Valutazione della fattibilità
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il contesto di riferimento per le scelte imprenditoriali, in grado di esercitare un forte condizionamento
sulle stesse, al fine di valutare la potenziale propensione da parte degli operatori all'adozione dell'in-
novazione, nonché le implicazioni legate alla sostenibilità sociale ed ambientale della stessa innova-
zione, importanti ai fini delle politiche locali e di livello superiore volte a favorire / sostenere l'attiva-
zione della filiera.
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1. Introduzione
L’industria conciaria e quella tessile, che per la Toscana rappresentano due importanti settori produtti-
vi, in alcune fasi della lavorazione dei prodotti richiedono l’impiego di oleanti di sintesi a lentissima
biodegradabilità e generalmente iperallergenici che determinano un forte impatto ambientale di queste
attività, l’incremento dei rischi per la salute degli operatori ed un’elevata conflittualità tra attività in-
dustriale, amministrazioni pubbliche e popolazione. Di conseguenza, l’impiego di questi prodotti di
sintesi pone alle aziende problemi diretti (smaltimento dei reflui) ed indiretti (rapporti con il territorio)
che in ogni caso si configurano come costi che al momento ricadono in gran parte sulla collettività. Al-
lo stesso tempo, nella Toscana Occidentale si sta acuendo la crisi del settore primario a seguito
dell’attivazione delle normative comunitarie relative alla riduzione dell’importo compensativo per le
colture oleaginose che produrrà, rispetto al 2001, una perdita di redditività del comparto di circa il
49% a partire dalla campagna 2002 fino al 2006. Ciò lascerebbe prevedere una forte contrazione delle
superfici coltivate ad oleaginose (girasole in particolare, vista la sua adattabilità agli ambienti pedo-
climatici della Toscana Occidentale) peraltro già in atto dal 2001. La minore presenza di oleaginose
sul territorio implicherebbe un cambiamento degli avvicendamenti colturali sicuramente poco rassicu-
rante sia dal punto di vista agronomico che ambientale; infatti, si potrebbe stimare un incremento della
monocoltura di frumento duro nelle zone più svantaggiate ed un ritorno alla orticoltura intensiva in
quelle più vocate ove si tornerebbe ad utilizzare in modo massiccio la risorsa “acqua” peraltro già
compromessa in molte zone litoranee. Tutto ciò determinerebbe un progressivo allontanamento dalle
tanto auspicate forme di gestione agricola ecocompatibili e di sviluppo rurale sostenibile.
In questo contesto, l’impiego di oli di origine vegetale, atossici nonché rapidamente e completamente
biodegradabili, nel settore dell’industria conciaria e tessile potrebbe contribuire alla soluzione delle
due problematiche di cui sopra attraverso il conseguimento di tre obiettivi qualificanti:
- riduzione dei gravi problemi di inquinamento ambientale particolarmente sentiti in alcune aree indu-
striali della Regione (elevata concentrazione di tensioattivi ed oleanti sintetici tra cui i noti alchil-
benzeni nelle acque superficiali del Pratese e del Pisano);
- riduzione dei fattori di rischio per la salute dei cittadini e degli operatori connessi all’uso attuale di
sostanze iperallergeniche in processi produttivi del settore tessile e del settore conciario;
- sviluppo di un’agricoltura multifunzionale toscana in grado di rispondere con flessibilità alle nuove
sfide aperte dalla prossima liberalizzazione dei mercati agricoli, in seguito all’esaurimento delle politi-
che comunitarie di sostegno per gli agricoltori previste in ambito comunitario entro il 2006.
Con tali premesse, lo sviluppo del mercato dei biolubrificanti, e quindi l’attivazione di una filiera a-
gro-industriale non alimentare, qualora ne fosse confermata la fattibilità anche a livello applicativo,
potrebbe risolvere o quantomeno alleviare i problemi sopra citati.
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2. I contesti produttivi di riferimento
Viene di seguito riportata una dettagliata analisi contestuale del settore agricolo delle oleaginose in
Toscana e dei distretti industriali conciario di Santa Croce sull'Arno e tessile di Prato, allo scopo di a-
gevolare la comprensione delle dinamiche in gioco e degli scenari futuri, in relazione all'introduzione
dell'innovazione proposta.
