UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
TESI DI LAUREA
Maurizio Duce Castellazzo
PUÒ DARSI UN DIRITTO
DI SOPRAVVIVENZA?
Giustizia e giusnaturalismo in alcune proposte di
etica politica contemporanea:
John Rawls, Robert Nozick, Giuliano Pontara
Relatore:
Chiar.mo Prof. Flavio BARONCELLI
Correlatore:
Chiar.mo Prof. Paolo COMANDUCCI
(Facoltà di Giurisprudenza)
ANNO ACCADEMICO 1991/92
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Oggetto del presente lavoro sono l'opera di John Rawls A Theory of Justice ed
Anarchy, State and Utopia di Robert Nozick, assieme a quella seconda parte
di Filosofia pratica in cui Giuliano Pontara analizza il contributo offerto dai
due studiosi americani. Tema comune a questi lavori è quello della
redistribuzione della ricchezza da gruppi più avvantaggiati a gruppi che lo
sono di meno. Va detto che l'impostazione offerta dai tre studiosi è differente:
Rawls è ancora - al momento - il massimo teorizzatore del ‘welfare state’, e
propone quindi un principio (il principio di differenza) che realizzi nella
società una continua redistribuzione, volta a massimizzare i benefici dei meno
avvantaggiati; Nozick, al contrario, citando e discutendo le proposte e le
argomentazioni del filosofo di Harvard, nega che tale redistribuzione possa
darsi senza una violazione grave dei diritti delle persone; sostiene, anzi, che
ogni Stato più esteso di quello minimo della teoria liberale classica, violi
necessariamente i diritti degli individui; Nozick è, probabilmente, il massimo
propugnatore delle tesi neo-libertarie. Pontara, per parte sua, sostiene la
necessità di una redistribuzione, per un verso non così spinta come quella di
Rawls - giacché la limita al solo diritto alle risorse per sopravvivere - ma per
l'altro verso più estesa, tant'è che egli sostiene la necessità di un diritto di
sopravvivenza a livello mondiale.
Nel presente lavoro, il mio obiettivo sarà quello di ampliare il campo
d'indagine di Pontara, estendendolo anche ad aspetti delle teorie americane in
questione (come il I principio di Rawls) che non sono direttamente connesse
con il tema della redistribuzione della ricchezza e, per quanto riguarda il tema
suddetto, cercare - se possibile - di amplificare le osservazioni di Pontara e
fornire loro ulteriore forza e fondamento.
Infatti, il problema della morte per fame di migliaia di bambini ogni giorno,
non si è affatto ridimensionato da quando è stata discussa questa tesi di
laurea, nel febbraio del 1993: per questo mi è parso utile pubblicarla, anche
a così grande distanza di tempo. Inoltre, rileggendo i paragrafi finali, in cui
si fa cenno ai possibili rischi insiti in una politica occidentale che si ostini ad
ignorare i bisogni delle popolazioni più svantaggiate, vi ho trovato segni
premonitori di ciò che è poi effettivamente avvenuto l’11 settembre 2001 a
New York, ma anche l’11 marzo 2004 a Madrid. Perciò questo lavoro è
dedicato, oltre che alle vittime della fame, anche alla memoria di tutte le
vittime del terrorismo di matrice islamica.
