6
informazioni relative all’elaborazione del film, senza manopolare in alcun
modo il supporto materiale dell’opera.
Quindi si opera in un ambiente di lavoro virtuale.
Le agevolazione dei sistemi digitali sono diversi, tra cui la possibilità di
poter accedere a un punto qualsiasi del materiale su cui si sta lavorando con
un semplice tocco di mouse e altrettanto facilmente è possibile intervenire su
di esso in varie maniere.
Comunque il montaggio che sia digitale o analogico non può fermarsi alla
semplice definizione di “assemblaggio di inquadrature”. Un montatore
esperto sa come collaborare in modo proficuo col regista e sceneggiatore
comprendendo che per gran parte delle sue decisioni deve basarsi sulla
particolare natura a forma del film.
Parte del suo lavoro consiste nel saper trattare in modo unico ciascun
progetto, cercando di conferirgli una forma tale da comunicare al meglio il
materiale sottostante.
A volte una storia viene addirittura riscritta in fase di montaggio, poiché
alcune scene potrebbero essere presenti nel materiale ma latenti nella
sceneggiatura. Un montatore di talento è in grado di portare i temi nascosti
alla luce grazie alle tecniche di montaggio.
Esso ha sempre agito nel tempo in modo tale che il pubblico pian piano si
abituasse a vedere le immagini e a comprenderne i vari linguaggi più o meno
istintivi.
Negli ultimi anni c’è stato, invece, chi ha sovvertito queste regole e ha reso
la propria opera unica nel suo genere.
Alcuni registi hanno sperimentato nuovi metodi narrativi, favoriti anche
dalla facilità di gestione del materiale girato grazie ai nuovi software in
circolazione al giorno d’oggi.
7
C’è stato chi ha articolato la propria storia su livelli diversi, costruendo
l’opera con una struttura ad anello, come Pulp Fiction di Quentin Tarantino.
La trama non si sviluppa in modo cronologico ma segue una sua logica
particolare.
Ecco l’ulteriore trasformazione, la manipolazione del tempo.
I registi giocano col tempo rendendo la loro storia quasi come una forma
onirica, come succede in Mulholland Drive di David Lynch.
Film con una maglia intricatissima, un percorso tortuoso in cui si è incapaci
di trovarne l'inizio e la fine, in un passaggio continuo di universi reali ed
immaginari.
Anche Christopher Nolan con Memento e Alejandro González Iñárritu con
21 Grammi, entrambi i registi al loro secondo lungometraggio, non resistono
dal rivalutare la centralità del montaggio mischiando le carte in tavola, in
cui dolore, incubi, fallimento di ogni emozione o relazione umana ed infine
depressione si intrecciano a più riprese giocando con una realtà alterata dei
fatti e soprattutto con la mente dello spettatore intento a cogliere ogni
eventuale cambiamento di tempo e di luogo.
Si delega, dunque, il pubblico di far chiarezza tra le masse di informazioni
fornite riuscendo a ricostruire la cronologia e i vari elementi del puzzle.
Memento e 21 Grammi sono film che riescono ad incollare allo schermo,
catturando con macchinosi giochi di montaggio anche l’attenzione dello
spettatore più reticente.
8
LE ORIGINI DEL MONTAGGIO
1.1 Il cinema senza il montaggio
Il montaggio è oggi considerato non solo un elemento essenziale del
linguaggio cinematografico ma anche il più specifico.
Tuttavia il cinema è nato senza di esso e l’ha quasi ignorato per i primi
quindici anni della sua esistenza.
Il montaggio non è un mezzo naturale, né il frutto di una rivelazione
improvvisa, ma il risultato di un’evoluzione dialettica, che si basa sulla
sperimentazione di alcuni registi e sulla lenta maturazione dello sguardo
degli spettatori, poiché il montaggio riguarda principalmente colui che
guarda.
La principale modalità di rappresentazione ai primordi era la VEDUTA, la
quale escludeva l’idea di montaggio. All’inizio ci fu la veduta Lumière, che
non era altro che una diapositiva fotografica in movimento che permetteva di
cogliere la vita sul fatto o di riprodurre scenette ricostruite in un ambiente
naturale.
Tutto era rappresentato con un’unica ripresa inferiore il minuto.
Una tacita regola voleva che gli attori fossero visti a figura intera e che ci
fosse dello spazio sopra la testa.
Ci vollero anni per imporre nell’ambito della finzione cinematografica
l’inquadratura ravvicinata, nozione strettamente legata al montaggio.
