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Introduzione.
La donna ed il suo corpo o, meglio, le diverse rappresentazioni che ne vengono
date dalla stampa femminile, sono l’oggetto della nostra indagine. Si tratta, per
l’esattezza, di un’analisi del contenuto svolta su annunci inerenti la cosmesi
femminile. La curiosità ed il fascino che rivestono i cosmetici in particolare, e
la pubblicità in generale, sono stati i motivi della scelta di questo tema. Pensata
e costruita con il Professor Losito, questa ricerca è di tipo esplorativo ed ha
l’obiettivo non soltanto di rilevare l’immagine femminile proposta dagli
annunci, ma anche di evidenziare eventuali modalità stereotipiche nella
rappresentazione della donna medesima. Gli annunci considerati sono stati
selezionati nei cinque settimanali femminili più venduti in Italia nel periodo tra
maggio 2004 ed aprile 2005, secondo i dati di Ads Stampa, e sono stati
analizzati utilizzando una scheda composta da cinquantotto voci suddivise
nelle seguenti aree tematiche: caratteristiche generali degli annunci,
caratteristiche del registro verbale e del registro iconico, connotazioni inerenti
la figura femminile.
I dati raccolti con la scheda sono stati sottoposti ad analisi delle frequenze con
il programma SPSS e a due analisi delle corrispondenze multiple (ACM) con il
programma SPAD. La prima ACM ha coinvolto le variabili inerenti la
protagonista degli annunci e le relative caratteristiche; la seconda le variabili
inerenti i registri verbale e iconico e le diverse strategie comunicative. E’ stata
inoltre effettuata, con riferimento ad entrambe le ACM, una cluster analysis
allo scopo di classificare gli annunci in relazione ai profili di donna da essi
proposti.
I risultati della ricerca hanno evidenziato il prevalere di un’immagine di donna
seducente, bella ed in ottima forma che mostra con sicurezza gli effetti positivi
che l’uso assiduo di determinati prodotti può assicurare e lo stato di benessere
che quegli stessi prodotti riescono ad infonderle. E’ una donna “costruita e
trasformata” dalla cosmesi, grazie alla quale riesce ad essere o sembrare
giovane e piacente nonostante glia anni che passano. Il riferimento
all’immagine della donna che non accetta di invecchiare e di vedersi cambiare
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è, d’altronde, un tema ricorrente e come disse Oscar Wilde “finché una donna
può sembrare più giovane di dieci anni di sua figlia, è perfettamente
soddisfatta”.
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CAP. I
L’immagine della donna nella pubblicità.
1.1 La donna nei media.
I media – i giornali, le riviste, la televisione, la pubblicità – rivestono una parte
importante tra i fattori che danno forma all'idea di identità maschile e
femminile. Ad ogni ora del giorno e della notte, siamo esposti ai numerosi e
diversi modelli di ruolo sia maschili che femminili che i mass media
propongono. Per quanto ad un primo e rapido sguardo la popolazione
femminile dei media ci sembri diversificata, proviamo a chiederci se quelle
figure rappresentano davvero le donne che conosciamo, con cui viviamo e
lavoriamo ogni giorno e con cui interagiamo in strada, nei negozi e nei luoghi
di lavoro. Constateremo mestamente che le donne che ci sono mostrate non
sono che varianti di uno stereotipo. Nonostante i ruoli femminili nel mondo
occidentale siano andati soggetti a cambiamenti notevoli negli ultimi anni,
continuiamo a vedere che la rappresentazione della donna nei media è rimasta
sostanzialmente la stessa. Il modo in cui le donne sono rappresentate risponde
decisamente a uno stereotipo di genere: solitamente giovani, belle e poco
vestite, sono proposte come oggetto di desiderio sessuale o come euforiche
consumatrici (Adkins Chiti, 2006). Quando lavorano poi, sono mostrate in
ambienti amichevoli e rassicuranti o in situazioni più improbabili. Nonostante
poi la popolazione femminile sia il 55% del totale, le donne sono sempre
sottorappresentate rispetto agli uomini e non solo in tv ma anche nella stampa.