Prima di iniziare, è necessario precisare che si tratta di una discussione di
etica normativa. Questo è rilevante per diverse ragioni; la più importante mi
sembra essere questa: in ambito normativo, l'etica si trova ad avere piena
autonomia rispetto a qualunque impostazione metafisica. I problemi che tratta
vengono dunque affrontati senza la necessità di ricorrere ad alcuna cornice
metafisica, ad alcun procedimento dimostrativo a partire da principi
metafisici. Viene al massimo fornita una cornice etica all'interno della quale
possano venir collocati i problemi in questione; ma, sovente, tale cornice non
riveste ruoli fondamentali, se non per alcuni singoli aspetti che, generalmente
III
molto condivisibili, possono validamente proporsi come piattaforma comune
per la discussione. Tale osservazione è molto importante per le opere di Rawls
e Nozick – e, quindi, per l'analisi di Pontara). Infatti, in entrambe manca lo
sfondo di un sistema metafisico cui possano ‘agganciarsi’ i principi etici
proposti; ma manca anche una trattazione generale dell'etica in cui inserire i
ragionamenti esposti. Questo fatto, almeno per la tradizione di pensiero
europea, risulta poco familiare e fa emergere in primo piano delle difficoltà
che lo stile americano, probabilmente, sottovaluta in partenza. Non si troverà,
quindi, né in Rawls né in Nozick, alcuna compiuta trattazione di cosa siano i
valori, quali possibilità abbia l'uomo di attingerli, quale possa mai essere il
loro contenuto. E anche a livello di problemi più tipicamente giuridici (ma
assolutamente rilevanti) non verrà fornito un adeguato inquadramento in una
compiuta filosofia del diritto. Entrambi usano centinaia di volte termini come:
diritto, giustizia, proprietà, libertà, diritti, Stato, senza che al lettore sia dato
di intendere quale preciso significato vado loro assegnato; dal contesto si può
risalire - non senza difficoltà - all'accezione corretta ma, in ogni caso, le
motivazioni (o peggio: le giustificazioni) delle scelte operate, restano,
sostanzialmente, inattingibili. Ecco dunque che Rawls fonda (in modo
surrettizio, come vedremo) i suoi due principi di giustizia su di un
esperimento mentale, mentre Nozick rinuncia esplicitamente a tentare alcuna
fondazione per la sua teoria della validità del titolo, dichiarando di volersi
inserire nella tradizione lockiana, ma autoimmunizzandosi subito dalle
critiche eventuali dicendo, nel contempo, che tale cornice non risulta
soddisfacente: nel capitolo a lui dedicato ho comunque cercato di verificare la
rispondenza della sua teoria ai principi di Locke e mi è parso di poter
concludere, come si vedrà, che quella non è armonizzabile con questi.
Stando le cose in questi termini, un lavoro critico efficace può anche
prescindere dal fornire una propria impostazione, bastando accogliere la
piattaforma offerta e verificare la coerenza delle diverse proposte con essa,
nonché - e questa è forse la cosa più importante - l'effettiva rispondenza delle
soluzioni ai problemi corrispondenti. La cornice etica offerta da Pontara non
risulta, infatti, per nulla rilevante nell'esame delle due teorie in questione;
assume, probabilmente, maggior rilievo nella pars construens del suo libro
Filosofia Pratica, che si incentra su una proposta di stampo utilitaristico, che
però io non prendo in esame per non allargare troppo il discorso. Per parte
mia, posso quindi rinunciare del tutto a fornirne alcuna; desidero tuttavia
professare esplicitamente la mia fede cattolica.
Prima di terminare, vorrei solo anticipare che, nel capitolo III, verrà tentata
una fondazione del diritto di sopravvivenza, sulla falsariga dell'impostazione
di Giuliano pontara; essa non si fonderà su considerazioni inerenti il campo
della morale, ma piuttosto sull'elaborazione di alcuni dati relativi all'odierna
impostazione positiva del diritto internazionale; nulla quindi per cui si possa
rendere necessaria una elaborazione generale e completa di filosofia morale
o del diritto.
Concludo queste righe introduttive dichiarando di essermi appoggiato, per lo
più, alla traduzione italiana delle due opere in questione, fatti salvi i casi in
cui il pensiero dell'autore non era evidente e bisognava quindi analizzare il
più precisamente possibile ogni singola espressione: in quei casi ho tradotto
personalmente dall'inglese, riportando il testo originale.
IV
Vorrei ora proporre di seguito alcune osservazioni sulle tre opere in oggetto,
all’uopo di render meno scuro il tenore delle considerazioni che vengono
svolte nel mio lavoro.
Per quanto riguarda Rawls, innanzi tutto, alle critiche che ho da muovere al
suo libro va premessa la considerazione che merita, comunque, per la
formulazione del principio di differenza, che mi pare condensare un'idea di
convivenza sociale davvero avanzata ed elevata moralmente.
