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate…” .
Secondo l’interpretazione data da alcuni Stati, questo articolo implicitamente legittima
l’espulsione del richiedente asilo verso quello Stato dove, anche indirettamente, non si
corrano i rischi richiamati e attraverso cui il richiedente asilo sia transitato.
11
fallito dalla Dichiarazione sull’asilo territoriale del 1967, fu ripreso nel 1977
nella Conferenza dei Plenipotenziari che riunì a Ginevra i rappresentanti di
88 stati. Fin dal principio i lavori si presentarono difficili a causa dei
contrasti politici che contrapponevano gli Stati partecipanti, con alcuni Stati,
in particolare l’URSS, che presentarono una serie sistematica di
emendamenti. In realtà, bisogna rilevare che anche i Paesi occidentali
mostravano in maniera abbastanza generalizzata un certa insofferenza verso
un atto che, vincolandoli all’accettazione di soggetti stranieri nel proprio
territorio, sentivano come limitativo della propria sovranità territoriale.
Piuttosto che un testo di compromesso senza effetti giuridici vincolanti, i
promotori preferirono far fallire la Conferenza, che si concluse così senza
pervenire ad alcun accordo. Dopo questo fallimento, l’Assemblea Generale
dell’ONU non ha più rinnovato un dibattito di tipo planetario sul diritto
d’asilo, ritenendo più opportuno promuovere politiche vincolanti in ambito
regionale e fare leva a livello internazionale sul “dovere morale” di
accoglienza
25
.
Gli anni ’80 si sono caratterizzati per l’accentuarsi delle tensioni della Guerra
Fredda e per le c.d. guerre per procura in tutto il globo, nei Paesi in via di
sviluppo
26
. Durante questa decade, le superpotenze intervennero in conflitti
di tipo locale e di importanza secondaria, finanziando l’una o l’altra delle
fazioni, determinando un inasprimento delle operazioni belliche e
frequentemente lo sfollamento e la fuga di enormi masse di persone. Per
avere una idea dell’impatto avuto da questa situazione sul fenomeno dei
rifugiati, sono indicativi alcuni dati forniti dall’ACNUR: nel 1975 la
popolazione di rifugiati riconosciuti a livello mondiale era di circa 2.8
milioni di persone, mentre alla fine degli anni ’80 la stessa era aumentata
fino a raggiungere i 15 milioni di persone; nello stesso periodo, il
finanziamento annuale dell’ACNUR passò da 76 milioni di dollari USA fino
a 580 milioni di dollari. Le crisi e le emergenze che provocarono fughe di
25
E. M. Mafrolla, L’evoluzione del regime internazionale in materia di asilo, cit., p. 554.
26
ACNUR, I rifugiati nel mondo 2000, cit. p. 109-137
12
massa di rifugiati furono molteplici: in Sri Lanka, Zambia, Angola,
Mozambico. Ma le più importanti in termini di dimensioni, violenza e
impatto internazionale furono localizzate nel Corno d’Africa, nell’America
Centrale e in Afghanistan e si caratterizzarono per flussi spontanei di
centinaia di migliaia di persone che si spostavano dalle zone di conflitto
verso quelle sicure dei Paesi confinanti, in cerca di sicurezza, cibo, prima
assistenza. Le organizzazioni internazionali spesso intervennero a sostegno
dei Paesi di primo asilo, allestendo nelle zone di confine grossi campi per
l’accoglienza dei profughi, ma senza riuscire ad operare i successivi
reinsediamenti
27
.
Particolare impressione desta la situazione della popolazione afgana, oggi
drammaticamente tornata agli “onori” della cronaca. La crisi politica che
attraversò il paese dalla fine degli anni ’70, col sorgere di un governo di tipo
comunista, con la successiva guerra civile che si tramutò in una cruenta
guerra contro l’URSS e con l’affermarsi di un governo islamico
fondamentalista, produsse già negli anni ’80 una enorme quantità di rifugiati.
Su una popolazione totale di 25 milioni di abitanti, si calcola che siano stati
più di 6 milioni gli afgani rifugiatisi fra Iran e Pakistan in quegli anni: cifre
che fanno tuttora dell’Afghanistan il paese con il maggiori numero di
rifugiati nel mondo
28
, e di Iran e Pakistan i paesi che hanno ospitato e
ospitano il maggior numero di rifugiati, dando prova di una accoglienza fino
ad allora insospettata dalla comunità internazionale
29
.
27
Sul ruolo ambiguo dei campi profughi, spesso rivelatesi luoghi di violenza verso le donne
o utilizzati come fonte di reclutamento, riparo, scudo dalle fazioni direttamente coinvolte nei
conflitti, si veda: M. I. Macioti, E. Pugliese, L’esperienza migratoria, cit., p. 175; per
opinioni più moderate: ACNUR, I rifugiati nel mondo 2000, cit., p. 112-113.
28
Nel 2004 i rifugiati afgani riconosciuti dall’ACNUR erano 2 milioni, cui devono
aggiungersi 900.000 ex-rifugiati rimpatriati, ma ancora sotto la protezione dell’associazione.
Il numero di rifugiati era progressivamente sceso dal 2000 al 2004, ma con l’inasprirsi dei
conflitti nell’ultimo anno tutto lascia supporre che la cifra sia destinata nuovamente ad
aumentare.
29
Quando cominciò la crisi in Afghanistan nel 1978, l’Iran aveva aderito alla Convenzione
di Ginevra da un solo anno e si trovava in una condizione politica instabile a causa della
rivoluzione islamica che si stava verificando nel Paese; il Pakistan, invece, non aveva e non
ha tuttora aderito alla Convenzione. Il numero massimo di rifugiati afgani nei due paesi fu
raggiunto nel 1990, con 3.061.000 di rifugiati in Iran, e 3.253.000 in Pakistan. Nel 2004,
13