Proprio in tale mezzo di comunicazione di massa infatti, gli uomini sono
rappresentati in posizioni sociali prestigiose mentre le donne soprattutto in
relazione al proprio aspetto fisico; esse occupano si il maggior spazio visivo,
ma prevalentemente come protagoniste della pubblicità e della moda, e quasi
mai dell’informazione. Inoltre, mentre gli uomini che appaiono nelle riviste
solitamente lavorano e vengono descritti come pragmatici e concreti, le donne
sono soprattutto belle e spensierate e non rivestono un ruolo definito.
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Esse paiono come sospese al fragile filo della bellezza dal quale sembra
dipendere tutta la loro sicurezza. L’unico compito affidato loro è quello di
valorizzare i diversi prodotti attuando una doppia seduzione: verso gli uomini,
convincendoli ad acquistare un determinato oggetto paragonato ad un corpo
femminile (tutti ricordiamo ad esempio una vecchia campagna di una birra
associata ad una bella bionda); verso le donne, per incentivarle all’acquisto del
prodotto grazie al quale saranno in grado di conquistare il proprio uomo.
All’interno di questo quadro tradizionale si possono però notare alcuni
cambiamenti che rimandano alla parità dei sessi e all’interscambiabilità dei
ruoli. L’immagine maschile si sta sensibilmente modificando verso una certa
“femminilizzazione”, come si può ben vedere in alcune riviste di moda: l’uomo
cura sempre di più il suo corpo, si depila e si profuma. Per quanto concerne
l’immagine femminile la novità più eclatante è la quasi totale scomparse della
figura “madre-moglie-casalinga” dalle riviste, immagine che continua però ad
essere ancora molto presente nella pubblicità televisiva (Capecchi, 1995).
Questo continuo oscillare tra vecchio e nuovo, tra conservazione ed
innovazione, evidenzia la contraddittorietà con cui i media si stanno adattando
ai cambiamenti avvenuti nella vita delle donne, in ogni modo dovuta ad un
esigenza commerciale di vendere prodotti; l’immagine della donna-sexy infatti,
apparentemente protagonista ma in realtà donna-oggetto, non potrà di certo
scomparire rapidamente visto che risulta ad oggi ancora commercialmente
efficace.
Come accennavo in precedenza, una sottorappresentazione numerica è evidente
anche nel mondo televisivo, che risulta essere addirittura più sessista della
società. Diverse ricerche condotte in merito, hanno dimostrato quanto la
partecipazione femminile sia scarsa nei programmi televisivi, soprattutto di
carattere informativo-culturale e politici. Vi è invece una più considerevole, ma
comunque non paritetica, presenza femminile nella fiction che vede le donne
abbastanza presenti, forse anche perché sono le donne le più assidue spettatrici
di tale genere televisivo. Qui addirittura la donna assume ruoli che nella vita
quotidiana sono ricoperti prevalentemente da uomini, come il maresciallo dei
carabinieri o il commissario di polizia.