Ciò premesso, bisogna pur notare che A Theory of Justice si fonda sulla
persuasività di un esperimento mentale, il che presta il fianco ad una serie di
osservazioni critiche forse non irrilevanti. I principi di giustizia trovano il
loro sostegno nel 'fatto' che verrebbero scelti nella posizione originarla; anzi,
sono quelli perché verrebbero scelti: questo costituisce - è evidente - una, sia
pure sottile, fallacia naturalistica. In ogni modo, è da notare che Rawls stesso
riconosce che la deduzione dei due principi dai vincoli della posizione
originaria, non può essere rigorosa:
«[...] da un punto di vista ideale vorrei riuscire a dimostrare che adottare [i
due principi] è l'unica scelta compatibile con la descrizione completa della
posizione originaria. In realtà, si vorrebbe che quest'argomento fosse
rigorosamente deduttivo. [...] Dovremmo quindi ricercare una specie di
geometria morale, con tutto il rigore che connota questo termine.
Sfortunatamente gli argomenti che darò sono ben lontani da ciò, essendo nel
complesso altamente intuitivi».
Ma, al di là di questa 'confessione' di Rawls, bisogna osservare che la
deduzione dei due principi di giustizia dalla descrizione della posizione ori-
ginaria, è molto ardua di per sé, per il contenuto dei vincoli proposti. Questi
possono risultare, infatti, ad un attento esame, addirittura contraddittori.
Al di là della corretta deducibilità dei due principi dalla posizione originaria
poi, resta da constatare come almeno il primo principio si presti a gravi
obiezioni sul suo contenuto. È di Paolo Comanducci l'osservazione che questo
può agevolmente venir scorporato in tanti sub-principi quante sono le libertà
fondamentali riconosciute da Rawls, e queste possono facilmente entrare in
conflitto le une con le altre, senza che Rawls fornisca adeguati criteri
gerarchici per dirimere tali difficoltà, cosicché risulterebbe praticamente
molto difficile stendere una costituzione conforme alla teoria della giustizia
dell'americano. In continuità con questi problemi, si colloca quello circa la
stabilità che si può immaginare per una società conforme alla teoria
rawlsiana. Ho cercato di verificare la questione rifacendomi a Montesquieu,
che offre una definizione di libertà affatto diversa da quella rawlsiana,
sostanzialmente riconducibile alla "libertà dalla paura di essere turbati nel
pacifico godimento della vita e dei possessi ad opera di altri cittadini". Questa
impostazione sarebbe davvero conforme al desiderio di mantenere libera la
società dalla piaga dei “free-riders”, non quella rawlsiana, troppo garantista e,
a tratti, perfino ingenua, come quando paragona il potere stabilizzante del
monarca assoluto di Hobbes a "rapporti di amicizia e fiducia reciproca”.
Per quanto riguarda il contenuto del principio di differenza, ho solo rilevato
come i suoi limiti di applicabilità sembrino arbitrari. Rawls li fa coincidere
con quelli di una società “a scarsità limitata”, ove "le condizioni non sono
così dure da costringere inevitabilmente al fallimento imprese fruttuose”.
Questo esclude a priori il Terzo Mondo, costituito da società che abbiamo
chiamato “a scarsità grave", per le quali Rawls non ha nulla da dire: perché
V
questa sorprendente limitazione? Sembrerebbe, infatti, che l'azione del
principio di differenza sia - in tale contesto - assai più urgente ed
auspicabile. Non ho trovato alcuna giustificazione di questa scelta. La mia
impressione è che Rawls abbia voluto mantenersi in un ambito più asettico,
più politicamente corretto, ma che non abbia saputo trovare plausibili
giustificazioni filosofiche della sua scelta.
L’opera di Robert Nozick Anarchy, State and Utopia è dichiaratamente priva
di una sua cornice etica: ne mutua una dal Second Treatise di John Locke.
Questo fatto è risultato di primaria importanza per il lavoro critico svolto nei
paragrafi successivi.