2.1. La situazione attuale del settore oleaginose in Toscana
2.1.1. I caratteri del settore oleaginose: produzioni e mercati
Nel corso degli anni, l'offerta mondiale dei semi oleosi ha subito profonde modificazioni dovute so-
prattutto alla comparsa di nuovi Paesi produttori che rapidamente si sono imposti come grandi fornito-
ri. Ad oggi, possiamo stimare che questo settore di mercato è, quantitativamente, fra quelli di maggiori
dimensioni.
Negli anni '60, la Comunità Europea e gli Stati Uniti fornivano il 40% della produzione totale di oli,
con il paese americano unico reale esportatore, mentre l'URSS, la Cina e l'India producevano il 25%
del totale mondiale, ma solo ad uso interno. Nel corso degli anni '70, l'offerta mondiale è cambiata: il
Brasile, l'Argentina, la Malesia e più tardi l'Indonesia sono divenuti in pochi anni grandi produttori,
intaccando così il primato nordamericano. Infatti, nel 1993 la produzione statunitense ha coperto il
15% della produzione mondiale (-9% rispetto al 1963), mentre la Malesia da una produzione inesisten-
te ha raggiunto il 10% e la coppia Brasile-Argentina il 9% (+5% rispetto al 1963) (Benvenuti e Van-
nozzi, 2001). Quindi, nel trentennio compreso tra il 1960 e il 1990, il Nord America ha perso la
leadership acquisita, dato che nei paesi asiatici la produzione è aumentata di oltre tre volte, approssi-
mandosi ai 40 milioni di tonnellate nel 2000 (Tab.1) (Vannini e Venturi, 1998).
Tab. 1 - Produzione mondiale di oli e grassi (t x 10
6
)
Paesi 1960 1970 1980 1990 2000
Nord America 9,1 13,3 20,6 19,0 22,0
Sud America 1,6 2,2 5,0 6,5 9,7
Asia 7,5 8,4 13,5 24,4 39,3
Europa 6,2 7,5 9,8 17,0 19,0
URSS 3,1 5,2 5,3 6,0 8,0
Restanti 4,6 3,5 6,3 7,7 7,0
Totale 32,1 40,1 60,5 80,6 105,0
Fonte: Henkel
Tra gli oli prodotti nel mondo, nel 1999-2000, l'olio di soia ha occupato il primo posto, con 23,5 mi-
lioni di t, rappresentando il 30% della produzione complessiva. Nel corso di questi ultimi 10 anni, la
produzione di olio di palma è considerevolmente aumentata e sempre nel 1999-2000 ha occupato il se-
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condo posto con 21,5 milioni di t (27,7% della produzione totale di oli). L'olio di colza rappresenta il
terzo olio prodotto nel mondo (15,9% del totale) con 12,4 milioni di t, mentre l'olio di girasole si atte-
sta in quarta posizione con 9,58 milioni di t (Tab.2) (Benvenuti e Vannozzi, 2001).
Tab. 2 - Principali oli vegetali (t x 10
6
) prodotti nel mondo e principali Paesi produttori (1999/2000)
Specie Produzione di olio % Principali Paesi produttori
Soia 23,50 30,3 USA, Brasile, Argentina, UE
Palma 21,49 27,7 Malesia, Indonesia
Colza 12,39 15,9 Cina, UE, India
Girasole 9,58 12,3 ex URSS, Argentina, UE
Arachide 4,51 5,8 India, Cina
Cotone 3,80 4,9 Cina, India, ex URSS
Olio di oliva 2,39 3,1 UE
Totale 77,66 100
UE 10,49 13,5
Fonte: FAO
La diffusione delle proteoleaginose, negli ordinamenti produttivi delle imprese agricole dei paesi del-
l'Unione Europea è fatto relativamente recente e successivo al conseguimento di una sicurezza alimen-
tare che ha privilegiato, per tradizionale necessità, i cereali e le foraggere prima e le altre colture indu-
striali poi (Vannini e Venturi, 1998). La UE ha infatti sviluppato le proprie colture oleaginose a partire
dagli anni '70, passando da poco più di 3,3 milioni di t di olio del 1973 a 6,1 milioni di t di olio nel
1981, superando i 10 milioni di t nel 2000 (Benvenuti e Vannozzi, 2001).