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Le differenze maggiori tra uomo e donna nella fiction sono riscontrabili
nell’aspetto esteriore, nei valori oltre che nei tratti di personalità e nella
condizione lavorativa. Una ricerca promossa dal CNEL sull’argomento ha
messo in evidenza tali caratteristiche della fiction italiana (CNEL, 2002). Per
quanto concerne i valori, si tende a mettere in evidenza la sfera affettivo-
relazionale e familiare della donna mentre per l’uomo si punta di più alla sfera
dell’affermazione, del potere e del successo. Inoltre, per quanto riguarda i tratti
di personalità, c’è una oscillazione tra l’asse “fragile”, dove è più vicina la
figura femminile, e quello “solido”, dove è più vicina quella maschile; la
donna, infatti, viene spesso rappresentata con carattere debole e passivo
rispetto all’uomo solitamente dinamico e dominante. Infine nell’ambito
lavorativo si possono notare differenze nei livelli di occupazione, solitamente
inferiori per le donne, e nei tipi di professioni svolte, più remunerative e di
prestigio per gli uomini. Nonostante quindi l’immagine femminile si sia andata
evolvendo da quella che era la “donna-oggetto” a quella più attuale della
donna libera da certi stereotipi, ancora oggi non vi è una rappresentazione della
figura femminile che non sia del tutto succube della propria bellezza e del
proprio genere di appartenenza. Modelli conservativi e modelli progressivi di
femminilità coesisterebbero quindi nella programmazione televisiva, ma
dislocati in generi diversi e destinati a differenti utenze: di massa per la fiction,
selezionata e quindi più ristretta per l’informazione.
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1.2 La donna nella pubblicità.
Da diverse ricerche di analisi del contenuto della pubblicità, emerge la misura
di come si sia usata la donna come “oggetto” per vendere. Sposa e nutrice,
felice di essere amata dal marito in cambio di una buona cucina e di camicie
ben stirate, ecco la donna della pubblicità italiana degli anni ’70-‘80; adora la
conversazione con l’amica, la cugina o la mamma, purché si parli di detergenti,
di smacchiatori o di detersivi per il bucato. Ma si tratta ogni volta di dialoghi
sterili ed insidiosi che lasciano trapelare un velo di angosciosa competizione.
Questa è la donna con la fede al dito. Poi c’è l’altra senza fede e spesso senza
veli: è la donna dei sogni maschili ed extraconiugali maggiormente
rappresentata intorno agli anni ‘90. Esuberante, sexy e sempre in forma
smagliante non è poi cosi diversa dall’altra se non nella forma: condividono
infatti la condizione di subalternità, così come sembra pretendere il maschio
nostrano. Questa è l’immagine di donna che frequentemente è mostrata negli
spot pubblicitari. Incorniciata nelle più tipiche situazioni familiari, è sempre
alle prese con prodotti per la pulizia della casa, per l’igiene e la cura della
persona o con quanto altro il mercato le mette a disposizione per riuscire
sempre meglio in quello che più le compete. La figura della mamma, ad
esempio, è uno degli stereotipi più ricorrenti della pubblicità: non solo la
mamma “amica” che mentre cucina è pronta a dare consigli al figlio
preadolescente che ha problemi d’amore, ma anche la mamma infaticabile che
dopo ore di lavoro torna a casa ed inserisce la segreteria telefonica per non
essere disturbata, mentre cucina un ottima torta al cioccolato. Quali sono, oltre
la mamma, gli altri personaggi fissi della finzione della pubblicità? La nonna
esuberante, senza malanni e buongustaia che si cimenta in cucina oppure la
donna sofisticata che, bella e piacente, si occupa in maniera maniacale della
propria bellezza e del proprio abbigliamento. Tante e diverse sono quindi le
donne che ci offre il mondo della pubblicità, ma tutte con un unico
denominatore comune: quello di essere “oggetto”. Le rappresentazioni che se
ne ricavano infatti sono quelle di un’apparente emancipazione che però non
mette in discussione lo “status quo” di un mondo sempre profondamente
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sessista, con i maschi impegnati quasi esclusivamente nell’ambito lavorativo e
con le donne che si sobbarcano quasi tutte le fatiche del loro lavoro fuori e
dentro casa. Le immagini femminili che ci vengono mostrate sono quelle o di
donne felici di essere esclusivamente mogli e madri o di donne che, se
vogliono realizzarsi fuori dall’ambiente familiare, devono diventare a
“immagine” del maschio. Diverse ricerche in merito alla figura femminile nel
campo pubblicitario mi hanno fatto notare quanto sia “settoriale” la
rappresentazione che se ne usa dare; vi è infatti una forte tendenza a
classificare i diversi tipi di donna in base alle caratteristiche fisiche, agli
atteggiamenti e all’abbigliamento ad esempio. Ma qualsiasi tipo di donna la
pubblicità voglia rappresentare, che sia sexy, narcisista, raffinata, acqua e
sapone, casalinga o mamma, è sempre un’immagine che caratterizza la donna
in quanto tale: con un volto ed un corpo “oggetto” di espressione.