La sua nascita e sviluppo avvenne nel corso degli anni ’10 e ’20
parallelamente alla comparsa di una nuova modalità di rappresentazione.
La fase delle riprese consisteva nell’accumulare le inquadrature fotografate
da differenti angolazioni.
9
Il montaggio in seguito orchestrava questo materiale ricercando un ordine,
degli assemblaggi e dei punti di stacco. La successione delle inquadrature
dava il senso del film e imponeva allo spettatore il discorso del regista.
1.2 La nascita del mestiere
Il mestiere di montatore, nel senso che gli diamo oggi di mestiere di
creazione, nacque abbastanza tardi e comparve soltanto con l’avvento del
sonoro.
Al tempo del muto i montatori erano per lo più donne. Il loro lavoro era
considerato simile a quello della sartoria.
Nelle sale di montaggio le montatrici lavoravano con un paio di forbici ed
una lente d’ingrandimento su di un tavolo di vetro opaco illuminato in
trasparenza. Il responsabile del montaggio agiva su due fronti: redigeva il
testo degli intertitoli, che venivano stampati tipograficamente, e poi tagliava
la pellicola prima del taglio d’inizio desiderato e dopo il taglio finale e, con
l’aiuto di speciali spilli incollava, nel giusto ordine le inquadrature
successive. Un’altra operaia sostituiva poi gli spilli con delle giunte e veniva
proiettato questo primo assemblaggio per il regista e produttore in modo da
concordare ulteriori aggiustamenti.
10
Dopo una serie di proiezioni e correzioni si raggiungeva un risultato
accettabile. Il negativo veniva poi conformato alla copia lavoro e stampato
in piccoli frammenti di 60 metri l’uno.
Inizialmente la maggior parte degli operai e collaboratori del regista furono
considerati semplicemente il braccio armato di forbici, ma non tutti erano
dello stesso avviso. Infatti Pudvokin, uno dei più famosi registi del cinema
muto, dichiarava
Ancora una volta ripeto che il montaggio è la forza creativa della realtà filmica e che la
natura fornisce solo la materia prima sulla quale essa agisce. Questa è esattamente la
relazione esistente tra il montaggio e il film.
1
La storia del cinema muto concorda pienamente con l’affermazione di
Pudvokin. La crescita di capacità espressiva del mezzo filmico, partendo
dalle semplici riprese dei fratelli Lumière per arrivare alle sceneggiature
1
Vsevolod I. Pudovkin, La settima arte, Editori Riuniti, Roma 1974.
11
della fine degli anni ’20, era conseguenza di uno sviluppo parallelo alle
tecniche di montaggio.
1.3 Innovazioni nella strutturazione del racconto nel cinema muto
Ai primordi del cinema, la narrazione cinematografica aveva a disposizione
limitate possibilità di controllo dell’inquadratura.
Ciascuna azione veniva rappresentata ad una distanza fissa dalla cinepresa e
quindi il regista non aveva la possibilità di far risaltare determinate parti del
racconto. Le variazioni di intensità drammatica erano rese esclusivamente
dai gesti degli attori.
Un illuminato sperimentatore della narrazione cinematografica che non
smise mai di produrre innovazioni fu David Wark Griffith, primo grande
maestro del cinema americano.
La scoperta fondamentale di Griffith è stata quella di rendersi conto che una
sequenza deve essere composta da singole inquadrature scelte e ordinate in
base a motivi di necessità drammatica.
In questo modo egli dimostrò che la macchina da presa poteva avere una
parte attiva nella narrazione e spezzando un avvenimento in breve
frammenti, ciascuno ripreso dalla posizione più adatta, si poteva modificare
l’importanza delle singole inquadrature, controllando così l’intensità
drammatica dei fatti man mano che la narrazione progrediva.
Fin dagli inizi della sua carriera Griffith si rese conto che riprendere
un’intera scena a distanza fissa limitava fortemente la narrazione.
Volendo mostrare allo spettatore il pensiero o le emozioni di un
personaggio, capì che il modo migliore per farlo era quello di avvicinare la
12
macchina da presa, registrando così con più precisione l’espressione del
viso.
Di conseguenza, nel momento in cui le reazioni emotive di un attore
diventavano il punto focale della scena, decise di staccare semplicemente dal
totale a un piano più ravvicinato, invece quando risultava più importante il
movimento generale della scena, con un nuovo stacco tornava al totale.