Il girasole rappresenta l'oleaginosa più diffusa nell'UE, interessando il 54% della superficie e quasi il
40% della produzione ottenuta; il colza si colloca al secondo posto con il 40% della superficie ed il
52% della produzione, mentre la soia ha rispettivamente circa il 6% e l'8%. A livello di autoapprovvi-
gionamento, il colza risulta attestarsi al 102%, il girasole arriva all'88%, mentre per la soia si limita
all'8%, date le condizioni ambientali particolari che ne limitano la coltivazione ad una fascia climatica
che è in pratica limitata alla Pianura Padana e al sud della Francia (Vannini e Venturi, 1998). Da que-
ste colture possono essere ricavati oli di diversa composizione (con una resa variabile dal 20-25%, nel
caso della soia, al 50-55% per colza e girasole), generalmente, attraverso il processo di estrazione in-
dustriale con solventi o alternativamente per pressione diretta (colza-girasole), ottenendo come sotto-
prodotto dei panelli proteici destinati al settore mangimistico.
La produzione, nel suo complesso, viene realizzata per oltre il 37% dalla Francia, per poco più del
28% dalla Germania e per circa il 10% da Gran Bretagna e Italia. Nel 2000 la Francia è stato il primo
produttore di semi oleaginosi (5.610 mila t), seguita dalla Germania (3.660 mila t) e dall'Italia (1.400
mila t). Per le diverse specie si possono individuare aree di specializzazione e di concentrazione della
produzione. La coltivazione del colza è concentrata in Germania, Francia e Regno Unito con oltre
l'89% della superficie e il 92% della produzione. Il girasole ha il suo maggiore areale di produzione in
Francia e Spagna dove si concentrano quasi l'82% della superficie ed oltre il 79% della produzione
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comunitaria. L'Italia è il primo produttore di soia in Europa, essendovi investita quasi il 65% della su-
perficie e realizzata oltre il 67% della produzione (Vannini e Venturi, 1998). Nella Tab.3 sono indicate
le superfici e le produzioni delle oleaginose negli anni 81-82, 90-91, 93-94, 96-97, 99-00 ottenute al-
l'interno dell'UE.
Tab. 3 - Superfici e produzioni investite ad oleaginose negli anni 81/82, 90/91, 93/94, 96/97, 99/00 in UE
Colza Girasole Soia Totale
Anno ha x 10
3
ha x 10
3
ha x 10
3
ha x 10
3
1981/1982 1.310 1.091 15 2.416
1990/1991 2.548 2.559 573 5.680
1993/1994 2.602 3.119 331 6.052
1996/1997 2.711 2.343 375 5.429
1999/2000 3.289 1.956 365 5.610
Anno t x 10
3
t x 10
3
t x 10
3
t x 10
3
1981/1982 3.086 1.213 31 4.330
1990/1991 7.421 4.299 1.853 13.573
1993/1994 6.800 3.836 969 11.605
1996/1997 7.918 3.938 1.280 13.136
1999/2000 10.338 3.194 1.205 14.737
Fonte: FAO
Negli ordinamenti produttivi delle imprese italiane, le oleaginose entrano con un certo peso a partire
dagli anni '70. Si sono successivamente imposte all'inizio degli anni '80, svolgendo un ruolo importan-
te nelle imprese, sotto l'aspetto sia agronomico che economico. Hanno poi subito una contrazione negli
anni '90, a seguito delle modificazioni apportate all'organizzazione di mercato di questi prodotti, con-
trazione che è andata accentuandosi negli ultimi anni.
Come noto, soia e girasole sono le colture che, nei nostri ambienti, hanno le più favorevoli condizioni
di produzione e, attualmente, esse rivestono la medesima importanza in termini di estensione (media-
mente 165.000 ha). Le regioni del Centro Italia, compresa la Toscana, rappresentano le zone tradizio-
nali di produzione del girasole e del colza, dove si registra da sempre la maggiore concentrazione di
tali colture, in modo particolare del girasole, favorito dalle sue caratteristiche di pianta resistente a
condizioni idriche non ottimali (Marescotti, 1998).