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1.3 La donna e la pubblicità dei cosmetici.
La donna è colei che fa le maggiori spese della pubblicità, in due sensi. Come
soggetto, in quanto è lei la persona che il sistema consumistico prende di mira
e vuol convincere. E come oggetto: è lei che lo stesso sistema tenta di vendere
simbolicamente con imbonimenti di parole e di immagini. Ma qual è
l’immagine della donna che viene “venduta” alla consumatrice con il prodotto?
E’ sicuramente l’immagine corrispondente ai desideri maschili, alle fantasie
erotiche dell’uomo che rimandano alla donna un’immagine di sé distorta, come
riflessa in uno specchio deformante. E’ questa la donna–oggetto della
pubblicità dei cosmetici, colei che viene “dissezionta” in una serie di particolari
– occhi, bocca, gambe, glutei – preferiti dall’uomo e maggiormente messi in
evidenza negli spot pubblicitari (Pignotti e Mucci, 1978). Non è importante
quindi chiedersi quale è l’immagine che la donna ha di sé, ma quale è invece
l’immagine alla quale la donna tenta di somigliare. E’ su questa
rappresentazione che la pubblicità vuol far leva per poter vendere il prodotto da
lui sponsorizzato rispetto ad un altro che ha le medesime caratteristiche.
E’ sul bisogno di sicurezza come su quello di stima, molto deboli nella donna
rappresentata nella pubblicità italiana degli anni ‘70, che vanno a mirare gli
spot dei cosmetici, facendo uso di claim molto incisivi o di immagini corporee
di ragazze dal fisico “marmoreo” alle quali bisogna almeno provare a
somigliare. Una continua corsa contro il tempo e contro tutti i cambiamenti che
questo apporta non solo sul corpo ma anche sul volto. Proprio una vecchia
pubblicità di una crema contro le rughe, si presentava con un head-line che
diceva: “Ritornate al viso giovane che piaceva a lui” e poi di seguito venivano
esposti, con una body copy a dir poco ridondante, tutta una serie di benefits per
cui era indispensabile comprare tale prodotto. Come può non far pensare
questa pubblicità alla donna-oggetto che deve esser ben conservato per non
rischiare di essere sostituito con uno più nuovo? La poca sicurezza, il bisogno
di essere ammirate, il benessere fisico e l’armonia interiore sono infatti i punti
cardine sui quali si muove la pubblicità di cosmesi femminile. Certo bisogna
constatare che il tema della donna-oggetto è andato diminuendo lasciando
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anche spazio a figure femminili più forti e dinamiche e questo non solo nel
campo della cosmesi. La maggiore libertà di espressione e di movimento
acquisita dalla donna negli anni ’90, ha infatti consentito di utilizzare negli spot
anche donne che ostentano una certa sicurezza e che svolgono attività poco
femminili, ma d‘altro canto è ancora forte la preoccupazione per il proprio
aspetto fisico.
Nonostante la donna utilizzata nelle pubblicità di cosmetici di oggi sia una
donna sicura di sé e della propria bellezza, tanto da ostentarla con una certa
sensualità e sfacciataggine, rimane infatti ancora forte una componente di
apprensione per il proprio aspetto esteriore che la rende quindi più attenta agli
aspetti meno concreti e importanti del vivere quotidiano.