Per il momento desidero solo accennare al principio di rettificazione che, nel
libro di Nozick, viene chiamato in causa come parte integrante della sua teoria
del titolo valido; a noi non importa che poi tale importanza venga, nei fatti,
dimenticata: resta il fatto che l'autore americano conferisce a questo principio
tanta importanza da arrivare a dire che
«per ogni società un problema importante sarà il seguente: data la sua
particolare storia, quale attuabile regola empirica approssima meglio i risultati
di una particolareggiata applicazione, in quella società, del principio di retti-
ficazione?».
E dunque un'ammissione di Nozick stesso a permetterci di concludere che
ogni Stato occidentale che volesse ambire a diventare Stato minimo, dovrebbe
- per essere in regola - applicare prima (e per un tempo significativo) principi
redistributivi del reddito, per rettificare passate ingiustizie di cui si fosse
eventualmente macchiato; e siccome non c'è troppo da sperare che, da quel
momento in poi, tutto proceda in modo ineccepibile, non sarebbe assurdo
concluderne la necessità di mettere all'opera 'in pianta stabile' principi
redistributivi, volti a rimediare ‘a ciclo continuo’ alle ingiustizie che via via
si realizzassero.
Nozick, invece, si è impegnato a dimostrare che ogni Stato più esteso di
quello minimo viola i diritti delle persone, nel suo operare. Non presenta un
teorema morale al riguardo, ma sceglie la via della confutazione degli
argomenti opposti; in particolare, riserva la sua attenzione al lavoro di Rawls
e alle teorie egualitarie. Sulle sue critiche a queste ultime non mi sono
soffermato, intanto perché, personalmente, giudico quelle teorie piatte e
inconcludenti, e poi perché - comunque - la confutazione più importante è
quella relativa alla teoria di Rawls che, al momento, è la più accreditata a
sostegno dello Stato redistributivo.
Ebbene, nel tentativo di mostrare che nella posizione originaria ideata da
Rawls non potrebbero in nessun modo venir accolti principi della validità del
titolo (perché gli individui in questione giudicherebbero tutto manna dal
cielo") Nozick, a mio avviso, cade vittima di una confusione: è vero che gli
individui nella posizione originaria nulla sanno della loro particolare
situazione economica nella costituenda società, ma non è vero che ignorino i
principi del diritto privato, visto che Rawls ammette una conoscenza generale
completa; dunque, potrebbe darsi benissimo che venisse scelta una configu-
razione liberista; cosa che, oltre tutto, in misura moderata avviene, giacché
VI
sussiste l'opzione per la tutela del diritto di proprietà tra le libertà
fondamentali che Rawls vuole difendere.
Comunque, il nocciolo dell’argomentazione di Nozick è altrove: Rawls non ha
prodotto, contrariamente a quanto dichiarato, alcuna ragione morale a
sostegno del principio di differenza. In effetti, però, ho cercato di mostrare
che le ragioni per le quali Rawls ritiene che verrebbe scelto tale principio
rientrano, in realtà, nella sfera della semplice convenienza. Su questa base,
infatti, Rawls ritiene che si avrebbe la possibilità di ottenere una fattiva
collaborazione delle classi lavoratrici meno avvantaggiate, che verrebbero
'emendate' delle connaturate tendenze alla conflittualità con le classi più
agiate: si tratterebbe, insomma, di un intelligente prezzo da pagare per
azzerare le tensioni sociali e di classe. Se tale rimedio sarebbe efficace o
meno per lo scopo che si prefigge, Nozick non l'ha minimamente discusso, e
perciò la sua confutazione è fuori bersaglio, giacché Rawls sa benissimo che,
da un punto di vista morale, non ha prodotto argomenti validi a sostegno de
suo principio.
Nel paragrafo 3.4 – liberismo e favelas – ho cercato di mostrare con un
esempio vivo come non ci sia tutta quella convenienza a condurre in miseria
ampi strati di popolazione per difendere gli interessi delle classi più agiate: la
povertà di quelli si può infatti drammaticamente tradurre in pericolo grave per
queste.