Per primo, decise di rompere con la tradizione dell’inquadratura scenica
molto larga avvicinandosi agli interpreti, spesso inquadrati all’altezza del
ginocchio in piano americano.
Si facevano passi in avanti e pian piano ci si stava dirigendo verso un nuovo
linguaggio, testimone del fatto che la responsabilità principale di comunicare
un certo effetto allo spettatore passava dalle mani dell’attore a quelle del
regista. Infatti, era il regista a controllare il ritmo della scena, mentre la
suddivisione in componenti elementari delle sequenze riguardava il compito
del montatore.
Griffith era un genio della narrazione, il grande risultato da lui ottenuto fu la
scoperta e l’applicazione di metodi di montaggio che consentivano di
arricchire e di aumentare la forza narrativa del mezzo filmico.
Ma mentre il regista americano si accontentava di raccontare le sue storie
con questa tecnica, c’era già chi si dichiarava convinto di poter compiere un
ulteriore passo in avanti.
I giovani registi russi pensavano, sfruttando i nuovi metodi di montaggio,
non solo di raccontare una storia ma di interpretarla.
Il cinema di Griffith non conosce questo tipo di costruzione nel montaggio. I suoi primi
piani creano l’atmosfera, delineano elementi del carattere di un personaggio, alternandosi
nei dialoghi tra personaggi principali.
13
Ma Griffith rimane sempre al livello della rappresentazione dell’obiettività e non si
azzarda mai, attraverso l’accostamento, a dare senso e immagine.
2
Invece la convinzione di Ejzenstein era quella di trovare metodi di
montaggio del tutto nuovi e questo doveva essere il compito dei giovani
registi russi.
Le scuole di pensiero si dividevano in due filoni.
Da una parte Pudovkin sosteneva che ogni inquadratura doveva mostrare un
elemento nuovo e pregnante, inoltre disprezzava i registi che narravano
attraverso l’utilizzo di scene lunghe e si limitavano ad utilizzare primi piani
o dettagli.
Meglio non ricorrere all’interpolazione di primi piani del genere: non hanno a che fare
con il montaggio creativo.
3
Pudovkin costruisce le scene partendo da una serie di dettagli accuratamente
pianificati e ottiene l’effetto voluto dalla loro contrapposizione.
Quindi i suoi passaggi narrativi ottengono un effetto più concentrato, anche
se il loro fascino risulta più impersonale.
Dall’altra parte troviamo Ejzenstein, al quale non interessavano i semplici
meccanismi della narrazione.
Egli era convinto che costruire uno stato d’animo limitandosi a legare
insieme una serie di dettagli era solo l’applicazione più elementare del
montaggio.
Invece di collegare le inquadrature in una sequenza fluida, bisognava
procedere con una serie di shock. Ogni stacco doveva suscitare una
2
Sergej M. Ejzenstein, La forma cinematografica, 1924-1946, a cura di P. Gobetti, Einaudi, Torino 1986.
3
Vsevolod I. Pudovkin, La settima arte, Editori Riuniti, Roma 1974.
14
contraddizione tra le inquadrature accostate, creando così una nuova
impressione nella mente dello spettatore.
Se il montaggio si dovesse paragonare a qualcosa, bisognerebbe paragonare una falange
di spezzoni di pellicola alla serie di esplosioni che si verificano in un motore a
combustione interna, e che mantengono in moto l’automobile o il trattore: analogamente,
la dinamica del montaggio fornisce gli impulsi che tengono in movimento il film, nel suo
complesso.
4
La contrapposizione tra due inquadrature ottenuta incollandole insieme non è tanto la
semplice somma tra due inquadrature, ma un atto creativo.
5
Il regista russo era convinto che la sceneggiatura ideale fosse quella in cui
ogni stacco produce uno shock momentaneo, classificava anche i vari tipi di
contraddizione tra due immagini accostate in termini di composizione.
Qualunque elemento dell’immagine nelle inquadrature successive poteva
variare bruscamente per suscitare la contraddizione desiderata.
L’accostamento conflittuale fra le due immagini crea “l’effetto di
un’esplosione istantanea di una bomba”, ma è il caso di chiedersi se
quest’effetto raggiunge lo spettatore.
4
Sergej M. Ejzenstein, La forma cinematografica, 1924-1946, a cura di P. Gobetti, Einaudi, Torino 1986.
5
Sergej M. Ejzenstein, Film Sense, Faber, London 1943.