“Il ruolo di donna-tigre, dominatrice ma sempre comunque preda, è il massimo
che la pubblicità sappia offrire; tributando continui omaggi
all’autodeterminazione della donna, indicandole il cosmetico come strumento
di rivalsa, limita di fatto la sua possibilità di scelta all’opzione per l’una o
l’altra linea di trucco, e riduce la sua possibilità d’affermazione all’impegno di
fare di se stessa un oggetto decorativo” (Buonanno, 1975, p. 96). Abituata a
pensarsi proprio come un oggetto decorativo e a valorizzarsi in termini di pelle
liscia, tonica e luminosa, la lettrice è destinata a cadere nello sconforto più
totale al primo segnale di “cedimento” della propria cute. Sebbene siano
sporadici i servizi che tentano di mostrare che si può essere belle ed
affascinanti anche dopo gli “anta”, l’età matura è in genere confinata a rari spot
pubblicitari, a dimostrazione del fatto che è l’eterna giovinezza ad essere
sinonimo di bellezza e quindi di seduzione femminile. Infatti a cosa equivale la
bellezza? Alla seduzione dell’uomo; e la cosmesi è il mezzo per protrarre
questo potere nel tempo. E’ abbastanza evidente come tale messaggio venga
recepito in particolare dalla lettrice che sperimenta, fondamentalmente, una
certa insicurezza, cercando in una “linea antirughe” il segreto di una
femminilità in crisi.
Il continuo ricorso ad immagini di modelle, ritoccate graficamente grazie
all’uso del computer, crea nella donna comune l’insopportabile sensazione di
sentirsi brutta e inadeguata.
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Le diete, il make-up ed i più innovativi trattamenti per il corpo, sono divenuti
le “armi segrete” di molte donne, che pur di avvicinarsi a queste immagini
patinate, si sottopongono a delle situazioni per lo più stressanti. Anche gli
aumentati ricorsi alla chirurgia estetica degli ultimi anni, fanno notare quanto la
donna si senta soggetta alla continua valutazione da parte anche del mondo
maschile, che attratto da queste figure la fa sentire inferiore rispetto ad esse.
Indipendemente dalla fascia di età, la pubblicità dei cosmetici riesce sempre ad
avere il giusto target a cui rivolgersi: la crema antiacne per la teen-agers come
la crema antirughe per la donna matura; oppure il rossetto sfavillante per la
ragazza che ama sorprendere come il trucco più sobrio ed elegante per la donna
raffinata o meno giovane. Qualsiasi oggetto voglia promuovere, la pubblicità
della cosmesi non incontra problemi in quanto il soggetto a cui è destinata la
sua “merce” è già pronto all’acquisto prima ancora di essere convinto. Si cerca
più che altro di orientare la lettrice verso un prodotto piuttosto che un altro,
perché a convincerla già basta l’immagine utilizzata per sponsorizzarlo.
Nonostante quindi dal passato ad oggi la figura della donna utilizzata per la
pubblicità in generale, e per i cosmetici in particolare, sia andata cambiando, la
concezione che si ha della donna è quello che tutti, compresa la donna stessa
hanno: di un “oggetto decorativo” e “decorato” che, in quanto tale, è bene
esporre e preservare.
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1.4 Il corpo della donna nella pubblicità.
Il corpo è uno dei luoghi privilegiati dove si esprime il discorso sociale e
attraverso cui le pulsazioni della vita pubblica possono essere colte e registrate.