E veniamo finalmente alla definizione di quali siano per Nozick i veri diritti
delle persone: sono solo quelli di natura privata, quelli cioè che si possono
ricondurre alla tutela più rigida del diritto di proprietà. Nessun diritto
generale “ad essere in una particolare condizione materiale” può esistere
perché entrerebbe in conflitto con “i singoli diritti sopra le cose” (vedi sopra,
pag. 65-67)… Nessun’altra ragione è fornita: questo conflitto è di per sé
sufficiente a stabilire quale delle due parti abbia diritto a vincere.
Tralasciando le ovvie (quanto rilevanti) considerazioni circa il livello morale
di tale asserzione, rilevata la potenziale aggressività della teoria del Titolo
Valido, desidero mettere in rilievo il fatto che la cornice morale lockiana che
Nozick ha scelto per il suo lavoro, non consente la restrizione dei diritti del
singolo a puri diritti di proprietà.
La domanda che sottende tutto il lavoro analitico del capitolo dedicato a
Giuliano Pontara è, invece: «Sono tenute le popolazioni più abbienti a
soccorrere quelle indigenti?» Se sì, «lo sono solamente sotto un punto di vista
di caritatevole solidarietà o anche sotto un profilo di considerazioni di
giustizia?». Dall'analisi del principio di rettificazione e della clausola
limitativa lockiana, Pontara conclude, infatti, che tale soccorso è dovuto in
base a considerazioni di giustizia. Il significato della clausola limitativa è reso
molto bene dall'esempio di Nozick della pozza d'acqua nel deserto, che resta
l'unica in grado di fornire ancora acqua quando le altre si sono prosciugate: il
proprietario non può imporre il prezzo che giudica più opportuno, deve dar
modo agli altri di approvvigionarsi. Nozick, però, sembra restringere la
validità di questa clausola ai casi in cui chi è rimasto in possesso del bene in
questione non può vantare alcun merito al riguardo, ma ho discusso
ampiamente la questione giudicando tale atteggiamento restrittivo non
consono allo spirito della clausola, per cui solo un diritto morale altrettanto
forte dell'imminente morte per sete degli avventori, può validamente
interporsi. La scarsità dei beni alimentari nel mondo, del tutto analoga, porta
chiaramente ad una codificazione del diritto di sopravvivenza, se si accetta la
VII
clausola; e lo stesso avviene in ambito interstatale, visto l'esempio di Nozick
stesso, una pozza di un deserto, dove, evidentemente, non ha nessun rilievo la
nazionalità degli assetati. A livello di diritto internazionale, però, la clausola
non riveste alcun ruolo, contrariamente al principio di rettificazione, in base
al quale si può invece validamente ribadire il diritto dei paesi poveri a venir
soccorsi, trattandosi di ex-colonie dei paesi europei, che hanno talora subito il
sistematico saccheggio e la razzia plurisecolare dei loro individui più validi.
Dal punto di vista di Nozick, è autorizzato il passaggio da crediti di giustizia
di singoli a crediti di gruppi; dal punto di vista internazionale tale passaggio è
implicito nell’odierna concezione dei rapporti tra stati. In ogni modo, stante la
facilità con cui si può far coincidere il gruppo degli eredi delle popolazioni
martoriate dallo schiavismo con le popolazioni che attualmente abitano i paesi
corrispondenti (che ricalcano persino nei confini la configurazione che
avevano come colonie), si può concludere che sussista un titolo valido ad un
risarcimento dei danni subiti da parte di quelle nazioni, nei confronti delle
rispettive ex-madrepatrie. Tutto questo, naturalmente, sottintende l'idea -
peraltro generalmente condivisa - che le guerre coloniali siano annoverabili
tra quelle assolutamente ingiuste.
Affrontate alcune obiezioni interessanti, il lavoro è proseguito solo
apparentemente cambiando argomento; infatti si propone la grande idea da cui
nacque il New Deal: un'economia depressa per sovrapproduzione può
riprendere fiato se lo Stato si impegna a sostenere l'occupazione assumendo in
imprese di pubblica utilità quelli che hanno perso il lavoro; questi, così,
avranno il denaro per acquistare i beni prodotti dalle imprese private, mentre
il paese si dota di strutture più moderne che ne favoriscano la ripresa.
