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dialogo: ad un sorriso si risponde con un sorriso, ed è questa particolarità che permette
uno scambio paritetico e antigerarchico.
Il riso, come elemento costitutivo della natura umana, può essere inserito a pieno titolo
nei discorsi riguardanti la comunicazione, come per altro ha già potuto fare l’eminente
studioso Gregory Bateson. Si può usare il manifestarsi del riso come indicatore della
componente implicita della comunicazione? “Quando una battuta riesce a scardinare e a
toccare i livelli impliciti della comunicazione, quando questi livelli si toccano l’un
l’altro, e quando si manifesta un’oscillazione fra essi, il riso sancisce un’accordo…”
2
,
ciò significa che il sorriso diventa un segno dell’efficacia della loro comunicazione.
L’aspetto comunicazionale del sorriso ci rivela dunque come questo sia un efficace
elemento di comunicazione non verbale. Il linguaggio delle parole si sostituisce con il
linguaggio della mimica, della postura, dell’intonazione, elementi che possono diventare
complementari alla comunicazione di carattere verbale, oltrepassando così ogni giudizio
di inferiorità.
Se ci si interroga su come si produce il piacere umoristico (il divertimento), quali sono le
fonti che lo alimentano, bisogna valutare come vengono organizzate le informazioni e
cosa comportano da un punto di vista emotivo, affettivo, motivazionale. Si è trattato
quindi di esaminare il problema da un punto di vista cognitivo, dinamico e relazionale.
Un importante impulso all’umorismo viene dal paradosso, definito come una
contraddizione che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti; come afferma
Bateson, il paradosso è la materia prima della comunicazione, in grado di generare gli
opposti di follia e gioco, paralisi patologica e creatività: “…esiste un’importante
ingrediente comune a tutte le relazioni umane soddisfacenti, all’umorismo e al
cambiamento psicoterapeutico, e questo ingrediente è la presenza implicita dei paradossi
e la loro accettazione.
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” Entra in gioco proprio l’umorismo con la sua capacità di offrire
un’alternativa alla rigidità della logica, svolgendo una funzione equilibratrice nelle
relazioni umane: se nella logica formale ci si impegna a cercare verità, ordine e un nuovo
significato, al contrario nel gioco dei paradossi troviamo fantasia, disordine e nonsense.
La valenza del riso è certamente multipla e ciò significa che esso è in grado di
convogliare contemporaneamente diversi, talvolta opposti, messaggi, di svolgere più
funzioni ed esprimere più significati. Si può ridere per divertimento, oppure per uno stato
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GREGORY BATESON, L’umorismo nella comunicazione umana, Raffaello Cortina Editore, Milano,
p.49
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GREGORY BATESON, L’umorismo nella comunicazione umana, Raffaello Cortina Editore, Milano,
p.9
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ansioso, oppure ancora come prodotto di uno stress intenso o di una forte emozione, si
può anche mentire ridendo! Non vi sono dubbi che l’umorismo si una risorsa benefica e
ricca di prerogative, ma di certo non è unicamente innocente. All’interno di un gruppo,
l’uso dell’umorismo può aiutare a creare un clima di distensione, tale da rendere ogni
ambiente maggiormente produttivo anche se il riso non sempre sembra essere un fattore
positivo: utilizzandolo in modo esagerato può diventare controproducente se indirizzato a
ridicolizzare l’altro. È importante “ridere con” e non “ridere di qualcuno”
danneggiandone la dignità; sarebbe più consigliabile ridere di se stessi.
E se è vero che ridere e giocare da soli appare un’attività noiosa, farlo in compagnia
sembra essere tutta un’altra storia: l’umorismo come elemento di coesione, stimola la
creatività e diminuisce le tensioni. Si rilevano infatti numerose potenzialità benefiche
dell’uso del comico che si possono osservare sia a livello fisiologico che psicologico che
sociale.