Nello specifico, la rappresentazione del corpo della donna, offre una
prospettiva importante per conoscere i ruoli e le relazioni ad essa attribuiti nella
società. Nella storia del pensiero occidentale si è venuta a creare una gerarchia
che ha privilegiato la razionalità sulla corporeità, attribuendo la razionalità al
genere maschile e la corporeità a quello femminile, e favorendo quindi la
supremazia del primo sul secondo. L’immagine della donna, infatti, è spesso
riferita a quella del suo corpo, riducendola quindi ad un soggetto che si esprime
meglio nella sua tangibile oggettività piuttosto che nelle sue caratteristiche
interiori. Nonostante la figura femminile rivesta nel mondo dei media, e più in
particolare in quello della televisione, dei ruoli marginali rispetto all’uomo, la
stessa cosa non si può dire per la presentazione del corpo femminile. La donna,
infatti, riesce mediante la sua fisicità ad avere su di sé la necessaria attenzione
per non rimanere nell’angolo, ma tale attenzione al corpo femminile è
comunque di natura strumentale, essendo esso mero accessorio e facile
espediente per richiamare l’interesse. “Oggi il corpo si trova ad essere
investito di una funzione promozionale, caricato di un valore narcisistico
mirante non solo alla culturalizzazione ma anche ad una più facile
mercificazione di sé e degli oggetti stessi che l’accompagnano. Il corpo come
feticcio e oggetto di consumo.” (Pignotti e Mucci, 1978, p. 171). L’erotismo e
la sensualità che la corporeità femminile emana, svuotano così di significato
sia il corpo sia tutto ciò che ad esso è collegato, per “estetizzarlo” e renderlo
funzionale al fine di sedurre. Nella ricerca promossa dal CNEL, citata in
precedenza, si è potuto evidenziare appunto tale tendenza. Lo spazio di libertà
espressiva del corpo, rappresentato nelle trasmissioni televisive analizzate dal
gruppo di ricerca, sembra soccombere ad un criterio di femminilità prestabilito.
I modelli enfatizzati di corporeità femminile sono limitati ad un ventaglio di
possibilità ristretto, rimandando spesso ad una concezione del tutto
tradizionale dei rapporti tra i sessi.
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Il corpo viene rappresentato secondo modalità specifiche che sembrano
rapportarlo alle diverse soluzioni strategiche di cui i media si avvalgono per
ottenere degli effetti, tenendo sempre conto che, essendo immagini di corpi di
donna, sono rappresentative prevalentemente di richiami erotici e seduttivi
appunto.
Il corpo esibito come oggetto decorativo è quello privo d’identità, oggettivato
appunto, e pronto a mettersi in moto su comando. E’ la figura femminile bella,
con il sorriso stampato sul volto, o l’immagine corporea statica, priva di
movimento, che viene solitamente utilizzata in posa negli annunci pubblicitari.
E’ l’immagine di una femminilità inoffensiva e passiva.
Il corpo sponsor invece, di cui le “veline” sono il palese esempio, è quello
utilizzato come oggetto-merce ai fini delle dinamiche della promozione
commerciale.
Un altro tipo di corpo è poi quello misurabile, quello tipico delle donne che
rinunciano alla loro unicità e differenza corporea per uniformarsi ad uno
standard di misure e canoni specifici. E’ il corpo dei parametri “90/60/90” delle
aspiranti miss o fotomodelle che sottopongono il proprio fisico a delle vere e
proprie pratiche “sacrificali” per poterlo far rientrare in tali misure, rinunciando
così alla propria espressività e soggettività.
Molto simile ad esso, e direi anche il più “gettonato” nella pubblicità a mezzo
stampa, è quello trasformato. Come esprime già il termine stesso, si tratta di un
corpo che, come il precedente, rinuncia alla differenza per potersi confondere
con quelli che sono gli altri corpi “artificiali”, adeguandosi ai canoni estetici
dominanti. Anch’esso sottoposto alle più diverse tecniche di “miglioramento”,
quali palestra, chirurgia plastica, cosmesi e trattamenti estetici, cerca di
raggiungere l’assoluta perfezione, rischiando però di dover fare i conti con la
normalità. E’ infatti sempre molto presente una continua dualità realtà-modello
che richiama l’attenzione sui corpi più imperfetti e visibili nella quotidianità
della vita. Sono i corpi normalizzati che la realtà propone e che la pubblicità in
parte riprende per poter richiamare l’attenzione di coloro che vivono nella
routine delle mura domestiche; un corpo che mantiene il suo erotismo anche se
smorzato nei toni potenzialmente aggressivi.