Assistere, dunque, erogando lavoro utile. L'idea è che per i paesi europei,
impegnarsi in una vera ristrutturazione delle ex colonie, potrebbe dar respiro
alle loro economie in recessione mentre, nel lungo periodo, si aprirebbero
immensi mercati, probabilmente particolarmente sensibili alle merci dei paesi
non più colonizzatori ma “gemellati”.
Nel paragrafo 3.6 ho offerto uno “zoom” all'interno dell'esempio storico,
richiamando l'opera della TVA che aveva il compito di intervenire
ristrutturando una delle zone agricole più depresse degli Stati Uniti negli anni
'30: «Venne sviluppato un sistema che si basava su tre punti e che combinava
le terre dei contadini, la conoscenza degli agronomi e degli esperti agricoli
delle università, ed i fertilizzanti ed i fondi della TVA, per dimostrare ai
contadini che esisteva la possibilità di effettuare dei cambiamenti proficui».
E, in effetti, i cambiamenti ci furono, e molto notevoli, a testimonianza che il
benessere deriva molto più da un sano e ponderato intervento statale
nell'economia che da un atteggiamento di sterile astensione, per lasciare che
le cose seguano il loro corso: quando si è lasciata l'economia a se stessa, i
risultati sono sovente stati desolanti.
Nel paragrafo 3.7 – “Sulla validità interstatale del principio di differenza” mi
sono brevemente soffermato sulla possibilità di estendere l'ottimo II principio
di A Theory of Justice ai rapporti internazionali. Scaturendo però tale
principio da considerazioni di convenienza, non è possibile tale estensione,
che sarebbe invece doverosa se Rawls avesse fondato l'argomentazione su
considerazioni di carattere morale.
Nei due paragrafi successivi mi sono occupato della trattazione del diritto di
sopravvivenza che Pontara fa in positivo, proponendo un suo argomento, di
stampo rawlsiano (si tratta di un esperimento mentale) con cui, attraverso la
VIII
nozione cardine di preferenze basilari, arriva a concludere che ogni buon
padre sceglierebbe per suo figlio una società ove sia garantita la
sopravvivenza, rispetto ad un'altra ove fossero solo assicurati i diritti
negativi alla vita e alla salute e fosse - d'altro canto - possibile raggiungere
un livello maggiore di ricchezza. Lo stesso argomento viene adattato alla
scena internazionale: Pontara immagina che individui razionali abbiano da
scegliere il nuovo assetto da dare al mondo attraverso una riedizione dei
corretti rapporti di diritto internazionale: anche qui Pontara ritiene che la
scelta cadrebbe su di una società che contemplasse il diritto di
sopravvivenza, posto, naturalmente, che nessuno sia informato né su quale sia
la nazione di cui farà parte, né quale posto occuperebbe nella società. Queste
opzioni vengono sostenute, come ho detto, sulla scorta della nozione di
preferenze basilari, che sono quelle preferenze che, essendo a fondamento di
ogni altra scelta, non si può pensare che individui razionali non vorrebbero
assicurare per primi (il che non esclude che, in concreto, qualcuno non le
condivida o non sia consapevole di condividerle: quando in Filosofia Pratica
si parla di individui razionali, così come in A Theory of Justice, del resto, si
intende individui razionali “tipo”). Tali preferenze consistono nel desiderare
di essere in vita piuttosto che non, di essere in buona salute eccetera.
Nell'ultimo paragrafo ho fornito un rapido excursus dei possibili “effetti
boomerang” cui potrebbe andare soggetta la società occidentale qualora non si
sentisse in dovere di soccorrere prontamente le nazioni del Terzo Mondo: si
tratta di considerazioni tutto sommato personali, che non sono suffragate (né,
forse, potrebbero esserlo) da alcun rigoroso procedimento scientifico. Credo,
nondimeno, che, se prese singolarmente possano essere tutte discutibili, non si
possa ragionevolmente negare che un qualche oscuro pericolo in certa misura
imparentato con quelli di cui si può già leggere in questo lavoro del 1993,
incomba ancora sinistramente sull'Occidente, anche dopo i già citati attentati
che hanno tragicamente inaugurato il XXI secolo.
Rapallo, 11 marzo 2007
IX