Nei casi più comuni del “riso di gruppo”, vi troviamo il teatro, che fin dalle sue origini
conosciute, non ha mai disdegnato una vena satirica che sembra essere forte elemento di
richiamo. Dalla Commedia dell’Arte (e in realtà già da molto tempo prima) ai giorni
nostri, non si è mai smesso di ridere e di far ridere, e con molta probabilità si continuerà a
farlo. Il gioco, spensierato e divertente, elemento primordiale dell’essere umano, si
riflette nella forma teatrale che predilige la comicità. Questo lo si può notare in maniera
più rilevante, nelle performance pensate per l’infanzia: il buffo, il ridicolo, il leggero,
sono tutti elementi che ritroviamo in molte esperienze performative a contatto con
l’universo del bambino. Un pregevole contributo italiano giunge dall’esperienza del
Teatro Ragazzi, nato come progetto alla fine degli anni ’60 e che tutt’oggi porta avanti,
grazie a numerose compagnie in tutto il territorio (fra le tante ricordiamo La Piccionaia di
Vicenza), un programma originale che ricerca un filo diretto fra teatro e crescita
personale. Non possono essere dimenticate le attività di Patch Adams, clown di corsia,
che con il suo nasone rosso e le sue burla rende più gradevole la degenza di piccoli
pazienti ricoverati in ospedale.
È proprio questo filo di congiunzione fra teatro-umorismo-contesto educativo, al quale
verrà dedicata l’ultima sezione della tesi: l’utilizzo dell’umorismo in ambito
performativo, come potrebbe essere applicato per diventare un sostegno a proposte in
ambito formativo? Grazie ad alcuni esempi di progetti importanti in corso di
realizzazione, e alle esperienze emerse durante il personale tirocinio svolto presso la Rete
di Scuole “La scuola a teatro” coordinata da Raffaela Mulato e l’AREP (Associazione
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Rieducativa Ente Privato-ONLUS di Villorba, Treviso), cercherò di dare alcune possibili
prospettive di applicazione del fenomeno umoristico, a seguito delle sue potenzialità che
verranno analizzate durante il corso del mio scritto.
La mia proposta sarà quella di offrire gli strumenti teorici e pratici per poter comprendere
le potenzialità del fattore umoristico. Questa ricerca parte volutamente dall’analisi di un
elemento positivo della condizione umana e non dal deficit: molte discipline si
soffermano ad analizzare le componenti negative per poterle poi eliminare, ma ci si
dimentica che l’uomo è prima di tutto positività da coltivare.
Quel che è certo è che lo spunto per sostenere tale posizione, non è nato dai disagi che ho
analizzato nei circuiti formativi affrontati durante il mio corso post universitario, quanto
dai sorrisi sinceri di tanti bambini e ragazzi, soprattutto dei laboratori performativi che ho
osservato e condotto durante il tirocinio, che sono certa potranno avere tante altre
occasioni per farsi delle belle risate!
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Capitolo primo
“DEFINIRE L’UMORISMO”
La parola “umorismo” deriva da umor, termine latino che significa umidità, liquido e dal
vocabolo medievale humor e sembra quindi derivare il suo significato dalle teorie della
medicina ippocratica, che attribuiva a quattro fluidi (umori appunto) l’influenza sulla
salute e l’indole degli uomini. L’essenza dell’umorismo, così come è stata delineata,
seppur nell’originalità e differenziazione delle rispettive interpretazioni dei diversi
studiosi (filosofi, medici, scrittori), risiede proprio in questo legame con l’emotività, con
l’interiorità più atavica ed istintuale dell’uomo; un carattere distintivo di ciò che è umano
dunque, una “porta” sulla sua unicità.
Benché l’umorismo sia una componente da sempre presente nella letteratura e nelle
società umane, uno studio sistematico sulle sue caratteristiche storiche, strutturali e
psicologiche ha preso avvio solo all’inizio del ventesimo secolo. Paul E. McGhee, uno
degli psicologi che più hanno scandagliato le profondità dell’umorismo, rilevava che fino
al secolo scorso nello studio dello humour è mancato il passaggio dalla poltrona della
riflessione al laboratorio della sperimentazione.