L'espansione delle colture è legata anche ai particolari andamenti metereologici e alle diverse caratte-
ristiche pedoclimatiche presenti sul territorio nazionale. In genere, il colza, coltura autunno-vernina,
viene seminato in zone in cui il girasole, coltura primaverile-estiva, incontra maggiori difficoltà. Il
colza ha dunque fatto registrare maggiori espansioni nelle aree frumenticole per eccellenza e in zone
collinari, anche per interrompere la monosuccessione a cereali diffusa in alcuni areali. Ad ulteriore
vantaggio del colza giocano i bassi costi di produzione; infatti, per la sua coltivazione è possibile uti-
lizzare in gran parte le attrezzature meccaniche utilizzate per la coltivazione del frumento (seminatrice,
raccoglitrice, etc.). Nelle zone in cui, per motivi legati all'andamento meteorologico, non è sempre
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Toscana
21%
Um br ia
25%
Lazio
4%
Molise
7%
Altre regioni
10%
Lombardia
4%
Marche
19%
Piemonte
5%
Emilia-Romagna
5%
possibile effettuare semine autunnali, è invece il girasole a trovare spazi maggiori (Marescotti, 1998).
Le potenzialità produttive del girasole sono strettamente dipendenti dai condizionamenti climatici ne-
gli ambienti in cui esso è maggiormente coltivato, vale a dire in quella che in Italia potrebbe definirsi
con una certa enfasi, la "fascia del girasole" che attraversa le regioni centrali, dalla Toscana, all'Um-
bria e alle Marche (Graf. 1). Essa interessa ambienti nei quali la siccità estiva rappresenta un'avversità
climatica caratterizzante e ricorrente e dove il girasole è spesso l'unica coltura avvicendata al frumento
nei terreni collinari e di pianura privi di possibilità irrigue (Casati, 2002).
Graf. 1 - Superfici a girasole per regione (2002)
Fonte: L'Informatore Agrario 11/2003
La Toscana occupa quindi un posto di primo piano nella produzione di semi di girasole, tanto che il
solo comparto raggiunge un volume medio di affari di 15 milioni di euro
2
. A livello provinciale, se-
condo le informazioni fornite dalla Regione Toscana, è Grosseto la provincia più importante in termini
di superfici, seguita da Siena, Arezzo, Pisa e Firenze, mentre in termini di contributo alla produzione i
dati variano di anno in anno a seconda delle condizioni meteorologiche, ma le province più importanti
sono ancora una volta Grosseto, Firenze, Pisa, Arezzo e Siena.
Nella tabella seguente sono riportati gli andamenti delle superfici e delle produzioni, a livello provin-
ciale, relativamente alle ultime tre annate produttive.
2
Stima effettuata considerando la produzione media annua di girasole di circa 600.000 q e il prezzo di vendita
del seme medio dell'annata di commercializzazione 2002-2003 pari a 24,41 euro/q.
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Tab. 4 - Toscana: superfici e produzione di girasole per provincia, anni 1999-2001
Superficie (ha) Produzione raccolta (q)
Province
1999 2000 2001 1999 2000 2001
MS 0 0 0 0 0 0
LU 600 600 585 18.432 18.624 18.158
PT 545 540 530 10.643 10.152 10.070
FI 8.500 8.500 8.000 272.085 250.000 *
PO 1.000 1.005 230 33.000 27.135 6.210
LI 3.050 3.150 3.350 65.000 77.175 68.675
PI 9.000 8.000 9.000 202.500 180.000 162.000
AR 10.000 10.000 9.000 150.000 180.000 144.000
SI 10.000 10.000 9.000 171.000 180.000 63.000
GR 12.440 13.230 15.300 160.874 224.910 140.700
TOSC 55.135 55.025 54.995 1.083.534 1.147.996 612.813
* Non disponibile, Fonte: Regione Toscana
Per quanto riguarda il colza in Toscana, a livello provinciale, secondo le informazioni fornite dalla
Regione Toscana, è ancora una volta Grosseto la provincia più importante in termini di superfici, se-
guita da Siena, Pisa e Firenze, mentre in termini di contributo alla produzione le province più impor-
tanti sono generalmente Firenze e Pisa, con un notevole incremento di Grosseto nel 2001. Nella tabella
seguente sono riportati gli andamenti delle superfici e delle produzioni di colza, a livello provinciale,
relativamente alle ultime tre annate.
Tab. 5 - Toscana: superfici e produzione di colza per provincia, anni 1999-2001
Superficie (ha) Produzione raccolta (q)
Provincie
1999 2000 2001 1999 2000 2001
MS 0 0 0 0 0 0
LU 0 0 0 0 0 0
PT 5 5 5 28 28 28
FI 800 800 * 21.728 27.000 *
PO 40 35 25 960 840 550
LI 405 325 305 6.120 4.550 4.697
PI 850 600 300 11.475 8.100 4.050
AR 300 100 100 3.000 2.000 2.000
SI 2.500 900 800 7.030 1.800 2.400
GR 4.950 2.110 1.800 3.300 5.908 6.300
TOSC 9.850 4.875 4.135 53.641 50.226 20.025
* Non disponibile, Fonte: Regione Toscana
2.1.2. Le implicazioni ambientali legate alla coltivazione delle oleaginose
Le oleaginose, con particolare riferimento a girasole e colza in quanto maggiormente diffuse in Tosca-
na, sono caratterizzate da una relativa facilità di coltivazione che si traduce in una molteplicità di van-
taggi offerti a livello ambientale
3
. Entrambe le colture sono accomunate dal fatto che hanno una mode-
sta richiesta di cure colturali e che presentano una buona adattabilità alle diverse condizioni pedocli-
Valutazione della fattibilità
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matiche; ciò rende possibile la loro coltivazione anche in aree marginali inadatte alla maggior parte
delle colture. La garanzia dell’ottenimento di buone rese anche in condizioni di limitata disponibilità
idrica rende possibile la loro coltivazione in assenza di irrigazione, permettendo di valorizzare gli am-
bienti caratterizzati da siccità estiva. Il rapporto tra deficit evapotrasporativo e decremento di resa è
nettamente a favore di queste colture, in raffronto alla maggior parte delle specie annuali (mais, soia,
barbabietola da zucchero, ecc.).
Le limitate esigenze colturali e l’adattabilità del girasole e del colza assumono un particolare significa-
to ai fini della buona gestione della pratica agricola. Infatti, tali caratteristiche rendono efficace il ri-
corso a tecniche di coltivazione a basso impatto ambientale, che come noto prevedono quantitativi no-
tevolmente inferiori di input chimici rispetto alla tecnica convenzionale nonché il ricorso a metodi di
lavorazione superficiale, i quali rallentano il processo di mineralizzazione del suolo e permettono una
maggiore preservazione della sostanza organica.
Altro aspetto di estrema importanza è rappresentato dal miglioramento della gestione degli avvicen-
damenti, in modo particolare nei molti casi in cui mancano alternative colturali a dette oleaginose. La
realizzazione della rotazione colturale preserva infatti dal rischio di monosuccessione cerealicola che
negli areali di riferimento rappresenta un problema molto sentito. A tal proposito, si evidenzia come
nella collina asciutta dell'Italia centrale, il girasole non abbia di fatto alternative altrettanto efficaci: il
mais in coltura asciutta non è in grado di garantire produzioni stabili, presenta costi di produzione più
elevati e prezzi stagnanti; il favino rappresenta una grande opportunità per la collina asciutta, ma l'ale-
atorietà delle rese ne limita la diffusione; il sorgo ha limiti di tipo commerciale; la barbabietola ha alti
costi di produzione ed è limitata dalle quote di produzione. Altrettanto importante è il ruolo del colza,
adattabile in ambienti dove lo stesso girasole non può essere introdotto.
Altri vantaggi sono rappresentati dal fatto che il girasole è una coltura da rinnovo, primaverile-estiva,
che contribuisce al mantenimento della fertilità e della struttura del terreno; il colza, a sua volta, in
quanto coltura a ciclo autunno-vernino, svolge un’importante azione protettiva e di consolidamento
del terreno, grazie alla copertura che garantisce proprio durante i mesi in cui è maggiore il rischio i-
drogeologico (Benvenuti e Vannozzi, 2001; Frascarelli, 2002).
2.1.3. La filiera oleaginose: caratteri strutturali e organizzativi
La filiera oleaginose è composta essenzialmente da quattro soggetti chiave: le aziende agricole produt-
trici del seme, i centri di raccolta e commercializzazione, le industrie di triturazione che si occupano
della trasformazione e le industrie utilizzatrici dei prodotti derivati che rappresentano l'ultimo anello
della catena (Graf. 2).
3
La trattazione degli aspetti agronomici delle oleaginose fatta in questa sezione è funzionale alla messa in luce
delle relative implicazioni ambientali; si rimanda ovviamente alla specifica parte del rapporto per una trattazione
approfondita.