Se vi è un progresso che attualmente si può osservare nell’attività di ricerca dedicata
all’umorismo, è non solo il crescente numero dei lavori effettuati ma anche la
molteplicità degli approcci disciplinari e dei metodi di ricerca. Allo studio
dell’umorismo, dopo che per secoli ci si sono impegnati filosofi e pensatori, si dedicano
oggi psicologi, antropologi, linguisti e via dicendo.
Proprio per questo motivo, le varie teorie sull’umorismo ne rendono più difficile una
definizione unitaria. In realtà gli studiosi che cercarono di approfondire lo studio
sull’umorismo per poterne dare una definizione univoca, tennero in considerazione
soltanto alcuni suoi aspetti.
Cercando una definizione istituzionale per questo termine, potremo riferirci al dizionario
della lingua italiana che stabilisce: “Capacità di rilevare e rappresentare il ridicolo delle
cose, in quanto non implichi una posizione ostile o puramente divertita, ma l’intervento
di un’intelligenza arguta e pensosa e di una profonda e spesso indulgente simpatia
umana.
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”.
4
GIACOMO DEVOTO, GIAN CARLO OLI, Il dizionario della lingua italiana, Casa Editrice Felice Le
Monnier, Firenze, 1995, p.2104
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È proprio in questa genericità che si nasconde tutta la complessità dell’umorismo che
rimane uno fra i temi più affascinanti e controversi.
Una delle difficoltà che rende difficile una classificazione dell’umorismo è data dal suo
polimorfismo: vi sono varie tipologie di humour ed anche lo stesso vocabolo può variare
a seconda del significato attribuitogli. L’umorismo per sua natura è composto infatti da
vari elementi e in molteplici forme che possono differire nei contesti di appartenenza.
Spesso accade di collegare al termine umorismo diversi concetti quali ridicolo, comico,
buffo, divertente, ma l’umorismo è in effetti da considerare come un termine completo
che può raggruppare altre sottocategorie. Anche gli “effetti” dell’umorismo sono
comunemente associati a questo: è usuale metterlo in relazione con il riso e il sorriso.
I termini più importanti che si rilevano, umorismo, comicità e riso, sono intrinsecamente
correlati; si possono distinguere per la loro natura originaria e per le peculiari
caratteristiche del loro essere sia in potenza che in atto, ma è impensabile volerli
analizzare separatamente: l’unità del riso, del comico e dell’umorismo è inscindibile
essendo il primo la reazione, la risposta insieme emotiva e corporea a un meccanismo
d’azione o di situazione che il secondo attiva e che non potrebbe esistere senza possedere
il terzo elemento che funge da sfondo perché si possano attivare gli altri due.
Ritengo che il confine labile fra queste forme, non debba comportarne una separazione
all’interno di un discorso che esamina l’umorismo e i suoi aspetti, anche se non si
possono negare le differenze sostanziali che vi sottendono.
Alcuni definiscono l’umorismo come ciò che ci fa ridere; ma ci sono nello stesso tempo
diverse situazioni che ci fanno ridere senza possedere le caratteristiche specifiche
dell’umorismo come per esempio il solletico, il protossido d’azoto (gas esilarante), il
nervosismo, il gioco, la gioia. Non può essere negato che sia nel caso in cui il riso sia
conseguenza di uno stimolo fisico sia di uno stimolo intellettivo, la sua natura è istintiva,
programmata probabilmente dai nostri geni, un comportamento motorio governato dalla
componente più istintiva del cervello. Attraverso i due principali sensi, vista e udito, un
dato stimolo colpisce quella zona del cervello deputata a riconoscere situazioni esilaranti
e viene scatenato così, in risposta, il riso. Questo fenomeno viene definito “meccanismo
scatenante innato”, che è la capacità di una zona dell’encefalo di riconoscere quel certo
stimolo-chiave e stimolare la risata
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GIANNI FERRARIO, Ridere di cuore. Il potere terapeutico della risata, Tecniche Nuove, Milano, 2006